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Fonte:
https://www.billynuzzolillo.it/

L’economia nella vecchia e nuova Cerreto

(tratto da: Cerreto Sannita: un modello di ricostruzione

post-sismica di Billy Nuzzolillo - pag. 22-25)

I capi prodotti nel capoluogo della contea dei Carafa erano esportati nell'intero Regno di Napoli ed anche all'estero: alcuni documenti, infatti, testimoniano che venivano venduti a Marsiglia, oltre che a Venezia, in Sardegna, in Abruzzo ed in Puglia. Dopo il terremoto si producevano ogni anno circa novecento "pezze" di panno, dette "peluzze", e circa mille e trecento "pezze" di panno stretto.

I cerretesi concorsero, tra l'altro, anche alla fornitura del vestiario per l'esercito di re Carlo di Borbone. L'industria dei panni di lana restò, quindi, dominante anche dopo il catastrofico sisma del 1688. Anzi, "riuscì ad incrementare la sua produzione ed a porre la cittadina, nel corso degli anni successivi al terremoto, tra le prime produttrici della provincia di Terra di Lavoro, al punto tale che già nell'anno 1700 essa si classificò, tra gli acquirenti di lana, al quinto posto, essendo preceduta solo da Piedimonte, Napoli, Venezia, San Severino e Bergamo" (3) .

Cerreto Sannita: un modello di ricostruzione

La produzione avveniva nelle botteghe e nelle abitazioni. Fattore, quest'ultimo, che influenzò enormemente le scelte urbanistiche operate in occasione della ricostruzione. Assieme alla gualcatura e cardatura, l'unica fase della lavorazione, per così dire, "centralizzata" era quella relativa alla tintura dei panni di lana, che avveniva nella cosiddetta "tinta". In una caldaia colma d'acqua, posta sul fuoco, venivano preparati i colori estratti dai vegetali. Vi si immergeva il panno per sette ore e lo si rimescolava, girando un asse, per ottenere uniformità di colore. Il panno veniva poi passato alla "cartoniera", che conteneva cartoni infuocati, stretti a forza di braccia d'uomini con la "soppressa".

Industrie minori, legate comunque a quella dei panni di lana, erano poi quelle degli "scardi" (o "cardi") e delle forbici. Gli "scardi" erano utensili a denti spessi di filo di ferro uncinato per pettinare le lane. Le forbici servivano a tosare le pecore e cimare i panni.

Questi prodotti erano destinati al mercato interno del Regno di Napoli ed, in minima parte, all'esportazione nello Stato Pontificio.

Le trasformazioni economiche in atto nella cittadina in quel periodo influenzarono anche la distribuzione dei capitali. "La vendita degli armenti - spiega, ad esempio, l'architetto Nicola Ciaburri (4) - contribuì a dare ai singoli proprietari la possibilità dell'accumulazione di fondi per la ricostruzione ed il commercio e, nello stesso tempo, creò la nascita di gruppi finanziari legati al clero secolare e regolare, che intervennero nell'economia locale direttamente e prestando denaro ai cittadini a basso interesse. Questi gruppi erano l'espressione di alcune famiglie civili, famiglie che continuavano a rivendicare una loro autonomia ed un loro potere anche rispetto alla stessa autorità ecclesiastica. Non è, infine, da sottovalutare l'importanza avuta nella nuova economia dal ruolo stesso svolto dai meccanismi della mano d'opera specializzata". Alla ricostruzione di Cerreto, infatti, diedero un notevole apporto gli artigiani provenienti da altre parti d'Italia. In questo modo venne a crearsi una nuova classe di artigiani che rese la cittadina famosa per i suoi maestri scalpellini, i suoi capomastri e suoi "faenzari" (ceramisti).

La produzione delle ceramiche, infatti, era presente già nel Seicento, data l'abbondanza di creta e di acqua. Si trattava, però, di una ceramica "povera", diversa da quella delle "faenze". L'arrivo dei maestri "faenzari" napoletani finì con l'incentivare l'antica produzione, dandole, soprattutto, un forte impulso qualitativo.

Lungo i due torrenti che costeggiavano il paese sorsero i cosiddetti mulinegl'5, dove veniva prodotta la vetrina: un miscuglio di cenere di piombo e stagno stemperato con cenere di legna, arena cotta e sale, che serviva a creare pregevoli stoviglie, dipinte con perizia e fantasia6.

Grazie all'opera del maestro napoletano Nicola Russo, aumentò il numero delle botteghe e venne importato un nuovo modello di decorazione e lavorazione della creta.

Si produssero stoviglie di ogni genere: dai piatti casalinghi ai vassoi, dalle armoniose e panciute zuppiere alle giare rigonfie e a bocca larga, dai caratteristici vasi da farmacia alle anfore e mattonelle di ispirazione religiosa. Senza dimenticare le acquasantiere, con colonnine tortili ed angeli a tutto tondo, salsiere, oliere, saliere, piccole coppe e, persino, pipe. Fu l'inizio, insomma, di quella meravigliosa pagina rappresentata dalla Ceramica Cerretese del Settecento, a cui contribuirono anche i maestri locali Marchitto, Festa, Giavanti, Fraenza, Scarano, Teta e tanti altri ancora.

Figlio di questa scuola fu Nicola Giustiniani, fondatore della famosa manifattura Giustiniani di Capodimonte.

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[4] N.CIABURRI, “La ricostruzione di Cerreto Sannita dopo il terremoto del 5 giugno 1688” in AA.VV., “Illuminismo meridionale e Comunità locali”, Guida Editore, Napoli, 1984.

[3] R. PESCITELLI, “Palazzi Case e Famiglie Cerretesi nel XVIII secolo: la rinascita, l’urbanistica e la società di Cerreto Sannita dopo il sisma del 1688”, op. cit. Il dato riporta to dall’Autore è tratto dal libro diA.MARINO “L’economia pastorale nel Regno di Napoli”, Guida Ed., Napoli, 1992.

[5] Mulinelli.

[6] Come descrive N. ROTONDI in “Memorie storiche di Cerreto Sannita”, op. cit.


Ringraziamo Billy Nuzzolillo, autore di "Cerreto Sannita: un modello di ricostruzionepost-sismica", per averci autorizzato a pubblicare uno stralcio tratto della sua opera. 

Potete scaricare gratuitamente dal sito dell'autore https://www.billynuzzolillo.it/ il testo in formato pdf.

 Mino Errico - 20 aprile 2009




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