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Tratto da:
Il Corriere del Sud N.14/2002 – Anno XI – 16 Luglio/31 Luglio

Da tempo il dibattito sul cosiddetto revisionismo ha preso corpo anche nel nostro Paese

IL PRESIDENTE E IL RISORGIMENTO

di Domenico Bonvegna

Da qualche tempo il presidente Azeglio Ciampi dedica il suo tempo agli argomenti storici, in particolare all’epopea risorgimentale, invitando i giovani a riscoprire la nostra identità storica. Addirittura in occasione della festa del 25 aprile il presidente Ciampi si è inerpicato in una discussione prettamente accademica, criticando un certo improponibile revisionismo, anche se nello stesso tempo auspica nuovi approfondimenti e testimonianze per ricostruire i fatti storici. Quindi dice e non dice.


Da tempo il dibattito sul cosiddetto revisionismo ha preso corpo anche nel nostro Paese. "[…]La ricerca storica, ha inevitabilmente - soprattutto dopo il 1989 – fatto affluire sui tavoli degli studiosi valanghe di documenti, che non è stato possibile non vedere, né imbrigliare i fatti di cui sono riflesso attraverso le maglie delle consuete categorie interpretative. Il ‘canone’ storico progressista sta ‘andando in crisi’, nonostante la disperata, quasi patetica, difesa che ne fanno i suoi esponenti, gruppi e ambienti, sempre pronti a lanciare il vecchi termine tipico delle scomuniche ideologiche leniniste e staliniste – revisionista – contro chi, indipendentemente dall’ispirazione ideale, semplicemente esibisca fatti e dati nuovi e proponga ipotesi di lavoro diverse da quelle convenzionali".(Annali Italiani, rivista di Studi Storici, n.1/2002,[www.identitanazionale.it])


E proprio del nostro Risorgimento il Presidente Ciampi si è particolarmente interessato, in occasione del 4 novembre scorso, sottolineando l’epopea dei grandi eroi come Garibaldi, Mazzini etc. A fronte di questa ennesima glorificazione del risorgimento c’è stata la reazione di un vescovo, monsignor Andrea Gemma, vescovo di Isernia-Venafro.


Monsignor Gemma ha mandato a Ciampi una lettera aperta, purtroppo ignorata dai massmedia, sottolineando l’importanza della "festa dell’unità d’Italia e delle Forze Armate", ma dissentendo profondamente del suo riferimento al risorgimento e a Garibaldi in particolare. Quel Garibaldi che, ad Isernia è tristemente famoso[…]nessuno di noi vuole tornare indietro di centocinquant’anni, scrive il vescovo, se non altro per non riaprire le piaghe sanguinanti; nessuno di noi vuole ripristinare il regno di Napoli e la dinastia borbonica, dalla quale il Sud ha ricevuto grandi benefici; nessuno di noi vuole rimettere in piedi lo Stato Pontificio, sottratto al legittimo sovrano, con guerra non dichiarata e quindi contro lo "ius gentium", plurisecolare; nessuno di noi vuole frazionare l’Italia[…]nessuno potrà accettare l’accomodante esaltazione di un avventuriero armato che con le sue truppe mise a ferro e fuoco le pacifiche zone del Sud, tra cui la mia città episcopale. Le teste tagliate degli iserniani esposte al pubblico ludibrio sono su stampe e documenti dell’epoca che Ella stessa potrà reperire.(In tema di Risorgimento; lettera aperta al signor Presidente della Repubblica, dottor Carlo Azeglio Ciampi, in Cristianità, n.309, gennaio-febbraio 2002)


Potrebbe sembrare quella del vescovo una esternazione di segno contrario, "politicamente poco scorretta" su un tema così delicato come quello dell’identità italiana. "Come lo stesso presule afferma, a far scattare in lui la molla della reazione è stato rilevare che gli appelli presidenziali all’unità della nazione si fondano su una versione ideologica della storia nazionale, la quale per la gente del Mezzogiorno è non solo logora e urtante, ripetizione di luoghi comuni, ma suona per non pochi tratti ingiusta, se non addirittura ingiuriosa". (O. Sanguinetti, Il vescovo e il presidente, in Il Timone, marzo-aprile 2002, n.18)


Spesso il Risorgimento per il Sud ha significato invasione e conquista militare, distruzione delle proprie terre. I popoli meridionali hanno resistito fieramente, prima contro i francesi, con l’insorgenza(1799-1816), poi contro i piemontesi con il brigantaggio. Il Molise, subì un trattamento speciale, prima nel 1799, Isernia dopo aver resistito alle truppe francesi, fu espugnata e saccheggiata, sul terreno rimasero millecinquecento morti. Successivamente i garibaldini nel 1860 si macchiarono di crimini nei confronti della popolazione molisana.


Ecco perché il vescovo scrive al presidente: "Per carità, signor Presidente, non ci costringa a tirar fuori dagli armadi del cosiddetto risorgimento certi scheletri ripugnanti…"(Ibidem)


Certamente monsignor Gemma non intende puntigliosamente rivendicare alcun diritto, lo scrive chiaramente nella Lettera, anzi propone di azzerare un contenzioso storico ormai plurisecolare e sterile fra mezzogiorno e Stato italiano. Piuttosto invita il Presidente Ciampi a costruire un’Italia migliore, insieme ai nostri giovani, i quali conoscono la storia e guardano al futuro, senza ripristinare insopportabili travisamenti di una storia che ormai i più avveduti conoscono.


Non si tratta di mettere in discussione l’Unità d’Italia, anche se è stata fatta ai danni della Chiesa Cattolica e di un Regno millenario come quello dei Borboni. Si tratta di scrivere la Storia tutta, senza dimenticanze e travisamenti, come purtroppo si continua a fare nelle nostre scuole di ogni grado.


Bisogna smetterla di riproporre oleografie sempre più povere di significato e soprattutto di imporre omaggi civico-religiosi a personaggi come "l’avventuriero armato" la cui effigie troneggia in tutte le piazze d’Italia. Non è più accettabile celebrare solo Napoleone, Garibaldi o il "Re galantuomo", dimenticando le migliaia di italiani del Sud, ma anche del Nord e del Centro, che dalla fine del 1700 fino all’Unità, scelsero di combattere contro i francesi e "italici", le brigate internazionali garibaldine e i bersaglieri piemontesi.

 

 

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