L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


Ringraziamo Angelo per questa segnalazione. 

Zenone di Elea – 29 Settembre 2012


Fonte;

https://ricerca.repubblica.it - 22 Febbraio 1985 

RICOMINCIARE DAI BORBONI

ALBERTO STABILE



CATANZARO - "Siamo di nuovo al punto in cui, nel 1735, i Borboni trovarono il regno che veniva loro regalato. Non è in gioco solo l'occupazione, il reddito o il benessere, cioè la sola economia. Il Meridione è uno sfasciume completo per ogni aspetto della vita collettiva e individuale. Una terra desolata e sconvolta dove anche la speranza è un peccato di presunzione. Lo sviluppo del Nord ha preteso il nostro sottosviluppo, non solo economico ma anche civile e culturale. Il Meridione è deresponsabilizzato e nel più completo stato d' abulia".

Nell'Italia delle etnie e dei regionalismi nasce un nuovo meridionalismo radicale, socialisteggiante, interclassista e, almeno per certi aspetti del progetto di rilancio economico, autarchico; che si ripromette di conseguire, per le regioni del Sud che già non l'abbiano, l'autonomia speciale, di costruire uno Stato su basi federative, di congelare temporaneamente e orientare in modo nuovo le risorse finanziarie, di ricostruire la perduta identità culturale. In poche parole: di promuovere il riscatto del "paese meridionale", vittima di un processo di "colonizzazione interna". Banco di prova: le prossime elezioni regionali in Calabria, alle quali il Movimento politico meridionale - questo il nome voluto dai promotori - parteciperà con una propria lista.

Chi ne fa parte? Il nucleo fondatore del movimento è rappresentato dal gruppo di intellettuali che a cavallo tra la fine dei 60 e i primi anni 70 s' è raccolto intorno alla rivista "Quaderni dei contadini e dei proletari del Mezzogiorno e delle isole", oggi "Quaderni Calabresi", edita a Vibo Valenzia. I nomi sono quelli dell'antropologo Luigi Lombardi Satriani, preside della facoltà di lettere di Arcavacata (Cosenza), dell'ex magistrato Francesco Tassone, del saggista meridionalista Nicola Zitara, di Mariano Meligrana. Ma dal momento in cui il Movimento ha deciso di partecipare alla competizione elettorale sono giunte nuove adesioni: come quella dell'avvocato Luigi Gullo, ex senatore comunista, poi vicino al Psi e infine ai radicali, professionista tra i più noti in Calabria, figlio di quel Fausto Gullo, ministro dell'Agricoltura nel primo governo De Gasperi, che nel dopoguerra venne definito il "ministro dei contadini".

La svolta sul piano della notorietà - come ammettono gli stessi promotori della lista - si è avuta, però, con l'adesione al Movimento, accompagnata da una lettera pubblica di dimissioni dal Pci, da parte dell'ex deputato comunista Francesco Catanzariti (alla Camera dal ' 72 al ' 76 poi non ripresentato), un dirigente con 35 anni di tessera alle spalle, una solida base elettorale, una lunga militanza nella Cgil (di cui è stato anche segretario regionale) fino ad essere designato come presidente del Comitato regionale dell'Inps, carica che attualmente ricopre.

Segnali di apprezzamento e di interesse sono venuti anche da un ex assessore regionale democristiano, quel Sergio Scarpino, battagliero accusatore del malgoverno che alligna nelle amministrazioni calabresi, personaggio scomodo per la stessa Dc, espulso dal partito per appartenenza alla massoneria (quella di Corona) con una severità non invocata, né tanto meno applicata, per nessuno dei tanti piduisti con tessera democristiana.

Insomma, uomini delusi dei partiti, contestatori del meridionalismo classico, cultori di una civiltà contadina irripetibile sembrano aver trovato nel Movimento e nella forte carica rivendicazionista che esso esprime uno strumento comune di azione politica. Ed è subito polemica.

La distanza volutamente marcata nei confronti dei partiti "nazionali", tutti, chi più chi meno, accusati di essere "subalterni" agli interessi centro-settentrionali, si è, per così dire, incarnata nel dissenso pubblicamente espresso da Catanzariti nei riguardi del Pci. "Manovra elettoralistica" ha subito sancito la federazione comunista reggina. Ma lui insiste: "Mi sono dimesso - dice - perché non ritrovo più i nostri problemi nella linea del partito, che anzi li subordina e quindi li penalizza".

Cinquantenne, dotato di una parlantina torrenziale e di una spontanea comunicativa, Catanzariti appartiene a quella generazione di dirigenti politici meridionali che hanno fatto il loro apprendistato negli anni delle lotte contadine. Nato a Platì, un paesino dell'Aspromonte dissanguato dall'emigrazione, dalla miseria e da una forte presenza mafiosa, Catanzariti (che di Platì è stato anche sindaco) guarda al partito di quegli anni come a un' esperienza eroica che ha subito un progressivo appannamento, fino ad arrivare alla paralisi. "I documenti iniziano con le parole fatidiche per lo sviluppo del Meridione ma poi non danno risposte coerenti".

La storia degli ultimi trent'anni, nel racconto di Catanzariti, sembra essere segnata dagli insuccessi del partito meridionalista per antonomasia. Dagli anni del miracolo economico ("ma per la Calabria sono anni di boom o di svuotamento?") a quelli della prima rivoluzione tecnologica ("l'innovazione tecnologica non tocca le strutture portanti della regione. Cresce l'edilizia ma entrano in crisi cantine e frantoi"). E, in mezzo, i drammatici fatti di Reggio: "Abbiamo detto: siamo per lo sviluppo.

La vicenda si concluse con il pacchetto Colombo, quei 35 mila posti di lavoro solennemente promessi dal presidente del consiglio dell'epoca, per giunta lucano. Ma che cosa abbiamo fatto per riscuotere questa cambiale vergognosa? Il partito ha gettato sul piatto tutto il suo peso politico? Sì, abbiamo fatto la manifestazione a Roma, 30 o 40 mila confinati in piazza Santissimi Apostoli, per non disturbare il governo Andreotti".

In tutti questi anni, insomma, si è avuta conferma che nel Pci come negli altri partiti nazionali "la voce del Mezzogiorno non ha che un blando ascolto". E anzi che "esiste una bilancia tarata, due pesi e due misure, per cui Reggio Calabria non vale Reggio Emilia, Napoli non conta quanto Milano e cento contadini dell'Aspromonte non valgono un operaio Fiat".

Anche il partito al suo interno è nel frattempo cambiato. Si è come "calcificato", "non pensare con la propria testa è un titolo di merito". Vanno avanti gli "esecutori", i portatori di istanze nuove anche conflittuali, "che potrebbero lavorare per il riscatto calabrese e meridionale, vengono respinti nel ghetto". Ora, dice Catanzariti, "il Movimento non nasce con la mia uscita dal Pci"; sono percorsi paralleli che ad un certo punto si incontrano: "noi vogliamo costruire un potere contrattuale del Mezzogiorno". Animato da una spinta fortemente populista ("Hugo, Hugo, "I miserabili", e poi Marx: ecco dove mi sono formato"), l'ex deputato comunista vede nel "Fronte di liberazione nazionale" una fonte di ispirazione: "la cosa non mi dispiace, come filosofia, come spirito, dico, perché qui siamo dominati".

Domanda: non è una forma di neo-separatismo? Risposta: "separatisti sono i partiti tradizionali che con le loro politiche hanno aggravato la separazione della Calabria, cellula impazzita del Meridione. Il nostro non è un intento di separazione (dipende dagli altri) ma non vogliamo essere liberti. Vogliamo una vera unità tra pari". Entusiasta ("mi sento rinascere") Catanzariti respinge l'accusa di municipalismo: "Prevediamo - afferma - la possibilità di stringere un patto sociale, la possibilità di convergenze che escludono ogni tentazione municipalistica. Noi vogliamo essere un momento di arricchimento della democrazia e di stimolo per i partiti".

Quanto alla lotta alla mafia, ecco un altro punto destinato a sollevare polemiche. "Noi - dice Catanzariti - intendiamo rafforzare questo fronte su un terreno più giusto. Vogliamo sganciare questo problema da un aspetto solo di polizia. Rispetto il momento repressivo, ma bisogna accentuare il momento di crescita economica, altrimenti si rischia di mandare lo Stato allo sbaraglio, di distorcere i ruoli di polizia e magistratura. Mi sta bene che Scalfaro e Martinazzoli vengano in Calabria, ma devono venire anche i ministri dell'Agricoltura e dell'Industria".

E' un critica neanche troppo velata, alle leggi antimafia; un tema sul quale il Movimento meridionale incalza e che sotto il titolo di "messa in discussione delle aberranti modalità di attuazione della cosiddetta lotta alla mafia", Signora tra le tante iniziative "di aggregazione culturale e politica" promosse.

Convinti di essere al centro di un vero e proprio attacco politico, i comunisti, che con il Movimento meridionale hanno avuto un lungo dialogo, contrattaccano. "La questione degli uomini - dice Franco Politano, segretario regionale - non è irrilevante e allora bisogna dire che accanto ad alcuni che esprimono posizioni con cui ci confrontiamo, ce ne sono altri che sono simbolo di un antico trasformismo meridionale.

Quanto a Catanzariti, il distacco si consumò al momento della sua mancata ricandidatura, nel ' 76, in quanto sin da allora si manifestò una divergenza politica sul modo di affrontare la lotta alla mafia. Allora il partito sbagliò a non farlo uscire". Ma la discussione, par di capire, rimase tutta interna e non sortì effetti. Al di là del caso Catanzariti, tuttavia, il Pci respinge l'ipotesi di una sua crisi sul terreno meridionale ("noi ci candidiamo al governo della regione, altro che difficoltà"), anche se ammette che c' è una caduta di tensione meridionalista che però "non si può sostituire con un vecchio meridionalismo straccione".

Il problema principale è, insomma, "battere i nemici interni della Calabria"; "far nascere un nuovo gruppo dirigente". Più cauti i democristiani, alcuni dei quali, almeno, non nascondono preoccupazioni per le dimensioni che può assumere il fenomeno "autonomista".

La crisi di rappresentatività che affligge i partiti; il disincanto per la politica romana; la sfiducia verso una classe dirigente troppo spesso corrotta o incapace possono certo costituire le condizioni ideali per saldare un fronte degli sconfitti e dei delusi. E sullo sfondo c' è una regione, con i suoi immancabili contrasti, le sue ricchezze, le sue miserie, e le sue promesse tradite. Con il suo esercito di disoccupati (200 mila) e di precari (28 mila forestali), testimonianza di un malessere perenne.

I rischi di strumentalizzazione sono evidenti. Basti pensare agli enormi interessi di mafia che si muovono nella regione (sia pure con sempre maggiori difficoltà). Ma ciò non cambia l'opinione del leaders del movimento, convinti che basti modificare il tessuto economico, cambiare i meccanismi di finanziamento, estendere l'autogestione delle risorse per eliminare la mafia. "E' possibile - dice Tassone, il fondatore dei "Quaderni", a cui gli stessi comunisti riconoscono serietà e coerenza - che riusciamo a costruire un canale, o che ne siamo travolti. Di sicuro non vogliamo più restare in attesa dell'avvento".

dal nostro inviato ALBERTO STABILE










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