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La rivoluzione napoletana del 1820-1821 tra "nazione napoletana" e "global liberalism" di Zenone di Elea

CONSIDERAZIONI SUL DECRETO DEL PARLAMENTO DI NAPOLI

Che dichiarò nulla la convenzione di Palermo de' 14. Ottobre 182o.

Dunque è il mancar di fe pregio agli eroi?

PALERMO

Presso FRANCESCO ABBATE Q.m. Dom.

1821

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§. I  - La Convenzione si oppone all’art. 172. n. 3. 4. 5. della Costituzione

§. II  - La Convenzione è contraria ai trattati politici. 

§. III  - La Convenzione è contraria al voto della maggior parte della Sicilia 

§. IV - Ma che direm noi della blasfemia

§. V - Si è finora considerato il Decreto de’ 14. Ottobre sul rapporto della giustizia 

§. VI - Se il Decreto de’ 14. Ottobre è stato un passo impolitico 

§. VII - Resta in fine ad esaminane, se il Decreto de’ 14 Ottobre sia stato tanto dannoso ai Siciliani 

DOCUMENTO Num. I - Istruzioni pel Tenente Generale D. Florestano Pepe  

DOCUMENTO Num. II - SACRA REAL MAESTÀ Sire La Giunta provvisoria di Palermo  

DOCUMENTO Num. III - Quadro delle popolazioni di Sicilia, che pronunziarono il loro voto per l'indipendenza 

DOCUMENTO Num. IV - Lettera del Tenente Generale D. Florestano Pepe Comandante le truppe in Sicilia 

DOCUMENTO Num. V - Convenzione fatta fra il Ten. Gen. D. Florestano Pepe ed il Principe di Paternò 

DOCUMENTO Num. VI - FERDINANDO I. ec. ec. NOI FRANCESCO ec. ec.  A tutti coloro a’ quali perverrà...

DOCUMENTO Num. VII - Articolo della legge agli 11 Dicembre 1816 

DOCUMENTO Num. VIII - Articolo segreto del trattato di Vienna de’ 12  Giugno 1815 

DOCUMENTO Num. IX - Ferdinando ec. Grato dell’amore della Nazione Siciliana

DOCUMENTO Num. X - Al Parlamento. Le truppe di spedizione in Sicilia 

DOCUMENTO Num. XI - SACRA REAL MAESTA’ Signore L’alta ricompensa, che la M. V. si è degnata accordarmi


La Sicilia dal Dicembre del 1816. al Luglio del 1820., spogliata violentemente della sua Costituzione, cancellala dal rango delle nazioni, ridotta alla miserabile condizione di provincia, offrì all’Europa il triste spettacolo dell’oppressione, e della miseria, compagne inseparabili della perdita della libertà. Spente le orme di tutte le avite istituzioni, che richiamavano alla memoria dei Siciliani il loro essere primiero, delle nuove vi furon sostituite, altre inutili, altre nocive, altre inopportune, e tutte capricciose ed arbitrarie. E se la Sicilia acquistò in quel tempo un Codice di Leggi più regolare, una più equa procedura ne’ giudizii criminali, e qualche altro vantaggio, tutto ciò per nulla compensava i mali ond’era oppressa e quelle stesse istituzioni degne dei lumi del secolo non eran meno odiose delle altre, perché tutte portavano l'impronta della violenza.

I Siciliani avvezzi a non pagare altri tributi, che quelli imposti dai loro Parlamenti, passati istantaneamente, dopo l’allontanamento dell’armata Inglese, dallo stato di gran floridezza alla miseria estrema, si videro arbitrariamente costretti a pagare pesantissimi dazi;. Mentre il valore dei fondi, e delle derrate era diminuito più della metà mentre il proprietario non trovava fittajuoli, il fittajuolo non trovava smercio de suoi prodotti, l'operajo non trovava mercerie, ed una totale paralisi» ristagnava l’industria del commerciante, un ministero mal avveduto, accatastava le imposizioni, senza riguardo alcuno allo stato della ricchezza nazionale.

In tale stato, i Siciliani ebbero in quel fatale periodo a tollerare tutte le onte di un popolo rivale. e di un ministero vendicativo. La rivoluzione seguita inNapoli parca di aver posto un termine alle loro sciagure, ma essa non servì che ad immergerli in nuove, e più. terribili calamità. Come l’indignazione era universale, ed estrema, e le infime, classi erano quelle che maggiormente soffrivano, l'annunzio di quell’avvenimento produsse, un’esplosione irregolare, violenta, e terribile.

La Capitale fu la prima., a reclamare l'indipendenza,, di cui, la, Sicilia era stata di recente spogliata. L’espressione di. un voto sì giusto sventuratamente diè luogo a quegli eccessi che sempre accompagnano i movimenti della plebe. Una Giunta, eretta fra gli orrori dell’anarchia, procurò di dare una direzione regolare ai pubblici affari. Spedì da una mano una Deputazione, a Napoli per esporre al Re i dritti della Sicilia, ed invitò dall’altra lutti i Comuni del Regno ad aderire alla richiesta fatta dell’indipendenza; i quali tutti, pronunziarono lo stesso voto, mencché que’ pochi ne’ quali la forza armata, o il terrorismo degli emissarii di Napoli giunsero a sopprimerne il voto.

La Deputazione spedita in Napoli fu arrestata, e non fu mai permesso ai membri della stessa di presentare al Re, o al Principe Vicario la petizione dei Siciliani, anzi fu loro strettamente vietata qualunque comunicazione con chicchesia. Dopo più mesi di trattative misteriosamente prolungate, finalmente il ministero Napolitano, ed i membri di quella Giunta di Governo Ten. Gen. Parisi Presidente della stessa, Barone Wispaere; e Colonnello Russo, presentarono ai Deputati Siciliani un progetto di conciliazione tra i due paesi, nella quale si stabiliva, che il Re avrebbe accordata l’indipendenza alla Sicilia sempreché ciò gli venisse richiesto dalla Città di Palermo, e da tanti Comuni che formassero la maggiorità della popolazione di Sicilia: purché l’indipendenza si estendesse unicamente a ciò che non veniva in collisione colle leggi della successione, e non rompesse quei legami politici fra i due paesi che dipendono dall'unicità del Monarca Si fece ritornare una porzione della Deputazione in Palermo, per riferire quel progetto alla Giunta.

Si disse ai Deputati che contemporaneamente si facea partile per Sicilia il Gen. Florestano Pepe alla testa di un’armata, all'oggetto o di conchiudere: coi Siciliani la progettata convenzione, o di sottometterli colla forza ed a tale oggetto si diedero a lui. dal ministero le analoghe istruzioni (1). Si disse in fine che 6 dovesse farsi un Indirizzo al Re per chiedergli l’indipendenza della Sicilia, concepito ne’ termini convenuti una copia del quale dovea mandarsi al Gen. Pepe, una spedirsi in Napoli al Re. In quella occasione i membri suddetti della Giunta di Governo di Napoli solennemente dichiararono ai Deputati Siciliani, che una convenzione stabilita su quelle basi, sarebbe stata, non che ratificata dal governo, ma garantita da tutto il popolo di Napoli.

Ritornati i Deputati in Palermo la Giunta che ivi sedea, considerando quanto le ulteriori dispute, e le prolungate ostilità poteano esser dannose alla causa dei due paesi; nulla dubitando della buona fede di quei Ministri, che proponeano la conciliazione, amò meglio ierire in parte i dritti della Sicilia, che ostinarsi a pretendere quell’intiera ed assoluta indipendenza, che la Sicilia avea dritto ad avere. Fu fatto quindi il richiesto Indirizzo, sottoscritto dai membri della Giunta, dai Collaboratori, dal Senato di Palermo, dai Rappresentanti dei Comuni del Regno, e dai Capi delle corporazioni degli artieri di Palermo quivi detti Consoli (2). Si unì a quell’Indirizzo un quadro, dal quale rilevavasi che i Comuni, che aveano pronunziato lo stesso voto per l’indipendenza, sia con ispedire loro Rappresentanti per sedere in seno alla Giunta, sia per mezzo d’indirizzi a quella diretti, formavano l’assoluta maggiorità della Nazione (3).

Quell’Indirizzo, col quadro annessovi, furono spediti al Gen. Pepe in Cefali con una Deputazione, la quale fu al tempo stesso incaricata di proporre al Generale della Spedizione una sospensione di armi, e di pregarlo a ritardare per qualche giorno il suo avveramento alla Capitale perché la continuazione delle ostilità, e la sua marcia da conquistatore più presto che da conciliatore, potea destare la diffidenza di una plebe poco doma, meno docile, e piena di pregiudizio contro il governo di Napoli, e frastornare le vedute dei buoni per la sollecita conclusione della conciliazione.

Il Gen. Pepe, temendo non la sua tardanza abbia potuto apporglisi a delitto, poco altronde informato del vero stato delle cose in Palermo, si ostinò a voler continuare la sua marcia $ conoscendo però che le vedute della Giunta ed i primi passi da quella dati erano analoghi agli ordini avuti (4) trovando dall’altro lato che. il voto espresso dalla Sicilia per quelli via non era legale, propose che ciò si facesse per via li un Parlamento, nel quale fossero chiamati i Rappresentanti di tutti i Comuni di Sicilia. Per istabilire poi una più estesa convenzione, richiese un abboccamento in Termini col Principe di Villafranca Presidente della Giunta.

Ferma sempre la Giunta nella sua risoluzione di preferire le vie della conciliazione, aderì a questa proposizione. Il Principe di Villafranca si recò a Termini, e quivi conchiuse una convenzione col comandante della spedizione. Spedì intanto Villafranca ordine a tutti i comandanti della forza armata di ritirarsi, ed a quelli più prossimi a Palermo di riunirsi all’armata Napoletana, e restare sotto il comando di quel Generale. Infatti la truppa che trovavasi in Misilmeri sotto gli ordini del Ten. Colonnello Garofal, andò a riunirsi all’armata della spedizione, e si batté con onore unitamente a quella.

All’avvicinarsi in Palermo ebbe il Gen. Pepe a conoscere quanto sagge erano state le proposizioni della Giunta, e quanti danni si sarebbero evitati col sospendere la sua marcia di pochi giorni. La plebe Palermitana si credè tradita dalla Giunta, si levò a sommossa, disarmò la guardia civica, e presentò al Gen. Pepe quella resistenza ch'egli non aspettava. Pochi scalzoni immersero la Città nel lutto, e misero in pericolo l’armata. Dieci giorni fu Palermo in preda all’anarchia e alla rapina, e l’armata esposta a grave rischio. Finalmente una convenzione seguita il dì 5. Ottobre a bordo del Cutter Inglese the Racer. che trovavasi a caso ancorato nella rada di Palermo, mise fine a tanti mali (5).

L’armata Napolitano entrò in Palermo; i forti le furono consegnati, le armi ed i prigionieri restituiti, lutto si adempì dalla parte de’ Siciliani. Ma mentre ognuno si aspettava la conferma di tutto ciò dalla parte del Governo di Napoli, fuor di ogni umana aspettazione, quella convenzione, lungi di essere approvata dal governo, e garantita dal popolo Napolitano, fu dal Parlamento il giorno 14 di Ottobre dichiarata essenzialmente nulla, e come non avvenuta, e il Potere Esecutivo con decreto dei 15. dello stesso mese ordinò di eseguirsi in tutte le sue parti la suddetta dichiarazione del Parlamento (6).

Per poco che si esaminino le istruzioni date dal ministero di Napoli al Gen. Pepe, e la convenzione dà lui segnata, si scorgerà ch'egli operò nei confluì delle suo facoltà. Il governo adunque che egli rappresentava, era tenuto per tutte le leggi ad approvare quella convenzione. E’ questo un canone, che forma la. base del dritto delle genti (7).

Per evadere un tale impegno, considerato come «acro fra le nazioni civilizzale, si disse 1. che la Convenzione era contraria ai principii stabiliti dalla Costituzione all’art. 172. n. 3. 45. perché tendeva ad indurre una divisione di una parte della Monarchia. 2. Ch’essa era contraria ai trattati politici. 3. Che era contraria al voto della maggior parte dei Siciliani, che avea spedito i suoi deputati al Parlamento di Napoli. Esaminiamo di una in una cotali ragioni.

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§. I

La Convenzione si oppone all’art. 172. n. 3. 4. 5. della Costituzione, perché tende ad indurre una divisione di una parte della Monarchia.

Ecco le parole della Costituzione n. 3. «Non può il Re né alienare, né cedere, né rinunziare, né trasferire. per verun conto ad altra persona la sua autorità reale, né veruna delle sue prerogative. n. 4. Non può il Re, né alienare, né cedere, né permutare veruna provincia, né città, né terra, né villaggio, né altra parte alcuna, per quanto sia piccolissima, del territorio Spagnuolo. n. 5. Non può il Re far alleanza offensiva, né speciale trattato di commercio con veruna Potenza straniera, senza il consenso delle Corti».

Riscontrando di uno in uno tutti gli articoli della convenzione, e paragonandoli alle leggi, che si citano, si sarebbe a prima vista tentato a credere che tutt’altra fosse la convenzione, di cui si parla, o tutt’altre te parole della Costituzione, che si citano. Si. convenne è vero di riunire i Siciliani tutti, all’oggetto che, per mezzo di rappresentanti legittima mente convocati manifestassero il pubblico voto sulla riunione, o separazione dei Parlamenti del Regno: ma se la Sicilia dovea avere un Parlamento separato da quello di Napoli, come sempre lo avea avuto, restando unico il Monarca, unica l’armata, unico il corpo diplomatico, ciò non tendeva certo ad alienare o cedere l’autorità reale ad alienare o cedere provincie; a stabilire alleanza offensiva o trattato alcuno di commercio. Né sa capirsi come ciò possa cadere in mente umana, che esamini le cose senza prevenzione, o pregiudizio.

Ma, dato anche che in quella convenzione si fosse espressamente stabilito che la Sicilia dovesse formale un Regno totalmente separato da Napoli, non perciò quella convenzione sarebbe stata contraria alla Costituzione. L articolo che si cita vale per la Spagna, non poteva valere per Napoli perché in Ispagna le‘ Coiti prima di stabilire la legge, di cui si tratta, stabilirono da quali parti risultava il territorio Spagnuolo (8). Non si era però ancora costituzionalmente stabilito che la Sicilia facea parte della Monarchia Napolitana. La Sicilia non ha mai fatto parte di veruna Monarchia. Da Ferdinando il Giusto in poi avea essa in varj tempi appartenuto ai Re di Spagna, ai Duchi di Savoja, agli Imperatori di Germania, ma non perciò fu mai considerata come parte di quegli stati. Essa conservò sempre il titolo di Regno; essa fu sempre una separata Nazione; essa conservò sempre le sue leggi, le sue patrie istituzioni, e la sua antichissima Costituzione. La Monarchia delle due Sicilie nacque coll’invasione Angioina, e se ne sarebbe perduta la memoria, se la maniera con cui i Siciliani la fecero sparire, non ne avesse per secoli conservata la triste ricordanza. Cario III. ristabilì in favor del figliuolo la Monarchia delle due Sicilie, ma anche da tal momento una tal Monarchia era composta di due Regni indipendenti l'uno dall’altro. I Siciliani, in ogni tempo gelosi della loro indipendenza, esassero sempre da’ loro Principi, nel salire il Trono, il giuramento, e la conferma di quelle leggi che garantivano questo sacro dritto. Lo stesso attuale Monarca, sull’esempio de’ Re suoi predecessori aver prestato un tal giuramento nel 1759., e si era poi degnato di riconoscere espressamente l'assoluta indipendenza della Sicilia nel 1812. (9). Una violenza del ministero quinquennale avea per un momento spogliata la Sicilia di dritti così luminosi. Né il periodo di tre anni e sette mesi è certamente tale da far supporre un tacito assenso dalla parte dei Siciliani. Può mai il popolo di Napoli giovarsi di un titolo tanto odioso? I nodi di ferro, che aveano per quel breve periodo riunito la Sicilia a Napoli, dipendenti da un potere illegittimamente usurpato, furono infranti il giorno 8 luglio, né quell’odioso potere si trasferì certamente nel popolo Napolitano. Se volesse per un momento supporsi che col cambiamento del governo la Sicilia non avesse riacquistati quei dritti, onde da tre anni e pochi mesi era stata ingiustamente spogliata, ciò sarebbe lo stesso che supporre che col cambiamento, il dispotismo pe’ Siciliani era passato dal numero del meno al numero del più. O vorrà forse dirsi che il dritto di riguardare i Siciliani come cose non persone sia inerente all’atmosfera di Napoli? Son questi adunque i primi vagiti dalla nascente libertà Napoletana? Il primo frutto adunque che deve goder la Sicilia della felice rigenerazione, si è quello di veder confermata la sua schiavitù, e di perder per sempre il dritto di dispor di se stessa?

Ma se la convenzione, di cui si tratta si opponeva alla Costituzione, conveniva certo alla giustizia severa del Corpo Legislativo l’esaminar se il Gen. Pepe era stato a ciò autorizzato dal ministero. E se da una mano si annullava una solenne convenzione perché si oppone alla Costituzione si dovean dall’altra punire coloro che vi avean dato opera.

Fort’è dunque convenire o ché la Convenzione non si oppone alla Costituzione o che ì Rappresentanti del popolo hanno mancato al sacro dovere di vendicare l’offesa delle leggi o che tutto ciò è stato un pretesto onde mancare a ciò che si era precedentemente promesso.

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§. II

La Convenzione è contraria ai trattati politici.

Non v’ha alcun trattato, che stabilisca che la Sicilia da Regno indipendente divenga uguale alla Capitanata. Il trattato di Vienna all’Art. 104 dice = S. M. il Re Ferdinando IV. è ristabilito per sé e suoi eredi, e successori sul trono di Napoli, e riconosciuto dalle Potenze come Re del Regno delle due Sicilie = Chi ha dramma di buon senso vede che con quel semplicissimo decreto si volle restituir le cose nello stato in cui erano prima dell’invasione Francese. Ma quel decreto, altronde comprato del ministero (10), non fu che l’ultima disperata risorsa, alla quale si ricorse per eseguire ciò che sin dal ritorno del Re in Napoli i Ministri teneano alta mente repeslum. Furon pubblici i maneggi che si fecero allora in Sicilia, onde ottenere dai Comuni Siciliani delle petizioni per cancellarsi la Costituzione; si sa quale rabbia invase alcuni vilissimi Magistrati di Sicilia, quando da tutte le parti giungevano al Principe Luogotenente degl’indirizzi dei Comuni per pregarlo a convocar presto il Parlamento, onde riparare i mali della Sicilia, e compire il lavoro della Costituzione; si sa in fine l’attentato commesso contro la persona dell’infelice Galasso, tenuto tre anni in prigione per avere insinuato al Consiglio Civico di Misilmerj di scrivere uno di quegl’indirizzi; si sanno in fine quanti cittadini furono arbitrariamente arrestati, e quante. violenze si commisero, onde sopprimere i giornali, ed in generale la libertà della stampa. Quando per tali turpissimi mezzi si ebbe spianata la. strada, allora sbucciò il decreto fatale degli 8. Dicembre 1816. Decreto offensivo all'onore di tutti i Sovrani, cui si fa ordinare una violenza, senza averla mai ordinata; offensivo all’onore del Re, cui si fa mancare alle Sovrane promosse ed ai giuramenti; offensivo in fine ai dritti dei Siciliani, che vennero con quell’atto privati, non che della Costituzione ma dell’esistenza politica. Ma è ben qui da riflettere, che quel decreto porta in se stesso i caratteri della falsità. Si dice in quello che il Re in seguito della determinazione di tutti i Sovrani di Europa asssumeva il titolo di = Re del Regno unito delle due Sicilie = ma quell’unito non è nelle parole del trattato di Vienna. Quell’unito adunque fu comprato a Napoli, ma non fu venduto a Vienna. Se i Sovrani colà congregati determinarono la riunione dei due Regni, perché ciò si eseguì due anni dopo? Perché si diedero alla Sicilia le catene di Napoli, e non a Napoli la Costituzione della Sicilia?

Giova però al nostro assunto il considerare, che con quello stesso decreto con cui la Sicilia venne spogliata di tutte le sue prerogative, le venne però conservata un’ombra d’indipendenza. Si era lasciato in Sicilia un Supremo Tribunale di Giustizia, si era promesso che dovendo aumentare i dazii si chiamerebbe Parlamento (11). Come dunque una convenzione, in cui si stabilisce di doversi sentire il voto dei Siciliani se vogliono conservare il loro Parlamento, si oppone al trattato politico, se in seguito di quel trattato fu confermato alla Sicilia il diritto di avere un particolar Parlamento? Ove anche voglia per un momento supporsi che il decreto degli 8. Dicembre, e tutti i posteriori cambiamenti fatti in Sicilia, siano stati stabiliti a Vienna, quando fra le innovazioni si lascia alla Sicilia il suo Parlamento, deve dirsi che anche ciò fu stabilito nel Congresso di Vienna. È chiaro dunque, che non la convenzione ma l’annullamento della stessa è contraria ai trattati politici.

Si è di recente pubblicato ne’ giornali di Napoli un supposto trattato segreto (12). Noi non ne garantiamo certo l’autenticità, ma non possiamo astenerci di osservare, che quel trattato, il quale, se fosse velo sarebbe contrario ai dritti di tutti i popoli, non è stato di ostacolo ai Napolitani nel far loro chiedere al Re una Costituzione, che non han mai avuta. Non è naturale che essi voglian poi farlo valere per ispogliar la Sicilia di quella che ha avuta per secoli. È chiaro altronde che in quel trattato parlasi unicamente di Napoli. Si dice in quello = Ripigliando il Re il governo del suo Regno, non ammetterà cangiamenti, che non possano conciliarsi colle antiche istituzioni Monarchiche = Era del Regno di Napoli, non di quel di Sicilia che il Re ripigliava il governo: e la Costituzione di Sicilia non solo era conciliabile colle antiche istituzioni Monarchiche, ma costituiva l’essenza stessa della Monarchia, che nacque costituzionale, e tale si mantenne sino agli 8. Dicemmo 1816.

Ma dato anche che vi sian trattati politici ne’ quali si sia convenuto di spogliar la Sicilia dei dritti suoi. I contraenti di cotali trattati non diedero certamente al Parlamento di Napoli l’incarico d’esser garante delle loro determinazioni. Altronde è certo che qualunque trattato conchiuso da un Re di Sicilia senza il consenso lei Siciliani non avrebbe che l’odiosa e precaria validità della forza. Il Re attuale nel salire al trono avea giurata l’osservanza dei Capitoli del Regno di Sicilia, tra quali il Cap. II. di Federigo II. in cui si stabilisce, che i Re di Sicilia non possono dichiarar guerra, conchiuder tregua o pace, o fare uri trattato qualunque = sine consensu expresso, et aperta scentia Siculorum omnium = Egli avea sanzionata approvata, e solennemente promesso ai Siciliani dì mantenere la Costituzione del 1812; si sa che in quella si stabilisce = Sarà privativa del Re.... quella dì far la guerra, o la pace quando lo giudicherà ed il proporre, e conchiudere qualsivoglia trattato con altre Potenze, a condizione però che non ripugni direttamente, né indirettamente alla Costituzione del Regno = (13). Egli avea in quella stessa Costituzione stabilita l’assoluta indipendenza del Regno di Sicilia da Napoli (14). Egli in fine nel ripigliar l’esercizio personale della Sovranità nel 1814. avea dichiarato con sua R. Cedola di ripigliarlo con quei poteri che la esistente Costituzione garantiva alla Corona (15). Sarebbe un delitto il dubitare della lealtà del Re Ferdinando. Il dispotismo ministerrale, innanzi a cui tutto dovea piegare, colla falsa interpetrazioue del trattato di Vienna calpestò al tempo stesso l’onore del Principe e i dritti del popolo. Ma in realtà non esistono trattali politici che privano la Sicilia de’ dritti suoi. Ed ove anche vi siano, i sopraccennati documenti provano abbastanza, ch'essi sarebbero nulli.

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§. III

La Convenzione è contraria al voto della maggior parte della Sicilia la quale avea già spedito i suoi deputati al Parlamento di Napoli.

Quando il Generale Pepe scrisse al Principe di Villafranca che il voto espressato dai Siciliani per organo della Giunta era illegale, avea ben ragione. In Sicilia non si è mai considerato voto legale della Nazione che quello pronunziato per organo del Parlamento. Né gli annali di Sicilia additano un solo esempio di alterazione legalmente fatta nel sistema politico, senza l’intervento del. Parlamento.

Fu nel Parlamento del 1221 che l’Imperador Federigo pubblicò le prime leggi del suo Regno. Nel Parlamento del 1223. furono adottate le. costituzioni dei Principi Normanni compilate dallo stesso Imperatore. Nel Parlamento del 1240 fu riconosciuta la rappresentanza dei Comuni Siciliani. Nel Parlamento del 1282. la Nazione riconobbe i dritti di Pietro di Aragona alla corona di Sicilia. Nel Parlamento del 1285. furono stabiliti i Capitoli del Re’ Giacomo. Nel Parlamento del 1296. si fissò, la famosa Costituzione capo-d’opera della saggezza dei Siciliani di que’ tempi. Il Codice di procedura, che, quanto era disadatto al secolo decimo nono, tanto era stato saggio all’età in cui fu compilato dal Re Alfonzo, fu dal Parlamento di Sicilia riconosciuto, e registrato nella Cancelleria del Parlamento stesso. Nel Parlamento del 1596 fu stabilita sotto Filippo II. la prammatica de reformatione tribunalium, che produsse un sensibile. miglioramento nel sistema politico, levando le grandi cariche che tanta preponderanza davano ai Baroni, e mettendo l’amministrazione della giustizia nelle mani di un corpo separato di Giurisperiti. E nel Parlamento del 1812. fu ricondotta la Costituzione di Sicilia ai suoi veri principii, e data diversa forma al Parlamento stesso. Finalmente l’atto più solenne che possa fare una Nazi5ne, quello di giurare obbedienza al Principe, non si è mai fatto in Sicilia che per organo del Parlamento. Trentacinque Re da Ruggieri all’attuai Ferdinando non hanno omesso quest’augusta funzione, che nella realtà costituisce la legittimità della Sovrana autorità.

Il voto adunque pronunziato dai Siciliani per organo della Giunta era illegale, ed illegale era quello pronunziato a nome delle provincie di Messina, di Catania, di Siracusa, e di Trapani, collo spedire i loro deputati al Parlamento di Napoli. Sino a quell’epoca la nuova Costituzione non era ancora legalmente accettata in Sicilia. I Siciliani avean mostrato piacere di avere la Costituzione di Spagna. Ma in un paese in cui esiste già una forma con cui procedere nelle politiche innovazioni, non si può mai dire di essere legalmente adottata una Costituzione, se non per l’organo di quell’autorità in cui risiede esclusivamente il dritto di cambiar la forma del governo. Dire che la Costituzione era legalmente pubblicata in Sicilia col R. Decreto degli 8. Luglio sarebbe Io stesso che riconoscere nel Supremo potere il dritto di levare o dare a capriccio la Costituzione, dritto che i Re di Sicilia non han mai avuto. Sarebbe ben precaria quella Costituzione che potesse levarsi o dal Principe con un decreto, o dal popolo schiamazzando pe’ trivii. Nell’uno, e nell’altro caso la libertà del cittadino sarebbe precaria come la Costituzione che la garantisce.

E chiaro adunque che non può considerarsi come legale il voto di quelle provincie, espresso per organo di rappresentanti scelti colle forme di una Costituzione non ancora legalmente ricevuta in Sicilia. E finché la forma del governo non è legalmente ricevuta l’ultimo dei cittadini Siciliani può sempre legittimamente reclamare, e far valere que’ dritti, onde è stato illegalmente spogliato. È chiaro altresì che, anche ammettendo che la Città di Palermo fosse stata soli dissenziente dal voto di tutto il resto dei Siciliani, ogni principio di giustizia esigea, ch'essa fosse stata spogliata dei dritti suoi dal Parlamento Siciliano, e non dal cannone Napolitano.

Ma il supposto voto delle provincie di Messina, Catania, Siracusa e Trapani non è solamente illegale esso è falso. Esso potrebbe tutt’al più dirsi il voto di quattro Città non di quattro provincie. Né i Distretti, né i Comuni compresi in quelle provincie concorsero all’elezione, ne ’i poteano. Essi avean dichiarato. solennemente il loro voto di aderire alla causa dell’indipendenza. Mentre si facea a nome di que’ Comuni l’elezione, i loro rappresentanti sedeano in seno alla Giunta in Palermo. Son pubblici in Sicilia i maneggi, e le male arti usate da per tutto per ottenere quel fantomo di elezione, e questa stessa mancò delle forme legali prescritte dalla nuova Costituzione. Con decreto della Giunta di governo di Napoli si ordinò, che stante la brevità del tempo si dispensasse per quelle elezioni ai periodi prescritti dalla legge. Basterebbe solo ciò a far conoscere di qual tempra siano quelle elezioni. Coloro stessi, che non si arrossiscono di vomitare tante ingiurie e tante calunnie contro Palermo, e contro la Sicilia tutta, non ignorano ciò che si è fatto per illudere, per sedurre, per intimorire quelle poche Città, onde forzarle a tradire la causa comune di tutti i Siciliani. Non è certo presumibile che vi sia uomo sulla terra, che non sia demente, o animato da privato interesse, il quale potendo emettere con libertà il suo voto, rinunzii all'indipendenza della sua patria. L’indipendenza è il primo bisogno dei popoli, come la libertà è il primo bisogno dell’uomo. Si sa che questo è stato in ogni tempo un sentimento così forte ne’ Siciliani, che può dirsi inerente al loro essere. Si sa che questo popolo ha sempre a malincuore tollerata la residenza altrove de’ suoi Principi. Può mai supporsi che essi al 1820. abbiano istantaneamente cambialo sentimento, e che non avrebbero pensato all’indipendenza se i Ba ioni non gli avessero suscitati? E ciò verisimile in un momento in cui le violenze aveano reso generalmente odioso a tutte le classi il nome Napolitano? Non è più naturale il credere che il sentimento dell’indipendenza era universale in Sicilia, e furon solo dissenzienti pochi Comuni compressi o traviati} pochi individui, o dementi, o venduti? Il fatto lo prova ad evidenza.

I Comuni tutti di Sicilia ascendono a circa 36o. I quali formano una popolazione di un milione e seicento mila anime circa. Si unirono a Palermo 178. Comuni che formavano in tutto al di là di un milione di anime; molti altri Comuni nella conflagrazione’ generale si isolarono né palesarono mai il loro voto } que’ pochi, ch'erano sotto al tiro del cannone pronunziarono quel voto che da loro esige a chi tene a la miccia accesa. Se dunque più di un milione di Siciliani avean palesato il loro voto, come mai quattrocento mila di essi poterono legalmente eligere Deputati, che rappresentano la maggiorità della Nazione? supposto voto adunque di quelle quattro provincie non è legale, non è vero non è libero, non è unanime.

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§. IV

Ma che direm noi della blasfemia, che si è pur troppo intesa a proferire in Napoli, che non dove osservarsi una convenzione fatta con ribelli. Non reca certo maraviglia che un tal linguaggio si sia tenuto da’ giornalisti, e da scrittori sempre venduti o servi degli altrui pregiudizii. Ma quando queste parole suonano alla tribuna di un popolo libero, e di quel popolo, che anni sono riscosse le lacrime di tutta l’Europa per essere stato la vittima di tal pedìdo principio; quando nella terra dei Pagani, e dei dritti si vede adottare il linguaggio di Speciale, non possiamo astenerci di deplorare i funesti effetti dello spirito di parte, e dei pregiudizii di rivalità nazionale.

Son poi ribelli i Siciliani? Hanno i Napolitani dritto, ed interesse a chiamarli tali? Egli è pur troppo vero che. il volgo determina un tal delitto dalla riuscita dell’impresa: ma non è meri vero c!ie avvi un principio certo per determinarlo. Non è mai ribelle quel popolo che reagisce colla forza per. riacquistale quei dritti, de’ quali è stato dalla. forza spogliato (16). La resistenza in questo Caso dicesi guerra civile, e mai ribellione (17).

Conviene poi nelle attuali circostanze al popolo Napolitano il mettere avanti una tale dottrina? In un momento in cui, sventuratamente per la libertà dei popoli, non mancati di que’ tali che abbiano un interesse a caratterizzar di ribellione qualunque sforzo di un popolo per acquistar quei dritti che sono inseparabili dall’uomo, si potrebbe di leggieri ritorcer l’argomento contro Napoli stesso, il cui delitto agli occhi di coloro è più grave, perché più fortunato.

Ma ove anche voglia caratterizzarsi il movimento della Sicilia per ribellione, non perciò cesserebbe d’ esser perfidia il mancare alla promessa, annullando una convenzione precedentemente pattuita Questa verità è stata dimostrata da quegli Scrittori, i cui detti si riguardano come canoni in dritto pubblico (18)..

Noi non vogliamo farci carico di ciò che si è detto che la convenzione doveva annullarsi perché offendeva l’ouor della Nazione, e dell’armata; né sapremmo dire come o perché essa l’offende. Sappiamo bensì che quella convenzione fu progettata ai Siciliani dalla Giunta di governo, che allora rappresentava tanto legittimamente il popolo Napolitano, quanto poi Io rappresentò il Parlamento; la quale non solo la progettò ma promise che tutto il popolo l'avrebbe garantita. Se dunque il popolo Napolitano annullò per organo del Parlamento; quella Convenzione che per organo della Giunta avea promesso di garantire, è chiaro che l’onor della Nazione, più che dalla convenzione, è stato offeso dal decreto de 14. Ottobre, con cui essa fii dichiarala nulla. E per ciò che riguarda l’onor dell’armata ci rimettiamo a quanto ne disse l’armata stessa (19))), ed alla lettera scritta dal Gen. Pepe al Re (20))).

Se dunque in forza, di quella convenzione l’esercito Napolitano entrò in Palermo, se in forza di quella convenzione furono restituitii prigionieri, e messa l’armata Siciliana sotto il comando del Gen; Pepe, se in forza dì quella convenzione furono resi i forti, e le armi, se in forza di quella convenzione i Siciliani si mostravano inclinati a cedere in gran parte ai dritti loro, sulla fiducia che il popolo di Napoli, leale a a quanto era stato promesso in suo nome dal ministero, e dalla Giunta, avrebbe fatto convocare il Parlamento Siciliano per istabilire, in un modo legale tutto ciò elio conveniva agli interessi dei due popoli, è chiaro che dichiarando quella Convenzione come non avvenuta dovean rimettersi le cose sullo stato in cui erano prima del 5. Ottobre. Il far valere lai convenzione per la parte che riguardai Siciliani e considerarla come non avvenuta per ciò che riguarda Napoli, è un mancare a quanto v'ha di più sacro sulla testa. I Siciliani potrebbero dire ai Napolitani ciò che dissero i Sanniti al Generale Romano, quando il Senato annullò la convenzione delle forche caudine:

«Populum Romanum appello: quem si sponsionis ad Fuicules Caudinas factae poenitet, restituat legiones intra saltum quo septae fuerunt, nemo, quem quam deceperit: omnia pro infecto sint: recipiant arma, quae per pactionem tradiderunt: redeant in castra sua quidquid pridie habuerunt, quam in colloquium est ventum, habeant: tunc bellum, et fortia consilia placeant, tunc sponsio et pax repudietur (21).

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§. V

Si è finora considerato il Decreto de’ 14. Ottobre sul rapporto della giustizia; facciamoci a considerarlo sul rapporto della politica.

Aristide diceva agli Ateniesi, che ila salvezza stessa della patria non doveva comprarsi con un atto ingiusto e perfido. Che direbbe il più. giusto degli uomini se, tornando ora in vita, si facesse ad esaminar la condotta de’ Napolitani riguardo alla Sicilia? E’ pur troppo vero, che gli Aristidi han di rado regolati gli affari pubblici, e specialmente all’età nostra, nella quale i politici si regolano colla massima di Bonaparte le cœur d'un politique doit être dans sa tète. Se dunque l’utile è la misura del buono nella moderna politica, esaminiamo se il Parlamento di Napoli col Decreto de’ 14 Ottobre ha violato le leggi della giustizia per seguire i dettami della politica.

La politica ha due grandi oggetti, l’interno bea essere dì uuo stato, la sua sicurezza esterna. Il Decreto de’ 14. Ottobre è stato altamente nocivo a Napoli sotto ambi i punti di veduta

Non v’ha dubbio che l’unione politica colla Sicilia è un oggetto di sommo vantaggio per Napoli, e la politica esigea che dalla parte sua si facessero i massimi sforzi onde ottenerla. Ma l’unione, che dovea cercar Napoli libero, non era la stessa di quella che convenne al governo assoluto. Il ministero quinquennale, onde avere uno specioso pretesto per ispogliare la Sicilia della sua Costituzione, ricorse alla meschina invenzione dell’unicità del Regno, e fece una sola maudra di schiavi di due popoli, tanto diversi moralmente, e politicamente, quanto divisi geograficamente. Il governo assoluto volea l’identità delle istituzioni politiche, più che l'unione dei due paesi: il governo libero cercar dovea, l’identità d’interessi più che quella delle istituzioni politiche. Rotti i lacci della comune servitù, la libertà comune dovea creante de’ nuovi di una natura tutta opposta, stretti dalla volontà, e non più dalla forza. Alle catene servili dovean sostituirsi legami di amicizia, e d’interesse. Se non si vuol supporre che un’occulta mano nemica del ben essere dei due paesi, abbia, a ragion( )veduta, suscitato, e profittato dei reciproci pregiudizi per mettere i due paesi alle prese, onde indebolirli, e discreditare la causa comune, convien dire che il nuovo governo di Napoli si è lasciato guidare più dal pregiudizio che dalla politica. I Napolitani hanno supposto, che, per una nuova specie di metempsicosi politica, l’autorità del dispotismo si sia trasferita nel popolo che lo avea atterrato. Senza riflettere che in questo caso si sarebbe anche trasferito nei Siciliani il legittimo dritto alla resistenza. Dei funesti incidenti avean fatto, scoppiare tra’ due paesi la guerra di fatto, e resa più viva la guerra delle volontà, e delle opinioni. La convenzione de’ 5. Ottobre fece cessare la prima, ed avea approntato il mezzo come far cessare anche la seconda. Il Decreto dei i4Ottobre non riaccese nel momento la guerra di fatto, ma ne preparò i funesti materiali per l’avvenire, e rese più viva, e più fatale la guerra delle volontà e delle opinioni. Da quel momento i due paesi cessarono di essere ciò che dovrebbero essere, due popoli liberi, che facessero i massimi sforzi pel sostegno della causa comune. Da quel momento Napoli ha dovuto destinare una porzione delle sue forze per istringere quei ceppi che ha voluto imporre alla Sicilia, e la Sicilia lungi di cooperare alla difesa di Napoli, stretta dalla disperazione, è ridotta quasi a perder di vista che la causa di Napoli è la causa di tutti i popoli, ed a considerare come un avvenimento fortunato qualunque rovescio di quel paese.

Tale è il vero stato dei due paesi, che che ne dicano tutti gli scrittori o pregiudicali, o servì del pregiudizio altrui, che accrescono i mali di questa pericolosa situazione, inasprendo maggiormente gli animi. Pare che non sia permesso di pubblicare uno scritto in Napoli senza mettere in veduta il dispotismo dei Baroni Siciliani, la feudalità (22), la casta privilegiala, il clero, l’aristocrazia, l'oligarchia, e simili altre stucchevoli fanfaluche, che servono solo a confermare il volgo ne’ suoi pregiudizi, ma deviano la pubblica opinione da quel punto ove il sobrio scrittore dovrebbe diriggerla ed ingannano il governo sulle vere cause per cui la Sicilia non sarà mai unita come si vuole Napoli.

Quanto è certo che i Siciliani, ed i Napolitani hanno un reciproco interesse al essere uniti, tanto è certo ugualmente che non potranno mai essere lo stesso popolo. E’ un delirio il supporre, che un’isola, ed un continente possano formare un sol popolo. I limiti delle Nazioni si prescrivono più dalla natura che dulie politiche istituzioni. IL Bavaro, il Prussiano,1 Austriaco saranno sempre Tedeschi. L’Ungharo ed il Lombardo non faran mai lo stesso popolo, e dopo secoli di unione l’Irlandese non sarà mai Inglese, il cattolicismo si manterrà in Irlanda perché è perseguitalo in Inghilterra. Il carattere, le abitudini, i costumi, la lingua, la maniera di vestire, e fin gli strumenti agrarii, le pratiche di agricoltura, e le razze degli animali non han potuto mai valicare il Faro, comecché i due paesi avessero avuto in ogni tempo tanti intimi, e continuati rapporti. Ed ove anche possa giungersi col tempo, e colle istituzioni politiche ad identificarli, ciò potrebbe solo ottenersi dietro una fusione politica dei due popoli, che presenterebbe dei continui ostacoli ai progressi del nuovo governo, ed alla consolidazione della comune libertà.

La convenzione de’ 5. Ottobre offriva il modo come combinare tanti contrarj interessi: il decreto del Parlamento di Napoli ha reso i due popoli più divergenti, e li ha maggiormente allontanati da quel punto ove una saggia politica avrebbe dovuto condurli. Da quel momento la Sicilia è divenuta un pericoloso imbarazzo per Napoli, che non può più stendere in sua difesa che la destra, e lasciar la sinistra a comprimere i Siciliani, seppur la sinistra è da tanto. Il Parlamento di Napoli si è lasciato trascinare dal torrente del pregiudizio di antipatia nazionale. La tribuna, facendo eco ai giornalisti, è risuonata di diatribe contro la Sicilia. Ogni giorno si è pubblicato un decreto diretto a spogliar la Sicilia di qualche miserabile avanzo di tante perdite, per render più dura, e più penosa la condizione dei Siciliani. Per conoscere quanto impolitica sia stata una tale condotta basta gettare uno sguardo sullo stato della Sicilia. Quivi 1 autorità del governo è precaria, quivi il magistrato trema a scrivere una sentenza, e l’esecutore trema ad eseguirla quivi il debitore minaccia il suo creditore se osa chiamarlo in giudizio quivi son pochi i paesi in cui si pagano i pesi pubblici quivi in somma la pubblica autorità riesce a stento a reprimere la licenza, e. far rispettare le leggi. Tutto ciò, unito alla renunzia dei deputati eletti dalle provincie di Palermo, e di Girgenti, avrebbe dovuto far conoscere al Parlamento di Napoli lo stato della pubblica opinione in Sicilia. Ciò malgrado il Parlamento si è ostinato delle sue false misure verso la Sicilia, e con ciò ha messo una barriera di ferro tra’ due paesi. Si è tanto declamato contro la condotta impolitica del ministero quinquennale, eppure coloro stessi, i quali con tanto senno hanno dimostrato che quella impolitica condotta fu la causa del rovescio del governo, son poi così ciechi di pregiudizio contro la, Sicilia, che non solamente ne sieguono le pedate, ma hanno di gran lunga oltrepassati quei confini, ove si arrestò lo stesso dispotismo ministeriale.

Napoli si è condotto riguardo alla Sicilia da despoti irritato contro lo schiavo ribelle, e non da popolo amico che cerca di ricondurre i suoi traviati fratelli. Napoli dietro il Decreto de’ 14. Ottobre si è messo riguardo alla Sicilia nella stessa difficile posizione, in cui si trovò lunga pezza l’Inghilterra riguardo alla Scozia. Pari era l’antipatia fra i due popoli paia le cagioni che la suscitavano; pari l’interesse del l'Inghilterra di aver la Scozia unita. Riuscì talvolta agl’Inglesi di soggiogare la Scozia, ma quindi i fero’ ci Calidoni riacquistavano la loro indipendenza colla stessa facilità con cui l’avean perduta. I due paesi non furono uniti se non quando gl’Inglesi conobbero che nulla importava ai comuni interessi se la Scozia conservava il titolo, e gli onori di Regno, ed alcune di quelle avite istituzioni, alle quali non sanno mai rinunziare i popoli che hanno grandi ed onorevoli rimembranze. Ed allora l’Inghilterra non fece marciare un’armata per conoscere il libero voto degli Scozzesi, non fece una Convenzione, e poi la dichiarò non avvenuta. Ma i Parlamenti dei due paesi stipolarono volontariamente i patti di quell’unione, che tanto ha contribuito alla comune loro grandezza. Napoli però, mentre vuol sostenere ad ogni costo l’unione ipostatica colla Sicilia, si conduce poi con tanta animosità contro i Siciliani, che fa vedere chiaramente all’Europa l’impossibilità di una tale unione.

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§. VI

Se il Decreto de’ 14. Ottobre è stato un passo impolitico in riguardo agl’interni interessi di Napoli, non lo è stato meno in riguardo agli esterni rapporti. Il primo passo che la politica deve additare ad un nuovo governo, è quello di rendersi rispettabile agli occhi altrui. Conviene più che altri ad un popolo, che agogna alla libertà, il far mostra di avere le virtù necessarie, che inarcano i confini tra la libertà, e la licenza. Quando scoppiò in America la guerra dell'indipendenza, due legni mercantili Inglesi, ignari del fatto, approdarono a quelle spiagge. Si agitò la questione se dal dritto delle genti erano le provincie unite autorizzate a ritenere que’ legni. Un oratore levossi e fece vedere al Congresso, che non il dritto delle genti, ma una saggia politica dovea esser la loro guida, che si dovea far conoscere al mondo eh essi avean prese le armi per sostenere i dritti proprii, non per attentare agli altrui. I due legni furono rispettati. Essi reduci in Inghilterra riferirono il fatto. E questo fatto conciliò agli Americani in modo gli animi del popolo Inglese, che Giorgio III, corse grave rischio di balzate dal trono se ancor si ostinava a sostenere la guerra antipopolare contro gl’Indipendenti Americani. Quali sono stati i primi passi dati dai Napoletani, onde conciliarsi la stima, ed il rispetto degli altri popoli? Si propone ai Siciliani una convenzione non che dal ministero, ma dal popolo si promette di garantirla, e quando la Sicilia accetta la progettata convenzione si manca alla data fede e si dichiara la convenzione non avvenuta si tratta la Sicilia come paese di conquista mentre si vuol sostenere l’unicità del Regno si diminuiscono i dazii a Napoli, e si lasciano gli stessi insopportabili pesi alla Sicilia mentre si vuol far credere all’Europa di aver dato una Costituzione alla Sicilia, col pretesto di punire i ribelli Baroni Palermitani, con un sequestro arbitrariamente emanato s’invade la proprietà del Cittadino, e si spogliano infinite famiglie s’impongono a Palermo militarmente delle tasse, e militarmente si esiggono e le prigioni di Sicilia son. piene di sventurati, arrestati arbitrariamente, che dopo più mesi di prigionia non sanno ancora né qual’è il loro delitto, né qual magistrato dovrà giudicarli, né qual termine avrà la loro detenzione.

Non è questo il mezzo diretto di far conoscere all’Europa, che i Napoletani hanno fatto la guerra al dispotismo, non per amore della libertà, ma per dare altrui le catene? Se Napoli vuol sostenere in onta a tutte le leggi l’unicità del Regno, è saggio consiglio il far chiaramente vedere che i Siciliani sono affatto dissenzienti da ciò che si è fatto? In un momento in cui altri vuol mettere avanti l’Anarchia Napolitana, non serve l’impolitica condotta verso la Sicilia ad accreditar questa voce? Può lutto ciò non destare l’indignazione degli altri popoli? Non potrebbe ciò servir di pretesto, e dare un apparente colorito di giustizia all’estera aggressione? Dopoché il Parlamento di Napoli, con poca maturità di consiglio, ha dichiarato nulla, e come non avvenuta una convenzione proposta dal ministero Napolitano, per la quale si era promessa la garanzia del popolo, fatta da un Generale espressamente incaricato di farla, chi sarà quel Ministro, quel Generale, quell’agente diplomatico, che potrà in avvenire sbilanciar la sua parola, e compromettere l’onor suo nel trattare gli affari dello stato? Qual sarà quel Governo, che vorrà entrare in connessioni diplomatiche con un popolo, che ha mostralo di calcolar tanto poco l’onore dei Ministri suoi, e la fede delle promesse? La storia infine avrebbe dovuto avvertire i Napolitani, che, quando i popoli liberi sono nella necessità di essere uniti contro un nemico comune, ogni grado di libertà, che all’un di loro si toglie, è un grado di forza che si fa acquistare all’aggressore. Finché Sparta ed Atene furono indipendenti l’una dall’altra, le armate Persiane trovarono la loro tomba dentro i confini dell’Attica. Ma quando Sparti volle soggiogare Atene, Filippo ed Alessandro vennero a raccogliere il frutto di quel funesto trionfo.

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§. VII

Resta in fine ad esaminane, se il Decreto de’ 14 Ottobre sia stato tanto dannoso ai Siciliani, quanto è disonorevole ai Napolitani. I fatti di sopra esposti sono innegabili, è innegabile altresì che da quel momento i Siciliani son divenuti gl’Iloti di Napoli. Ma dall’altro lato è da riflettere, che la Sicilia con la convenzione de’ 5. Ottobre faceva un sacrifizio della maggior parte dei dritti suoi: annullata questa, i dritti dei Siciliani sono stari violati dalla forza, e non da essi volontariamente renunziati. La forza non ha mai vulnerato il dritto. I dritti dell’uomo non si prescrivono mai, e molto meno i dritti dei popoli. I Siciliani ne furono spogliati con violenza al 18tri: con violenza pari ne sono stati spogliati ai 1830. Allora il dispotismo ministeriale diè loro colla forza un governo dispotico a base democratica ora il dispotismo popolare ha dato loro col cannone un governo libero a base dispotica. I dritti della Sicilia però sono restati indiminuiti ora, come lo furono allora, e no ’l sarebbero se quella Convenzione avesse avuto luogo. Più che Napoli si ostina a considerare i Siciliani come schiavi, più i dritti loro divengon luminosi, e più l’Europa conoscerà la necessità di por fine alle loro sventure.

Oggi, come allora, tutti i Siciliani, ai quali non la lusinga di onori, non gl’intrighi degli emissarii di Napoli, non il vile interesse, non la speranza di caricare, non le minacce di destituzione d’impieghi han potuto far dimenticare i sacri doveri verso la patria, hanno un dritto a considerare come nulli tutti gli atti sinora fatti, per dichiarar la Sicilia provincia di Napoli; ed a riguardare come forzoso ed estorto il voto delle altre provincie Siciliane. Annullata quella Convenzione, è restato ai Siciliani il dritto di dire che, fintantoché essi non pronunzieranno legalmente il voto loro, né potranno con libertà far valere i loro dritti, questi son sempre per loro inalienati, imprescritti, ed invulnerati. E’ restato loro finalmente il dritto di chiamar violenza qualunque decreto che cancella la Sicilia dal rango delle Nazioni.

E’ pur troppo vero che nel momento attuale il dritto dei Siciliani è soffogato dalla forza: ma siamo al secolo del dritto non a quel della forza; e nella lotta pericolosa tra il dritto, e la forza, lo spirito del secolo assicurerà una volta lo stabile trionfo ai dritti della Sicilia.

DOCUMENTO Num. I

Istruzioni pel Tenente Generale D. Florestano Pepe Comandante
Generale della Spedizione in Sicilia.

S. A. R. dopo matura deliberazione, intesa più volte la Giunta Provvisoria di Governo, ed ascoltato il parere de’ suoi Ministri, ba risoluto che una spedizione militare sia fatta, e che al tempo stesso una risposta sia data ai Deputati di Palermo, tale che apra un mezzo di conciliazione, che S. A. R. desidera ardentemente quando sia compatibile col bene dei popoli, e colla dignità del Sovrano.

E( 1) stato in conseguenza risoluto, che si dia verbalmente ai Deputati la seguente risposta per mezzo del Signor Tenente Generale D. Giuseppe Parisi, Colonnello Russo, e Barone D. Davide Winspear a membri della Giunta Provvisoria di Governo autorizzali specialmente a questo da S. A. R.

«Il Governo non farà alcuna opposizione a che la Sicilia abbia una rappresentanza indipendente da quella di Napoli alle condizioni qui appresso».

«1. Che dietro questa prima manifestazione fatta a’ Deputati, debba Palermo restituire tutt’i prigionieri, e rientrare nell’ordine».

«2. Che il voto di Palermo debba essere accettato dal resto del» l'Isola nel modo che si potrà immaginare».

«3. Che debba preliminarmente fissarsi l'unità del Principe, l’unità dell’Armata, e della Marina, la quota de' sussidj, ed uomini che dovrà somministrare, e la lista Civile, ed in conseguenza l’unità del Corpo Diplomatico, e della Corte Palatina».

«4 Che debba ugualmente fissarsi, che Sua Maestà possa commettere il Governo di Sicilia ad un suo rappresentante sotto un titolo qualunque».

Questa risposta è stata resa ai Deputati. E’ stato loro dichiarato, che le parole sopra indicate, che il voto di Palermo debba essere accettato dal resto del! Isola nel modo che si potrà immaginare non significano né una iniziativa, né una preeminenza di Palermo. S. A. R. riguarda un dritto uguale in tutt’i suoi sudditi, e vuole una espressione di volo ugualmente principale, ed indipendente di ciascuna parte dell( 1) Isola col metodo che piaceva di dare a S. A. R., e che negli articoli seguenti verrà indicato.

Nel punto stesso ch’è stata fatta questa manifestazione a( 1) Deputati, si è ordinalo, che parla una spedizione Militare, e si e nominato un Comandante Generale della spedizione in Sicilia, per garentire tali proposizioni, per appoggiare la libertà de( 1) suffragi e dei sentimenti ne’ diversi punti dell’Isola, per impedire e riparare ai disordini, e reprimere l'Anarchia, e per agire anche ostilmente con ogni vigore, in case. che dopo le comunicazioni la Città di Palermo non accettasse le condizioni, e non eseguisse immediatamente la prima.

In Conseguenza il Generate Comandante della Spedizione in Sicilia incaricato di tre importantissimi oggetti,

1. Di reprimere l'Anarchia, ed il disordine.

2. Di far uso de' mezzi conciliativi colla Città di Palermo sulle basi che sono state indicale.

3. Di agire ostilmente contro la Città di Palermo se o si ricusi alle condizioni ragionevoli, che si sono espresse, o senza ricusarvisi apertamente non adempia subito atta prima condizione.

Premesso tutto questo, è facile di fissare le Istruzioni che devono esser seguite dal Generale Comandante, e che sono contenute ne’ seguenti articoli.

1. La prima cura del Generale Comandante sarà quella di restituire la forza morale ai paesi ohe in questo momento sono separati dalla rivolta di Palermo. Siccome si sono sparse voci lontane dalla verità, aver cura di rassicurar tutti. Farà loto sentire, che il Governo è stato sempre disposto alla conciliazione, che questo è indicate ne’ proclami, ed in tutti' gli atti del Governo. Ma ch'è lontanissimo dalle idee di S. A. R. di abbandonare Città, e Valli che si sono mostrati fedeli e devoti e che esaurirà tutt'i mezzi per sostenerli, proteggerli, e difenderli.

In seguito, nello spiegare ne’ discorsi, e nelle comunicazioni verbali le idee di conciliazione, che quali non si opporrebbe il Governo; dirà in una maniera precisa, che i paesi che sono sotto l'ubbidienza del Governo, potranno emettere con tutte la libertà ha loro opinione che non è data alcuna iniziativa, o preminenza a Palermo. Che S. A. R. riguarda tutt’i sudditi Siciliani, come aventi un uguale dritto, e che vuole una espressione di voto ugualmente principale, ed indipendente in ciascuna parte dell’Isola, e ch'è uno dei doveri del Comandante generale di sostenere colla forza, occorrendo, questa libertà, e questa indipendenza.

2. Dal momento dell'arrivo della spedizione, o le misure conciliatorie abbiano luogo, o non abbiano luogo, il primo dovere del Generale Comandante sarà quello di reprimere sotto i suoi occhi l'anarchia, ristabilire l'ordine, purché possa farlo, senza compromettere la truppa, e senza mancare lo scopo principale della spedizione. Con queste vedute semprecchè incontrerà colonne d'insorgenti, le quali ricusino di rientrare nell'ordine, le attaccherà, sosterrà i paesi fedeli, ed unirà sempre i mezzi repressivi, e le insinuazioni:

3. Oltre a questo dovere di ristabilire l'ordine, qualora la Città di Palermo, o si ricusi alle condizioni ragionevoli, che se le offrono, o senza ricusarle apertamente, non ne adempia le disposizioni, specialmente quella della restituzione del prigionieri, e del rientramento nell'ordine, farà uso contro la detta Città delle forze militari messe a sua disposizione.

4. Nel caso provveduto coll'articolo precedente è accordata la facoltà di punire anche per via di giudizi straordinari e militari i misfatti atroci, che fossero stati il mezzo, e la conseguenza della rivolta. Dove si creda necessario questa misura, si potranno nominare una o più Commissioni militari in un Consiglio composto dei primi funzionari militari, giudiziari, o Amministrativi, che riseggono in Messina. Con questo Consiglio medesimo si potranno prendere tutte le misure derogatorie della libertà individuale, che la Sicurezza pubblica esigerà. E' conceduta la facoltà al Luogotenente generale di convocare questo Consiglio sempre che lo crederà conveniente per conservare o ristabilire l'ordine, e gli è conceduto ancora di convocarlo quando ne sarà richiesto dal Generale Comandante pel territorio occupato dall'armata, essendo per altro S. A. R. nella fiducia che tanto il Luogotenente Generale, che il Comandante generale se ne serviranno con prudenza, e ne' casi soli ne’ quali la salvezza pubblica autorizza dispensare alle regole ordinarie di un Governo Costituzionale.

5. Similmente nel caso preveduto nell’articolo 3., ossia qualora si debba agire ostilmente colla Città di Palermo tutt’i beni degl’individui esistenti in Palermo, e negli altri paesi che hanno fatta con Palermo causa comune, e che sono in rivolta, siti in punti dove si conservi, o si ristabilisca P ubbidienza, saranno sequestrati.

Se tali beni si trovassero attualmente in sequestro, non saranno dissequestrati se non nel caso, che abbiano il loro effetto le misure conciliative.

Saranno inoltre interrotte con Palermo le comunicazioni; non sarà ricevuto alcun legno, e si agnà contro i legni de’ rivoltati colle cautele, regole d'uso, e diritto solito praticarsi in casi simili.

6. In tutto il corso delle ostilità il Generale Comandante non perderà mai di veduta le misure conciliative senza intermettere tuttavia i mezzi della forza, e serbata sempre fa dignità del Governo.

7. Ove poi la Città di Palermo dopo la manifestazione fatta qui ai Deputati rientri nell’ordine, restituisca i prigionieri, ed accetti le misure di conciliazione, si passerà subito a vedere se il voto di Palermo è accettato dal resto dell’Isola.

I mezzi di raccogliere il voto generale sono rimessi alla prudenza del Luogotenente generale, e del Generale Comandante, si metteranno d' accordo. Dopo aver raccolto questo voto nel modo il più sicuro, ed il più pronto, ne daranno conto a S. A. R., ed attenderanno le sue risoluzioni.

8. Per tutti gli altri articoli che dovranno esser trattati dopo che il voto generale della Sicilia sarà conosciuto, avranno il Luogotenente generale, ed il Generale Comandante solo la facoltà di riferire, ed attendere le disposizioni ulteriori.

9. Se la conciliazione avrà luogo, dovrà proclamarsi un'amnistia generale. Dove non abbia luogo potrà l' amnistia accordarsi secondo le circostanze, anche nel caso che il Generale Comandante sarà costretto a far uso delle forze militari.

10. Il Luogotenente, ed il Comandante generale si molleranno pianamente di accordo pel bene del Real servizio, si coadjuveranno, e si comunicheranno tulio quello che è necessario alla buona riuscita di un affare così importante. Quanto ai limiti ordinarii delle loro facoltà ne paesi, e ne territori occupali dall’armata attiva, che è in Campagna, e che devono richiamarsi all'ordine, avrà luogo l’autorità del Generale Comandante, negli altri paesi, comprasi i paesi ricuperati quando l’ordine vi si è ristabilito, quella del Luogotenente generale.

11. Il Generale Comandante riferirà al Governo secondo le circostanze tutto quello che potrà occorrere di nuovo, o di non preveduto nella parte politica, e gli saranno comunicati gli ordini corrispondenti.

12. Sono confermate le istruzioni date relativamente al Commissario Civile, che si manda sotto la dipendenza del Generale Comandarne.

13. Tutto ciò ch'è relative ad istruzioni militari per la presenta spedizione, sarà comunicato dal Ministro della Guerra.

Napoli 31 Agosto 1820.

L’ approvo Firmalo, FRANCESCO Vicario Generale.

Per copia conforme

II Segretario di Stato Ministro degli Affari Interni

Zurlo.

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DOCUMENTO Num. II

SACRA REAL MAESTÀ

Sire

La Giunta provvisoria di Palermo ascrive a sua somma ventura ìt potere, dopo tante disgustevoli vicende, far giungere una volta alla M. V. i sensi suoi, ed essere l'organo della volontà della maggior parte de Vostri sudditi di questo Regno di Sicilia.

Sin dal momento che giunse in questa Capitale la notizia di. aver la M. V. accordata a tutti ì sudditi la Costituzione Spagnuola, un sentimento universale di giubilo si palesò in questo popolo. Ma un tal sentimento non potè andar disgiunto dal desiderio di un governo indipendente. Noi non osiamo, Sire, di rammentar alla Al. V. le funeste cagioni dei disordini a V. M. pur troppo noti, che penetrarono i cuori di tutti i buoni Siciliani.

Questa Giunta, chiamata a riparare i mali dell’anarchia, prodotta dalla mancanza di qualunque governo; fra le gravi, e penose cure di ristabilire la pubblica tranquillità, non trascurò da una mino di spedire alla M. V. una Deputazione per rappresentarle la verità de’ fatti occorsi, e farle noti i desideri di questo popolo per l'indipendenza; e diede dall’altra avviso di tulio ciò ai Comuni del Regno La maggior parie di questi si sono affrettali a proferire lo stesso voto della Capitale, e molli di essi hanno anche spedilo loro Rappresentanti per sedere fra noi.

Dopo un lungo ed affannoso aspettare, è ritornata in fine una porzione della Deputazione spedita a piedi di, V. M. la quale ci reca la consolante notizia che la M. V. si sia compiaciuta di riconoscere la giustizia dei nostri voti, e si degnerebbe accordar alla Sicilia la sua indipendenza, sempreché ciò le venisse richiesto dalla Città di Palermo, e da tanti altri Comuni quanto addimostrassero il voto della maggior parlo dei Siciliani.

Noi, Sire, con tanta maggior fiducia avanziamo ora alla Mx V. le nostre suppliche per l'indipendenza, in quanto ciò è stato promesso a nome della M. V. ai nostri Deputati da S. E. Sig. Tenente Generalo D. Giuseppe Parisi Presidente di codesta Giunta di governo, e dai due membri della stessa Sig. Barone D. David Wespeare, e Sig. Colonnello Russo.

Il desiderio dell’indipendenza, non e in noi figlio, né di privato interesse, né d’irrequieta smania di novità: esso è il risultato dei nostri antichissimi dritti, e delle leggi stesse costitutive della monarchia. Questa monarchia nacque in Sicilia. Il voto dei Siciliani diè la corona al I. Re Ruggieri. L’Iinperator Federigo, non solo rispettò il trono Siciliano ma, per dare all’Europa un solenne testimonio dell'indipendenza di questo Regno, concesse alla Sicilia lo Stemma che l'ha sempre distinta. Il voto del Siciliani, il loro sangue, i sacrifizj loro richiamarono al trono la linea legittima dei nostri Re, che n’erano stati esclusi dall'invasione Angioina; fissarono le leggi fondamentali della monarchia, e stabilirono l'assoluta indipendenza di questo Regno. E comecché le vicissitudini politiche avessero in seguito ridotta la Sicilia ad essere governata da Principi altrove residenti, pure essa conservò sempre un particolare governo, e i dritti suoi, lungi d’essere stati cancellati, hanno ricevuto nuovo vigore dal giuramento di tutti i nostri Re. E la stessa M. V. si degnò di giurarli nel salire al trono, e poi di confermarli in modo più solenne nel 1812.

Dal 1816 in poi la Sicilia ebbe la sventura di essere cancellata dal rango delle Nazioni, e di perdere ogni Costituzione. Ma in un momento più favorevole si è indotta la M. V. a secondare il desiderio di Sudditi, e conceder loro una libera Costituzione.

Mentre, Sire, la gioja echeggia in tutti gli angoli de Vostri dominii, può il cuore paterno di V. M. esser chiuso alle giuste dimande de’ Vostri sudditi Siciliani? Noi dimandando l'indipendenza della Sicilia vogliamo fruire di lutti i risultati che scaturiscono dalla Costituzione Spagnuola, che V. M. si è compiaciuta di accordarci, ma non chiediamo che si alterino le leggi della Successione al trono, né che si rompano que’ legami politici che dipendono dall'unicità del Monarca.

Sire, son questi i voti, non del solo Palermo ma dell'intiera Sicilia. Mentre l'opinione di molti Comuni è traviata dallo spirito di fazione, o compressa dalla forza, non è potuto conoscersi il voto libero dell'intiera Nazione. Pure dal quadro che ci facciamo un dovere di sommetterle, potrà la M. V. scorgere, che la maggior parte del popolo Siciliano ha pronunziato il suo voto per l'indipendenza.

Sieguono le firme.

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DOCUMENTO Num. III

Quadro delle popolazioni di Sicilia, che pronunziarono il loro voto per l'indipendenza.

PROVINCIA  DI PALERMO
Distretto di Palermo

Palermo

140,549

Belmonte

930

Borghetto

4,o21

Capaci

2415

Carini

7000

Cinisi

5,598

Santa Cristina

65o

Casteldaccia

907

Terrasini

3,049

Ficarazzi

1,078

Giardinetto

396

San Giuseppe li Mortilli

987

Marineo

6,545

Misilmeri

5,665

Montelepre

3,000

Morreale

12,776

Ogliastro

1,268

Parco

2,131

Partenico

9,772

Somma

208,737


Riporto 208,737

Piana

5,000

Solanto

1,067

Torretta

2,552

Valguarnera-ragali

382

Ustica

1239
Distretto di Corleone

Corleone

12,527

Bisacquino

8,080

Campofiorito

775

San-carlo

190

Chiusa

6,002

Contessa

3,018

Giuliana

3,23o

Palazzo Adriano

4,832

Prizzi

7,435
Distretto di Termini

Termini

14,15o

Alia

3,856

Altavilla

1,25o

Baucina

2,294

Caccamo

6,424

Caltavuturo

3,984

Cerda

1,136

Ciminna

6,15o

Diana

570

Godrano

663

Lercara-li-Friddi

5,356

Mezzojuso

4,o3o

Montemaggiore

5,867

Roccapalumba

1,268

Sciara

800

Sclafani

916

Trabìa

1,153

Ventimiglia

3,o43

Vicari

4,509

Villafrati

1,486

Valledolmo

4,252
Distretto di Cefalù

Cefalù

8,937

Alimena

3,376

Roccella

441

Castelbuono

7,080

Somma

358,057

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Riporto

358,057

Gangi

9,552

Geraci

3,364

Collesano

2,875

Gratteri

1,786

Isnello

2,084

Caseari

500

Santo-mauro

4,212

Petralia-Soprana

4,718

Petralia-Sottana

6,351

Polizzi

3,936

Pollina

1,267

Scillato

200

PROVINCIA

DI MESSINA

Distretto di Castroreale

Castroreale

11,146

Distretto di Patti

Ficarra

1,826

Militello Sant’Agata

3,520

Distretto di Mistretta

Mistretta

8,o5o

Capizzi

3,484

Caronia

1,691

Cesarò

3,220

Reitano

745

San Fratello

4,124

Santo Stefano di Mi.

2,090

Tusa

3,3o8

PROVINCIA

DI CATANIA

Distretto di Caltagirone

Caltagirone

19,609

Grammichele

7,687

Licodia

6,995

Vizzini

9,181

Distretto di Nicosia

Nicosia

12,064

Cerami

3,667

San Filippo dArgirò

6,118

Nissoria

1,024

Somma

508,245




Riporto 508,245

Trojna

7,001
PROVINCIA

DI GIRGENTI

Distretto di Girgenti

Girgenti

14,882

Sant'angelo-muxaro

1,246

Aragona

6,535

Canicattì

16,455

Castrofilippo

1,471

Cattolica

7,o6o

Comitini

1,225

Sant'Elisabetta

1,700

Fa2ara

7,598

Grotte

4,472

Joppolo

1.041

Licata

11,250

Montallegro

1,863

Montaperto

1,004

Naro

10,739

Palma

8,418

Raffadali

5,214

Recalmuto

7,63o

Ravanusa

5,85o

Realmonte

1,533

Siculiana

5,210

Pantellaria

6,000
Distretto di Bivona

Bivona

2,382

Alessandria

4,416

San Biagio

2,500

Burgio

5,868

Calamonaci

780

Cammarata

5,123

Casteltermini

5,590

Cianciana

3,400

San Giovanni di Camm.

3,001

Lucca

1,960

Ribera

4,656

Santo Stefano di Bivona

5,486

Villafranca

3,213

Somma

692,727

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Riporto

692,727

Distretto di Sciacca


Sciacca

11,514

Sant’Anna

582

Caltabillotta

4,768

Santa Margherita

9,274

Menfi

6,136

Montevago

2,930

Sambuca

8,728

PROVINCIA

DI SIRACUSA

Distretto di Modica

Biscari

2,700

Comico

10,445

Santa Croce

2,093

Giarratana

2,442

Monterrosso

4,126

Vittoria

9,966

PROVINCIA

DI TRAPANI

Distretto di Trapani

Marsala

20,559

Distretto di Mazzara


Mazzara

8,335

Castelvetrano

14,782

Santa Ninfa

5,591

Partanna

11,000

Salemi

12,258

Distretto d'Alcamo

 Alcamo

13,000

Calatafimi

10,000

Camporeale

960

Castellammare

6,000

Gibellina

5,3oo

Poggioreate

3,000

Salaparuta

3,6oo

Vita

3,16o

PROVINCIA DI

CALTANISSETTA

Distretto di Caltanisetta


Acquaviva

1,735

Somma

885,701




Riporto

885,701

Dompensiere

700

Campofranco

2,703

San-cataldo

7,879

Santa Caterina

5,700

Delia

2,16o

Mussomeli

9,276

Resuttana

2,372

Serradifalco

4,600

Sommatino

3,03o

Sutera

3,384

Vallelunga

3,987

Villalba

1,018

Distretto di Piazza

 Piazza

11,904

Aidone

3,869

Barrafranca

5,948

Calascibetta

4,788

Caropepi

4,374

Castroggiovanni

11,143

Pietraporzia

8,292

Villarosa

2,265

Distretto di Terranova

Terranova

9,234

Butera

4,074

Mazzarino

10,686

Rjesi

5,892

Somma

1,015,079


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DOCUMENTO Num. IV

Lettera del Tenente Generale D. Florestano Pepe Comandante le truppe in Sicilia a S E. il Principe di Villafranca Presidente dalla, Suprema Giunta Provissoria di Governo.

Eccellenza

Ho l’onore di riscontrare il di lei foglio de’ 13. corrente. Propone l’E. V. una sospensione d’armi. Ciò supporrebbe uno stato di guerra, e noi non siamo al caso. Ho veduto i Signori Deputati. Le idee che mi hanno comunicato sono quasi conformi agli ordini, che ho ricevuti da S. A. R. il Principe Ereditario vicario Generale.

Le truppe ristabiliranno l’ordine ovunque sia stato turbato, senza rammentare il passato. Si cercherà in seguito conoscere la volontà di tutta la popolazione della Sicilia per mezzo di Deputati regolarmente convocali. Il voto del maggior numero di essi deciderà, che si ottenga dalla Sovrana bontà ciò che S. A. R. ha promesso per la felicità de’ suoi sudditi.

La volontà del Re, e l'interesse comune di lutti gli abitanti del Regno delle Due Sicilie prescrivono di evitarsi qualunque effusione di sangue: falò di tutto per con fermarmi vi a meno che non sia costretto della imperiosa necessita Il comando Generale delle armi di questa Isola mi è affidato. Tutte le truppe di qualunque genere esistenti qui debbono per conseguenza dipenderò de miei ordini.

Prego V. E. inviarmi subito in Termini tutti i militari costa detenuti nello stato in cui erano pria del disordine.

Quartier Generale di Cefalù 18. Settembre 1820.

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DOCUMENTO Num. V

Convenzione fatta fra il Ten. Gen. D. Florestano Pepe Comandante delle armi in Sicilia, ed il Principe di Paternò.

S. E. il Tenente Generale Pepe comandante delle armi in Sicilia e S. E. il Principe di Paternò per assicurare, e per ristabilire l'ordine e la tranquillità nella città di Palermo, e de’ paesi a lei uniti han no convenuto ne seguenti articoli:

1.Le truppe prenderanno quartiere fuori la città, laddove S. E. il Tenente Generale Comandante crederà più opportuno. Tutti i forti e batterie gli saranno consegnati.

2. La maggioranza de voti de Siciliani legalmente convocati deciderà dall'unità o della separazione della rappresentanza' nazionale del regno delle Due Sicilie.

3. La Costituzione di Spagna del 1812 confermata da S. M. Cattolica nel 182o è riconosciuta in Sicilia; salve le modificazioni che potrà adottare l'unico Parlamento ovvero il Parlamento separato per la pubblica felicità.

4. Ad unico, e per niun altro oggetto di esternare il pubblico voto sulla riunione, o separazione del Parlamento del regno, ogni Comune eleggerà un Deputato.

5. S. A R. il Principe Vicario Generale deciderà dove dovranno riunirsi i suddetti Deputati.

6. Tutti i prigionieri esistenti nell'armata Napolitana in Palermo, faranno subito resi all'armata suddetta qualunque siasi il loro grado e la di loro nazione.

7. Il Parlamento unico o separato può solamente fare, o abrogare le leggi. Fintantoché non sia convocato, le antiche leggi saranno osservate tanto in questa capitale, quanto nel rimanente dell’I sola . S. A. R. sarà nuche sollecitata onde prima che il Parlamento si riunisce le modifichi pel bene del popolo.

8. Le armi del Re, e le sue effigie saranno rimesse.

9. Intero oblio coprirà il passato, anche per tutti i Comuni e persone, che abbiano preso parte agli avvenimenti, pe’ quali l’oblio suddetto è stato pronunziato. In conseguenza di che i membri componenti le Deputazioni che si trovassero fuori dell’Isola saranno liberi di ritornarvi se essi lo vogliono.

Una Giunta scelta tra i più onesti cittadini governerà Palermo provvisoriamente finché $ A. R. non dia le sue sovrane risoluzioni. Essa sarà preseduta dal Sig. Principe di Paterno. Il comandante delle armi potrà farne parte.

Fatta a bordo del Cutter the Racer di S. M. Brittannica, comandato dal Sig. Charles Thurtel nella rada di Palermo il dì 5. Ottobre 1820.

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DOCUMENTO Num. VI

FERDINANDO I. ec. ec.

NOI FRANCESCO ec. ec.

A tutti coloro a’ quali perverrà, e che conosceranno il presente editto.

Sappiate

Che noi abbiamo rimesso al Parlamento nazionale la convenzione militare seguente fatta fra il nostro Tenente Generale D. Florestano Pepe Comandante delle armi in Sicilia, ed il Principe di Paternò

(s’ inserisca)

Ed avendo noi nel rimettere la detta convenzione proposte tutte le difficoltà sulla medesima incontrale, il Parlamento ha con deliberazione della data di jeri dichiarato quanto segue: Il Parlamento nazionale avendo visto i rapporti, le mozioni, ed i documenti comunicategli da S E. il Ministro degli affari interni sulla convenzione militare conchiusa tra S. E il Tenente Generale D. Florestano Pepe ed il Principe di Paternò, ha considerato che quest’atto è contrarie a’ principi stabiliti nella Costituzione sotto l'art. 172 num. 3. 4 e 5; poiché tende ad indurre divisione nel regno delle Due Sicilie; che è altresì contrario a’ trattati politici, a quali una sì fatta unità è appoggiata: ch'è contrario ugualmente al voto manifestalo da una grandissima parte della Sicilia oltre il Faro, colla spedizione de’ suoi Deputati all'unico Parlamento nazionale: che in fine è contrario alla gloria del regno unito, alle sue convenzioni politiche ed all'onore delle armi nazionali. Quindi il Parlamento del regno unito delle Sicilie ha dichiarato essenzialmente nulla, e come non avvenuta la convenzione militare conchiusa tra S. E. il Tenente Generale Pepe ed il Principe di Paterno nel giorno 5. Ottobre 1820.

Comandiam a tutti Tribunali, autorità giudiziarie, ed autorità tutte tanto civili, quanto militari ed ecclesiastiche di qualunque classe e dignità, che osservino e faccino osservare, adempire ed eseguire in tutte le sue parti l'enunziata dichiarazione contenuta nel presente editto.

Siatene intesi per lo suo adempimento: e disporrete che s'imprima, si pubblichi, e si renda noto a tutti,

Napoli li 15. Ottobre 1820.

FRANCESCO VICARIO GENERALE.

Il Segretario di Stato Ministro degli affari interni

Firmato — Giuseppe Zurlo.

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DOCUMENTO Num. VII

Articolo della legge agli 11 Dicembre 1816.

Art,8 Le cause dei Siciliani continueranno ad esser giudicale si no all'ultimo appello nei Tribunali di Sicilia. Vi sarà perciò in Sicilia un Tribunale supremo di giustizia superiore a tutti i Tribunali di quell'Isola e indipendente dal supremo Tribunale di giustizia dei nostri dominj al di qua del Faro, siccome questo sarà indipendente da quello di Sicilia quando noi faremo la nostra residenza in quell'Isola. Una legge particolare determinerà l'organizzazione di questi due Tribunali.

Art. 10. La quota della dote permanente dello Stato spettante alla Sicilia sarà in ogni anno fissata e ripartita da Noi; ma non potrà eccedere la quantità di annue once un milione ottocento quarantasette mila, sei cento ottantasette, e tt. venti stabilita per patrimonio attivo della Sicilia dal Parlamento del 1813. Qualunque quantità maggiore non potrà essere imposta senza il consenso del Parlamento.

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DOCUMENTO Num. VIII

Articolo segreto del trattato di Vienna de’ 12 Giugno 1815. Conchiuso fra l'Imperadore d'Austria, ed il Re delle due Sicilie.

L’impegno che le LL. MAI. prendono per mezzo di questo trattato all’effetto di assicurare la pace interna dell'Italia facendo loro un dovere di preservare i proprj stati ed i loro rispettivi sudditi da duo 4? reazioni, e dalle sciagure d'imprudenti innovazioni, che potrebbero farle rinascerete alte Parli contraenti restano nell’intelligenza che S. M. il Re delle due Sicilie, ripigliando il governo del suo regno, non ani' inciterà cangiamenti, che non possano conciliarsi sia coll’amiche istituzioni monarchiche, sia co' principj adottati da S. M. Imperiale e IV Apostolica nel governo interno delle sue provincie Italiane.

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DOCUMENTO Num. IX

Ferdinando ec.

Grato dell’amore della Nazione Siciliana, bramoso del suo bene, della sua prosperità, della sua gloria, pronto sempre a consacrare tutto me stesso a ciò che possa soddisfare un sì caro, e pressante bisogno del mio cuore paterno, aderisco ai derideri che mi sono stati manifestati per l’organo del mio dilettissimo figlio il Principe Ereditario, e ripiglio da questo momento l’esercizio personale della mia autorità Reale in questo Regno, con i poteri, che la esistente Costituzione garentisce alla Corona. Cessa in conseguenza il Vicariato generale esercitato finora con piena mia sodisfazione dal mentovato mio amatissimo figlio. Il Protonotajo del Regno conserverà noi suo ufficio questa mia determinazione, e la farà registrare ove convenga a tenore delle leggi = Real Favorita dei Colli 5. Luglio 1814. = Ferdinando B. =

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DOCUMENTO Num. X

Al Parlamento.

Le truppe di spedizione in Sicilia.

E pervenuto da Messina il foglio n. 35. dell’Imparziale Siciliano, ove è trascritto il discorso dì un onorevole rappresentante, sugli affari di Sicilia. Ivi si è rimarcato il seguente periodo = Ma la Nazione o Signori, e l'Armata reclamano altamente il proprio onore compromesso per quella vile convenzione. Il corpo decimato per la riduzione di Palermo era bollente di onorati sentimenti, di un deciso coraggio ed io ne sono testimone. Il suo deve al par della Nazione sentire l'indignazione di questa capitolazione. = Crediamo doveroso far conoscere alla Nazione i nostri veri Sentimenti. Giungendo innanzi Palermo, ove delle ripetute assicurazioni ci avean persuasi di esser amichevolmente accolti, alto sdegno ci animò trovandovi de’ nemici. La violenza dei nostri attacchi, la bravura con cui la sole, e non molte baionette superarono gli ostacoli, che ogni militare intende doversi trovare in una città popolosa, ricca di mezzi, e di artiglieria, ha provato ciò che sapevamo fare e quale spirito ci animava. Noi mancavamo de’ cannoni, le munizioni non aveano rimpiazzo, la flotta era lungi: ma la brama di punire la slealtà, la fiducia che a giusta ragione riponevamo nel nostro degno capo, che era sempre alla nostra testa, e ne dava l'esempio della bravura, ci facevano obliare queste considerazioni né l’idea d’una distruzione sicura ci avrebbe fatto retrocedere un sol passo. Abbiamo la coincidenza di credere che la Nazione può trar gloria dalle nostre operazioni. Ma quando la folla de’ supplichevoli, salvati dall( 1) arse abitazioni, si mescolo tra le nostre righe; quando rispettabili famiglie vennero a cercar rifugio nel nostro campo, noi vidimo con sorpresa che non i Palermitani ci movevan guerra, ma il rifiuto della plebbe, che in niun luogo è cittadina. Sapemmo allora che sin dal momento che i Deputati reduci da Napoli insieme colla parola di pace, avean portata l’adesione del governo alla separazione condizionata del Parlamento di Sicilia da quello di Napoli, tutto in Palermo era rientrato nell’ordine, e noi a braccia aperte attesi. Sapemmo, che le vite, le sostanze, l’onore de’ buoni eran tutto dì manomesse o minacciate da quella plebe, che noi bruciavamo le case di gente onesta d’onde, que’ miserabili tiravano, che, continuando, non avremmo puniti che innocenti o ravveduti. Lo sdegno cessò in noi, la sola pietà si fe sentire ne’ nostri petti. Noi dividemmo il pane co' nostri fratelli Palermitani, e giurammo difenderli, anziché distruggerli, che tale era il dovere nostro, e tale i sensi che a liberi cittadini convengono. Una convenzione fece cessare le ostilità. Sicuri dei sentimenti onorati, leali dei nostri Capi, che vidimo concorrere a formarla, non ne indagammo i dettagli, né l’andamento: ma conosciutala appena, gioja non indignazione ne risentimmo, e gioja pura, e sincera. La gloria civica era ben dolce a chi avea mostrato che sapea, e potea cogliere allori; ma noi li sprezzavamo tinti di cittadino sangue. I Palermitani corsero tra le braccia de’ loro liberatori. Un sol popolo noi formammo con quelli ohe eravamo fieri di aver salvati da certa distruzione, e solo chi non vide sì commovente spettacoli, o che immaginandolo. non n’è commosso, può dolersene, e rammentare vecchie ingiurie. Il Gen. Pepe ha una riputazione solidamente stabilita, che non teme attacchi. Egli ha encomiata la nostra condotta con un rapporto che sarà, sempre un titolo alla gloria di tutti i corpi che han fatto parte della Spedizione: si potea quindi aspettare, che noi avessimo emessa la nostra opinione, pria di supporcene un'altra. Non entreremo ad analizzare il rimanente dell’arringa, essa non ci riguarda. Solo diremo che somma è la indignazione che da noi si prova, nel vedere, che lunga ed onorata serie di brillanti servizj, non bastano al nostro degno Capo per garantirlo dall’indegna supposizione, che abbia agito senza istruzioni, o contro gli ordini. Supposizione insultante, priva di giustizia e di buon senso, e della quale non doveano essere profanate le mura del Parlamento.

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DOCUMENTO Num. XI

SACRA REAL MAESTA’

Signore

L’alta ricompensa, che la M. V. si è degnata accordarmi è assai superiore a quanto io abbia potuto meritare, la mia devota, e viva riconoscenza durerà colla mia vita. Supplico però umilmente la M. V. di dare un benigno ascolto a queste. rispettose osservazioni riguardanti la mia penosa posizione.

Mi giova palesare a V. M, che fui spedilo in Sicilia mio gran malgrado. Non sono nò il più, né il meno anziano de’ Tenenti Generali del vostro esercito. Da cinque anni io viveva in una tranquilla inattività di servizio. Non so per quale predilezione questa missione cadde sopra di me. Chiamalo dal dovere, intesi la necessità di ubbidire il comando datomi da S. A. R. il Principe Vicario Generale, e ripetuto da quella Giunta di governo, e dai Ministri della Guerra, e dell'Interno, i quali mostravansi inquieti delle mie giuste scuse per esimermi da tale incarico. Deciso all'ubbidienza ricevei istruzioni, e ne usai senza alterarne il senso, anzi togliendo qualche espressione poco dignitosa pel Governo nell’applicarle in quelle misure di conciliazione, d'accordo col Principe di Paterno, il quale si è grandemente cooperato al bene di quel paese.

Devo far conoscere rispettosa mente a V. M che le poche truppe impiegate nella spedizione, malgrado fossero sprovviste di munizioni, e di artiglieria, e combattessero circondate da forza decupla per lo meno, ed avendo al fronte una vasta città cinta di mura, difesa da bastioni, e da forti, con 100 pezzi d’artiglieria ben forniti di munizioni, pure si erano col di loro valore acquistata gran superiorità. Ciò non ostante io non avrei mai pensato abusarne per cambiare ciò che mi fu prescritto. Intanto io era persuaso che senza trasgredire il contenuto nelle istruzioni, si sarebbe per la via nobile, e giusta ottenuto il voto, che si desiderava pel bene generale.

I Siciliani delusi da quanto venne loro promesso, avrebbero potuto accasarmi di averli incannati; invece, con una generosità, che porterò sempre scolpita nel cuore, non mi hanno sospettalo di tanta bassezza Signore, le ricompense di V. M. sono molto lusinghiere, più dà ogni altra quella che nella bontà Sovrana avete degnato accordarmi. Ma col massimo dolore unicamente pei sentimenti rispettosi, e per l’attaccamento che devo alla M. V., non posso aver la fortuna di goderne, dopoché si è contraddetto ciò che io promisi perché mi fu ordinato. Questo è il solo omaggio che posso rendere aita generosità con cui mi hanno giudicato i Siciliani.

La bella, ed intrepida condotta degli ufficiali, e delle truppe affidate ai mio comando ha meritata la particolare attenzione di V. M. con pochissimi mezzi hanno superato immense difficoltà. E’ una futile, dolorosa gloria il combattere i proprj cittadini; ma i fatti assoluti di guerra debbono rilevarsi, ed ottener lode, e premio. Potrei dir d’altronde, che le ricompense di avanzamento di grado, dando un orizzonte più esteso allo sviluppo dei talenti, ed all’energia de’ bravi militari, tor forniscono più larghe occasioni, onde rendere efficaci servizj alla M. V. La supplicò quindi a non isdegnare la mia assiduità presso il Ministro della Guerra in loro favore, e le preghiere che ripeterò a S. A. R perché si benigni avvalorarle presso l'Augusta M. V.

Signore, al primo rapporto che mandai da Palermo redatto dal mio Capo dello Stato Maggiore, aggiunsi al Ministro della Guerra relativamente alla mia persona, che ragione di salute non mi permette di proseguire il servizio, e dimandai il ritiro.

Rinnovo le più umili suppliche alla M. V. onde si benigni accordarmelo, dopo ai aver fatto esaminare da una commissione ì miei servizj militari.

Sono col più profondo rispetto

Di V. M.

Napoli li 22. Novembre . 1820.

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__________________________

NOTE

1

Vedi in ine il documento N. I.

2

Vedi in ine il documento N. II.

3

Vedi in fine il documento N. III.

4

Vedi in ine il documento N. I.

5

Vedi in ine il documento N. .

6

Vedi in fine il documento N. VI.

7

Grotius de jur. bel. et pac. L. III. C. 22. . 2. Vatel Droit des gens L. H. C. 12. . 126. et C. 14. . 207. et L. III. Cap. 2. . 20.

8

Cap. 1. del Territorio delle Spagne art. 10.

9

Se il Re di Sicilia riacquister il Regno di Napoli, e acquister qualche: altro Regno, dovr mandarvi a regnare, il suo Figlio primogenito, o lasciare detto suo Figlio in Siilia con cedergli il Regnodichiarandosi da oggi innanzi il dello Regno di Sicilia indipendente da quello di Napoli o da qualunque altro Regno o provincia.

Placet per l’indipendenza restando tutto il di più a stabilirsi da noi alla pace generale chi delli due debba regnarvi. Cost. di Sicilia Tit. della success. al trono, art. VIII §. 17.

10

Con Decreto de' 12 Aprile 1819. fu data al Principe di Caselcicala una gratificazione di' 120,000. ducati per la sua cooperazione alla riunione di tutti i Reali dominii in un sol Regno.

11

Vedi infine il documento N. VII.

12

Vedi in fine il documento . VIII.

13

Cost. di Sic. Tit. II. Cap. 1. . 2.

14

Cost. di Si. Tit.. della Successione al Trono, art. VIII. . 17.

15

Vedi in fine il documento N. IX.

16

Volf. Inst. jur. na. Par. IV. Cap. IX. 1232.

17

Il sut que les mecontents aient quelque raison de prendre les armes, pour que ce dsordr soit appell guerre civile et non pas rebellion.

Vattel Droit des gens L. III. C. 18. §. 292.

18

Grotius e jur. bel. et pac. L. III. C. 19. . 6.

Vattel Droit des gens L. III. C 18. §. 291.

Bodin de Repub. L. I. C. §.. de jure majestatis.

19

Vedi i fine il documento N.

20

Vedi i fine il documento N. XI

21

Tit.. Lv. Ist. Rom. Lib. IX. Cap. VIII.

22

Non si pu certamente supporre, che i Napolitani siano cos ignoranti delle cose di Sicilia, che possano in buona fede asserire che questo paese sia tutt'ora oppresso dalla feudalit. Dall'epoca del Marchese Caracciol in poi, non era restato della feudalit in Sicilia, che un triste avanzo Di colpevole illustre. La giurisdizione feudale era cos contraria ai lumi idei secolo, ch'essa era ugualmente imbarazzante a chi ne godea, che a chi vi soggiacea. Laonde nel Parlamento del 1812. i Baroni stessi rinunziarono al funesto esercizio di una prerogativa, diveuta loro di peso. Tutto ci di era giurisdizione fu allora interamente abolito. Abolite furono ugualmente tutte quelle percezioni, che si riguardano come dipendenti dalla giurisdizione feudale, o come usurpazioni de' Baroni. Ma cotali percezioni autorizzate dal sistema ricevuto erano venute in commercio. Molti le avean comprate, molti le avean permutate. Dichiararle abolite indistintamente senza compenso sarebbe stato un attentare alla propriet, il Parlamento del 812. rimise all'esame dei Magistrati il decidere per quali doveasi un compenso e per quali no, ma le percezioni furono tutte abolite, di abolirle in altra guisa sarebbe stato indegno di un governo liberalesche deve conoscere, che il cittadino non deve mai essere spoglialo della sita propriet che per un legale giudizio. altronde la pi sartina inconseguenza quella di credere, che perch i Pari del Regno erano stati ua volta Baroni, perci la Costituzione del 1812 avea rese pi pesanti le catene baronali ondera stata una volta oppressa la Sicilia. Non questo n il tempo n il luogo di esaminare la Costituzione del 1812. Ci far parte di unaltra Opera, diretta a far conoscere le vicende del sistema politico di Sicilia, e gli ultimi avvenimenti di questo paese. Ci basta per ora il dire, che i Napolitani predicano continuamente cantra la Costituzione del 1812, e contro la supposta feudalit, per far credere, ch'essi, dando alla Sicilia una forma di governo alla punta della bajoneta, lungi di spogliarla de dritti suoi, non hanno fatto che liberare i Siciliani dalla schiavit. Ma i Siciliani rispondono, e risponderanno sempre, se a nostra Costituzione era difettosa, era nostro d dritto di alterarla, d riformarla, di adottarne una nuova.

Noi abbiamo sempre avido il dritto di dispor di noi stessi. Il disporre di noi senza di noi è Slatti una violenza al 1816. una violenza è al 1820. La casta privilegiata che. finora ci ha oppresso è per noi meno fatale dalla casta non privilegiata che ci spoglia dei nostri dritti. Questo è il campo sul quale si battono e si batteranno sempre i Siciliani è un tal campo è inespugnabile.













Nicola Zitara mi chiese diverse volte di cercare un testo di Samir Amin in cui is parlava di lui - l'ho sempre cercato ma non non sono mai riuscito a trovarlo in rete. Poi un giorno, per caso, mi imbattei in questo documento della https://www.persee.fr/ e mi resi conto che era sicuramente quello che mi era stato chiesto. Peccato, Nicola ne sarebbe stato molto felice. Lo passai ad alcuni amici, ora metto il link permanente sulle pagine del sito eleaml.org - Buona lettura!

Le développement inégal et la question nationale (Samir Amin)










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