* Abbiamo volutamente utilizzato come titolo della pagina dedicata a Ferdinandea il titolo degli "appunti" utilizzati per spiegare ai ragazzi scout l'origine del luogo in cui si trovavano - per noi prova e testimonianza che certi temi circolano nel Sud, che la vulgata risorgimentale non durerà ancora a lungo.
Fonte:
Appunti gentilmente forniti da Maria Federica Totino di Bovalino il 23 luglio 2005 Ferdinandea: originale, bizzarra, unica
“Si entra ora nella foresta dei faggi salendo alla montagna. Fresca, profonda, verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima; in fondo al burrone canta il torrente... Si ascende, si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un’ampia via... Tacciono le voci umane: dov’è dunque la ferrovia, la città, il mondo rumoroso e fragoroso? E’ scomparso. Non vi è che questa foresta immensa, sconfinata: solo questa vegetazione esiste. Siamo lontani per centinaia di miglia dall’abitato: forse il mondo è morto dietro di noi. Ma ad un tratto.. fra la taciturnità serena di questa boscaglia un lieve suono musicale arriva: e un che di bianco traspare fra le altezze dei faggi. Questa è Ferdinandea. Dimora incantata. Come il Monsalvato, il mitico castello di Parsifal, che sta in una foresta, una terra sconosciuta, Ferdinandea è fra gli alti alberi, solitaria, non villa, non trattoria, non palazzo, ma Ferdinandea, senz'altro nome, senz'altra qualifica, Ferdinandea, originale, bizzarra, unica". Questo brano, pervaso da una visione agreste e
idilliaca, tratto da un articolo che la scrittrice Matilde Serao pubblicò su
"Il Corriere di Roma" il 19 settembre 1886, restituisce pienamente la
particolarità e il fascino di questa grande costruzione, immersa nel silenzio
tra estesi faggeti, che sorge a oltre mille metri di altitudine, a circa
venticinque chilometri a nord di Stilo. La costruzione appare all’improvviso, con davanti un
grande piazzale circondato da alti faggi. La scrittrice napoletana visitò la ferdinandea,
conosciuta soprattutto per essere stata il casino di caccia dei Borbone, in
quel 1886, raggiungendola da Napoli dopo un viaggio di oltre venti ore. Qui fu
ospite del colonnello Achille Fazzari, il garibaldino che dopo l'unita d'Italia
acquisto il complesso insieme a cinquemila ettari di terreno dal Ministero
delle Finanze, che ne era divenuto proprietario dopo la chiusura delle fonderie
e delle fabbriche militari che vi sorgevano, e perciò alle dirette dipendenze
del Ministero della Guerra. Già, perchè la Ferdinandea sorse originariamente
come residenza del capo delle Reali ferriere della vicina Mongiana, vanto di
Ferdinando IV di Borbone e create nei 1736. Le ferriere di Mongiana erano un
enorme complesso con tre altiforni alimentati dal legname delle estese foreste
della zona, mentre il minerale era estratto dalle miniere di Stilo e di
Pazzano. Nel periodo di Massimo splendore la fabbrica occupò circa 1200 tra
operai e tecnici. Cosa si produceva? Innanzitutto, cannoni e fucili, i celebri
ed eleganti fucili modello Mongiana, dalla canna lunga, istoriati, apprezzati
dappertutto e oggi esposti a Napoli e a Parigi. Se ne producevano tremila l’anno. Altrettanto il
numero delle armi bianche. Dopo l’unità d’Italia la produzione si affievolì
lentamente, e dopo una breve gestione militare il nuovo stato vendette il
complesso al senatore catanzarese Achille Fazzari. Oggi delle Reali ferriere rimane poco. Nel piccolo
centro di Mongiana sono ancora visibili le due enormi colonne scannellate in
ghisa poste all'ingresso dello stabilimento e alcuni ruderi della cinta muraria
degli stabilimenti. Nella vicina Ferdinandea, invece, rimane il grande
complesso, dove, accanto sorse la “casina di caccia” di Ferdinando di Borbone,
che in questi e lussureggianti boschi compi con i suoi ospiti diverse battute
caccia. Su iniziativa del Fazzari, poi, vennero create la segheria e la
centralina elettrica, agli inizi del Novecento. La Ferdinandea è una costruzione squadrata a due
piani in stile austero, con al centro un vasto cortile con una fontana. Il
tutto è in uno stato di forte degrada e abbandono. Di fronte all’ingresso
principale del casino, a fianco di quello che consente l’accesso al complesso. una
piccala e austera chiesa, abbandonata. Degli arredi dell'enorme costruzione, con una vasta
scala nell’ingresso principale, dove sono ancora visibili gli affreschi
originari che l'adornavano, un tempo arredata con preziosi mobili e quadri, non
resta quasi nulla. Infatti, dopo che il Fazzari vi soggiornò per diversi anni e
avviò lo sfruttamento dei boschi e delle vicine sorgenti di acqua oligominerale
già note come "Fonti della Mangiatorella”, acqua imbottigliata e
commercializzata già allora in tutta Italia, e oggi passata ad altra proprietà,
il complesso fu acquistato dalla Società Idroelettrica Piemontese, che adibì
parte del casino di caccia ad abitazione per le maestranze impiegate nella
conduzione della centrale elettrica, che alimentò di energia i paesi vicini
fino al secondo dopoguerra, e dello sfruttamento dei boschi. Attività, questa, ancora pienamente attiva e gestita
da una società di Rende, che ha avuto in concessione lo sfruttamento degli
estesi boschi che circondano la casina. Qualche anno prima della seconda guerra
mondiale, il patrimonio passò alla Società Immobiliare Calabra, con sede a
Milano. Il casino fu ancora adibito a residenza per le maestranze, che la
abitarono fine e qualche anno addietro, prima di essere definitivamente
abbandonato. Nonostante i numerosi appelli e i progetti volti a
recuperare la Ferdinandea, come quello presentato alla Cassa per il Mezzogiorno
a metà degli anni Settanta, e gli studi avviati per il recupero e la
valorizzazione degli stabilimenti di Mongiana, il più importante esempio di
archeologia industriale di questa regione finora è stato fatto poco; e il
complesso è rimasto lì, testimonianza di un passato sul quale bisogna invece
ancora dialogare. |
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