Ecco lo spettro del revisionismo. Si sa: si può bollare tutto in questo modo. A rischio, dunque, anche la Cattedra Sturzo quando passa ad analizzare il ruolo del movimento cattolico nelle vicende italiane, specie del dopoguerra?
Lo storico però sorride, e propone:
cancelliamo la parola revisionismo dal dizionario storiografico.
Francesco Perfetti è ordinario di storia contemporanea alla
Luiss e direttore di "Nuova storia contemporanea" che riprende la
rivista di Renzo De Felice.
Ci spiega i motivi di questa
cancellazione.
Professor Perfetti, esiste un revisionismo o è il semplice
progredire della scienza storica?
"La parola revisionismo dovrebbe essere eliminata perché si
è caricata di una valenza squisitamente politica e ideologica,
che è l'esatto contrario della ricerca storica, vale a dire
conoscenza di come si sono svolti i fatti, al di là delle
posizioni ideologiche. Il revisionismo in quanto tale nasce nell'area
della cultura marxista, e, nel comunismo realizzato, diventa una sorta
di meccanismo per individuare il nemico oggettivo da eliminare".
La
storia è sempre revisionista, come dice Furet?
"Ma in questi termini: ogni volta che uno studioso individua un fatto
nuovo o rilegge un fatto vecchio in una nuova ottica fa opera di
revisione. Poi, però, il revisionismo è stato
interpretato come una categoria utilizzata da un certo tipo di destra
per riscrivere la storia, il che è del tutto fuori luogo. Non
è un caso che si presentavano come revisionisti tutti quegli
storici eminentemente politici che sostenevano la negazione
dell'olocausto (Faurisson e via dicendo). Da qui a mettere Nolte nella
stessa categoria il passo è stato breve, mentre i due personaggi
sono completamente diversi per impostazione e formazione culturale.
Data questa confusione sarebbe allora il caso di eliminare il termine
ed elencare delle regole, per così dire, di ricerca storica".
Come ha fatto Galasso?
"Ed infatti Galasso è tra quelli che hanno firmato il manifesto
sul revisionismo del Risorgimento. L'ideale - sostiene - sarebbe
tornare a uno storicismo che abbia il conforto della ragione critica,
poiché lo storicismo puro ha, quanto meno, due pericoli. Il
primo, è di considerare la storia come un fatto completamente
passato, con tutta una serie di conseguenze di carattere
etico-politico, come la legittimazione del nuovo per il nuovo; il
secondo è concepire il passato come un "passato che non passa"
ma che pesa sui cittadini e sulla società".
È però
innegabile che l'accusa di revisionismo sia diventata arma della
sinistra per delegittimare tutto quello che non appartiene a quell'area
culturale.
"Avviene nella sinistra di derivazione marxista e nella sinistra che si
riallaccia alla cultura dell'azionismo, cioè alla cultura che
mette a monte della ricerca un giudizio di tipo virtuistico: il bene da
una parte, il male dall'altra, e poi procede ad analizzare la storia in
questa chiave. Tanto per fare dei nomi, da Bobbio in poi, che finiscono
per essere, volenti o nolenti, i reggicoda del marxismo".
C'è un metodo per un
revisionismo per così dire corretto?
"Basterebbe non partire da un giudizio a monte. Lo storico non
può porsi davanti alla ricerca con un giudizio di tipo
moralistico già predefinito. Moralistico non morale. Il giudizio
morale giunge a posteriore, dopo la ricerca. Come sarebbe asserire
prima che la Rivoluzione francese, ad esempio, sia il bene o il male
assoluto e dopo andarla a studiare, rapportando tutta la ricerca su
questo parametro. Quindi, non si può parlare neppure di un
revisionismo di destra o di sinistra. Eppure si fa per colpire certi
testi che possono essere apparsi scomodi a una parte o ad un'altra".
Ad
esempio?
"Quello che fa Asor Rosa quando dice che certi revisionisti (il
richiamo forse è a Mieli) si rifanno a storici come Romeo, e
lascia intendere: figuriamoci cosa avrebbe detto Romeo del
Risorgimento. Il che significa non conoscere né la metodologia
storiografica di Romeo, né i suoi stessi scritti. Romeo è
stato il primo a presentare Furet come un modello del revisionismo
storiografico e il suo libro sulla critica della Rivoluzione francese
che operava una revisione sostanziale della rivoluzione intesa ancora
come un solo blocco, che era l'idea del marxismo".
Il che è
già bastante. Stesso discorso per il Risorgimento. Perché
dire una parola diversa sul Risorgimento equivale a dichiararsi
sovversivi?
"Perché c'è il timore di una certa cultura laica di un
ritorno dei cattolici in politica, di un nuovo attivismo dei cattolici.
Il Risorgimento è un processo storico: un fatto che si è
realizzato e che andrebbe valutato con i criteri dello storicismo
critico. Il che significa non la retorica del Risorgimento, nata subito
dopo il moto risorgimentale e che aveva una sua funzione tutto sommato
di nazionalizzazione delle masse, ma rivalutare il Risorgimento nel
quadro europeo: rendersi conto e capire, oltre la polemica, che forse
tutto sommato non è stata fatta, su Pio IX, quali fossero le
ragioni di una certa linea e non espungere questo Papa dal
Risorgimento. Presentarlo invece come portatore di una certa visione
del Risorgimento che non si è realizzata. Una visione tra le
tante, come era stata quella di Cavour che, invece, si è
realizzata. Tutto questo, però, implicherebbe una demarcazione
netta tra
politica e storiografia".
Si teme la storiografia cattolica per
la
cultura che rappresenta?
"È il timore da parte di un mondo laico che assume il laicismo
come valore assoluto che ci sia una reviviscenza di cattolicesimo
integralista, cioè il timore di una sorta di rivendicazione del
mondo cattolico nell'ambito del politico. State attenti - dicono -
perché questa lettura del Risorgimento fatta dai cattolici
integralisti è un tipo di lettura che porta ad una
società teocratica, e cose del genere".
Qual è questo
ruolo degli storici cattolici?
"Lo dico da storico non di formazione cattolica: intanto, la
storiografia cattolica ha il compito di ricostruire, anche nei
dettagli, il ruolo dei cattolici nella storia italiana. Le etichette
restano però il problema di fondo. Dovremmo dire storia scritta
dai cattolici, cioé una storia che non metta a monte principi
moralistici, ma che studierà la presenza dei cattolici nel
quadro dell'evolversi della società, e solo dopo, alla fine del
lavoro, esprimerà un giudizio morale. Questo non sarebbe
revisionismo.
Quando ho detto eliminiamo la parola revisionismo, avrei dovuto
dire:
eliminiamo tutte le etichette".
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