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Fonte:
Corriere del Mezzogiorno - Domenica 25 narzo 2007
Mezzogiorno in preda a crisi di identità

SENZA PRESENTE NE' FUTURO

di ENNIO CORVAGL1A

L'esistenza di tanti Sud è stata enfatizzata da una ventina d'anni allorché storici, economisti e sociologi insistettero sul tasso di differenziazioni interne al Mezzogiorno quale non era mai stato registrato sino ad allora. Nessuno metteva veramente in dubbio che una distinzione tra i territori era sempre stata evidente, ma nella sottolineatura entravano in campo una pluralità di motivazioni.

C'era chi si rifaceva alle conseguenze della regionalizzazione istituzionale e, quindi, alla natura dell'iniziativa delle élites periferiche; c'era chi. insisteva sui caratteri locali dello sviluppo e sulle potenzialità offerte ad esso dalla nuova concorrenza internazionale c'era, infine, chi metteva in discussione il valore attuale di quella categoria politico-culturale - la Questione Meridionale - attraverso la cui lente per tanto tempo si erano giudicati i caratteri storici dell'intero paese.

Il riferimento ad alcuni distretti industriali in crescila o alla dorsale Adriatica valeva come prova di argomentazioni, non sempre omogenee, che si intersecavano in quella confusa vulgata che sembra oggi prevalere. In realtà se si guarda a quegli anni col senno di poi è piuttosto evidente che quel dibattito segnava una fase nuova dello sviluppo del paese e della storia politica del mezzogiorno: il peso che si preparava ad assumere una Questione Settentrionale e la progressiva inconsistenza di una rappresentanza meridionale la cui regionalizzazione si rivelava l'indice della sua incapacità se non a proporre prospettive nazionali, almeno a contenere con l'iniziativa politica la prevalenza delle tematiche territoriali .su quelle della complementarità dello sviluppo.

Un fenomeno non nuovo nella storia del nostro paese. Tutti i governi hanno sposato da allora, chi più chi meno, questo indirizzo, e il ceto politico meridionale, cosiddetto dirigente, è stato a guardare, organizzando la rappresentanza attorno a questo o a quel governo.

Oggi alcuni politici tornano a parlare di scomparsa del Mezzogiorno, altri di mancato coordinamento, altri ancora esaltano la specializzazione nella quale questa o quella regione ritiene di eccellere. Ma nessuno sinora è stato in grado di indicare una via costituzionale, economica e politica che potesse misurarsi con le trasformazioni che andava subendo l'intero paese. Tutto, infatti, di bene o di male, di politica e di antipolitica, è venato dal Nord: la battaglia contro la corruzione politica, il rifiuto del vecchio sistema dei partiti, il nuovo territorialismo.

Il Sud è stato a guardare, assimilando, frenando e sperando che il passato non passasse. I nostri governatori hanno impostato il rapporto col centro sul piano di quello personale con il governo in carica; i politici del Sud non hanno saputo dare alcuna indicazione sul terreno della riforma costituzionale tranne paventare il federalismo settentrionale; i partiti, compresa Forza Italia e, adesso, il nuovo Partito democratico sono più il risultato di vecchie forze raccogliticce che l'espressione di un rapporto nuovo tra società e politica; vecchi esponenti regolano destini personali e offerta politica facendo uno sconcertante ricorso a quelle costellazioni sociali e culturali d'una volta che la storia dell'ultimo quindicennio ha contribuito a dissolvere nelle nuove generazioni e spesso a sradicare nella loro antica pregnanza simbolica dalla memoria dei più anziani.

Probabilmente ha ragione Salvati: la Questione Meridionale dovrebbe essere posta al centro dell'attenzione dei democratici lombardi (e forse avrebbero finalmente interesse in tal senso), perché è assai difficile immaginare che il Mezzogiorno configuri se stesso in forme molto diverse da un surrogato di rassicurante statalismo. Una crisi di rappresentanza di così lunga data non ha vie d'uscita naturali.










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