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Fonte:
https://www.interno.it/

IL MINISTERO DELL'INTERNO - Dipartimento della Pubblica Sicurezza

Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione

Dall'unità d'Italia alla prima guerra mondiale

Le istruzioni di Bettino Ricasoli (1867)

Nelle “istruzioni pei funzionari di P.S.” che Bettino Ricasoli emanò il 4 aprile 1867, si fa carico all'autorità di pubblica sicurezza di “scrutare i bisogni delle moltitudini, conoscerne gli interessi morali ed economici, indagare il grado della loro educazione, e studiarne le vere condizioni sociali”.

E ciò al fine di meglio esercitare la funzione primaria di polizia che è la prevenzione dei reati.


Per conseguire questo obiettivo, dicono le istruzioni, bisogna ricercare e rimuovere le cause del reato, perché “non poche questioni di sicurezza pubblica sono intimamente connesse a gravi problemi sociali, la cui soluzione non può dipendere da semplici misure di polizia, ma da provvedimenti governativi o legislativi d'interesse generale”.


Erano trascorsi appena sei anni dalla proclamazione dell'unità d'Italia (1861) e l'eredità di Cavour, morto pochi mesi dopo, era stata raccolta dalla “destra storica” rappresentata a livello istituzionale da uomini di grande rigore morale, piemontesi come Rattazzi, Lanza e Sella o improntati a quel tipo di cultura dello Stato, come appunto il toscano Bettino Ricasoli, che aveva collaborato a suo tempo con Cavour nella complessa operazione delle annessioni.


Nonostante l'irreprensibilità della classe politica, notevole era il distacco tra governanti e governati e un rigido accentramento amministrativo conferiva ai prefetti grandi poteri sulla vita locale.


E, difatti, in quelle “istruzioni” si dice anche: “alla fine di ogni mese ciascun prefetto deve inviare al Ministero una relazione sulle condizioni della provincia” che deve spingersi fino a fornire un quadro dettagliato “dell'attitudine, degli intendimenti e dell'influenza dei partiti politici, delle manifestazioni dell'opinione pubblica e del giornalismo”. E certo alla base di certi indirizzi vi era un equivoco che portava ad “identificare lo Stato con l'esecutivo e con l'apparato da questo diretto in perfetta continuità con l'assolutismo”


Nelle “istruzioni” di Ricasoli coesistono dunque due “anime” in certo senso antitetiche: da una parte una lungimirante ansia di far dei responsabili della “sicurezza pubblica” dei “sagaci esploratori dei bisogni della collettività” per consentire agli uomini di governo ed alle istituzioni pubbliche di soddisfarli o di alleviare i disagi; dall'altra una volontà, altrettanto palese di esercitare un rigido controllo su ogni aspetto della vita sociale, politica, culturale dei singoli e della collettività che sconfina in una presenza soffocante dell'apparato statale, non tanto pervasa dal desiderio di assicurare la pacifica convivenza intervenendo per tempo sulle situazioni di malessere sociale, quanto protesa a garantire l'ordine e la sicurezza pubblica attraverso una limitazione delle libertà fondamentali.


Sono in ogni caso i precedenti storici della “polizia politica” e nei decenni successivi si assisterà ad un progressivo consolidarsi della seconda delle due “anime” presenti nelle “istruzioni”, così che il “funzionario” di polizia sarà riguardato in questa sua veste dall'opinione pubblica non come quel “sagace esploratore” di bisogni che Ricasoli vagheggiava, ma come uno “sbirro”.


E di “sbirri” c'era bisogno in quel periodo. Nel mezzogiorno imperversava il brigantaggio, nelle cui file confluivano prevalentemente contadini disperati e renitenti alla leva, accomunati, come ebbe a rilevare un'inchiesta parlamentare dell'epoca, non tanto dall'attaccamento al vecchio ordine di cose, quanto da un'istintiva avversione al nuovo.


Al brigantaggio si aggiungevano esplosioni di collera popolare causate dalle condizioni di miseria e di arretratezza di quelle regioni, al punto che un corpo di spedizione di circa centomila uomini riportò gravissime perdite e gli scontri già di per sé gravissimi sfociarono spesso in episodi di crudeltà da entrambe le parti.


 Nel nord del Paese l'entrata in vigore della Legge sul macinato scatenò nel 1869 vaste sollevazioni contadine specie nella Valle Padana, ove le idee socialiste avevano cominciato ad attecchire sia pure in forma embrionale ed erano già state costituite le “leghe” di braccianti e le prime cooperative .


In verità mancavano nel Paese validi riferimenti politici alle molte situazioni di scontento, di disagio e di disperazione popolare, così che questo profondo e diffuso malessere non si traduceva in forme di organica opposizione.


Le scapigliate ansie di giustizia sociale dei garibaldini ed il repubblicanesimo del Mazzini convivevano con una sorta di socialismo polivalente nel quale confluiva anche l'anarchismo del Bakunin che anzi ne costituiva la componente più determinata.


Del resto, il Bakunin si era trasferito nel 1864 in Italia convinto che nel nostro Paese fossero presenti, più che negli altri dell'Europa, i presupposti di grandi mobilitazioni rivoluzionarie.


La neonata “polizia politica” aveva dunque il suo bel daffare, ma bisognerà aspettare il 1880 per arrivare ad un primo organico assetto di pubblica sicurezza.


In quell’anno, infatti, probabilmente in conseguenza dell’attentato al Re da parte dell’anarchico Passannante, avvenuto a Napoli nel 1878, fu varato un generale riordino dell’amministrazione della P.S., in occasione del quale, fu costituito un ufficio politico per la trattazione di affari politici e riservati.


Contestualmente, furono perfezionate intese tra il Ministro degli Esteri e quello dell’Interno per consolidare un servizio di informazione internazionale, accreditando presso i consolati italiani di alcune capitali europee agenti speciali come personale amministrativo. Il loro compito era quello di sorvegliare anche all’estero le attività di anarchici, socialisti e repubblicani .


I disordini, le sommosse e le insurrezioni si susseguirono negli anni successivi in varie regioni, ma la Sicilia rimase la parte più ingovernabile del Regno per le ricorrenti occupazioni di terre nei latifondi, il rifiuto di pagare le tasse ed altre gravi forme di disobbedienza civile. Si andavano formando nell'isola aggregazioni o unioni di lavoratori su base spontanea e senza un programma preciso, che presero il nome di “fasci”.


Il progresso industriale portava con sé il lento affermarsi della coscienza di classe tra i lavoratori delle città del Nord e il socialismo, che per diverso tempo era stato prevalentemente un movimento di intellettuali, entrò nella vita delle masse.


Nel 1881 fu costituito il Partito Socialista rivoluzionario di Romagna di Andrea Costa, seguito, l’anno successivo, da un Partito operaio italiano a Milano, ove il salotto di Anna Kuliscioff era meta di Turati, Bissolati ed altri intellettuali che fondarono nel 1881 la rivista “Critica Sociale”.


Sempre a Milano, era stata attivata, in quegli anni, la prima Camera del Lavoro.


Questi movimenti regionali precorsero la fondazione del partito a livello nazionale: nel 1892 il P.S.I. tenne il suo primo congresso a Genova.


Nel frattempo, erano state prese le distanze dall'anarchismo che, pur nella confusione di indirizzi e di intenti di cui si è parlato, era stato forse il riferimento più valido agli esordi della opposizione popolare. Con l'avanzare del progresso industriale e col lento affermarsi della coscienza della classe operaia italiana, è il socialismo a prevalere, mentre l'anarchismo, privo di una valenza politica di massa, si avvierà sempre più verso la pratica del terrorismo.



L'avvento dei ministeri Crispi segnò, come noto, una svolta reazionaria nel Paese: l’intento di ristabilire l'ordine nelle regioni più turbolente attraverso un regime di tipo “prussiano”, sfociò in una ottusa e perdurante strategia repressiva fatta di corpi di spedizione, deportazioni in massa di militanti dei “fasci” siciliani per il domicilio coatto, applicazione della legge marziale, scioglimento di ogni organizzazione antagonista, compreso il neonato partito socialista.


Il disastro di Adua (1896) travolse definitivamente Crispi, ma non il blocco che lo sosteneva.


I giornali del 1896/97 parlano di gravi turbative dell'ordine pubblico in diverse città con saccheggio dei granai municipali, incendi di edifici pubblici, disordini nelle università di Bologna e Roma, situazioni di autentica e generalizzata miseria in Sardegna, emigrazione, sfruttamento di minori nelle fabbriche.


Questo stato di perdurante ribellione culminò nel maggio del 1898 con la sanguinosa repressione (80 morti) dei disordini di Milano da parte del generale Bava Beccaris, cui seguirono gli arresti dei capi del socialismo milanese, essendo, stata accreditata l'ipotesi dell'esistenza di un complotto socialista.











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