Da qualche tempo il presidente Azeglio Ciampi dedica il suo tempo agli argomenti storici, in particolare all’epopea risorgimentale, invitando i giovani a riscoprire la nostra identità storica. Addirittura in occasione della festa del 25 aprile il presidente Ciampi si è inerpicato in una discussione prettamente accademica, criticando un certo improponibile revisionismo, anche se nello stesso tempo auspica nuovi approfondimenti e testimonianze per ricostruire i fatti storici. Quindi dice e non dice.
Da tempo il dibattito sul cosiddetto revisionismo ha preso corpo anche
nel nostro Paese. "[…]La ricerca storica, ha inevitabilmente -
soprattutto dopo il 1989 – fatto affluire sui tavoli degli studiosi
valanghe di documenti, che non è stato possibile non vedere,
né imbrigliare i fatti di cui sono riflesso attraverso le maglie
delle consuete categorie interpretative. Il ‘canone’ storico
progressista sta ‘andando in crisi’, nonostante la disperata, quasi
patetica, difesa che ne fanno i suoi esponenti, gruppi e ambienti,
sempre pronti a lanciare il vecchi termine tipico delle scomuniche
ideologiche leniniste e staliniste – revisionista – contro chi,
indipendentemente dall’ispirazione ideale, semplicemente esibisca fatti
e dati nuovi e proponga ipotesi di lavoro diverse da quelle
convenzionali".(Annali Italiani, rivista di Studi Storici,
n.1/2002,[www.identitanazionale.it])
E proprio del nostro Risorgimento il Presidente Ciampi si è
particolarmente interessato, in occasione del 4 novembre scorso,
sottolineando l’epopea dei grandi eroi come Garibaldi, Mazzini etc. A
fronte di questa ennesima glorificazione del risorgimento c’è
stata la reazione di un vescovo, monsignor Andrea Gemma, vescovo di
Isernia-Venafro.
Monsignor Gemma ha mandato a Ciampi una lettera aperta, purtroppo
ignorata dai massmedia, sottolineando l’importanza della "festa
dell’unità d’Italia e delle Forze Armate", ma dissentendo
profondamente del suo riferimento al risorgimento e a Garibaldi in
particolare. Quel Garibaldi che, ad Isernia è tristemente
famoso[…]nessuno di noi vuole tornare indietro di centocinquant’anni,
scrive il vescovo, se non altro per non riaprire le piaghe sanguinanti;
nessuno di noi vuole ripristinare il regno di Napoli e la dinastia
borbonica, dalla quale il Sud ha ricevuto grandi benefici; nessuno di
noi vuole rimettere in piedi lo Stato Pontificio, sottratto al
legittimo sovrano, con guerra non dichiarata e quindi contro lo "ius
gentium", plurisecolare; nessuno di noi vuole frazionare
l’Italia[…]nessuno potrà accettare l’accomodante esaltazione di
un avventuriero armato che con le sue truppe mise a ferro e fuoco le
pacifiche zone del Sud, tra cui la mia città episcopale. Le
teste tagliate degli iserniani esposte al pubblico ludibrio sono su
stampe e documenti dell’epoca che Ella stessa potrà reperire.(In
tema di Risorgimento; lettera aperta al signor Presidente della
Repubblica, dottor Carlo Azeglio Ciampi, in Cristianità, n.309,
gennaio-febbraio 2002)
Potrebbe sembrare quella del vescovo una esternazione di segno
contrario, "politicamente poco scorretta" su un tema così
delicato come quello dell’identità italiana. "Come lo stesso
presule afferma, a far scattare in lui la molla della reazione è
stato rilevare che gli appelli presidenziali all’unità della
nazione si fondano su una versione ideologica della storia nazionale,
la quale per la gente del Mezzogiorno è non solo logora e
urtante, ripetizione di luoghi comuni, ma suona per non pochi tratti
ingiusta, se non addirittura ingiuriosa". (O. Sanguinetti, Il vescovo e
il presidente, in Il Timone, marzo-aprile 2002, n.18)
Spesso il Risorgimento per il Sud ha significato invasione e conquista
militare, distruzione delle proprie terre. I popoli meridionali hanno
resistito fieramente, prima contro i francesi, con
l’insorgenza(1799-1816), poi contro i piemontesi con il brigantaggio.
Il Molise, subì un trattamento speciale, prima nel 1799, Isernia
dopo aver resistito alle truppe francesi, fu espugnata e saccheggiata,
sul terreno rimasero millecinquecento morti. Successivamente i
garibaldini nel 1860 si macchiarono di crimini nei confronti della
popolazione molisana.
Ecco perché il vescovo scrive al presidente: "Per carità,
signor Presidente, non ci costringa a tirar fuori dagli armadi del
cosiddetto risorgimento certi scheletri ripugnanti…"(Ibidem)
Certamente monsignor Gemma non intende puntigliosamente rivendicare
alcun diritto, lo scrive chiaramente nella Lettera, anzi propone di
azzerare un contenzioso storico ormai plurisecolare e sterile fra
mezzogiorno e Stato italiano. Piuttosto invita il Presidente Ciampi a
costruire un’Italia migliore, insieme ai nostri giovani, i quali
conoscono la storia e guardano al futuro, senza ripristinare
insopportabili travisamenti di una storia che ormai i più
avveduti conoscono.
Non si tratta di mettere in discussione l’Unità d’Italia, anche
se è stata fatta ai danni della Chiesa Cattolica e di un Regno
millenario come quello dei Borboni. Si tratta di scrivere la Storia
tutta, senza dimenticanze e travisamenti, come purtroppo si continua a
fare nelle nostre scuole di ogni grado.
Bisogna smetterla di riproporre oleografie sempre più povere di
significato e soprattutto di imporre omaggi civico-religiosi a
personaggi come "l’avventuriero armato" la cui effigie troneggia in
tutte le piazze d’Italia. Non è più accettabile celebrare
solo Napoleone, Garibaldi o il "Re galantuomo", dimenticando le
migliaia di italiani del Sud, ma anche del Nord e del Centro, che dalla
fine del 1700 fino all’Unità, scelsero di combattere contro i
francesi e "italici", le brigate internazionali garibaldine e i
bersaglieri piemontesi.
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