Fonte: https://www.movimentosudista.org/ martedì, giugno 28, 2005 |
La radicata convinzione che uno dei mali del meridionalismo, sia l’incapacità di unire, gruppi meridionalisti di stampo politico o culturale è una trappola incapacitante per la costruzione del movimento politico meridionalista.
In maniera molto semplicistica e riduttiva potremmo dire che i
meridionalisti sono divenuti tali, avendo come comune denominatore
l’insofferenza verso una storia bugiarda nei confronti del sud e
convincendosi sempre di più, che quella storia non fa altro che
giustificare lo stato di abbandono del sud italianunito, chi ha deciso
di cambiare le cose si è definito meridionalista. Ma chi sono i
meridionalisti?
Fondamentalmente dal punto di vista politico i meridionalisti possono
essere tutto o niente, rivoluzionari o riformisti, nostalgici o
futuristi, identitari o localistici, giacobini o lealisti, monarchici o
repubblicani. E anche quando sono tutti convinti di essere almeno anti
giacobini come ai tempi dei borboni, non riescono ad esserlo nel 2005
rifiutando l’evoluzione del giacobinismo cioè la
globalizzazione.
Quindi, usando questa consapevolezza come premessa, come si possono
unire i meridionalisti cosi diversi fra loro? In un solo modo NON
FACENDO POLITICA, non parlando di nulla, non elaborare nessun progetto
e non approfondendo nessuna tematica se non del come eravamo
“belli” prima dell’invasione piemontese.
Il perché della volontaria rinuncia al fare politica sta nel
fatto che per “abbreviare i tempi” la strada
dell’unire i meridionalisti resta, per molti, la più
semplice per la visibilità. In questo modo
l’identità storica comune, che in un movimento capace di
proposte politiche , sarebbe una marcià in più, nel
meridionalismo rappresenta un costante folle.
Va da se che il cerchio si chiude. I gruppi meridionalisti non hanno la
forza o la capacita di fare proposte, se hanno la capacità non
le fanno per non dividere i meridionalisti, cosi facendo non riescono a
crescere fra i meridionali, con il tempo si convincono che da soli non
è possibile fare nulla , nel frattempo restano nulla e siccome
questo vale per tutti i gruppi , lo sforzo di unire i meridionalisti,
resta lo sforzo di unire il nulla.
Ma su quali dati si basa la convinzione che l’unità dei
meridionalisti sia l’azione primaria?
Molti meridionalisti sono convinti che la semplice costituzione di una forza quantitativa , anche se diversificata , dia da sola la possibilità di una maggiore visibilità.
Tale convinzione è sbagliata in forma è in sostanza.
In forma perché tutti coloro che in 10 anni hanno palesato agli
altri meridionalisti la volontà di lottare per dare al sud
quello stato che meritavano e quella storia che raccontasse le nostre
verità , non superano in numero gli abitanti di un condominio di
10 piani. Questi uomini se sono in numero sopravanzante per la
costituzione di una classe dirigente, sono, sempre in numero, ben
lontano da rappresentare una forza politica degna di visibilità.
Il perché essi non hanno col tempo costituito una classe
dirigente sta nelle ragioni esposte in premessa.
In sostanza per 3 ragioni : Uno perché è sempre meglio
essere in pochi e coesi, che in molti e divisi; due perché senza
l’operazione primaria di costruire una dirigenza strutturale , la
gestione del numero sarebbe impossibile; Tre perché , tranne che
in alcune eccezioni che confermano la regola, i gruppi meridionalisti
non superando un numero di adesioni che superano le 5 unità non
riescono neppure a stare per strada a fare politica, figuriamoci a
costruire l’unità di un partito.
Anche in questo caso il continuo appello all’unità è erronea nei fini e nelle premesse.
Nelle premesse il tutto diviene ridicolo quando si analizza che , lontano dalle elezioni, coloro che si impegnano per il meridionalismo e che sostengono le spese per una sede ,si contano sulle dite di una sola mano e poi in periodo pre elettorale si fittano sale e si organizzano riunioni il cui costo avrebbe sostenuto un’azione politica costante per un lungo periodo di tempo.
Sempre in premessa, c’è da dire che i mezzi da soli non
bastano , se non sono in quantità tali da colmare
l’assenza totale di politica. Il ricordo delle azioni precedenti
dei meridionalisti che hanno avuto i “pochi mezzi” a
disposizione lo dimostrano.
Nei fini i mezzi diventano ridicoli in quanto qualora si avessero i
mezzi, non saprebbero in che modo spenderli. In quanto, non essendosi
concentrati nell’elaborazione di una serie di proposte concrete
per il bene dei meridionali, sarebbero solo in grado di perpetuare un
revisionismo storico inconcludente nelle finalità di cambiare il
sistema delle cose di oggi. Quali proposte politiche sarebbero
propagandate dai mezzi a disposizione se non si sono mai fatte
proposte?
Per tali ragioni, Il Movimento Sudista propone l’anno zero del
meridionalismo. Parola d’ordine? Niente unità fra
meridionalisti, proposte politiche su cui collaborare con i pochi mezzi
a disposizione a tutti e tanta
Politica per i meridionali.
Fonte:
https://www.movimentosudista.org/
- lunedì, giugno 27, 2005
Nella mattinata di Sabato 25 Giugno il Movimento Neoborbonico in una sala di un albergo nel centro di Napoli ha dato vita ad un incontro il cui titolo è stato Noi Meridionali. Tema della riunione, a cui ha partecipato un buon numero di osservatori, è stato la scesa in campo politico dello storico movimento che fino ad oggi aveva sempre preferito l’aspetto storico-culturale alla mera politica, nell’ambito della propria proposizione esterna.
Protagonisti della convention sono stati il Presidente Gennaro De
Crescenzo e un altro noto meridionalista siciliano Il Dott. Maiorana.
Senza troppi giri di parole e con la durezza
dell’obbiettività, figlia del nostro modo
d’intendere la politica, dobbiamo subito dire che si è
trattato purtroppo di una grande delusione e in certi termini che
subito chiariremo di un fallimento.
Una costante, che abbiamo sempre riscontrato negli ambienti meridionalisti, è la drammatica distanza tra la lucidità delle analisi storiche (di cui il MNB è esemplare testimonianza) e la percezione sempre notevolmente distorta della realtà, della politica. Gli interventi susseguitesi durante tutto l’arco della mattinata, comprese le relazioni dei due protagonisti, sono la manifestazione spietata di del gap testè esposto. Ottima esposizione dei fatti storici relativi al prima e al dopo l’invasione piemontese, accompagnata da toni sinceri che portano al trasporto emotivo dell’uditore e poi il disastro della lettura del presente e peggio ancora del futuro. Se da un lato si condanna, in modo egregio, il giacobinismo quale male assoluto e causa di molte involuzioni dell’Uomo e dei Popoli, dall’altro non solo non si contesta la Globalizzazione, che altro non è se non l’evoluzione transgenica del germe giacobinismo, ma anzi quasi si lascia passare il concetto di una globalizzazione quale momento storico che può emancipare il meridione dalla morsa del Nord I talia.
Premesso che l’analisi, sicuramente giusta fino a qualche
decennio fa, di un nord che stritola il sud, appare ormai datata e non
più corrispondente completamente alla realtà, proprio in
virtù dell’effetto globalizzazione, va qui rilevato
l’errore culturale e politico di non riconoscere evidenti
similitudini tra questi due fenomeni tragicamente rivoluzionari.
Di più. In perfetta coerenza con queste premesse teoricamente
sballate, si passa alla esposizione di esempi di etnie che grazie alla
globalizzazione avrebbero conquistato una presunta e non dimostrata
emancipazione dai loro storici aguzzini. L’esempio più
clamoroso a cui ci riferiamo è l’Irlanda che avrebbe vinto
la simbiosi imposta dal Regno Unito, grazie alle occasioni che un
mercato libero mondiale e transnazionale offre, nella fattispecie
essendo diventata concessionaria della Microsoft per
L’Europa, fatto questo, che ha creato migliaia di posti di lavoro
e quindi rotto la morsa britannica. Impossibile qui affrontare
compiutamente il caso irlandese, che merita considerazioni
approfondite. La nostra posizione in tema è che l’Irlanda
ha subito una seconda e tragica colonizzazione i cui effetti devastanti
non tarderanno a manifestarsi; ma questo è uno slogan, niente di
più, senza nessuna pretesa scientifica; il tempo è
galantuomo e ci dirà la verità.
Certo è che questo è un grande esempio di come
s’intende poi, nell’ottica del fare, il Meridionalismo. Con
troppa e spregiudicata facilità si riempiono libri sul mitico ed
eroico assedio di Gaeta, sgorgano fiumi di parole e di lacrime nel
ricordo dell’esempio ideale dei nostri Briganti, per poi
indossare il più tipico doppiopetto berlusconiano sul come
risolvere i problemi della contingenza.
Ma i lazzari non combatterono il giacobinismo, questa nuovo modo di
vedere la vita?
I ragazzi di Gaeta non morirono per un ideale di patria, contro un
attacco strisciante, sovversivo così simile ai mezzi oggi
utilizzati per fare la guerra, guardacaso per gli stessi fini?
Cè stato o non c’è stato uno scontro di
civiltà nel 1799 e poi nel 1861?
In sede storica tutti concordiamo sul “si, si sono scontrati due
mondi, due culture”, poi però quando mettiamo i panni dei
politici cominciano i distinguo, e così anche una nuova
colonizzazione fatta da una multinazionale va bene, l’importante
è che finisca la fame, il degrado e la sperequazione tra Nord e
Sud; anche il comunicato di un piccolo Berlusconi dei poveri siciliano
viene applaudito, manco fosse l’effetto di una lezione dialettica
dell’indimenticabile Angelo Manna... se è così buon
“ponte sullo stretto “ a tutti.
Per noi la coerenza tra le analisi storiche (che non sono atti
accademici dalla freddezza siderale, ma “patrimonio umano
attivo”) e le proposizioni, o anche le sole letture politiche,
è cosa imprescindibile. Attenzione ciò non mette al
riparo da scelte sbagliate o dai canti delle sirene, ma almeno fa si
che ci si metta sulla strada giusta, quella strada che il rispetto per
i nostri miti c’impone d’imboccare.
Antigiacobinismo, amore per la propria terra, concezione etica e
metafisica della vita, lucidità sugli intrighi internazionali
che portarono all’invasione del Regno delle Due Sicilie, e la
lista potrebbe continuare, non possono fare da pendant al liberismo,
alla globalizzazione, all’attenzione tutta provinciale verso il
proprio orticello, senza aver riguardo ad altri popoli che ogni giorno
vivono la loro Gaeta.
Nella migliore delle ipotesi c’è grossa confusione. Ognuno
faccia le proprie scelte, ma che nessuno si permetta di degradare il
Meridionalismo a problema meramente economico, a gap di giustizia
economica e sociale tra Milano e Napoli. Anche questi problemi di
ingiustizia socio-economica relativa vanno affrontati, ma mai farli
coincidere con l’orizzonte ideale del meridionalismo (e in ogni
caso mai andrebbe dimenticato che certamente siamo stati e siamo ancora
colonizzati, ma siamo pur sempre una colonia occidentale con il
relativo benessere consumistico; in poche parole il problema della fame
vera non è un problema del sud Italia, a differenza dei Sud del
mondo... cosa dovrebbero dire allora popoli dalla grande storia e
cultura come quelli sudamericani o sudafricani, per non parlare delle
etnie del Medio Oriente?)
Il meridionalismo è rivolta etnica contro il pensiero unico in
tutte le sue diramazioni, non battaglia per la seconda casa a Ischia o
il terzo telefonino.
Qui analizziamo tecnicamente come la giornata è stata organizzata. La giornata è fallita perchè vi era una grande assente: la militanza. Un sodalizio così famoso e importante come quello Neo Borbonico ha manifestato anche in quest’aspetto la propria propenzione alla sola cultura e non alla politica. Un convegno storico può anche essere poco pubblicizzato, senza manifesti, con la sola comunicazione sul sito web e il tipico passaparola; può anche essere organizzato di sabato a fine giugno; può anche essere condotto in modo familiare così che ad un tratto non si capisce più chi sono i conferenzieri e i gli interventori; può anche scegliere di dare la parola a tutti senza un filtro, dilatando così di molto la durata dell’incontro; e soprattutto non risulterà un fallimento se parteciperanno un centinaio scarso di persone. Tutti questi dati sono i sintomi, invece, del fallimento organizzativo di un incontro squisitamente politico.
Molti dei dirigenti dei Neo Borbonici sono nostri amici e tutti i
dirigenti sono persone in buona fede, di questo ne siamo convinti;
proprio perchè il parlar chiaro è degli amici, ci siamo
permessi di avanzare queste critiche che seppur dure, anzi durissime,
sono, in tutta la loro evidenza, costruttive e rimangono pur sempre
critiche, mancando in noi la presunzione di emettere sentenze.
Qui comincia il nostro lavoro.
Forse è meglio dire che da qui riparte un discorso, che mai si
è interrotto in verità, ma che ha necessitato di una
fondamentale parentesi di rinvigorimento, e che oggi probabilmente
potrà dare frutti migliori rispetto a quelli del passato. Allora
da qui riparte l’idea di un movimento meridionalista che non sia
più schiavo degli schemi politici, culturali e mentali che in
questi anni hanno purtroppo imbrigliato tante esperienza positive e
ingessato gli spiriti ribelli. Da qui parte un nuovo approccio alla
Questione Meridionale, non più mera questione storico-culturale,
non più slogan elettorale, non più piccola rivendicazione
provincialistica.
Qui si utilizzerà il filtro del Meridionalismo per capire dove
va il mondo, si teorizzeranno e si dimostreranno analogie con
altri, purtroppo tanti, popoli mortificati come il nostro.
Qui si nutrirà la rivolta etnica.
Finite le doverose premesse passiamo agli obbiettivi che in parte
abbiamo già svelato.
La costituzione di un laboratorio ideale che supporti un movimento
politico non è certo un’idea originale, ma presa visione
dei tonfi e dei trionfi che questo strumento ha generato, siamo
perfettamente coscienti della difficoltà di realizzazione del
progetto, ma è anche cosa certa che se portato a termine con
dedizione e senza inutile fretta, questo porterà molti effetti
benefici sul movimento.
Sarà tramite questo laboratorio che osserveremo il mondo e
cercheremo di prevederne le evoluzioni per aggiornare le strategie
politiche del movimento, sarà qui che smantelleremo per sempre
teorie e forme di comunicazione datate che oggi sono il pane quotidiano
di molti meridionalisti, sarà qui che crescendo e aiutando a
crescere chiunque lo vorrà, difenderemo i nostri ideali da chi
immancabilmente si farà contagiare dal compromesso che oggi
è sinonimo di politica.
Insieme a quello che dovrà essere generato c’è gia
qualcosa che esiste, che vive, che precede le nostre esperienze e che,
magari anche grazie al nostro contributo, proseguirà le nostre
vite; questa forma di vita afisica è presente in tutti noi e si
è soliti definirla ideale: bene, questa è la nostra
stella polare; sarà sempre l’ideale a timone delle rivolte
e sarà sempre l’ideale che guiderà i passi e le
evoluzioni di questo progetto, perchè la nostra Europa è
formata da etnie che hanno sofferto, che sono state umiliate, che
gridano giustizia e libertà.
Saranno queste etnie che un giorno, chissà quanto lontano (o
vicino?) si riuniranno spinte dall’ideale e combatteranno unite
grazie all’ideale, patiranno e infine vinceranno con
l’ideale... l’ideale è libertà, è
giustizia, è vittoria... per noi si chiama Europa.
Anni fa per le strade della nostra città, proprio
all’altezza di quella via Toledo che ne è la spina dorsale
apparve un manifesto che ha segnato la vita e i ricordi di molti di
noi. Il manifesto era semplice e semplicemente, come in uno stato
febbrile aveva l’effetto di allagare la mente di strane
sensazioni e di riscaldare i cuori del caldo tepore della giustizia; vi
era raffigurata una faccia di un guerriero che urlava pronto alla
battaglia, c’erano scritte sole tre parole che da allora non ci
abbandonano più e che saranno il vessillo di questo progetto:
Ribellarsi è giusto.
I giovani del movimento sudista sono ancora in rivolta perchè
è giusto e perchè, a cuore pulito, sono ancora in
cammino.
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