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Due Sicilie
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Riflessioni sul senso dell’Identità

di Nicola Salerno

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3 Febbraio 2012


Questo contributo vuole essere uno stimolo alla riflessione sul senso dell’Identità. Una tale riflessione sebbene generale, penso che assume un significato particolare per chi avverte un sentimento di appartenenza per la terra natia e come tale anche per i meridionali, o almeno per coloro che ancora si sentono tali nel senso di appartenere ad un popolo storicamente determinato.

In merito all’identità, per la sua natura polisemica, è difficile fornire una precisa e circoscritta descrizione. In una estrema sintesi si può affermare che si tratta di un concetto che identifica allo stesso tempo sia l’idea di uguaglianza che quella di differenza, in costante divenire e mai dato per sempre. E’ un processo che ha ovviamente natura sociale risultando dall’interazione tra gli uomini appartenenti ad un popolo.

Come si può facilmente intuire, l’identità è anche il risultato dell’interazione con l’ambiente, il territorio, il paesaggio che plasma e viene plasmato dal popolo che lo abita.

L’articolo 5-Provvedimenti Generali della Convenzione Europea sul Paesaggio del 2010, a tal proposito recita come segue:

“Ogni Parte si impegna a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità;”

Riflettere sullo stretto legame tra identità e ambiente aiuta anche a cogliere il senso e il perché delle nascenti sinergie tra movimenti identitari e movimenti ecologisti.

Anche se può apparire paradossale, il senso di appartenenza, inteso come legame profondo per la terra natia, sembra non riscontrare molto appeal in questi tempi. Se si cerca (anche provocatoriamente) di affrontare il tema identitario, alla meglio si viene etichettati come retrogradi, conservatori, se non addirittura di essere reazionari.

A tal proposito è utile una riflessione di carattere del tutto generale circa l’attuale l’imperialismo culturale che cerca di imporre il modernismo e lo sviluppo come valori universali e assoluti. Senza entrare nel merito di chi (e perché) sta dietro la diffusione di tali modelli, l’esperienza e una semplice riflessione possono svelare come lo sviluppo non sempre coincida con il progresso. Allo stesso modo non tutto ciò che è moderno è anche necessariamente buono, come tutto ciò che è antico non è necessariamente da abbandonare perché non più buono o semplicemente perché superato.

Dal punto di vista politico l’argomento identitario, almeno nel contesto attuale italiano, a causa della sovraesposizione mediatica della Lega Nord negli ultimi anni, viene comunemente e spesso strumentalmente associato alla sua degenerazione nel leghismo.

Nell’area della destra sembra prevalere più il tentativo subdolamente opportunistico di captare il consenso di quelle aree del movimento identitario più inclini al liberismo di facciata che ci ha accompagnato negli ultimi anni.

In modo più raffinato, invece negli ambienti di una certa sinistra salottiera, la tipica reazione rimanda a strutture sovrannazionali: ma come, stiamo cercando di costruire l’Europa e ancora stai a parlare del Regno delle Due Sicilie! E via con l’assolutizzazione pseudo universalista: siamo cittadini del mondo, apparteniamo alla polis universale, e cose del genere…

Asserzioni queste ultime che potrebbero essere definite come puramente intellettualistiche considerando il fatto che, tranne per brevissime parentesi lavorative o vacanziere, la stramaggioranza delle persone esperisce la quasi totalità della propria esistenza nei limiti del quartiere o del paesello.

E in ogni modo dovrebbe essere legittimo chiedersi se il sentirsi italiani, europei, cosmopoliti o cittadini del mondo debba necessariamente essere in antitesi con il sentirsi Napoletano, Palermitano, Catanzarese, meridionale. L’una cosa esclude realmente l’altra? Motivazioni storiche a parte, come può nascere l’amore per il generale senza l’impegno per la cura del particolare? Posso amare me stesso senza avere cura di non rompermi il collo, la testa o il braccio? E il generale non è anche l’universo dei particolari?

Come conseguenza, l’amore per la propria terra e lo stesso senso dell’Identità viene represso o dissimulato per timore di essere marginalizzati dal senso comune che impone la cieca obbedienza all’ideologia pseudo universalista. L’imperialismo della cultura “global-universalista” impone cinicamente il suo canone: indifferenza per il domestico in quanto associato alla sua degenerazione nel municipalismo o nel leghismo e/o percepito come antitesi alla polis universale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: devastazione dell’ambiente, degradazione estetica del paesaggio e del tessuto urbano, esasperazione della competizione al di là della necessità attraverso l’esaltazione dell’individualismo, degradazione della vita sociale.

Fermo restando la consapevolezza che dare istanza ad un tale sentimento potrebbe esporre anche alla sua degenerazione nel razzismo. La lega Nord in Italia ne è un esempio reale che dovrebbe essere da monito e mettere in guardia da tale potenziale pericolo.

E’ pensabile, nell’era della globalizzazione, dello sviluppo senza limiti, dell’assolutizzazione pseudo universalista dare istanza e legittimazione al movimento identitario?

Può la riscoperta dell’Identità mitigare e porre in qualche modo un argine alla globalizzazione (intesa come interesse di poche multinazionali), e contribuire così realmente a migliorare la qualità della vita? Può la riscoperta da parte dei meridionali della loro Identità di popolo (cancellata dall’agiografia risorgimentale) contribuire concretamente ad una migliore qualità della vita dei meridionali, e conseguentemente degli italiani, degli europei, …?

 Nicola Salerno









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