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CRONICA

DELLA CAMPAGNA D'AUTUNNO

DEL 1860.

FATTA SULLE RIVE DEL VOLTURNO E DEL GARIGLIANO

DALL’ESERCITO NAPOLITANO

alla quale è posto innanzi un racconto

di fatti militari e politici avvenuti nel Reame delle Sicilie

nei dodici anni che la precedettero

PER

GIOVANNI DELLI FRANCI

Uffiziale Superiore dello stato Maggiore dell'Esercito Napolitano ed alla immediazione del Re Francesco II. — Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito operante— Commendatore del Real ordine militare di S. Giorgio della riunione — Cavaliere del Real ordine di S. Ferdinando e del merito — Cavaliere di prima Classe del Beai ordine di Francesco I. ecc. ecc. ecc.

CON DUE TAVOLE

NAPOLI

PEI TIPI DI ANGELO TRANI

Conte di Mula 13

1870

(02)

01 - Cronica della campagna d'autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall’Esercito Napolitano - Giovanni Delli Franci - HTML

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Cronica della campagna d'autunno del 1860 fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dall’Esercito Napolitano - Giovanni Delli Franci- PDF

NOTE

(1)

Vedi Romagnosi scienza delle costituzioni.

(2)

Il promotore dello scioglimento dei reggimenti svizzeri fu il generale Alessandro Nunziante, il quale tanto seppe dirne al Principe di Satriano, sotto sembianze di utilità e decoro della milizia nazionale, che costui tratto in inganno, condiscese a secondare l'opera di lui, senz'avvedersi che volevasi cosi giovare la rivoluzione.

(3)

Le opinioni di stato del Principe di Satriano, erano osteggiate da persone della Corte e dal generale Nunziante, che segretamente consigliava il Re.

(4)

Il Principe di Comitini non accettò l’ufficio.

(5)

Ecco l'editto del Saiano per lo stato di assedio. «Art. 1.° La città di Palermo e suoi distretti, sono da questo momento in poi dichiarati in istato d'assedio — art. 2.° I ribelli presi con le armi alla mano, nonché tutti coloro elio presteranno concorso alla insurrezione, saranno giudicati da un consiglio di guerra subitaneo, che da ora in poi resta in permanenza; e ciò a norma del Real decreto dei 26 dicembre 1858

— 172 —

— art. 3.° Tutti coloro che in atto detengono armi di ogni natura, dovranno farne in ore 24 consegna in questo comando militare, sito nella piazza Bologna,:a malgrado che avessero ottenuto legale permesso — art. 4.° Durante il giorno gli abitanti dovranno camminare per le strade isolatamente; la notte da un' ora in poi dovranno portare una lanterna o fanale — art. 5. E' vietato ai particolari di ricevere persone in loro casa, che non siano parenti; e qualora volessero riceverne alcuno, alloggiandolo, dovranno munirsi di legale permesso dell'autorità civile — art.° 6.° È vietato il suono delle campane tanto di giorno, quanto di notte; come pure è vietato di affiggersi qualunque cartello, o proclama sedizioso; i contraventori saranno giudicati dal consiglio di guerra subitaneo: durante lo stato di assedio le tipografie saranno chiuse — art. 7. Il consiglio di guerra di guarnigione resta elevato da ora a consiglio permanente subitaneo di guerra. Il detto consiglio sederà in questa casa comunale.»

Firmato Giovanni Salzano.
(6)
Il  Re sapute queste cose comandò che lo Stazzone fosse rimosso dal suo ofìcio e sostituito dal segretario generala Sansecondo, e che il Jauch fosse confinato nell’isola di Ustica, privo della militare divisa, finché il tribunale militare avesse deliberato sul conto di lui.
(2)

Proclama del comandante le armi della provincia.

» Sono lieto di manifestare nuovamente l’ammirazione pel costante contegno che la popolazione di Palermo ha serbato nelle attuali emergenze e mi auguro

— 173 —

che la fiducia rinasca

Palermo 7 Aprile 1870.

Firmato Giovanni Salzano.
(9)

Le sette nobili persone arrestate erano: il Barone Riso; jl Principino di Niscemi, gentiluomo della Real camera e pensionato con annui ducati 1500; il principino Giardiuelli, anche gentiluomo della Real camera; il p. Ottavio Lanza; il duca Monteleone, il cavaliere Sangiovanni ed un tale Lacroce. Fu poi fatto arrestare in Napoli anche il Marchese Rudini, altro gentiluomo della Real camera, perché si avevano delle prove che lo incolpavano come arruolatore di gente faziosa.

Diamo ai nostri lettori il testo del disegno di guerra che mandò il Re al Castelcicala per domare la ribellione.

«Con la forza riunita in Palermo e con la squadra, sembra spianata ogni difficoltà, per uscire dal sistema difensivo adottato; e sembra invece non solo utile, ma necessario, operare alle spalle delle bande che circondano Palermo.

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Mezzo facile a tanto operare sarebbe lo imbarco su le piro

Terminato il disbarco, questa colonna (che dovrebbe essere provveduta di quattro obici a schiena) marcerebbe su Bagheria.

Ivi riposata, prenderebbe la traversa di Misilmeri e di là salirebbe al Mezzagno per la Grazia, si avvierebbe verso Parco e congiungendo i suoi movimenti con le truppe di Monreale, coordinando tali movimenti con una spinta che partisse da Palermo nella direzione di Oriente e mezzogiorno per le strade di Romagnolo, di S. Maria dì Gesù, dei Porrazzi e di Monreale, se il tutto si esegue con vigore e precisione, le dipendenze suburbane di Palermo della parte dì oriente e mezzogiorno potrebbero essere nettate dalle bande che l'infestano.

Conseguito questo scopo rimarrebbe alle compagnie d'armi, rafforzate dai cacciatori a cavallo, la cura di mantenere secura di altre masnade, la porzione che potrebbesi dire già nettata. Allora, rimanendo a praticare altrettanto da Monreale fino a Mondello, dalla parte occidentale, si farebbe conio stesso metodo, sbarcare una colonna su la marina di Carini per poi marciare su Partinico, qualora si avessero notizie che quella popolazione sia pure insorta. E, nel caso contrario, prendendo la via di Palermo, da Sferracavallo in poi opererebbe il nettamento della parte occidentale, e per la dritta coordinerebbe i suoi movimenti con le truppe stanziate in Boccadifalco, e Monreale. La guarnigione di quest'ultima città, la prima volta, facendo fronte a Palermo, per la dritta appoggerebbe la colonna provveniente da Bagheria, Misilmeri Mezzagno ecc. e per la sinistra quella sbarcata in Carini e provveniente, o per Sferracavallo, o per Partinico, o per Torretta, Zampe, Montelepre ec. ec.»

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(10)

Tutta la marineria militare nella Sicilia ulteriore era comandata dal generale Cretien che risiedeva in Palermo per essere dappresso al luogotenente del Re e vari legni tenevano crociera in quelle acque, col mandato d’impedire con la forza sbarco di turbolenti o di attrezzi di guerra, sia che ciò si tentasse da navi da guerra straniere, sia da navi mercantili.

Perché i piroscafi da guerra Arehimede e Stromboli vegliavano su la costa del sud ria Mazzara a Capopassero; l’Ercole dal capo S. Vito al faro di Messina, ilGuiscardo da Taormina a Capopassero; la fregata Partenope con la Corvetta il Valoroso ed il Piroscafo il Capri da capo S. Vito a Mazzara, vigilando su le isole rimpetto Trapani; le quattro navi Elettrico, Arehimede, Diligente ed Etna della ditta commerciale Florio rimasero in Palermo e furono equipaggiati dalla Beai marina ed armati con cannoni da quattro sul terzo di essi; ed il battello a vapore la Rondine, si mandò pel servizio del faro.

(11)

Sire!

» Il senato di Messina prostrato ai piè del Real trono della M. V. sente tutto il dovere di umiliare i sentimenti della più sincera devozione di questa vostra città, unitamente al rammarico provato, pel trascorso di pochi malintenzionati, che intesero in questi ultimi giorni turbare la quiete, e spera nel benigno animo della M. V. non volerla privare di quella benevolenza, di cui per lungo volgere di tempo le han fallo grazia i suoi augusti antenati. In vero l’avvenimento del giorno 8 corrente fu tale, che gravezza alcuna non possa destare agli sguardi benefici di un magnanimo Re, quale si è V. M.; poiché il fatto di pochissimi cattivi, ai quali stava a cuore l’appropriazione dell’altrui fortuna, chiama su costoro la punizione e non giammai su l'intero popolo d’un grande paese, che tranquillo nelle sue cure si vive. Ma misure d

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Guidata da quest'idea pensava il Senato in tanta universale miseria aprire dei lavori pubblici, onde sopperire utilmente ai bisogni della classe degli operai; ma con molto suo dolore ha veduto stornare dal capo militare la pubblicazione del manifesto.

Sire!

«Per questo eccezionale stato di rigore in cui si trova il paese, senza sufficiente guarentigia della vita dei buoni cittadini, intero è stato l'abbandono della città, che da giorno in giorno accrescendo la miseria, rende più miseranda l’attuale posizione; e ciò che più vivamente affligge si è il poter dubitare la M. V. della fedeltà di questo paese, che proprio in questa congiuntura l'ha mostrata viva ed intera. Il Senato quindi nella sua rappresentanza fa voti al magnanimo cuore della M. V. acciò voglia ordinare che le abituali consuetudini di questi pacifici sudditi, non siano distolte con severe misure, di cui non Sono meritevoli; madie con le normali leggi, ripristinandosi di generale fiducia, ognuno viva felice, per come da che regna la gloriosa dinastia della M. V. lo si è stati; continuandosi a benedire e far voti di felicità alla M. V. ed all'augusta consorte di tanto favore. Piaccia alla M. V, tenere questo voto di fedeltà, tale per come sinceramente emerge dai cuori, supplicando la sacra persona vostra a voler permettere che una deputazione si rechi personalmente a baciare le sacre mani».

Firmato — Il senato — Felice Silipigni Sindaco — Principino di Cola—Baroncello la Corte — Luigi Benoit — Giuseppe Castelli.

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(12)

Così scrisse il senato di Messina al Re.

Sire!

« Il beneficio ricevuto dalla M. V. nello impronto di ducati quattromila su i fondi della Tesoreria generale, onde, mercé pubblici lavori, offrire un' utile mezzo agli operai, abilitò il dì 18 questo senato ad invitare i cittadini al ritorno delle usate cure; mentre dall'altro lato, iniziandosi varie opere, valse a fornire onesti guadagni alla classe dei bisognosi.

Questa nobile provvidenza della M. V. ha rianimato il paese, confermandolo semprepiù: che V. M. tenendo in giusto conto l'avvenuto, non cesserà dallo amare questo popolo, che in tale atto di Real munificenza vede per l'avvenire la intera felicitazione di questa sventurata città, pur troppo contristata dall’avversa fortuna. Il senato fedele interprete dei sentimenti di tutti i cittadini, volge riconoscente ai pié del Real trono i vivi sensi di ringraziamenti, mentre rinnova caldi voti per la felicità della clemente M. V. ed augusta consorte.»

Firmato — Il senato — Felice Silipigni Sindaco — Principino di Cola — Baroncello la Corte — Luigi Benoit — Giuseppe Castelli — Placido Cusciarelli cancelliere.

(13)

Ecco il testo di ciò che il Re scrisse al suo luogotenente in Palermo:

« Uno sbarco in Sicilia non sarà certo inferiore ad un numero di circa mille; ed aggiunti a questi gl'individui dei paesi e contrade che possono commuoversi per lo sbarco, e di coloro che nell’atto di questo possono armarsi con le armi e munizioni sbarcato, è corto che a questo nucleo di gente non potranno far fronte le sparute colonne di un solo battaglione. E di quale pessimo effetto sarebbe, che una colonna di truppa dovesse cedere allo scontro, o peggio

— 178 —

I legni sempre che portano i fuorusciti, debbono essere trattati come le leggi prescrivono, né i comandanti dei Regi navigli in crociera che li sorprendano in tale flagranza o quasi flagranza, debbono lasciarsi imporre dal riguardo alla bandiera del legno ostile.»

(14)

«Il comandante le armi nella provincia e Real piazza di Palermo, in seguito dell'approvazione avutane da S. E. il generale in capo, rispondendo all'aspettazione generale perché il paese ritorni nello stato normale, ordina quanto appresso.

» 1. Lo stato di assedio messo alla città di Palermo o suoi distretti, con ordinanza dei 4 del passato Aprile, è tolto.

2. Tutte le disposizioni contenute nella suecennata ordinanza restano abrogate.

3. Le autorità militari e civili sono incaricate della esecuzione della presente ordinanza».

Palermo 3 Maggio 1860.

Firmato Giovanni Salzano.
(15)

Proclama del luogotenente:

«Siciliani!

«La sedizione dei 4 Aprile, con l'aiuto di Dio, mancò di asseguire il pravo intendimento di travolgere nell’anarchia questa, bella parte dei Reali domini.

Il governo di S. M. ha compiuta la sua nobile missione di rimuovere e vincere i gravi pericoli che minacciavano le

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E pur mestieri ad onor vostro di confessarlo.

Questa vostra condotta, degna d'esser nota alla civile Europa, ha molto contribuito a ripristinare la quiete ed a render poco durevoli gli effetti delle passate commozioni. E per questo S. M. il Re (N. S.), cedendo facile agl'innati sensi di sua clemenza, nei di medesimi in cui più faceva d'uopo la severità, concedeva generoso perdono a quei traviati, che avessero deposto volontariamente le armi.

Disperse le bande dal valore delle Reali milizie, la prima parola che alle persone compromesse dirigevasi dai comandanti delle colonne mobili, si fu quella del concesso amplissimo indulto. E questa parola fu accolta con entusiasmo e riconoscenza, niente altro desiderandosi, cessalo il breve periodo della eccitata abberrazione, se non l'obblio della colpa, il trionfo del pentimento. La tranquillità si è ristabilita in tutti i luoghi, ma rimane tuttavia un dovere a compiersi, quello di far cessare le scorrerie dei più tristi delle disciolte bande, i quali non credendo di tornare quieti alle case loro, deposte le speranze del bottino, han posto mano alla vita ed alla roba altrui e ad abbominevoli fatti. Ma rassicuratevi. Il Real governo ha fatto il debito suo e i dolorosi fatti di Ciminna, di Petralia, delle vicinanze di Caccamo, di Porticello, e della piana di Vicari, non più si riprodurranno e tornerà intera quella sicurezza, che tanto incremento arrecò negli ultimi undici anni alla industria ed al commercio dell’isola.

— 180 —

Bandite dunque ogni apprensione ed abbiate fi

Palermo 3 Maggio 1860.

Firmato Principe di Castelcicala.
(16)

Ordinanza

» Noi Paolo Buffo, Principe di Castelcicala, luogotenente generale di S. M. il Re (N. S.) e comandante delle armi in questi Reali domini.

Vedute le due ordinanze di S. E. il Principe di Satriano del 16 Giugno 1849 con le quali vennero istituiti consigli di guerra subitanei nelle province dell'isola per giudicare gli asportatori e detentori di armi vietate ed autori o complici di altri misfatti contro la sicurezza pubblica e per la formazione delle liste di fuoribando.

Veduto il Real decreto dei 10 Maggio 1856, che sostituiva altro magistrato ed altra pena pei reati di asportazione d’armi, senza speciale permesso dell'autorità.

Veduto l'altro decreto 17 Decembre 1858 inteso alla tutela della tranquillità interna dello stato. Poiché se una settenne intera tranquillità per tutta l'isola, potè, ferma restando l'uria delle due ordinanze, far mitigare il rigore dell'altra', le recenti perturbazioni, comechè sollecitamente sedate, consigliano la necessità di più severa repressione, perché ai pochi avanzi delle bande fuggiasche o disperse, sia tolta ogni facilità di riunirsi in comitive armate ed infestare le compagne e le pubbliche vie.

Convenendo che si dia luogo a tale provvedimento eccezionale, riconosciutosi utile per lo innanzi, che valga efficacemente a tutelare la vita e la proprietà dei buoni cittadini, ed a raffermare sempre meglio la già ristabilitasi tran

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Considerando i gravi misfatti di sangue e di rapina, avvenuti in questi giorni in Ciminna, Petralia, Sottana, nelle terre di Caccamo, nella piana di Vicari e nel Porticello, perpetrati dalle reliquie delle disciolte bande.

Facendo uso dei poteri a ciò conferitici da S. M. il Re IN". S. troviamo di disporre e disponghiumo quanto segue:

Art. 1. La ordinanza del 16 Giugno 1849 in fatto di asportazione e detenzione di armi, senza speciale permesso dell'autorità, è richiamata in vigore.

Art. 2. I contravventori saranno giudicati dai consigli di guerra subitanei e puniti di morte».

Palermo 3 Maggio 1869.

Firmato Principe di Castelcicala.
(17)

Lettera di Garibaldi al Re di Piemonte.

Sire!

» Il grido di dolore che dalla Sicilia giunge alle mie orecchie, ha commosso il mio cuore e quello di alcune centinaia dei miei vecchi compagni d'arme. Io non ho consigliato il movimento insurrezionale dei miei fratelli di Sicilia; rea dal momento ch'essi si sono sollevati, in nome della unità italiana, di cui V. M. è la personificazione, contro la più infame tirannia dell'epoca nostra, io non ho dovuto indugiare a mettermi alla testa della spedizione.

So bene che m'imbarco per una impresa pericolosa, ma ripongo la mia confidenza in Dio, come nel coraggio e nell'abnegazione dei miei compagni. Il nostro grido di guerra sarà sempre «viva l'unità d'Italia, viva Vittorio Emmanuele suo primo e suo più prode soldato». Se noi falliremo, spero che l'Italia e l'Europa liberale non dimenticheranno che questa impresa è stata decisa per motivi puri da ogni egoismo e veramente patriottici.

— 182 —

Se riusciamo, andrò superbo di ornare la corona di V. M. di questo nuovo e brillantissimo gioiello, a condizione tuttavia che V. M. non permetta che i suoi consiglieri cedano questa provincia allo straniero, come han fatto per la mia città natale.

Io non ho comunicato il mio progetto a V. M., perché temeva, che per la riverenza che le professo, V. M. non riuscisse a persuadermi di abbandonarlo.»

Di V. M.

Il più devoto suddito. Giuseppe Garibaldi.
(18)

La Corvetta denominata lo Stromboli non era destinata a vegliare in quel punto; ma trovandosi in quelle acque fu chiamata in aiuto dal Capri. Comandava questa nave il capitano di fregata Marino Caracciolo, e lo Stromboli l'altro capitano di fregata Guglielmo Acton.

(19)

Ei si conviene registrar per disteso il disegno di guerra fatto dal Principe di Satriano, per sottomettere la Sicilia ulteriore: eccolo.

«1. Far imbarcare per Messina senza indugio la brigata del Bonanno e il battaglione pionieri, dopo essersi mandato l'ottavo dei cacciatori, onde rafforzare quella scarsa guarnigione.

2. Lasciare in Palermo per presidiare il forte Castellamare le truppe che sceglierà quel comandante,,colonnello Briganti, e provvederlo per lungo assedio.

3. Comporre anche di buoni soldati la guarnigione del forte di Termini, affidandone il comando ad eletto uffiziale, e provvedere subito a completarvi l'armamento e le munizioni.

4. Con tutto il resto delle forze di Palermo, dopo aver proclamato di voler far guerra offensiva, si marcerebbe sopra Caltanissetta. Ivi pervenuto l'esercito; con una guarnigione

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5. Conseguito questo scopo di far rientrare nell'ordine i 15 distretti di Girgenti, Caltanissetta, Terranova, Piazza, Noto, Modica, Siracusa, Caltagirone, Catania, Nicosia, Acireale, Messina, Castroreale, Patti e Mistretta, vi si pubblicherebbero le concessioni che la maestà del Re crederà opportune, le quali io reputo non potersi più oltre indugiare; e nel tempo stesso si sospenderebbe la percezione del macino, annunziando che si procederà subito ad esaminare il modo, onde si possa rinfrancare il pubblico erario, almeno in parte: disposizioni entrambe indispensabili in questi supremi momenti, come per la prima di esse, mi sono già permesso di rassegnare a S. M.

6. Messina o Catania pel momento diventerebbe il centro del governo dell'isola ed un'apparizione di S. M. in Messina, Catania, Augusta e Siracusa, fosse anche di pochi giorni, ristabilitosi l'ordine nei cennati distretti, produrrebbe certamente grandissimo effetto.

Il piano poi proposto dal consiglio dei generali di Palermo, produrrebbe i seguenti danni — 1. scoramento inevitabile nei soldati—2. isolamento di Palermo—3. certezza in tutta l'isola che la capitale si trova bloccata e prossima ad aprire le porte u Garibaldi, il quale trionfante, dopo di aver con l'aiuto delle popolazioni manomesse le Reali truppe, vi proclamarebbe ii governo di Vittorio Emmanuele. 4. mentre ciò sarebbe per avverarsi, Palermo verrebbe stretta dalle masnade che si unirebbero man mano a Garibaldi,ed aumentate dalle molte migliaia di facinorosi, forniti dalle triste popolazioni di Bagheria, Misilmeri, Marineo, Piana dei greci, S. Giuseppe, Parco, Monreale, Partinico, Borghetto, Montelepre, Torretta ec. tagliando gli acquedotti, distruggendo i molini, rompendo le strade, ridurrebbero in pochi giorni la popolazione di quella capitale alla disperazione della sete e della fame.

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E di ciò profitterebbero i ribelli per produrre in Palermo una esplosione, che quarantamila soldati dei più agguerriti uon potrebbero domare, perché nulla è più feroce dell'uomo che combatte per la sussistenza.

Perché, se sarà bene operato dallo esercito il movimento verso Caltanissetta, nel suo ritorno offensivo sopra Palermo, farà ridondare a danno del nemico tutti i pericoli di sopra cennati.»

(20)

La colonna del Won Mechel componevasi; del secondo dei cacciatori, comandato dal Morgante; del nono dei cacciatori, guidato dal Bosco; del battaglione scelto del quinto dei fanti, condotto da Giovanni Marra, del 3.° battaglione leggiero estero, obbediente al Rehfms; di quattro cannoni di montagna, diretti dal primo tenente d'Agostino; di due plotoni di cacciatori a cavallo e di una compagnia dei pionieri, col capitano Palmentieri.

(21)

Il generale Colonna era giunto allora in Palermo in cambio dell’altro Primerano, del quale il luogotenente aveva voluto disfarsi, sì perché aveva poca fiducia nelle opere di lui, sì perché reputavalo di poca mente e però disadatto ad esercitar l'ufficio del grado al quale era salito, e sì perché aveva' mal comandato una colonna mobile di truppe che aveva avuto il mandato di ripristinare l'ordine nei distretti di Termini e Cefalù.

(22)

Articoli della convenzione fatta tra il generale Lanza e Garibaldi.

» Art. 2. La sospensione delle ostilità resta prolungata per tre giorni a contare da questo momento che sono le 12 meridiane del 31 Maggio corrente anno, al termine della quale

— 185 —

Art. 2. Il Regio banco sarà consegnato airappresentante Crispi, segretario di stato, con analoga ricevuta ed il distaccamento che lo custodisce, andrà in Castellammare con armi e bagaglio.

Art. 3. Sarà continuato lo imbarco di tutti i feriti, non trascurando alcun mezzo per impedire qualunque sopruso.

Art. 4. Sarà libero il transito dei viveri per le due parti combattenti in tutte le ore del giorno, dandosi le analoghe disposizioni per mantenere pienamente ciò ad effetto.

Art. 5. Sarà permesso di controcambiare i prigionieri Musto e Rivalta con il primo tenente Colonna ed altro ufficiale o il capitano Grasso».

Il segretario di Stato del governo provvisorio di Sicilia.

Firmato Francesco Crispi.

Il generale in capo.

Firmato. Ferdinando Lanza.

(23).

Ecco il testo dei nuovi patti stabiliti dal luogotenente Lanza con Garibaldi.

» Art. 1. Saranno imbarcati i malati esistenti nei due spedali, o in altri luoghi, con la maggiore celerità.

Art. 2. Sarà lasciato libero l'imbarco, o partenza per terra, a tutto il corpo di esercito esistente in Palermo, con equipaggi, materiali, artiglierie, cavalli, bagagli, famiglie e quanto altro possa appartenergli, secondo che S. E. il tenente generale Lanza stimerà, compresovi anche il materiale ch'è nel forte di Castellammare.

Art. 3. Qualora sarà preferito l'imbarco, quello di tutta la truppa sarà preceduto da quello del materiale da guerra, degli equipaggi e di una parte degli animali.

Art. 4. L'imbarco di tutta la truppa e del materiale da guerra, si eseguirà al Molo, è però tulio sarà trasferito ai Quattro venti.

Art. 5. Il forte Castelluccio, il Molo e la batteria Lanterna, nonché le adiacenze, saranno lasciate dal generale Garibaldi.

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Art. 6. Il generale Garibaldi consegnerà tutti gli ammalati e feriti che trovansi in suo potere.

Art. 7. Saranno scambiati per totalità, non per numero, tutti i prigionieri e dispersi dall’una e dall'altra parte.

Art. 8. La consegna dei sette detenuti in Castellammare, sarà fatta quando tutte le operazioni di spedizione o d’imbarco saranno ultimate coll’uscita della guarnigione di Castellamare. Essi detenuti saranno consegnati al Molo, dove saranno condotti dalla stessa guarnigione.

Art. 9. Fermati detti patti si aggiunge per articolo addizionale, che la spedizione di cui si tratta, avrà luogo per mare al Moto di Palermo.»

In vista dell’ampia facoltà concessaci da S. E. ll tenente generale Lanza comandante il corpo di armata del Re.

Palermo 6 Giugno 1860.

Pel generale Lanza

Firmato V. Buonopane Colonnello.

Firmato L. Letizia Generale.

Firmato Giuseppe Garibaldi. (2)

(24).

In quest'azione di guerra si distinsero molti uffiziali e tra tutti il tenente colonnello Ruiz; quello stesso che poi si condusse tanto male in Calabria e sulle rive del Volturno.

(25).

Manifestazione fatta dal ministro della guerra.

«Soldati!

«Il comandante superiore delle truppe in Catania ha rapportato come il 31 Maggio ultimo molte migliaia d'insorti, attaccassero con impeto che non si poteva maggiore, la guarnigione di Catania e come questa, piccola in numero, superati quanti mai ostacoli si presentarono, sostenne ott'ore e mezzo di vivissimo fuoco; fugò d’ogni parte e debellò gl'insorti, togliendo loro cannoni e bandiere.

— 187 —

Questo Real ministero intanto, interpetre dei sentimenti del Re, le maggiori lodi retribuisce a quanti trovaronsi presente a quel fatto d’arme. E già la inclita Sovrana clemenza ha stabilito che una medaglia di bronzo con le epigrafi, a dritta.

«Al valore» ed al rovescio «Catania 31 Maggio 1860» pendente da nastro bleù e rosso, fosse espressamente coniata e distribuita a quanti erano militari colà presenti in quella giornata; astrazion fatta dalle decorazioni che verranno conferite a quelli tra essi che maggiormente si distinsero.

Uffiziali sottouffiziali e soldati di quelle truppe, ricevete con quest'ordine del giorno i ringraziamenti del nostro Sovrano, nel quale sarà duratura la memoria del vostro valore.»

Napoli 21 Giugno 1860.

Il Ministro della guerra. Firmato Winspeare.

(26)

L'ordine dato dal Rivera e dallo Sponzilli al Clary, fu approvato dal Sovrano, perché tali erano le istruzioni date dal governo a quelli che in nome del Re lo trasmisero.

(27)

Registriamo il testo del disegno di guerra concepito dalla mente del Clary, per conquistare Catania e poi il resto delT Isola.

» Interessante base di operazione deve dirsi Catania appoggiata alle piazze forti di Messina, Siracusa ed Augustal’Mtora tenute dalle Regie truppe.

La guarnigione di Messina comincerebbe dallo occtipar tosto Taormina, dove ora il capobanda Giuseppe Poulet si

— 188 —

Soggiogata così Catania coi mezzi militari, occorrerebbe raffermarla nella fede politica coi mezzi governativi; come sarebbero, diminuzione d'imposte, rilascio del macino, concessione di scala franca, strade ferrate, scelta milizia cittadina dipendente da capi aristocratici e questi onorati con gradi militari, siccome si fece ai tempi di Ferdinando I.

La. forza occorrente sarebbe una divisione ripartita in tre brigate, ognuna delle quali composta di tre battaglioni di linea ed uno di cacciatori; inoltre due batterie di artiglieria; due compagnie pionieri, quattro squadroni di cavalleria, un plotone di gendarmi a cavallo ed un altro a piedi. Per Io stato maggiore s'indicano come preferibili i capitani Gaetano Fonseca di artiglieria ed Alessandro Ayala deigenio.. Da ultimo conviene pensare con saviezza al trattamento, al vestiario, alla nutrizione ed alla disciplina del soldato e dettare le istruzioni che servir debbono di norma, dopo presa Catania, tanto per amministrare i vari paesi, quanto per formare le guerrilles».

Firmato T. Clary.
(28)

Ecco il disegno scritto dal Nunziante per guerreggiar contro la Sicilia.

» Il corpo di spedizione si comporrà di sei brigate che costituiranno tre divisioni. I generali delle divisioni saranno Clary, Colonna e Latour; quelli delle brigate Barbalonga Won Mechel, Bosco, Caldarelli, Echaniz e Melendez.

Il capo di stato maggiore del corpo di spedizione, sarà il maggiore Migy; il comandante dell'artiglieria il tenente colonnello Palumbo; il comandante del genio il tenente colonnello Delcarretto; il capo del servizio amministrativo il com

— 189 —

La prima divisione si comporrà delle truppe disponibili in Napoli; la seconda si formerà con la brigata estera che muoverebbe da Castellamare e da Salerno, e con la brigata del 2,° 5,° 8," e 9. dei cacciatori che trovansi in Messina; la terza la costituiranno i reggimenti i," 3," 5.° e 7.° dei fanti che sono in Gaeta, da dove partirebbero.

Due squadroni di cavalleria, molta artiglieria e zappatori completeranno il corpo da sbarcare.

Il movimento di queste truppe non modificherebbe il corpo di osservazione negli Abbruzzi, che rimane composto da otto battaglioni di cacciatori e copiose truppe di cavalleria, artiglieria e genio e molto meno scemerebbe la guarnigione di Napoli, dove rimane la intera divisione della guardia Reale.

A guardare Capua, Santamaria, Caserta e Maddaloni sarebbero cinque squadroni di cavalleria, varie batterie ed i reggimenti di fanti, G.° 8.° 9.° e 10,° provvedenti da Palermo, i quali hanno mestieri di riordinarsi, per poi o scambiare la guarnigione di Napoli, o quella di Messina e Siracusa.

I vapori francesi noleggiati dovranno essere non meno di nove e ventuno i legni mercantili da prendersi al rimorchio dai vapori.

Su di ogni nave dovrà caricarsi, viveri, munizioni di deposito e foraggi e su alcune di esse dovranno esservi le stalle per gli animali.

I legni d'imbarco dovranno essere ripartiti tra Messina, Napoli, e Gaeta e quelli da guerra si terranno in serbo per la scorta e difesa del convoglio.

A deviare l'attenzione della marina deve farsi credere, che il navilio di Gaeta deve tenersi pronto a salpare per Cilento, che la divisione di Napoli e la brigata estera che imbarcheranno a Castellammare, abbiano a partire per le Calabrie e che le truppe di Messina, muovono per le Calabrie stesse, o per le Puglie.

E per simulare il vero scopo delle forze ed ingannare il nemico, devesi far partire come avanguardia del corpo di spedizione

— 190 —

Tutto il corpo di spedizione sarà diviso in due colonne sotto il comando d’un solo generale supremo, una di esse dovrebbe sbarcare a Solanto, dieci miglia distante da Palermo, dalla parte orientale, e la seconda a Sferracavallo, che dulia parte occidentale dietro monte Pellegrino dista cinque miglia.

Se non potranno formarsi due colonne, tutte le truppe sbarcheranno a Solanto.

Lo sbarco dovrà effettuici di notte, in modo da trovarsi nelle vicinanze di Palermo al far del giorno.

Avvicinatesi le truppe alla città, dovranno cingerla, se si può, e quindi nel caso affermativo, o negativo, senz'attaccar pugna, intimare ai rivoltosi di arrendersi a giorno fisso, obbligandoli a ciò con tutte le misure di uno strettissimo stato di assedio e blocco.

Se ciò non producesse l'effetto desiderato, impegnare accanito fuoco da tutti i punti, nonché da mare con tutti i legni da guerra, ritenendosi che la resistenza non sarà lunga; mentre devesi pur contare su di una forte reazione nell’interno della città e così la vittoria sarà più sollecita o senza tanto spargimento di sangue.

Intanto è necessario pure mandarsi subito truppa in Catania, per riprenderla, dappoiché dopo i gloriosi fatti di Clary, il richiamo delle truppe da colà, abbandonandosi la città, è stato un atto stoltissimo ed inconsiderato.

Mettersi in esecuzione ora il piano delle fortificazioni di Messina, di Siracusa, di Augusta, con un campo trincerato in Milazzo, sembra, quando non altro, un fatto che renderebbe sempre più lunga ed imbarazzante la soluzione dello stato attuale delle cose. Imperoché dandosi tempo ai rivoltosi, si troverebbero più esperti nel maneggio delle armi, vieppiù forniti di munizioni da guerra ed in maggior numero, visto che nel Piemonte, si sformano dei reggimenti di

— 191 —

(29)

Decreto Reale.

«Desiderando di dare, ai Nostri amatissimi sudditi un attestato della Nostra Sovrana benevolenza, ci siamo determinati di concedere gli ordini costituzionali e rappresentativi nel Regno, in armonia coi principi italiani e nazionali, in modo da. garantire la sicurezza e prosperità in avvenire e da stringere sempre più i legami che ci uniscono ai popoli che la Provvidenza ci ha chiamati a governare.

A quest'oggetto siamo venuti nelle seguenti determinazione.

1. Accordiamo una generale amnistia per tutti i reati politici lino a questo giorno.

2. Abbiamo incaricato il commendatore D. Antonio Spinelli della formazione d'un nuovo ministero, il quale compilerà nel più breve termine possibile gli articoli dello Statuto, sulla base delle instituzioni rappresentative italiane e nazionali.

3. Sarà stabilito con S. M. il Re di Sardegna un accordo per gl'interessi comuni delle due Corone in Italia.

4. La Nostra bandiera sarà da ora innanzi fregiata dei colori nazionali Italiani in tre fasce verticali, conservando sempre nel mezzo le armi della Nostra Dinastia.

5. In quanto alla Sicilia, accorderemo analoghe instituzioni rappresentative che possano soddisfare i bisogni dell'Isola, ed uno dei principi della Nostra Real Casa sarà il Nòstro Viceré.»

Portici 25 Giugno 1860.

Firmato Francesco.
— 192 —

(30)

Decreto Reale

R Francesco II per la grazia di Dio, Re del Regno delle due Sicilie, ecc. ecc. Sulla proposizione del Nostro ministro segretario di stato, Presidente del consiglio dei ministri. Abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue.

Art. 1. Nomimamo nostri ministri segretari di Stato. Il Comm. D. Giacomo de Martino, Regio incaricato di affari presso la corte Pontificia, pel dipartimento degli affari esteri.

D. Gregorio Morelli, procuratore generale del Ile presso la gran corte criminale di Salerno, pel dipartimento di Grazia e Giustizia.

Il Principe di Torella D. Nicola Caracciolo, pel dipartimento degli affari ecclesiastici: il medesimo prende momentaneamente anche la firma del dipartimento della pubblica istruzione.

D. Giovanni Manna, pel dipartimento delle finanze: durante la indisposizione di lui la firma pel dipartimento delle finanze sarà momentaneamente presa dal ministro segretario di stato dei lavori pubblici.

Il Cav. D. Federico del Re, controloro generale della Real tesoreria, pel dipartimento dell'interno e della Polizia generale:

Il maresciallo di campo D. Giosuè Ritucci, pel dipartimento della Guerra.

Il viceammiraglio D. Francesco Sav. Garofalo, pel dipartimento della Marina.

Il Marchese D. Augusto La Greca, pel dipartimento dei lavori pubblici.

Art. 2. Il Nostro ministro segretario di stato Presidente del consiglio dei ministri, ed il Nostro ministro segretario di stato delle Finanze sono incaricali, ciascuno per la parte che li riguarda, della esecuzione del presente decreto.»Napoli 27 Giugno 1860.

Firmato — Francesco.
Il ministro segretario di stato Presidente del consiglio dei ministri — Firmato — Antonio Spinelli.
— 193 —

(31)

Diamo ai nostri lettori copia fedele di ciò che il ministero scrisse al Re per richiamare in vigore lo statuto del 1848.

Sacra Real Maestà.

Sire.

«Col memorabile atto Sovrano del 25 Giugno, la Maestà Vostra, annunziava ai popoli suoi due grandi idee, cioè quelle di mettere od atto nei suoi Stati il regime costituzionale, e l’altra di entrare in accordo col Re Vittorio Emmanuele a maggior vantaggio delle due Corone in Italia.

Quelle sublimi parole che segnano per la M. V. e pel suo Regno insieme, il principio di Era grande e gloriosa, risuonarono già in tutta Europa, ed aprirono alla gioia il cuore ilei suoi sudditi, che aspettano dalla virtù e dalla lealtà del loro Re il compimento della grande opera.

Degnavasi la M. V. in pari tempo chiamare al potere i sottoscritti per comporre il suo consiglio dei ministri, nel quale riponeva la sua fiducia per la pronta esecuzione dei suoi voleri e lo incaricava della compilazione dello Statuto per questa parte del Reame. Ma il vostro consiglio, o Sire, nell'accingersi allo adempimento del Sovrano comando, ha considerato che uno Statuto costituzionale sta nel dritto pubblico del Regno, cioè quello che venne largito dal defunto Vostro Augusto Genitore Ferdinando II. Il quale Statuto, se dopo qualche tempo si trovò sospeso in conseguenza di luttuosi avvenimenti, che non accade ora rammentare, non però fu mai abrogato, come in qualche altro stato Europeo è avvenuto.

Che però sembra ai sottoscritti esser semplice e logica la idea, che quello Statuto appunto sia richiamato nel suo pieno vigore.

Così facendo la M. V. trova bella e fatta l'opera della quale vuole che questi suoi Stati godano i benefici effetti; lo straniero ammirerà la sapienza della mente Sovrana in

— 194 —
Firmati — Giacomo de Martino,

Principe di Torcila,

Francesco Sav. Garofalo.

Giosuè Ritucci.

Federico del Re,

Gregario Morelli.

Marchese Augusto La Greca.

Antonia Spinelli.

(32)

Ecco i decreti Reali

Francesco II. Per la grazia di Dio ecc: ecc.

«Visto il nostro atto Sovrano del 25 Giugno e visto il rapporto dei nostri ministri segretari di stato.

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue.

Art. 1. La Costituzione del 10 Febbraio 1848 concessa dal nostro Augusto Genitore, è richiamata in vigore.

Art. 2. Le disposizioni contenute nell'articolo 88 della Costituzione relativamente allo stato discusso ed antiche facoltà del governo, per provvedere con espedienti straordinari ai complicati ed urgentissimi bisogni dello stato, restano in pieno vigore, finché non si sarà provveduto dal parlamento nei modi costituzionali.

Art. 3. I nostri segretari di stato sono incaricati della esecuzione del presente decreto.»

Napoli 1. Luglio 1860.

Firmato — Francesco
— 195 —

Francesco II.

Per la grazia di Dio ecc, ecc.

R Visto il decreto 1. Luglio col quale si richiama in vigore la Costituzione del 10 Febbraio 1848.

Volendo al più presto circondarci dei lumi e dell’appoggio della nazione rappresentata legittimamente in parlamento, onde rendere un fatto, con la promulgazione delle Leggi organiche, i dritti garantiti dulia Costituzione:

Sulla proposizione del nostro consiglio dei ministri.

Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue.

Art. 1. Il parlamento nazionale è convocato in Napoli pel 10 settembre 1860.

Art. 2. I collegi elettorali sono convocati per procedere alla elezione dei deputali il 19 agosto.

Art. 3. In mancanza d'una legge elettorale sarà provvisoria quella del 29 febbraio 1848 e del decreto del 24 maggio stesso anno.

Art. 4. Il nostro ministro segretario di stato dell'interno, è incaricato della esecuzione del presente decreto.»

Napoli 1. Luglio 1860.

Firmato — Francesco.

Il ministro segretario di stato dell’interno

Firmato — Federico Del Re,

Il ministro segretario di stato

Presidente del consiglio dei ministri

Firmato — Antonio Spinelli.

(33)

Ecco due ordinanze del prefetto di polizia che qui si conviene registrare.

— 196 —

Prefettura di polizia

» Il Prefetto in considerazione che i buoni cittadini manifestano preoccupazioni e timori per possibili meno contro il Regime costituzionale, affrettasi a rassicurarli, dichiarando che l'autorità preposta a tutelarlo, veglia con diligente operosità e saprà con fermezza colpire quei faziosi ed incopregibili perturbatori, che credono ancora, provocando all’anarchia ed eccitando le passioni colpevoli, poter ritornare allo antico stato di cose. Che costoro ricredansi una volta per sempre e rientrino pacificamente all’ordine che ora governa, altrimenti saranno contro di essi adoperati tutt’i mezzi di repressione che le leggi autorizzano, per far sì che la pace e tranquillità pubblica non soffrano verun'alterazione».

Napoli lì 9 Luglio 1860. — Il Prefetto di polizia.

Firmato — Liborio Romano.
Prefettura di polizia

» Sulla considerazione che i luoghi di custodia pei detenuti e per gl'imputati, debbono servire all'unico scopo di assicurarsi delle persone dei colpevoli, per garenzia della giustizia e non mai a quello di soggettarli a privazioni e sofferenze, incompatibili con i principi di umanità e di ragione, su cui deve poggiare il sistema di prevenzione e di espiazione delle pene, in ogni ben regolato e civile governo.

Il Prefetto provvede

Che vengano chiusi ed aboliti perpetuamente i così detti criminali, o segrete di qualunque natura in tutte le carceri e luoghi di detenzione della Capitale.

2. Che una deputazione nominata dal segretario generale della prefettura, proceda immantinente alla esecuzione di tale operazione».

Napoli 9 Luglio 1860.

Il Prefetto di polizia

Firmato — Liborio Romano
— 197 —

(34)

I due ambasciatori straordinari scelti a negoziare la lega furono i ministri Manna e Winspeare.

(35)

È fama che questa turpe aggressione, fu macchinata dal Prefetto di polizia Liborio Romano e da essolui protetta.

(36)

Comandava la piazza a tale epoca il maresciallo di campo Conte d'Aragona Cutrolìano, allora chiamato a questo posto interessante.

(37)

Ordinanza del comandante della Piazza di Napoli.

» Onorato dalla Sovrana Clemenza del comando della provincia e piazza di Napoli, ne assumo con particolar piacere l'incarico, annunziando, in forza delle ministeriali considerazioni qui sotto trascritte, esser cessato lo stato di assedio pubblicato con l’ordinanza del 28 giugno, ultimo; e pieno del convincimento che l’ordine pubblico non sarà più turbato, si renderà inutile qualunque ritorno alle straordinarie misure, che per la tutela dei buoni abitanti di questa Capitale han potuto esser momentaneamente adottate.

Il consiglio di ministri segretari di stato, vista l'ordinanza del comandante la provincia e piazza di Napoli del 28 giugno ultimo, che stabilì lo stato d'assedio nella capitale.

Considerando che la tranquillità pubblica è ristabilita e che la restaurazione dello statuto costituzionale e dei decreti che gli fan seguito da un lato, e dall'altro lato il senno civile dei buoni abitanti di questa Capitale, non secondo a quello degli altri popoli d’Italia, sono una guarentia che l’ordine pubblico non potrà essere ulteriormente turbato.

Certo d'altronde della forza del governo per ristabilirlo ad ogni evento, a norma delle leggi e dei regolamenti di piazza in vigore — Dispone.

— 198 —

1° Che lo stato di assedio per la capitale sia tolto.

Che fino a quando la guardia nazionale provvisoria non sarà formata per la città di Napoli, la truppa seguiti a prestare servizio per la tutela dell'ordine pubblico». Napoli 2 luglio 1860.

Il maresciallo di campo Conte d’Aragona Cutrofiano.

(38)

La guardia nazionale fu dapprima poco numerosa; venne poi a 19 luglio cresciuta di numero e da ultimo a dì 27 agosto sommava al numero di dodicimila.

(38) bis

Il generale Viglia era quel desso, che, nella qualità di maggiore del decimo reggimento di fanti, si segnalò cotanto nella guerra che combattette Re Carlo Alberto di Savoia contro le milizie Austriache nell'anno 1848.

(39)

Ecco l'ordinanza del ministro della guerra generale Pianell.

«Chiamato dalla sovrana clemenza al grave e difficile incarico di ministro della guerra, ne assumo ogni responsabilità, fidente nella universale cooperazione: ma sento l'obbligo ed il dovere di manifestare sin dal primo istante e con piena franchezza, quali saranno i fermi miei divisamenti.

Gli ordini costituzionali e rappresentativi conceduti da S. M. vogliono che ormai, se pur'è necessario, si stringa vieppiù l'esercito alla patria, e i militari tutti ubbidienti e disciplinati tutelino nel tempo stesso gl'interessi più vitali del trono e dell’universale. Deciso ad evitar sempre qualsiasi discordia intestina, o fratricida, l'esercito chiamato a lottare avrà tutti i mezzi e la forza per combattere e trionfare.

Abbia dunque fiducia nei capi e quella ubbidienza passiva ch'è fondamento ad ogni ordinato esercito, e farà sicuro il risorgimento italiano.

— 199 —

Pertanto scopo non mai verrà meno la dovuta ricompensa

E per l'opposto l'inadempimento dei propri doveri, la tolleranza o negligenza verso i subordinati, la tiepidezza verso le nuove instituzioni, avran col biasimo, il castigo.

Gli uffiziali generali, e di qualunque rango, gli uffiziali, i sottuffiziali e soldati abbiano perciò in mente che Re costituzionale, alleanza italiana, autonomia propria, bandiera italiana, ormai ci rimiscono come in una sola famiglia, onde dimostrare che siamo tutti mallevadori delle novelle instituzioni, profittevoli all'universale e segnatamente a quanti sono, o s'incamminano, nella gloriosa carriera delle armi.

Napoli 15 luglio 1860.

Il ministro della guerra

Firmato — Pianell.
(40)

Registriamo letteralmente le parole scritte dal ministro Liborio Romano nell'assumere il carico di ministro dell'interno.

Ministero e Real segreteria di stato dell'interno.

«Cittadini!

«Nei gravi momenti in che venni assunto alla prefettura di polizia di questa nobilissima capitale non indarno mi rivolsi al vostro senno civile. Lo spettacolo che deste alla nostra Italia ed alla Europa di un popolo degno per saviezza e temperanza dei suoi novelli destini, mi confortò non poco nelle ardue e penose incombenze. Vi ringrazio della vostra carità cittadina. Ma se l'amore dell'ordine, la moderata ansia dell'aspettazione, la concordia pacata degli animi, mi aiuta a superare le prime difficoltà, compagne di ogni transizione politica; è la sola persistenza in queste virtù civili, che coopera eminentemente a raffermare le libere instituzioni, a secondare i generosi principi, a ritrarre degna cittadinanza da ordinata libertà. Di questi ricordi a voi non è uopo.

— 200 —

Costanti

Io tra questi chiamato dall'augusto Sovrano al ministero dell’interno e della polizia, troverò nella costanza del volere, nella lealtà dei principi, nei lumi degli onorevoli uomini miei compagni, e soprattutto nella confidenza del paese, la forza sufficiente per condurre, in modo conforme all'altezza dei tempi e con impulso vitale, un ministero destinato a coordinare nei limiti dei poteri costituzionali ed in mezzo al sagace andamento della pubblica tranquillità la macchina dell'amministrazione civile alle nuove maniere di reggimento. Agevolatemi quindi del vostro concorso, affinché alla prontezza ed efficacia delle intenzioni, rispondano pronti e durevoli effetti; alle antiche speranze di una vita politica forte ed italiana, ne consegua il celerò raggiungimento.

Intanto vi annunzio che il ministero va a completarsi con nomi a voi noti per fermezza di carattere ed amore verso la patria comune. Appena integralmente costituito tiara il programma della sua condotta, per indi mettersi indeclinabilmente sul cammino, a cui meta siede la pubblica prosperità, il risorgimento, l'onore, la grandezza della nazione».

Napoli 16 luglio 1860.

Il ministro segretario di stato dell'interno e della polizia generale.

Firmato — Liborio Romano
Ministero o real segreteria di stato dell’interno.

«Corrono intorno elenchi di nomi, che si danno come spie della vecchia polizia, e si vogliono così designare alla pubblica esecrazione. In taluni comuni del Regno si è osato per lino di porre alle stampe questi elenchi, e di farli trova re affissi per le cantonate.

lo dichiaro esser questa una mena sovversiva di nefanda invenzione.

— 201 —

Questi nomi non li ha segnalati la pubblica autorità, che pone invece ogni cura in estinguere qualsivoglia sorgente di odio e dare alle sole leggi l'impero di vendicare qualunque ingiustizia, col punire tutte le nefandezze dei calunniatori. Indicata dal solo maltalento delle private vendette la infamazione che su di essi si vuoi versare, essa può ferire qualsivoglia più rispettabile ed onoranda persona.

Però raccomando ai buoni cittadini di non prestare, né credito, né appoggio a questa iniqua perfidia. E dispongo che dovunque, s'inibisca e s'incrimini la pubblicazione, l'affissione, e lo spargimento di tali elenchi.»

Napoli 16 luglio 1860.

Il ministro segretario di stato dell'interno e della polizia generale.

Firmato — Liborio Romano.
(40) bis

La reazione iniziata dai soldati della guardia Reale, fu sodata da tutti gli uffiziali che si trovavano per lo vie della città e dal comandante della piazza, generale Viglia, il quale incontanente andò al largo del castello e di persona dette gli ordini opportuni.

(41)

Noi qui registriamo i due proclami, del Re porche li reputiamo degni d’essere ricordali

Proclama di S. M. il Re ai suoi stati continentali

«Dopo la pubblicazione del nostro atto sovrano del 25 giugno ultimo, col quale concedemmo ai nostri popoli uno statuto sopra basi nazionali ed italiane, insieme ad un' amnistia generale per tutti i reati politici ed annunziammo l'idea di entrare in accordo col Re Vittorio Emmanuele per l'interesse delle due Corone in Italia;

— 202 —

e dopo il nostro atto successivo del 1.° di questo mese, col quale richiamammo in vigore per questa parte dei nostri stati lo statuto promulgato il 10 febbraro 1848, nobile e grande è stato il senno civile di tutte queste nostre province continentali e di questa nostra grande Metropoli.

Hanno esse mostrato a tutta la colta Europa, che questi nostri domini non erano da meno di tutti gli altri stati italiani, i quali sono dianzi pervenuti a rigenerazione politica e ad unità di principi;

Che se questi stati dopo tanti secoli, nel corso dei quali il risorgimento d'Italia si ebbe per delirio di mente inferma, vincendo ostacoli di ogni maniera, seppero elevarsi a tanta gloria, ciò non avvenne altrimenti, se non per la piena sommessione ch'ebbero all'indirizzo dato da valenti uomini a' grandi interessi nazionali ed alla gloria della penisola. Né inferiori ali altri italiani si sono dati a divedere i popoli di questi Reali stati, poiché lungi dall'abbandonarsi in questi pravi momenti agli errori che spesso riescono fatali alla libertà e macchiano la storia delle nazioni, attendono invece nella calma più ammirevole da noi e dal governo dello Stato, l’attuazione della grande opera loro promessa.

La nostra aspettativa dunque non fu delusa, e noi nel rendere grazie ai nostri popoli di un sì nobile e glorioso contegno, ci vediamo altamente rincorati per menare a compimento, con la maggiore perseveranza, il gran disegno, donde emanar debbono la piena felicità, la grandezza e la gloria di questi popoli colti e gentili, che la Provvidenza affidò alle nostre cure.

Ed assai più accresce la gioia del nostro Reale animo il pensiero, che chiamati dagl'imperscrutabili decreti della Provvidenza a reggere le Sicilie in età Unto giovanile, ci troviamo assai di buon'ora iniziati in quel sistema rappresentativo, il quale forma ormai il dritto pubblico di tanti stati inciviliti.

— 203 —

Così che inoltrandoci nella difficile arte del governare,questa ci verrà come spianata e fatta più facile da' lumi di una stampa saggia e veramente nazionale e dal concorso di tutti gli uomini di alto senno politico e civile, che sederanno nelle camere legislative.

Abituati cosi noi ben presto alla pratica del sistema novellamente inaugurato, abbiamo piena fede, che, col divino aiuto, queste belle province continentali, che formano una parte dei nostri stati, portando a compimento gli alti destini della grande nazione italiana, sapranno raggiungere e conseguire in. breve tempo, quella potenza, grandezza e prosperità, che formano il maggior voto del nostro Reale animo.»

Napoli 15 luglio 1800.

Firmato — Francesco.

Il presidente del consiglio dei ministri

Firmato — Spinelli.

Proclama di S. M. il Re all’esercito ed all’armata

«Di nostra piena, libera e spontanea volontà abbiamo conceduti ordini costituzionali e rappresentativi al Reame, in armonia coi progressi della civiltà e coi bisogni dei popoli, che la Provvidenza ha alle nostre cure confidati.

Voi entrerete lealmente in questa nobile e gloriosa via e vi unirete al patto costituzionale che ci lega in una sola famiglia; voi sarete campioni di giustizia, di umanità, di disciplina, di amore di patria; voi la speranza dei vostri concittadini; saldo sostegno del trono e delle nuove instituzioni e strumento della grandezza e della prosperità nazionale.

Io ricordo con tenerezza e gratitudine di quale fedeltà ed ubbidienza siete stati fin' oggi capaci, ed abbiatevene le più vive grazie, come segno della mia soddisfazione. Niuno più del vostro Sovrano, può rendere le debite lodi ai vostri meriti, che i deplorabili trascorsi di taluni pochi traviati, per ignoranza, o per maligne e stolte insinuazioni, non possono denigrare.

— 204 —

Ora conviene che, onorevoli per dignità e moderazione, facciate del vostro braccio sostegno al nuovo ordine di cose e ad una nuova politica ferma e conciliante, la quale valga a dar fiducia alle popolazioni e dileguare le apprensioni della diplomazia, di vedere sconvolto l'equilibrio politico dell'Europa; ed il vostro passato mi è garante dell'avvenire. Soldati, novelle sorti ci chiamano a rialzare la dignità del nostro paese italiano: siati alteri di questo mandato. II popolo che ha fatto redivivere per due volte la civiltà di Europa, non verrà meno nel difficile aringo di riconquistare colla sua indipendenza quell'alto primato, che la sua posizione geografica, la forza delle armi e la storia gli consentono; di questo popolo voi siete gran parte, e sostener ne dovete oggimai la gloria e la grandezza. 11

Napoli 15 luglio 1860.

Firmato — Francesco

Il presidente del consiglio dei ministri

Firmato — Spinelli.

(42)

A suscitare le gare di simpatia tra l'esercito e la guardia cittadina, 'era intento il ministro della guerra; il quale ne fece opportuna manifestazione: e noi non trasandiamo di registrarne il testo.

Ordine di S. E. il ministro della guerra all'esercito.

«Liberi, spontanei, magnanimi sensi, facevano dare al nostro augusto Sovrano ordini costituzionali e rappresentativi al Regno, 'e noi giurammo fede, innanzi a Dio ed agli uomini, a questo novello ordine di cose, ed alla bandiera che la Maestà Sovrana faceva sventolare, a malleveria degli alti destini a cui chiama i suoi popoli.

Noi saremo potente istrumento di questa generosa impresa, che ha le simpatie ed i voti del mondo incivilito.

Avrete in ausilio a questa grande opera la guardia nazionale; nobile instituzione, che chiama i vostri patri, i vostri fratelli, i vostri figli, a difesa di quella famiglia da cui siete usciti, e di quella patria in che nasceste.

— 205 —

Rispondete con gratitudine a questo santissimo ministero. Se il grido di guerra si leverà da un capo all'altro, se l'ora suprema delle battaglie richiederà l'olocausto delle nostre vite, la guardia nazionale tutelerà le nostre proprietà, e le nostre più care affezioni e quanto di più sacro ne lega alla terra natale.

Onorate questi pacifici cittadini posti a difesa del trono costituzionale e dei comuni interessi: essi ne sono degni per altezza di uffizio ed individualità. Imperoché empiono le loro file uomini conosciuti per la loro dottrina, chiari nelle arti, onorevoli per le industrie che sostengono. Non ohbliate questi sensi; inflessibile nei miei proponimenti e premiatore delle vostre virtù militari, io attendo da voi quella obbedienza, quella fiducia nei capi e quella disciplina che conducono alla sicurezza ed alla vittoria. Seguite questa via di lealtà e di onore, e l'ammirazione delle civili nazioni e dei vostri concittadini, onorerà la vita ed il nome del soldato, che non rinnegò la sua patria nella solenne ora della necessità e della gloria.»

Napoli 25 luglio 1860,

Il ministro della guerra

Firmato — Pianell.
(43)

L'addio scritto dal generale Nunziante alle truppe leggiere del Napolitano, essendo mestieri che tutti ed anche gli avvenire sappiano, ne riproduciamo il testo.

«Commilitoni!

«Poco fa, nel dare addio ad una parte di voi, io vi esortai a mostrarvi sempre soldati, non meno valorosi verso i nemici d'Italia, che generosi verso gl'inermi, ed a dare nobilissimo prove di questa vera virtù militare nella nuova via di gloria che la Provvidenza destinava a tutti i figliuoli della gran patria comune.

Il momento di attuare queste mie esortazioni è oramai giunto!

Separato da voi, crebbe ancora più in me il pensiere della vostra prosperità, del vostro onore, della vostra gloria.

— 206 —

Ed avendo studiato le condizioni di tutta Italia e di Europa, mi sono profondamente convinto, che per voi e per tutta questa bella parte d'Italia, non vi è altra salvezza, se non quella d'appartenere alla intera famiglia italiana, sotto lo scettro glorioso di Vittorio Emmanuele, quell'ammirabile Monarca, che l'eroico Garibaldi venne non ha guari ad annunziare in Sicilia, e che fu evidentemente eletto da Dio, nei suoi fini imperscrutabili, a costituire in gran nazione la nostra patria comune, sin ora cosi indegnamente spogliata ed assassinata.

Questo pensiero mi ricondurrà irresistibilmente tra voi, risoluto di operare fraternamente con voi, e con voi compiere il santo mandato, di cui dobbiamo sentirci tutti investiti dalle supreme necessità di patria.

Finché la Provvidenza ha tollerata la Italia divisa, io ho saputo essere il più costante verso la causa che mi trovava di avere abbracciata. Ma quando la mano visibile di Dio, intende onnipotentemente a riunirla, chiunque non ne segue

10 impulso, è traditore della patria.

Questa santa verità si fa strada da se nelle vostre coscienze, e nella compressione in cui vi trovate, vi trascina alla diserzione spicciolata.

Non seguite questa via, poiché ella è funestissima alla patrial'

Il Re Vittorio Emmanuele, in cui l'Italia s'incarna, ha bisogno di avervi tutti intatti e disciplinati, per valersi del vostro fortissimo braccio a debellare quello straniero, che fu

Il nemico eterno di ogni nostra felicità, a.

Italia settentrionale, agosto 1860.

Alessandro Nunziante.

(44)

Giova senza dubbio registrare la lettera che S. A. R. il conte di Aquila indiresse al ministro della marina.

— 207 —

Comando generale della Real marina

Eccellenza.

«Dopo d'avere ieri 16 stante prestato nelle mani di V. E. il giuramento alla costituzione, riunì tutta la corporazione di marina, da generali in sotto, i quali prestarono nelle mie mani, giusta lo stabilito dalle ordinanze, l'eguale giuramento.

Mi gode l'animo di poter fare presente all'E. V. i sentimenti di verace attaccamento al Re costituzionale, e i veri sentiti principi italiani e nazionali, nobili e fermi che tutta la marina professa, e che concordi tutti allo stesso fine, allo stesso scopo, sono e saranno sempre per la difesa di siffatti principii e dell'onore del vessillo a noi affidato, fino allo spargimento dell’ultimo sangue.

Eccellenza, non posso tacere la mia commozione, il mio contento nel vedere espressa cosi uniforme, così sentita manifestazione per una si santa causa nazionale, che in tutti coloro i quali hanno l'onore di vestire la difesa di mare, n' è la loro religione, là loro unificazione. Ed io ora, lusingato di essere al comando di questa nobile corporazione, con la quale ho diviso fin dai primi anni i disagi ed i principii, non fo altro per estrinsecare i sentimenti stessi, che ripetere all'È. V, che la marina, con me a capo, è e sarà sempre un tutt'uno per la difesa e pel sostegno di questi sacrosanti principii, giurati con deliberato animo di volerli sostenere, rigettando ogni calunniosa diceria che si potesse mai spargere da chicchessia in contradizione di ciò.

Mi permetto intanto di trasmettere a V. E. copia del mio ordine del giorno 7 corrente, che diressi alla marina, quando n' ebbi il comando.»

Napoli 17 luglio 1860.

Firmato — Luigi Borbone.
Ordine del giorno al corpo della Real marina.

«Con decreto del 1° corrente luglio sono state a me conferite le attribuzioni di comandante generale di marina, e

— 208 —

Nel presente nuovo ordinamento della marina militare, riguardo come il più lusinghiero stadio della mia carriera nella marina' questo, in cui mi sarà dato di dimostrare a tntti, come per le innumerevoli possenti ragioni che ciascuno mi ha somministrato, io abbia sempre amato e stimato tutti, avendo avuto la opportunità di considerare e pregiare, non pure le nobili azioni di ognuno, ma ancora i sublimi principii che ne davano l'impulso; per lo che pregio ed amo questa corporazione alla quale fin dalla più tenera età mi trovo indissolubilmente ligato. Voi ben sapete, e so io, quante giuste ragioni mi abbia, per sempre più pregiarla ed amarla. Da ciò si argomenti la sincera gioia, che io provo, in pensando ai novelli destini della nostra marina militare, la quale alle antiche glorie ed agli splendidi fasti che rammentano le istorie, trovasi or chiamata ad irradiarsi di più fulgida luce.

Le nuove facoltà che mi sono state attribuite io rivolgerò tutte allo scopo che sempre ho avuto in mira, di fare ascendere la marina militare al più alto grado di splendore, ed al presente col più ardente zelo mi adoprerò, ond'essa contribuisca alla gloria ed al lustro di una marina vera italiana.

Né verrà meno il mio proponimento, se tutti animati da un possente operoso desiderio di ben faro vi concorreranno e se da ciascuno sarò coadiuvato nel compiere l'opera sublime, alla quale con irremovibile costanza mi dedicherò.

Sappia ciascuno che per giungere alla desiatamela il cammino dio calcherò, sarà quello dell'onore e della lealtà: spianato ed agevole sentiero è questo per qualunque individuo dell’armata di mare, perché tutti da' teneri anni avendo imparato a stamparvi le prime orme, ora franchi e spediti lo percorrono, sicché ognuno potrà seguirmi da presso: tanto più che noi dobbiamo formare un sol'uomo, tutto inteso allo splendore ed alla gloria della nostra manna militare.

Questa bella e gioconda condizione di cose, c'impone severamente l'obbligo di mostrarcene meritevoli,

— 209 —

gareggiando

L'onore del corpo, la lealtà dei sentimenti, la severità. della disciplina, l'onore alla bandiera che or protegge le sorti italiane, debbono attualmente crescere nei nostri petti, e farci degni di entrare, e far bella mostra di patrio valore, nel consorzio delle più grandi nazioni marittime. In quanto a me non verrà mai tempo nel quale mi parrà d'aver fatto abbastanza per sì nobile scopo; e son fermamente sicuro che tutti i componenti della Real marina vorranno cooperarsi, e congiungere le loro forze alle mie, perché possa la nostra patria glorificarsi, più che tenersi contenta, dell'opera nostra. Sono questi i miei sentimenti; i miei voti; le mie speranze, e mi compiaccio di credere, ch'essi trovinsi nel cuore di tutti i componenti della nostra marina militare».

Il comandante generale — Luigi Borbone.
(45)

Come si conviene ricordare ai nostri lettori la lettera scritta a Garibaldi dal Re di Piemonte e la relativa risposta, così noi trascriviamo letteralmente 1'una e l'altra.

Il Re di Piemonte a Garibaldi.

«Generale — Voi sapete che non ho mai approvato la vostra spedizione ed anzi mi sono sempre tenuto estraneo ad essa. Ma oggi la difficile posizione, in cui trovasi l'Italia, mi fa un dovere di mettermi in diretta relazione con voi.

Qualora il Re di Napoli acconsentisse al compiuto sgombro della Sicilia; volontariamente rinunziasse a qualunque influenza su di essa, e personalmente si obbligasse a non esercitare alcuna pressione su i Siciliani, tanto che essi fossero perfettamente liberi di eleggersi il governo che loro tornasse più gradito; in questo caso, io credo, sarebbe per noi il più saggio partito di astenersi da ogni ulteriore tentativo contro Napoli.

— 210 —

Se voi siete di opposto pareremo mi riservo espressamente l'intiera libertà d'azione, e mi astengo dal farvi qualsiasi altra osservazione intorno ai vostri disegni.»

Garibaldi al Re di Piemonte.

«Sire—A vostra maestà è nota l'alta stima e l'amore che vi porto. Ma la presente condizione di cose in Italia, non mi concede di obbedirvi, come sarebbe mio desiderio. Chiamato dai popoli, mi astenni fino a che mi fu possibile. Ma se ora, non ostante tutte le chiamate che mi vengono, io indugiassi, mancherei ai miei doveri, e metterei in pericolo la santa causa della indipendenza d'Italia.

Permettete quindi, o Sire, che questa volta io vi disobbedisca. Appena avrò compiuto il mio assunto, liberando i popoli da un giogo abborrito, deporrò la mia spada ai vostri piedi, e vi ubbidirò sino alla fine dei miei giorni.»

(46)

Riportiamo integralmente le istruzioni, che il ministro della guerra dette in iscritto al colonnello Ànzani, nel commettergli il doloroso mandato di cedere al nemico Milazzo.

Istruzioni date dal ministro della guerra al colonnello Anzani.

«Le quattro fregate a vapore, Fulminante, Guiscardi, Ettore Fieramosca e Tancredi, sotto il comando del brigadiere Salazar, si recano a Milazzo. Con esse parte il colonnello Anzani.

Scopo di questa missione è di trattare lo imbarco delle truppe tutte che costituiscono il presidio di quel castello. Il detto colonnello Anzani quindi, tratterà col comandante delle truppe avverse la cessione del castello, per ottenere lo imbarco delle truppe con armi e bagagli e con tutti gli onori militari, per essere trasportati sul continente.

Se mai non si riuscisse ad ottenere il desiderato fine, perché il comandante sudetto volesse estendere le trattative su

— 211 —

Scopo di questa missione è di sospendere ad ogni costo le ostilità e di trasportare tutte le truppe che dipendono dal generale Clary sul continente, ritenendo, s'è possibile, i luoghi fortificati, tutti, o in parte, secondo la maggiore o minore probabilità di poterli lasciare convenientemente provveduti dell’occorrente per difendersi. Se però sarà necessario sacrificare tutto per salvare le truppe, si miri a questo risultato.

1 vapori francesi possono liberamente trasportare le nostre truppe,. senza timore di ostilità; mentre il ministro di Francia lo ha formalmente assicurato ed ha inoltre per lo oggetti) scritto al console di Francia in Messina.

Le truppe di Milazzo, se saranno imbarcate senza la intelligenza del generale Clary, saranno sbarcate in Castellaneta, mare. Se poi si tratterà con la intelligenza del generale Clary, questi destinerà i luoghi di sbarco per le truppe, secondo crederà più opportuno, tenendo però presente s'è possibile le istruzioni ricevute; cioè di gittare su le coste di Calabria in varii punti il grosso delle truppe ed inviare in Castellammare i battaglioni cacciatori.

Se si possa ottenere, con la cessione dei luoghi fortificati, un impegno formale di Garibaldi di non attaccar guerra sul continente, sarebbe questo il più vantaggioso risultato che si possa mai sperare, conforme a quanto abbiamo domandato all’Europa tutta.

Le condizioni politiche del Regno e lo stato delle nostre truppe, c'impone il dovere di mirare a questo fine. Si badi però a non riconoscere principio alcuno, onde i dritti del nostro Augusto Signore, non siano in nessun modo compromessi.»

Napoli 22 luglio 1860

Il ministro segretario di stato

Firmato G. S. Pianell.

— 212 —

(47)

Convenzione tra il colonnello Anzani ed il generale Garibaldi.

«Art, 1. La truppa napolitana esistente oggi nel forte di Milazzo, ne uscirà con gli onori della guerra; con armi e bagagli; coi pezzi della batteria di montagna appartenenti alla brigata del Bosco e con la metà dei muli della stessa batteria.

2. Il comandante della stessa truppa farà consegnare all'uffiziale delegato dal generale Garibaldi, cannoni, munizioni, attrezzi da guerra, cavalli, bardatura degli stessi e tutti gli accessorii appartenenti al forte, ogni cosa come si trova al momento della stipulazione della presente convenzione,

3. La stessa truppa imbarcherà i viveri necessarii pel suo viaggio; ciò che verrà determinato da un Commessario d'ambe le parti,

4. Nel corso di domani 24 si comincerà l’imbarco della truppa, prestandosi ogni faciltà pel trasporto di essa a bordo dei vapori da guerra, o mercantili, e terminerà l’imbarco nel corso del 25, riservandosi di terminarlo il 26 in caso non si potesse fare altrimenti.

5. I prigionieri e i feriti d'ambo le parti saranno restituiti.

6. Non verrà fatta molestia di sorta ai legni da guerra e mercantili che trasporteranno la truppa, gli effetti ed i feriti napolitani fino allo sbarco, da eseguirsi ove meglio converrà al governo napolitano.

Milazzo 23 luglio 1860

Ministro Francesco Anzani.

Firmato G. Garibaldi.

(48)

Ecco la convenzione falla dal generale Clary a Messina col garibaldino Medici.

— 213 —
Messina 26 luglio 1800.

«L'anno 1860 il giorno e mese come sopra in Messina— Tommaso Clary maresciallo di campo comandante superiore le truppe riunite in Messina ed il signor cav. Giacomo Medici maggior generale delle truppe siciliane; animati dai sensi di umanità e nello intendimento di evitare lo spargimento di sangue, che avrebbe causata l’occupazione della città di Messina e della difesa dei suoi forti.

In virtù dei poteri loro conferiti dai rispettivi mandanti sono venuti alla seguente convenzione.

1. Le Reali truppe abbandoneranno la città di Messina senza essere molestate, e la città sarà occupata dalle truppe siciliane; senza però venire queste molestate dalle prime.

2. Le truppe Regie evacueranno i forti Consaga e Castellaccio nello spazio di due giorni a partire dalla data della soscrizione della presente convenzione. Ognuna delle due parti contraenti destinerà due uffiziali ed un commissario di guerra per inventariare le diverse bocche da fuoco; i materiali tutti da guerra e gli approvvisionamenti dei viveri, e di quanto esiste nei forti suindicati all'epoca che questi verranno sgombrati. Resta a cura poi del governo siciliano lo incominciare il trasporto di tutti gli oggetti inventariati, appena verrà effettuato lo sgombro dei soldati; il compirlo nel minor tempo possibile, e consegnare i materiali trasportati nella zona neutrale di cui si tratterà in seguito.

3. Lo imbarco delle Reali truppe verrà eseguito senza molestia alcuna per parte dei siciliani.

4. Le truppe Regie riterranno la Cittadella coi suoi forti Don Blasco, Lanterna, e Ss. Salvatore, con la condizione però di non dovere in qualsiasi avvenimento futuro recar danno alla città, salvo il caso che tali fortificazioni venissero aggredite; che i lavori di attacco si costruissero nella città medesima. Stabilite e mantenute coteste condizioni, l'inoffensività della Cittadella verso la città durerà fino al termine delle ostilità.

— 214 —

5. Vi sarà una fascia di terreno neutrale parallela e contigua alla zona militare inerente alla Real Cittadella, la quale si slargherà per venti metri, al cui termine saranno apposti dei limiti di contrasegno.

6. 11 commercio marittimo rimane completamente libero d'ambo le parti; saranno quindi rispettate le bandiere reciproche.

In ultimo resta all’urbanità dei comandanti rispettivi che stipulano la presente convenzione, la libertà d'intendersi per quei bisogni inerenti al vivere civile, che per parte delle Regie truppe, debbano venire soddisfatti e provveduti dalla città di Messina.

Fatta, letta, e chiusa il giorno, mese, ed anno come sopra nella casa del signor Fiorentino Francesco banchiere sita alle quattro fontane.» ,

Firmati Tommaso de Clary

Cav. Giacomo Medici

(48) bis

Registriamo l'addio che il generale Clary dette alle sue truppe nel momento di partire per Napoli e la lettera che indirizzò al generale Pergola nell'addossargli il carico del comando della fortezza.

Addio del generale Clary alle sue truppe

«Soldati. S. M. il Re (N. S.) vuole che per poco mi allontani da voi. Durante la mia assenza, giusto i superiori comandi, il signor generale Fergola, ispettore d'artiglieria, mi rimpiazzerà; quindi obbedite quanto esso farà per prescrivervi con cieca abnegazione. Siate costanti nelle privazioni, che dovrete per poco sofferire, nelle fatiche e rammentate ch'è il servizio del Re che lo esige, e so quale attaccamento al Re vi lega.

— 215 —

Spero di rivedervi fra giorni; ma se il destino mi chiamasse altrove, sappiate che di voi tutti serbo grata memoria; e quando il pericolo più si facesse imponente, sarei fortunato d'essere in mezzo a voi che tante prove mi avete date di fedeltà. Ricevetene intanto i ringraziamenti del vostro.»

Generale Clary.
Lettera del Clary al Pergola

«Signor generale. — Una disposizione di S. E. il ministro della guerra, a me comunicata con telegramma di ieri, m'impone lasciare il comando di questa Real fortezza, che resta definitivamente affidato a lei.

Io non ho a darle nel rincontro istruzioni, o consegna, giacché tutto a lei aveva affidato; e ricorderò mai sempre di quanto zelo, assiduità, instancabilità e sapere, Ella mi ha dato ripetute prove. Io non mancherò tutto sottomettere nei singoli particolari alla Maestà del Re (N. S.) ed a S.E. il ministro della guerra, per confirmare in essi l'alta e giusta stima che di lei si hanno ed assicurarli che il geloso deposito in cui son rivolti gli sguardi del Regno non solo, ma dell'Europa tutta, non poteva essere confidato in mani migliori.

Signor generale, noi ci separiamo; chi può sapere quale sarà il mio destino ed il mio avvenire; ma ritenga per fermo, ch'Ella ha saputo inspirarmi tale rispetto e tale ammirazione, che mi crederei felice di poter servire il Re (N. S.) sempre che alla M. S. piaccia, e di avere a compagno, guida e dirò anche (e perché noi direi?) a maestro nel mestiere delle armi, lei —

Accetti signor generale, in questa occasione, le riproteste della mia sincera stima e distinta considerazione,»

Messina 9 agosto 1860.

Tommaso Clary.
— 216 —

(49)

Programma del ministero

Cittadini!

«Allorché con la proclamazione del ministro dell'interno fu data promessa d'un programma sull'indirizzo politico del governo, era dessa la espressione unanime del consiglio della Corona., alla quale ora il ministero non crede porre altro indugio, nel momento in cui la Nazione si prepara a mandare i suoi rappresentanti al primo Parlamento.

Uopo è che il paese conosca le norme generali con cui lo stato cammina; sappia i principii che il governo intende affidare al presente, come cimento dello avvenire; vegga il primo ordito del nostro essere nazionale libero ed indipendente. Per tal guisa la pubblica opinione illuminata dagli atti e dalle intenzioni, procederà allo esercizio del dritto elettorale con calma fiduciosa nella fermezza dei nuovi ordini e con coscienziosa deliberazione nella scelta dei suoi deputati.

Una delle prime cure del ministero, convinto com' è che non possa esservi prosperità nazionale se non sia basata su i principii incrollabili della religione e della morale,sarà quella di proteggere con fermezza il culto dei padri nostri, espressione grande, solenne, imperitura di quel Vangelo, che fu

Il primo a proclamare la fratellanza degli uomini, la emancipazione dei popoli.

All'interno poi l'attuazione piena e sincera della costituzione del 10 febbraio 1848, e la forte e legale repressione di ogni avverso conato, formeranno il sostrato immutabile del governo. Nel lavacro salutare dei dritti e dei doveri ivi consacrati, vuoisi rinvenire la rigenerazione politica del paese, il quale aspetta giustamente di vederne trasfusa la virtù animatrice in tutte le singole parti dell’organismo governativo, cosa alla quale intenderà il ministero.

E cominciando dalle riforme cardinali di principii legislativi, il governo va preparando, per soggettarli al parlamento, analoghi progetti in varie branche di pubblico interesse,

— 217 —

e precipuamente per fondare nel comune una vita nuova più rispondente alle instituzioni politiche; per richiamare la beneficenza a' principii di più ordinata amministrazione, e che mentre ne spandano il sollievo per le classi veramente miserabili, le aiutino a migliorarsi ne' sentimenti morali, sottraendoli alla inerzia ed alla improbità; per isvolgere l'attivazione dei lavori pubblici in quell'ampiezza di misura che permetterà lo stato dei fondi provinciali e finanzieri, e con metodi semplici e rapidi per liberare il pubblico insegnamento dai legami che il costringono, e renderlo altamente educatore, consono al novello vivere cittadino, e comune ad ogni condizione sociale; per istabilire le forme generiche di un più felice avviamento di tutti gli interessi materiali, le quali mirino da un canto a restaurare le finanze coi metodi più utili allo stato e meno gravosi all’universale, e dall’altro a promuovere, quanto è possibile, i commerci, le industrie, le grandi intraprese, specialmente delle vie ferrate, produttrici di quegl'immensi vantaggi che tutti sanno.

Discendendo poi a miglioramenti secondari che rientrano nei poteri esecutivi del governo, esso non farà che proseguirli con animo pronto e deliberato.

Nella giudiziosa e buona scelta dei pubblici uffiziali, stando in gran parte l’arra dei tempi migliori, il governo ha tolto e serberà a regola del conferimento degl'impieghi, la capacità e le provate virtù cittadine, certo che dov'esse albergano, si troverà amore di giustizia, di rettitudine e di ordinata libertà, non mai sconoscimento dei doveri, a dispetto del regime costituzionale. E qui il governo eccita il patriottismo di quanti vi ha uomini onorandi, ad agevolarlo con l'opera loro, e ricorda le parole di un grande italiano: «Non dicano gli uomini: io non feci, io non dissi; perché comunemente la vera laude è poter dire, io feci, io dissi.»

Per l’esterno la condotta del governo è nettamente delineata. Esso è deciso ad ogni costo a tenere alta e ferma la bandiera italiana che il giovane Principe affidava al patriottismo ed alla devozione del valoroso e nazionale esercito.

— 218 —

Nel governo, pari alla lealtà, è il volere costante che spiegherà per vincere le difficoltà dei tempi, fondare e compiere le sorti della patria comune sulle basi di libertà e più ancora di nazionale indipendenza, pensiero supremo di tutti gli animi italiani.

Onde il ministero è pronto e deciso a tutto intraprendere, tutto operare per raggiungere il grande scopo del consolidamento della monarchia costituzionale e della italiana indipendenza.

E fra tanto sostenuto dalla coscienza dei suoi doveri, spera sarà continuato l'appoggio della pubblica confidenza e dell’ordine; e che nelle prossime elezioni, nobile e viva gara sorgerà in tutte le classi degli elettori per far sortire dalla nazionale rappresentanza l'opinione legale della vera maggioranza, cui solo è dato sperdere deffinitivamente le incertezze, annullare fin l'eco importuno del passato e farsi guida delle giuste e legali aspirazioni. «

Napoli 4 agosto 1860.

Firmato — Spinelli.

Giacomo De Martino,

Francesco Sav. Confalo.

Principe di Torcila. Pianeti.

Liborio Romano.

A. M, Lanzilli.

— 219 —

(49) bis

Vuolsi generalmente che Giacomo de Martino ministro degli affari esteri, avesse svelato a Liborio Romano la confidenza fattagli da S. A. R. il Conte di Aquila.

(50)

Il Re per mostrare al conte di Aquila ch'era stato forzato a decretare l’esilio di lui, gli scrisse una lettera affettuosa. Noi stimiamo trascriverla integralmente.

«Mio carissimo Zio.

«Nel momento in cui vi disponete a lasciare il nostro suolo natale, io non posso passarmi dallo indirizzarvi queste due linee per darvi con tutta la effusione, che voi conoscete, uno addio.

Son persuaso, che accetterete queste dichiarazioni, le quali emanano dal fondo del mio cuore. A nome della nostra affezione vi chiedo, che mi diate spesso vostre notizie, e siate convinto che le riceverò sempre con gioia: quale che sia il luogo dove io mi trovi, non vi dimenticherò giammai.

Fo dei voti, perché il vostro viaggio e la vostra futura dimora vi siano i più favorevoli possibili, come alla mia Zia, cui voi farete i miei più affettuosi complimenti, ed ai miei cugini, vostri figli, che stringo al mio cuore.

Vi prego di accordarmi la continuazione del vostro antico affetto, ed in qualsiasi luogo voi potrete essere, vogliate contare su i miei sentimenti costanti. Adempiendo ai doveri di un nipote verso suo zio, vi dò con tutto cuore il mio addio, e mi sottoscrivo.»

Il vostro affezionato nipote.

Francesco.

— 220 —

(50) bis

Il generale Filangieri Principe di Satriano era nel numero degli uffiziali al riposo, perché il generate Pianell nell'assumere il carico di ministro della guerra, avevalo noverato tra questi, affinché men facilmente potesse fare opera di consigliare il Re, in vantaggio della indipendenza della patria.

(51)
Non stimando riprodurre tutto il commercio delle lettere officiali del generale Marra col generale Vial e col ministro della guerra, trascriviamo solo quelle che reputiamo di maggiore importanza.
Reggio 5 Agosto 1860 — Al generale Vial.

«Come appendice al mio telegramma di ieri mi dò l'onore farle noto, che qui il comando delle truppe in alto dipende dal comandante la provincia, da me e da lei. Nelle gravi circostanze l’unità di comando è condizione indispensabile, se veramente si vuole agire.

Sulla linea da villa S. Giovanni a Scilla sono otto compagnie, e non da me piazzate. Io, signor maresciallo, sono per i corpi compatti, per le forze riunite, non per lo sperperamento. Noi facciamo uno studio per disseminare la gente, e renderla debole su tutti i punti. Conseguenza di tale sistema, è di trovarsi Bacchi per impedire uno sbarco, dissestati per viveri ed alloggiamenti, ed astretti a lunghe marce per riunirci, se le circostanze il richiedono.

Bisogna stare sul luogo per disporre le difese e per tutt'altro.

Le circostanze del momento influiscono potentemente sulle operazioni militari. Si maraviglia che in Reggia gli animali della batteria sono astretti stare al bivacco. Ma se per poco rifletta che nelle attuali circostanze sarebbe imprudente tenerli non vicini ai pezzi, e questi in acconcio sito, per garentirli da un colpo di mano; se considera lo stato del paese

— 221 —

ministro della guerra mi avverte che spedirà il capitano Dellucci per conferire con me! Tempo inutilmente sprecato.

Questo è un mezzo termino, un palliativo.

Intanto il tempo stringe. Ma che non si hanno occhi per vedere? Che son tutti ciechi? Io sono ancora senza quelle tali istruzioni che avrei dovuto qui trovare al mio arrivo.

Non ho aiutante di campo, non capo, né ufficiale aggiunto allo stato maggiore, Ignoro i dettagli topografici di questi intrigatissimi terreni ove dovrei agire, presentandosene il bisogno. Ho chiesta, la carta di Smith all'officio topografico e si tace! sto in fine in Reggio ed ivi tassativamente inchiodato, per opporrai ad uno sbarco che si può tentare da questo capoluogo a Scilla, sul punto opposto al capo dell’Arme ed anco dietro marina. Da Napoli mi dice l’eccellentissimo della guerra che avrò soccorso appena succederà uno sbarco. Ed Ella anche mi ripete che sarò appoggiato dalla brigata Melendez, che si metterà sotto i miei ordini, se lo sbarco si avvera. Mi duole dirlo, se tali soccorsi verranno quando si verificherà uno sbarco, giungeranno troppo tardi, perché uno sbarco si esegue in un'ora e mezzo ed i monti sono vicini alla spiaggia!

Mi risponde alle mie premurose domande che avrò tutta, ma sfortunatamente nulla vedo ancora; e conoscendo per lunga esperienza l'andamento delle cose nostre, dubito, e fortemente, che le promesse non avranno che lontano adempimento, e forse quando saranno inutili.

Dal modo come le faccende qui sono incamminate, scorgendo che un generale non può con onor onninamente uscirne, mi son deciso a scrivere al ministro della guerra che mi Dimetterò dal comando, se per questo giorno non mi giungono le istruzioni promessemi, e non sarà regolarizzato il servizio in tutte le sue parti.» — Firm. B. Marra.

— 222 —

Reggio 4 agosto — Al ministro della guerra.

«Vedendo compromesso il mio onore, se più rimanessi al comando di questa brigata, la interesso spedire chi deve rimpiazzarmi se non vuole che passi la firma al colonnello più anziano. Nessuno delle fattemi promesse è stata ancora attuata. Mancano le istruzioni sul da farsi; i commessarì di guerra; gli ufficiali dello stato maggiore; manca il denaro pel genio ed artiglieria; il pane dei soldati; il vestiario; la gente adatta a far fronte al servizio che si presta ed infine a quanto mi sembra, manca la buona fede; onde mi decido al passo di chiedere l'esonerazione di un così lusinghiero comando se i miei onorati servizi meritano considerazione, spero una seconda classe, se ciò non si crede, la mia dimissione.» — Firm. B. Marra,

Il ministro della guerra al brigadiere Marra — telegramma del 5 agosto.

«Non il ritenere il comando ma l'abbandonarlo compromette il suo onore.

Le farò rendere conto innanzi un consiglro di guerra del suo indegno procedere e delle conseguenze che può produrrò sulla truppa che da lei dipende.

I futili pretesti che espone sono in via di essere dissipali. Io incontro ostacoli di gran lunga maggiori.»

Firmato Pianell.

Il generale Marra al ministro della guerra — telegramma del 5 agosto.

«L'indegno procedere è di chi non ha saputo e voluto disporre le cuse come si dovevano; di chi provvede agli urgenti e vitali bisogni con parole, non con i fatti.

Replico nuovamente che senza commessarii di guerra, il servizio non può andare, senza uffiziali dello stato maggiore, è lo stesso che essere privo di braccia e di occhi. Io bas

— 223 —

In ultimo V. E. mi permetterà dirle che le minacce con un uffiziale come me, sono argomenti da non usarsi!

Metta in esecuzione, e lo desidero ardentemente,il suo pensiere, e spero provare, che l’onore mi è stato sempre unica guida nella mia non breve carriera, (benché sempre mal compensato,) cosa che non da tutti può dirsi, e me ne appello alla memoria di V. E.»

Firm. B. Marra.
(52)

Le milizie nazionali che guardavano Castellammare si componevano tutte di soldati dei reggimenti dulia guardia Reale.

(53)

Ordine del giorno del ministro della guerra all'esercito.

«Nei momenti difficili ed allorché avvenimenti dolorosi succedono, è gran fortuna quando le instituzioni del paese rispondono allo scopo, per cui furono create.

Il governo e la città di Napoli si ebbero questa fortuna, e ne provarono ieri sera e questa mattina la efficacia, pera che tentativi di disordine, e lo attacco del vascello Monarca in Castellammare furono sventati pel contegno ed abnegazione addimostrati dalla guardia nazionale e dalle truppe, e pel valore della Real marina.

Sono quindi lieto di esternare altamente il mio compiacimento e ringraziare a nome del Real governo la guardia nazionale, la marina, e lo esercito, e di potere affratellare questi nomi: perché la guardia nazionale e l'esercito, deputati entrambi per vegliare alla pubblica sicurezza, e mantenere e difendere le libere instituzioni del paese, lo salveranno da ogni sventura, se, come ora, saranno nel proposito di farlo.

— 224 —

Il

Uniti, qualsiasi eccesso sarà impedito, la tranquillità pubblica sarà assicurata, le nostre libere instituzioni si raffermeranno ed i buoni cittadini, plaudenti, renderanno al pari di me, grazie alla guardia nazionale ed all'esercito.»

Napoli 14 Agosto 1860.

Il ministro della guerra.

Firmato Pianell.

Ministero e Real segreteria di stato della guerra.

«Al tocco della mezzanotte del 13 al 14 agosto le sentinelle del 2.° reggimento della Guardia granatieri,situate sul fronte di mare del fortino di dritta, nel cantiere di Castellammare, han ripetuto la voce di all'armi data dalle lance di ronda della Real marina nel vedere che un vapore incognito accostavasi al vascello nazionale il Monarca, ormeggiato nel porto, mentre con le lance dello stesso vapore, gente armata davasi a tagliare gli ormeggi ed a scalare le murate del vascello.

Il grido di all'armi tacendo il giro della catena delle sentinelle ha richiamata l’attenzione degli uffiziali di servizio nei posti circostanti, ed il tocco della generale ha fatto prendere le armi alla guarnigione di Castellammare. Le sette compagnie del 2.° dei granatieri della guardia, ivi stanziato, celeremente recaronsi sulla piazza d'armi e guidate dal proprio colonnello D. Carlo Grenet e dai rispettivi uffiziali accorsero sul luogo del confitto. Tutte le militari precauzioni furono tosto adottate per la sicurezza della piazza dal proprio comandante colonnello Frediani. Con ammirevole slancio furono occupate dai granatieri le batterie del Molo; altri sul ponte del vascello sostennero coi bravi marinari di quella ciurma un vivo fuoco di fucileria col piroscafo ag

— 225 —

Uffiziali, sottuffiziali, e soldati, con eguale bravura, combattettero sino a che cessò il pericolo con la fuga del battello aggressore. La guardia nazionale, animata da vero spirito militare, si radunò anch'essa in armi, e con esemplare contegno imprese a tutelare la interna tranquillità della piazza, che non venne per nulla turbata.

La gendarmeria di quella stazione non rimase a niun'altra corporazione seconda, per zelo, operosità e militare contegno.»

Napoli 15 Agosto 1860.

Il ministro della guerra

Firmato — Pianell.

(54)

Il maresciallo Ritucci era succeduto all’altro Viglia nel comando della piazza di Napoli, ed egli appunto pubblicò l'editto, col quale si dichiarava Napoli nello stato d'assedio.

(54) bis

Il decimo primo dei cacciatori non ancora era giunto in Calabria quando il generale Vial ordinò che facesse parte della brigata del Ruiz. Esso sbarcò il giorno 20 Agosto alla marina di Sidernia ed operò in modo d’arrivare fino in Monteleone plaudito e rispettato. Comandava questo battaglione il tenente colonnello de Lozza.

(55)

Capitolazione fatta dai difensori del castello di Reggio il di 21 agosto 1860.

«I sottoscritti cav. Carlo Callotti generale del Real esercito di Re Francesco II. ed il generale Giuseppe Garibaldi comandante in capo l’esercito meridionale, son convenuti circa la resa del castello ed allo sgombro della città alle seguenti condizioni.

— 226 —

1. Le truppe di presidio nel castello usciranno con armi e bagagli ed onori militari, famiglie, sacerdoti ed altri dei castello stesso.

2. L'artiglierie mobili e stabili vengono escluse dal sudetto articolo, non ché animali da sella e tiro, qualunque ne siano i proprietarii, dovendo uscire il solo personale con le sopra espresse condizioni.

3. Il castello sarà consegnato come esiste, in materiali, munizioni, e viveri, mediante regolare consegna.

4. Il bagaglio e le famiglie che abitano in città saranno parimenti liberi di uscire, compresi tutti gl'impiegati amministrativi attaccati alle truppe.

5. I prigionieri saranno restituiti con armi e bagaglio, tranne qualche arma dispersa che sarà compensata con altra.

6. Gli ammalati nello spedale militare ed in quello civile saranno curati ed imbarcati con armi e bagaglio ed a loro piacimento.

7. Le truppe napolitano sgombreranno in giornata dal castello ed andranno a quartiere nello spedale militare ed alla Palazzina, ove saranno liberi di approvvisionarsi fino all’arrivo dello imbarco per Napoli; non saranno menomamente molestate, dovendo l'imbarco eseguirsi al più presto appena verranno i vapori, per lo che si daranno le provvidenze più energiche.»

(53) bis

I sospetti di fellonia di cui era accagionato il generale Briganti, ebbero origine da una lettera che fu intercettata, indirittagli da Garibaldi, con la quale questi pregavalo di avere insieme un colloquio.

— 227 —

(56)

Il vapore francese il Protys, era una delle nove navi delle messaggerie imperiali, che il governo napolitano aveva dovuto noleggiare al prezzo di 466 mila franchi al mese, perché su la marineria militare del Regno, ch'era la più numerosa e la più possente di tutta Italia, niuno assegnamento poteva farsi.

(56) bis

Il generale Melendez dopo i disastri delle Calabrie andò in Gaeta per rendere volontariamente ragione delle sue opere. La sua condotta fu esaminata dal tribunale militare dal quale venne come incolpabile dichiarato.

(57)

E qui sappiasi, che il Vial andato in Gaeta, quando l’esercito napolitano si raggranellò sul Volturno, fu dal tribunale militare, che sentenziò sulla condotta da lui tenuta nelle Calabrie, dichiarato incolpabile delle cose colà avvenute.

(57) bis

Il generale Ghio, quando l'esercito napolitano si riunì nella valle del Volturno, restò volontariamente in Napoli e fu eletto da Garibaldi a comandarne la piazza, appena essa venne in potestà del governo dittatoriale.

(58)

Diamo ai nostri lettori per sommi capi la capitolazione fatta dal generale Caldarelli col comitato rivoluzionario di Cosenza.

«La brigata è composta del reggimento carabinieri a piedi, della batteria n° 8. e di due squadroni del 2.° reggimento lancieri.

«Essa si obbliga di non combattere più contro Garibaldi,

— 228 —

Lascerà il materiale superfluo, non che trecento fucili che trovansi in deposito.

Il comitato di Calabria Citra si obbliga di non molestare dette truppe nella marcia a traverso le province di Cosenza, Basilicata e Salerno, giusto l'itinerario qui sotto indicato. Inoltre inviterà tutti i capi politici e militari della linea da percorrersi dalla brigata, di fornirla di alloggi, viveri, e quant'altro potrà loro bisognare dietro conveniente rimborso.

L'itinerario della brigata è il seguente:

il 27 corrente agosto da Cosenza a Tarsia.

il 28 da Tarsia a Castrovillari.

il 29 da Castrovillari a Rotonda.

il 30 Riposo.

il 31 da Rotonda a Castelluccio.

il 1 Settembre da Castelluccio a Lagonegro.

li 2 da Lagonegro a S. Lorenzo la Padula.

il'3 Riposo.

il 4 da S. Lorenzo la Padula ad Auletta.

il 5 da Auletta ad Eboli.

il 6 da Eboli a Salerno.»

(58) bis

Capitolazione fra il capitano di gendarmeria Castagna ed il capitano Caldoni della guardia nazionale di Tito, che dal Boldoni, cangiata in alcuni patti, fu approvata.

» Dopo il progetto di capitolazione fattosi la sera del 18 al 19 agosto fra i suddetti capitani per essersi trovata la gendarmeria circondata nell’atto della ritirata, la capitolazione si sommise per l'approvazione dal detto capitano Caldoni al colonnello Boldoni, capo militare della insurrezione, il quale prescrisse quanto segue.

— 229 —

E trovandosi la gendarmeria in posizione tale da non potersi più sostenere, né volendo sparger sangue, dovette accettarne le condizioni.

Esse sono.

Art. 1. — Velo al passato.

Art. 2. — Il principio della capitolazione fatta fra i due capitani essendo quello di non sparger sangue fra borghesi e militari, tutti nati nella stessa terra e che hanno gli stessi interessi, così non può ammettersi l'art. 1. del progetto.

Art. 3. — Qualunque gendarme rimane libero di ritornare in seno della sua propria famiglia, come pure il capitano e gli uffiziali.

Art. 4. — Va da se che le famiglie di uffiziali e truppa, nonché gli equipaggi che si trovano in Potenza, appartenenti alla suddetta gendarmeria, debbono essere rispettati, garentiti e non insultati da alcuno, poiché base dei governi liberi è il rispetto alla proprietà.

Art. 5. — In riguardo a ciò che si dice nell’art. 4. del progetto, cioè che gli uffiziali e gendarmi potessero ritornare in Potenza, onde liquidare gl'interessi delle rispettive compagnie, si risponde, non potersi introdurre persone che possono portare un allarme in Potenza, a meno che gli ufficiali e gendarmi non dichiarino di accettare il governo provvisorio.

Art. 6. — Qualora i gendarmi volessero far parte dell'esercito del Governo del generale Garibaldi, il sottoscritto garentisce loro il grado che hanno e quello che potrebbe spettare loro in quell'esercito per anzianità di grado e servizio.

Scritto nelle pianure di S. Loia alle 11 a. m. del 19 agosto 1860.»

Firmati (Ti Uli Caldani capitano

(Michele Salvia — capo sezione della guardia nazionale.

Firmati (Salvatore Castagna — Capitano di gendarmeria

(ternata — 2. tenente di gendarmeria

Visto per la legalità delle firme — Il Sindaco — M. Spera. Approvato — Il Colonnello capo militare della insurrezione — Camillo Baldoni.

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(59)

La brigata del generale Bonanno era composta e suddivisa così: due squadroni del 2 reggimento Dragoni, in Foggia; due squadroni del reggimento carabinieri a cavallo, quattro cannoni di campagna, un battaglione di gendarmi a piedi ed uno squadrone a cavallo, otto compagnie del decimoterzo dei fanti, retto dal colonnello Andrea Trigona, in Bari.

(59) bis

Manifestazione fatta dal generale Flòres alle sue milizie.

» Comando della divisione territoriale delle Puglie num.° 2686.—Ordine del Comando Territoriale, — Valorosi uffiziali e soldati. — Il Real Governo costituzionale ordina che vi conduca sopra altri punti di questo Reame per tutelare le franchigie, liberamente e spontaneamente dal Re (D.G.) accordate ai suoi popoli. Noi traverseremo la contrada con quella disciplina, con quella obbedienza che il soldato di qualunque principio, di qualunque sentimento deve conservare per la bandiera sotto la quale milita. Lo abbandono nel momento critico è viltà. Coloro che vorrebbero farvi traviare, un giorno vi disprezzerebbero, se vi accogliessero nelle loro file come disertori. Colui che diserta nel momento solenne del suo sacerdozio, è un traditore. Voi mi seguirete dunque Fiduciosi, nella certezza che io eseguo gli ordini di quel governo costituzionale, di cui sventola l'Italica bandiera sui vostri ranghi onorati. Voi direte a coloro che intendono prevaricarvi che vi è una sola religione sulla terra, una sola morale, e ch'è immorale qualsiasi disdetta al proprio giuramento, al proprio onore. Se un giorno voi sarete destinati a riconquidere il glorioso nome Italiano, voi combatterete al fianco di quelli valorosi, che oggi vi combattono con felici successi; al di loro fianco voi sarete sempre rispettati, perché onesti e morali, perché compiste in tutta la sua estensione il sacerdozio del soldato, in sostenere quella bandiera ch'è il punto di vostro rannodamento, perché l'oriflamma dell'onore.

— 231 —

I popoli napolitani, le Puglie che ne formano adorno, vi accompagneranno con la simpatia, poiché solo il selvaggio vi condannerebbe nell’ardua vostra ulteriore missione. Il presente ordine sarà letto a tutti gli appelli dei corpi.»

Il maresciallo di campo comandante la divisione territoriale. — Firmato Filippo Flores.

(60)

In questa scaramuccia fecesi notare per intelligenza e bravura il capitano Occhionero, capo dello stato maggiore di quelle truppe, il quale seppe eziandio con senno impadronirsi della città, evitando nuova zuffa e senza recarle male alcuno.

(60) bis

Notiamo la lettera che il generale Flores scrisse all’altro Bonanno.

«Comando della divisione territoriale delle Puglie n° 1318— Cerignola 5 settembre 1860 — Pressantissima — ore 12 3|4 p. m. — Sig. generale — Giusto perché io sapeva gli eventi in Canosa e perché gli ordini miei sono di non impegnare affatto la truppa, aveva tenuta ed iniziata la via di S. Ferdinando, essendo meglio valicare un fiume, che disubbidire gli ordini ministeriali con assumere quelle iniziative che non menano a nulla.

In vista di ciò, io la prego lasciare subito Canosa, non compromettersi per nulla, e non farsi consigliare altrimenti. Questo è ciò che la prego caldamente praticare e che le prescrivo. Spero che lei vi si uniformerà.»

Il maresciallo di campo — Firmato Filippo Flores.

(61)

Giova che i nostri lettori leggano in quale forma scrisse il Flores al Governo del Re, quando ordinò alle sue milizie di marciare verso Ariano.

— 232 —

» Telegramma di Flores al comando generale — Cerignola 5 settembre 1860. Ariano ha cacciato via i faziosi che si sono ritirati in Greci; la truppa è attesa ed io marcerò sopra Ariano e terrò rotta per Avelline. Colla innocua attitudine di soldato leale, io rispetterò ovunque le popolazioni e spero che non mi provocheranno.

Andare per Molise ritarderebbe di soverchio la mia marcia, sempre quando non mi s' imponga 'altrimenti» — Firmato Flores.

(61) bis

Per mala ventura non possiamo registrare tutta la lettera che il Flores scrisse al Bonanno per invogliarlo a mutar bandiera, avvegnaché tale documento non ci è riuscito di averlo. Nondimeno registriamo ciò che lo stesso Flores, compendiando quella lettera, pubblicò nel 1861 in un opuscolo col titolo «Rapido cenno della condotta tenuta dalla colonna delle Puglie guidata dal maresciallo di campo Filippo Flores», di risposta alla sesta delle lettere napolitano, che Pietro Ulloa marchese di Favale e Rotondella indiresse il 14 aprile 1861 al duca di Rochefoucauld.

Egli disse aver scritto cosi al Bonanno. «Che il prodigare inutile sangue reputava folle provvedimento senza punto vantaggiare quella causa debellata in Sicilia, a fronte delle migliori truppe delle quali il Regno disponesse e di poi in tutti i punti del napolitano, massime negli Abruzzi, nelle Calabrie, che offrivano bene altri elementi a potere resistere; eppure nulla erasi operato da migliorare un avvenire inevitabile. E però se il generale Bonanno abbisognava di un ordine per siffattamente governarsi, glielo impartiva e ne assumeva la responsabilità,»

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(62)

Il colonnello Trigona vistosi abbandonato da gran numero dei suoi soldati avvisò salvare le insegne del reggimento che comandava ed impossessatosene le menò seco in Gaeta. Ivi giunto, addimandò al Re che un tribunale militare sentenziasse sulle sue opere e sul finir del mese di ottobre 1860 fu dichiarato incolpabile dello scioglimento delle sue truppe. Anche il generale Bonanno andò in Gaeta, non senza gravi pericoli per rendere volontariamente ragione della condotta da lui tenuta nelle Puglie ed anche di lui il tribunale militare dichiarò l'innocenza.

(62) bis

Si conviene qui registrare la lettera d'invito che il Turr scrisse al generale Bonanno per indurlo a venire a patti.

» Corrispondenza del real telegrafo elettrico num. 340 — ore 2 p. m. — Ariano 10 settembre 1860. — Sig. generale Bonnano in Ariano — Abbiamo mandato in Grottaminarda una deputazione composta di tra distinti personaggi, la quale consegnerà una lettera del maresciallo Flores. Ella potrà condursi nella sudetta Grottaminarda per concertare con essi deputati tutto quello che può riguardare non solo il bene comune, ma tutti gli interessi particolari della colonna e degli uffiziali. Son sicuro ch'Ella, animata com'è dal bene dell’umanità e del paese, si recherà dove l'onore e la patria la chiamano. Se per qualunque circostanza Ella non si potrà condurre al predetto luogo, invii degli uffiziali del suo stato maggiore per prendere degli accordi con essi signori, investiti di pieni poteri.

Il quartiere del generale Turr comandante della forza di armata nazionale sarà questa sera a Dentecane. Se il generale lo desidera, potrà abboccarsi col detto generale in Dentecane, o domani in Grottaminarda, dove giungerà il generale Turr colla sua forza. Attendo pronta risposta al mio in

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(63)

Capitolazione fatta dalle truppe del generale Bonanno col garibaldino Tiirr.

» Noi qui sottoscritti dietro ordine ricevuto dal sig. generale cav. Bonanno comandante la colonna di ritorno dalle Puglie, in conseguenza di un invito arrivato per telegramma dal signor generale cav. D. Stefano Turr in Ariano, ci siamo recati in Grottaminarda e quindi in Dentecane, dove, essendoci abboccati verbalmente col riferito sig. generale, si è convenuto ciò che poteva riguardare tutti gl'interessi particolari della enunciata colonna, per la quale abbiamo fra le altre cose domandato il passaggio libero sino a Gaeta per ricondurla militarmente con le sue armi, sotto la veduta eccezionale che la colonna medesima, lontana dai fatti che accadevano nella Capitale, stando nelle Puglie e propriamente a Bari, in tale ignoranza è stata posta in movimento direttamente sopra Avellino, sotto la condotta del signor maresciallo di campo Flores, che così all'oscuro di tutto finalmente la lasciava sulla rotta da Bovino per Ariano il di 9 corrente, circostanza che non ha potuto far prendere l'espediente di adottarsi strada diversa per evitare Avellino.

In vista quindi dell'abboccamento medesimo, esso signor generale Turr ci ha manifestato non poter divenire ad altre condizioni oltre quelle qui appresso segnate, cioè;

1. Tutti i signori uffiziali dal generale fino all'ultimo grado inclusivo, rimangono in piena libertà di tornarsene ove meglio loro piaccia, asportando il loro equipaggio, cavalli ed armi proprie, potendosi dirigere a Gaeta direttamente, o toccar prima Napoli, qualora bramassero colà raggiungere il proprio Sovrano.

2. Doversi manifestare agl'individui di truppa, ch'essi, o debbono sciogliersi, ritornando ciascuno nelle proprie case,

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3. I sudetti articoli di condizioni s'intendono come non pattuiti, quante 70116 riferiti da noi al ripetuto signor generale Bonanno, non venissero dal medesimo approvati.

Fatto in Dentecane alle ore 2 1[2 a. m. del giorno 11 settembre 1860».— Firmato Stefano Turr gen, comandante.

Firmato — Ludovico Bidognetti capitano dei carabinieri a cavallo.

Firmato Emmanuele Occhionero Capitano capo dello stato maggiore.

Approvate da me le soprascritte condizioni — Il generale comandante la colonna.

Firmato —.Francesco Bonanno.
(64)

Non tornerà sgradevole ai nostri lettori di leggere la manifestazione che fu fatta al ministero dai capi della milizia cittadina.

«Gravi fatti accennanti a vili reazioni; legioni straniere composte di tristi, cospiranti sotto alte ispirazioni contro la libertà; sozzi satelliti di dispotismo, provocanti le milizie cittadine; compri ecclesiastici, disonoranti il pergamo, maledicenti le strappate franchigie, tutto è prova flagrante di sleali macchinazioni. La guardia nazionale eletta per capi di famiglie, migliori intelligenze e strenua gioventù, reclama garanzie. Debbonsi sciogliere i corpi esteri, la cui presenza è onta all'onorato esercito, che per valore e fedeltà al nuovo ordine di cose, dessi rispettare. Si fidi nella guardia nazionale, le si dieno armi e munizioni, si desista da artifizii e insidie vigliacche, si sventino le reazioni e si cessi da bellici apparecchi».

— 236 —

(65)

È utile registrate qui le testuali parole di quella tracotante manifestazione fatta dal ministero al Re.

Sire:

«Le circostanze straordinarie in cui versa il paese, e la situazione gravissima nei rapporti ed esterni ed interni che ci è fatta dagli imperscrutabili disegni della Provvidenza, c'impone i più alti e sacri doveri inverso la M. V. di rassegnarle libere e rispettose parole, come a testimonio solenne della devozione profonda alla causa del trono e del paese.

Affermiamo gravissima la situazione, ed eccone la dimostrazione.

Per un cumulo di cagioni deplorabilissime, sulle quali ci piace gettare un velo, la gloriosa dinastia fondata dal magnanimo Carlo III e continuata per 126 anni fino alla M. V, il cui animo è fregiato di tanto fior di virtù morali e religiose, ora la veggiamo per fatalità di tempi, e per tristizie di uomini, venuta a tali termini, da rendere nonché difficile, impossibile il ritorno, e lo scambio di confidenza tra Principe e popolo. Noi non intendiamo, che solo rilevare cotesto fatto sociale, il cui giudizio appartiene alla posterità ed alla storia.

Ma perché pur forza riconoscerne l'esistenza, né a noi ministri della corona, né ad altri sarebbe concesso il modificare e raddrizzare il sentimento pubblico; ci rimane solo la triste necessità di rivelarlo alla M. V. con libera e dolente parola.

Ci sarà forse permesso di tenore in poco conto questa universale espressione della pubblica sfiducia, che scoppia da tutti i poli della società nostra, e che sciaguratamente si va travasando nelle masse, e quel che è più grave, in una parte altresì dell’armata di terra e di mare, che fu e sarà sempre la suprema guarentigia dei troni, come dell'ordine sociale? Noi sentiamo, Sire, la fermissima convinzione di non esser punto in poter nostro, né il modificare, né il disprezzare il sentimento pubblico, percioché nei tempi che corrono,

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la .forza bruta rimarrà inefficace e nulla, se la pubblica opinione non la sorregga e giustifichi.

Né questo è tutto: alle interno difficoltà inestricabili si aggiungono le gravissime complicanze esterne.

Noi ci troviamo in presenza dell’Italia, che si è lanciata nelle vie della rivoluzione col vessillo della casa di Savoia, il che vuol dire colla mente ed il braccio d'un governo forte, ordinato, rappresentato dalla più antica dinastia italiana. Ecco il pericolo, e la minaccia che si aggrava fatalmente sul governo della M. V.

Né poi il Piemonte procede isolato e spoglio di appoggi. Le due grandi potenze occidentali, la Francia e l'Inghilterra, per fini diversi, stendono l’una e l'altra il loro braccio protettore sul Piemonte; Garibaldi evidentemente non è che lo strumento di cotesta politica ormai palese. Poste tali condizioni, esaminiamo quale sarà la via da tenere, perché sia salvo l'onore, la dignità e l'avvenire dell'augusta dinastia che la M. V. rappresenta.

Pongasi l'ipotesi della resistenza a oltranza. Confessiamo innanzi tutto alla M. V. che le forze di resistenza a noi appariscono svigorite, mal sicure ed incerte. Che assegnamento farà il governo della M. V. sulla Regia marina, la quale, diciamolo con franchezza, è in piena dissoluzione? Né maggior fiducia potrebbe inspirare l'esercito, che ha rotto ogni vincolo di disciplina e di obbedienza gerarchica, e però inabile a guerra ordinata. Quale adunque dei capi dell'armata oserebbe in buona fede assumerne la responsabilità? Né il piccolo nucleo di soldati esteri saprebbe inspirare la fiducia che l'esercito nazionale più non inspira. Sarà,un'accozzaglia di gente ardita, spoglia d'ogni sentimento di onore militare e di devozione vera alla M. V. sospetta ai compagni d'arme del paese; aborrita da tutta l’onesta cittadinanza, perché tutti minaccia e niuno assicura.

Chi dunque tra i consiglieri onesti della corona, oserà fiducioso approvare la resistenza e la lotta, appoggiandosi

— 238 —

Poniamo pure il caso della vittoria momentanea dell'esercito e del governo, Sarebbe questa o Sire, ci si permetta il dirlo, una di quelle vittorie infelici, peggiore di mille disfatte. Vittoria comprata a prezzo di sangue e di macelli e rovine; vittoria che solleverebbe la universale coscienza dell’Europa, che farebbe rallegrare tutti i nemici della vostra augusta dinastia, e che forse aprirebbe veramente un abisso tra essa e i popoli affidati dalla Provvidenza al vostro cuore paterno.

Rigettando adunque, come a noi pare nella onestà della nostra coscienza, il partito della resistenza, della lotta, o della guerra civile, quale sarà il partito saggio, onesto, umano, e veramente degno del discendente di Errico IV.?

Quest'uno noi sentiamo il dovere di proporre, e di consigliare alla M. V. Si allontani per poco dal suolo e dalla Reggia dei suoi maggiori; investa d’una reggenza temporanea un ministero forte, fidato, onesto, a capo del quale ministero sia preposto non già un principe Reale, la cui persona, per motivi che non vogliamo indagare, non farebbe rinascere la fiducia pubblica, né sarebbe garentia solida degl'interessi dinastici; ma bensì un nome cospicuo, onorato, da meritar piena la confidenza della M. V. e del paese; si distacchi la M. V. da' popoli suoi, rivolga ad essi franche e generose parole da far testimonio del suo cuore paterno, del suo generoso proposito, di risparmiare al paese gli orrori della guerra civile: si appelli al giudizio dell'Europa ed aspetti dal tempo e della giustizia di Dio il ritorno della fiducia, e il trionfo dei suoi leggittimi dritti.

Eccole, o Sire, il partito che noi sappiamo, e possiamo consigliare alla M. V. con franchezza di coscienza onesta.

Noi portiamo fiducia che la M. V. non vorrà disdegnare i nostri rispettosi e schietti consigli, diretti all’onore ed al decoro della sua dinastia, nonché alla tutela dell’ordine pubblico pericolante.

— 239 —

Che se per avventura V. M. nell’alta sua saggezza non

Napoli 20 agosto 1861.

Firmato L. Romano.
(66)

Altra lettera del conte di Siracusa al Re suo augusto nepote. Sire.

«Se la mia voce si levò un giorno a scongiurare i pericoli che sovrastavano la nostra causa, e non fu ascoltata, fate ora che presaga di maggiori sventure, trovi adito nel vostro cuore, e non sia respinta da improvvido e più funesto consiglio.

Le mutate condizioni d'Italia, ed il sentimento dell’unità nazionale, fatto gigante nei pochi mesi che seguirono la caduta di Palermo, tolsero al governo di V. M. quella forza onde si reggono gli stati, e rendettero impossibile la lega del Piemonte. Le popolazioni della Italia superiore, inorridite alla nuova delle stragi di Sicilia, respinsero coi loro voti gli ambasciatori di Napoli, e noi fummo dolorosamente abbandonati alla sorte delle armi, soli, privati di alleanze, ed in preda al risentimento delle moltitudini che da tutti i luoghi d'Italia si sollevarono al grido di esterminio lanciato contro la nostra casa, fatta segno alla universale riprovazione. Ed intanto la guerra civile, che già invade le province del continente, travolgerà seco la dinastia in quella suprema rovina, che le arti inique di consiglieri perversi, hanno da lunga mano preparata alla discendenza di Carlo III di Borbone. Il sangue cittadino, inutilmente sparso, inonderà ancora le mille città del Reame; e Voi, un dì speranza ed amore dei popoli, sarete riguardato con orrore, unica cagione di una guerra fratricida.

Sire salvate, che ancora ne siete in tempo, salvate la nostra casa dalle maledizioni di tutta Italia! Seguite il no

— 240 —

della patria, e voi benedirete il giorno in cui generosamente vi sacrificaste alla grandezza d'Italia.

Compio o Sire, con queste parole, il sacro mandato che la mia esperienza m' impone, e prego Iddio che possa illuminarvi, e farvi meritevole delle sue benedizioni.»

Napoli.24 agosto 1860.

di V. M.

Affezionatissimo zio.

Leopoldo, Conte di Siracusa.

(67)

Fa bisogno trascrivere qui le parole testuali di quella manifestazione che gli onesti cittadini fecero al Monarca.

«La patria è in pericolo ed il popolo ha dritto a chiedere difesa al suo Sovrano.

L'inimico è alle porte; il tradimento di pochi vili l'ha aiutato, una diplomazia più trista lo sostiene; tra pochi di ne porrà il giogo, ne farà Piemontesi, ne torrà la cattolica fede.

Ma noi da molti secoli siamo napolitani; il vostro avolo Carlo ne redense dagli stranieri; vogliamo restare napolitani. Il figlio di Ferdinando non saprebbe usar lo scettro glorioso del padre? il figlio di Cristina ne abbandonerebbe al nemico? Sire, salvate il vostro popolo, in nome della religione che vi ha sacrato Re; in nome delle leggi dei vostri predecessori; in nome del dritto e del giusto; in nome del dover vostro, che v'impone di vegliare per noi, e di morire anche per la salvezza del popolo. Sire, la patria pericolante

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(68)

Per dare ai nostri lettori il testo veridico della circolare che fu fatta ai governi esteri nell'interesse della civiltà, la registriamo nella medesima lingua nella quale fu scritta.

«Déclaration du ministre de Martino communiquée à Sir Elliot, le 27 Août 1860.

Après avoir épuisé toutes les forces pour empêcher l'invasion du continent et délivrer ses peuples d'une guerre inqualifiable, Sa Majesté sicilienne croit devoir accomplir un dernier sacrifice pour l'humanité.

La ville de Naples capitale du royaume, centre de l'administration publique et dépôt des forces militaires de la monarchie, devrait être le dernier rempart de sa défense. Mais cette métropole est eu même temps le centre de la civilisation, du commerce et de l'industrie; une grande population vit dans son sein et de nombreux citoyens de toutes les parties du globe vont établi leur famille et placé leurs capitaux.

Mu par ces raisons, Sa Majesté le roi, désirant délivrer la ville de Naples des calamités de la guerre, ordonnera à ses généraux de la manière la plus précise.

1. Que selon les besoins de la guerre, les troupes royales doivent déployer leur action hors de l'enceinte de la capitale;

2. Qu'il ne reste dans la ville d’autre garnison que celle qui est nécessaire en temps de paix, et que l’on confìe a cette garnison ainsi qu'a la garde nationale le maintien de l’ordre public;

— 242 —

3. Que les forces royales s'abstiennent de faire feu d'aucune manière contre la ville, excepté en cas de défense contre les attaques des assaillants quels qu'ils soient.

Sa Majesté veut que tonte crainte de bombardement cesse pour les étrangers comme pour les habitants du pays.

Interprète des intentions très clémentes de son auguste Souverain, le gouvernement de Sa Majesté fait tout ce qui est possible pour délivrer Naples de la calamité de la guerre, comme il a fait autant qu'il l'a pu, jusqu'à présent, pour prévenir l’invasion du royaume.

On ne pourra donc l'imputer a Sa Majesté, si l'ennemi n'imite pas cet exemple et s'il porte inutilement les hostilités dans cette importante et pacifique capitale.

Croyant que de telles dispositions peuvent tranquilliser les sujets étrangers, le soussigné a l'honneur d'en informer son Excellence M. Elliot et le priaut de transmettre cette noie a son gouvernement et d'aviser aux moyens par lesquels dans l’intérêt même de la civilisation et de ces nationaux, grâces aux mesures compatibles avec le droit public, la neutralisation de la ville de Naples, dans un rayon déterminé puisse avoir son effet complet et devienne une réalité pour chaque parti.»

G. de Martino.
(69)

Questi due generali erano stati allora promossi a tal grado ed il Re volle che mettessero campo, con scelte milizie, in Salerno, perché sapeva che ambo anelavano di guerreggiar contro Garibaldi.

(70)

Registriamo le parole con le quali i capi della guardia cittadina pregarono il ministero di restare al reggimento governativo.

— 243 —

«Il Re nell’accoglierci, non ha guari intorno a se ci parlava sensi magnanimi e generosi, assicurandoci del fermo suo proposito, che questa bellissima città non sarebbe mai stata tinta di sangue cittadino e che ogni opera si sarebbe fatta, per non turbare l'ordine e la tranquillità onde deriva la sicurezza delle vite, e delle fortune. E tali promesse del Re erano pronunziate in tuono così caldo, espresse in accenti cotanto vibrati, da mostrarle non una formola inane, ma un sentimento intimo; tal che venimmo tutti nel pieno convincimento che dopo tanta assicuranza, il Re non sarebbe stato giammai per venir contro al pegno dato, e che anzi, in ogni caso, non avrebbe esitato tra un magnanimo sacrifizio e la gloria stessa d’una vittoria, di adottare il primo partito per evitare un esiziale conflitto in questa dilettissima Napoli. La quale nostra fede nelle benigne intenzioni del Re si è renduta più salda, quando, in vista di nostre lamentanze, ha riconosciuta la incompatibilità di taluni preposti al comando militare, e li ha allontanati. Ora gravi cagioni di sollecitudine tiene commossi gli spiriti ed è il dimandato ritiro delle EE. VV. Le SS. LL. han dato troppo solenni garenzie al paese de' sentimenti patriottici, onde sono animate. Le loro persone sono il rassicurante pegno, ed il propugnacolo più forte della nostra libertà politica. La nuova del loro ritiro si ascolta come il grido della desolazione e del tutto; persistere in questo disegno significa preferire il proprio bene a quello della patria. Smettano per pietà da così fatale proponimento. Sentano le voci nostre come la espressione di un popolo, di cui fa bella parte la guardia nazionale, come un bisogno comune. E quale che sia per essere l’effetto di queste nostre preghiere su gli animi delle EE. VV, si degnino sempre presentare questa umile rimostranza al Re, per essere di documento perenne della estimazione in che le ha la guardia nazionale della metropoli del Regno.»

Napoli 4 settembre 1800. — Gioacchino Barone, Francesco Caravita, Marchese di Monterosso, Raffaele Martinez, Achille di Lorenzo, Domenico Ferrante, Marchese di Casanova, Paolo Gonfalone, Michele Prauss, Marchese Paolo Ulloa, Duca d'Accidia, Wonviller, R. de Sauget tenente generale.

— 244 —

(71)

Ordine all'armata porche il navilio  seguisse il Re in Gaeta.

Napoli 6 settembre 1860.

«S. M. (N. S.) comanda irrevocabilmente a tutti i comandanti dei suoi Reali legni armati ed in isverno, coi rispettivi bastimenti, di recarsi inmediatamente a Gaeta coi propri mezzi, o facendosi rimorchiare dai nostri piroscafi, o da quelli di bandiera francese. Chiunque negherà di ubbidire ai comandi Sovrani, sarà dichiarato in aperta ribellione.»

(72)

E' mestieri dire ai nostri lettori quante e quali erano le forze rimaste dal Re in Napoli, quando Egli partì:

Reali guardie del corpo a cavallo
200
Reggimento veterani
1200
Brigata artefici di artiglieria
300
Brigata del reggimento Re artiglieria
600
1.° Battaglione di gendarmeria
800
6.° Reggimento di fanti
1600
9.° Reggimento di fanti
1600
i3.° Battaglione dei cacciatori
900
Reggimento fanteria di marina
1800
Corpo dei cannonieri e marinari
800
Compagnia artefici di marina
100
Compagnia zappatori 100

10,000
245 —

(73)

Proclama Reale

«Fra i doveri proscritti ai Re, quelli de' giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli on rassegnazione scevra di debolezza; con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti monarchi.

A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo del mio Regno, da cui mi allontano col dolore di non aver potuto sacrificare la mia vita per la sua felicità e la sua gloria.

Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei stati, non ostante che io fossi in pace con tutte le potenze Europee. I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principii nazionali ed italiani, non valsero ad allontanarla, ché anzi la necessità Ai difendere la integrità dello stato trascinò seco avvenimenti che sempre deplorai. Onde io solennemente protesto contro queste inqualificabili ostilità, su le quali pronunzierà il suo severo giudizio l'età presente e la futura.

Il Corpo diplomatico residente presso la mia persona, seppe fin dal principio di questa inaudita invasione da quali sentimenti era compreso l'animo mio per tutti i miei popoli e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine della guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, gli edifizii, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni d'arto e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza, e che appartenendo alle generazioni future, è superiore alle passioni di un tempo.

L'ora di profferire questa parola è giunta. La guerra si avvicina alle mura della città, e con dolore ineffabile io mi allontano con una parte del mio esercito, trasportandomi a, dove la difesa de' miei dritti mi chiama. L'altra parte di esso resta per contribuire in concorso con l'onorevole guardia nazionale alla inviolabilità ed incolumità della capitale,

— 246 —

Discendente da una dinastia che per 126 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averle salvate dagli orrori di un lungo governo viceregnale, i miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò per essi forti ed amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi face di turbolenze.

Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo, in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni, di cui 1 ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora, è di rivedere i miei popoli, concordi, forti e felici.»

Napoli 6 settembre 1860.

Firmato Francesco
(74)

Decreto Reale

«Volendo concedere un' altro attestato della nostra Sovrana clemenza a tutti i condannati sotto il Regno del nostro auguste» genitore e nostro, abbiamo risoluto di decretare e decretiamo:

Art. 1. La pena dei condannati all'ergastolo è ridotta a quella di venti anni di ferri.

Art. 2. La pena dei condannati ai ferri, tanto a' bagni, che al presidio; la pena della reclusione e della relegazione, sono ridotte al terzo di quanto a ciascun condannato resta ad espiare: Art. 3. Le pene correzionali e di polizia sono condonate.»

— 247 —

Protesta diplomatica

Francesco II. ecc. ecc.

«Dacché un ardito condottiero con tutte le forze, di cui l'Europa rivoluzionaria dispone, ha attaccato i nostri domini, invocando il nome di un sovrano d'Italia, congiunto ed amico, abbiamo con tutti i mezzi in nostro potere combattuto per cinque mesi per la sacra indipendenza de' nostri stati. La sorte delle armi ci è stata contraria. L'ardita impresa, che quel sovrano con la maniera più formale protestava non riconoscere, e che non pertanto nella pendenza di trattative di un' accordo intimo, riceveva sopratutto nei suoi stati aiuto ed appoggio; quella impresa cui tutta Europa dopo di aver proclamato il principio, di non intervenzione, assistè indifferente, lasciandoci soli lottare contro il nemico di tutti, è sul punto di estendere i suoi tristi effetti fino sulla nostra capitale. Le forze nemiche si avanzano in queste vicinanze.

D'altra parte la Sicilia, e le province del continente, da lunga mano e con ogni maniera travagliate dalla rivoluzione, insorte sotto tanta pressione, hanno formato governi provvisorii, col titolo e sotto la protezione nominale di quel sovrano, ed hanno confidato ad un preteso dittatore l’autorità ed il pieno arbitrio dei loro destini.

Forti dei nostri dritti, fondati sulla storia e su i patti internazionali e sul dritto pubblico Europeo, mentre contiamo prolungare finché ci sarà possibile la nostra difesa, non siamo meno determinati a qualunque sacrificio, per risparmiare gli orrori d’una lotta e dell’anarchia a questa vasta Metropoli, sede gloriosa delle più vetuste memorie e culla delle arti e della civiltà del Reame.

— 248 —

In conseguenza noi muoveremo col nostro esercito fuori delle sue mura, confidando nella lealtà e nell'amore dei nostri sudditi, pel mantenimento dell’ordine, e del rispetto all’autorità.

Nel prendere tanta determinazione, sentiamo nello stesso tempo il dovere, che ci dettano i nostri antichi ed inviolabili dritti, il nostro onore, l'interesse dei nostri credi e successori, e più ancora quello dei nostri amatissimi sudditi, e protestiamo altamente contro tutti gli atti finora consumati, e gli avvenimenti che sono compiuti e si compiranno in avvenire. Riserbiamo tutti i nostri titoli, e tutte le nostre ragioni, sorgenti da sacri incontrastabili diritti di successione e dai trattati, e dichiariamo solennemente tutti i mentovati avvenimenti e fatti, nulli, irriti o di niun valore, rassegnando, per quel che ci riguarda, nelle mani di Dio onnipotente, la nostra causa e quella dei nostri popoli, nella ferma coscienza di non avere avuto nel breve tempo del nostro regno un sol pensiero, che non fosse stato consacrato a loro bene ed alla loro felicità.

Le instituzioni, che loro abbiamo irrevocabilmente garentite, ne sono il pegno.

Questa nostra protesta sarà trasmessa da noi a tutte le Corti e vogliamo che firmata da noi, munita del suggello delle nostre armi Reali, e controsegnata dal nostro ministro degli affari esteri, sia conservata nei nostri Reali ministeri di stato, degli affari esteri, della presidenza del consiglio dei ministri e xli grazia e giustizia, come un monumento della nostra costante volontà di opporre sempre la ragione ed il dritto, alla violenza ed all’usurpazione.»

— 249 —

(76)

Ordinanza del prefetto di polizia

Cittadini.

«Il Re parte. Fra una eccelsa sventura che si ritira, e un altro principio che trionfando s'avanza, la vostra condotta non può esser dubbiosa. L'una v'impone il raccoglimento al cospetto della Maestà ecclissata, l'altro esige il senno, l’abnegazione, la prudenza, il coraggio civile. Nessuno fra voi turberà lo svolgimento degli eroici destini d'Italia: nessuno penserà di lacerare la patria con mani, o vindici, o scellerate. Invece attenderete con calma il dì memorando che aprirà al nastro paese la via per uscire dalle ambagi o dai pericoli, senza nuove convulsioni, senza spargimento di sangue fraterno.

Quel giorno è vicino: ma intanto la città resti tranquilla o non si commova, il commercio prosegua fiducioso il suo corso, ognuno rimanga nelle ordinarie occupazioni della vita, tutte le opinioni si uniscano nel sublime accordo della patria salvezza. Per vostra tutela la polizia è in permanenza, la guardia nazionale veglia sotto le armi.

Così, o cittadini, non renderete inutile il longanime sacrifizio di coloro, che affrontando, le crudeli incertezze della situazione, si sono immolati al reggimento della cosa pubblica;, e deviando i pericoli che sovrastavano alla libertà vostra ed alla indipendenza della nazione, ne furono i vigili e fermi custodi. Essi proseguiranno il sublime mandato, e sono certi che la vostra concordia, l'ordinato vostro procedere li aiuterà a vincere le difficoltà che restano: sono certi che non saranno costretti ad invocare la severità della legge contro' il dissennato agitarsi dei partiti estremi; ed in tal guisa le nostre sorti saranno compiute, e la storia, se terrà conto del patriottismo dei governanti; sarà generosa dispensiera di gloria alla civile sapienza di questo popolo veramente italiano.»

Napoli 6 Settembre 1860.

Il prefetto di polizia

Giuseppe Bardari

— 250 —

(77)

Fa bisogno registrare le istruzioni che si ebbe dal Re il capitano Rapisardi per richiamare l’armata ai sensi di onore militare.

Gaeta 7 settembre 1860.

«Il signor capitano Rapisardi si reca in Napoli sul vapore francese la Stella, con l'espresso ordine Sovrano che tutti i legni della Real marina, sieno, o no, armati od allo sverno; i legni a vapore in fitto nazionali, od esteri, si recassero tutti, nessuno eccettuato, nel porto di Gaeta.

Il detto capitano se i legni fossero ritrosi a muoversi li farà rimorchiare da legni francesi, dirigendosi all'autorità di marina più graduata esistente nell'arsenale; e nel caso questa non si rinvenisse, o non avesse la forza di farsi obbedire, lo praticherà direttamente presso ciascun comandante dei detti legni, sieno di guerra in armamento, od allo sverno, o dei legni di commercio francesi e nazionali noleggiati.

I legni francesi in ogni caso si atterranno strettamente agli ordini che il capitano sudetto loro comunicherà in nome di S. M. il Re. Vanno compresi nei legni sunnominati tutti quelli mercantili noleggiati carichi di viveri, munizioni, armi, macchine di Pietrarsa, dell’opificio Ignesti ed altri carichi di ogni altro oggetto.

Scuse non se ne ammettono. Negl'ordini militari cieca obbedienza.

Tutto il deposito di carboni devesi qui trasportare.

Il capitano Rapisardi non si recherà su i legni da guerra di persona, ma parlerà da sotto il bordo.

Chiunque si ricuserà, è dichiarato in aperta ribellione e quindi sottoponibile alle leggi,»

— 251 —

(77) bis

Invito di Liborio Romano a Garibaldi perch'entrasse in Napoli.

Signor generale.

«Voi vedete al vostro cospetto un ministero che ricevette il potere da Francesco II. Noi l'accettammo come un sacrifizio dovuto alla patria. L'accettammo in momenti difficilissimi, quando il pensiero dell'unità d'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emmanuele, che già da lungo tempo agitava i napoletani, sostenuto dalla vostra spada e proclamato dalla vicina Sicilia, era divenuto onnipotente; quando ogni fiducia tra governo e governati era già rotta; quando gli antichi sospetti, e gli odi repressi eran fatti più palesi, mercé le nuove franchigie costituzionali; quando il paese era fortemente scosso da gravi timori di nuova e violenta reazione. In tali condizioni accettammo il potere per mantenere la pubblica tranquillità, e preservare lo stato dall'anarchia e dalla guerra civile. Ogni nostro studio fu rivolto a questo scopo.

Il paese ha compreso il nostro divisamento ed ha saputo apprezzare i nostri sforzi. La fiducia dei nostri concittadini non ci è venuta mai meno; e noi dobbiamo alla loro efficace cooperazione, se fra tante ire di parti, si è pure mantenuta questa città scevra di violenze e di eccidi.

Generale, tutte le popolazioni del Regno, dove con l'aperta insurrezione, dove con la stampa, dove con altre manifestazioni, hanno svelato in modo evidente il loro voto, vogliono anch'esse far parte della gran patria italiana sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emmanuele. Voi siete, o generale, il simbolo più sublime di questo voto e di questo pensiero, e perciò tutti gli sguardi si rivolgono a voi, tutte le speranze in voi riposano.

E noi depositari del potere, cittadini ed italiani anche noi, confidenti lo trasmettiamo nelle vostre mani, certi che lo terrete con vigore, e che con sapienza indirizzerete questo paese

— 252 —

al nobile scopo che vi siete proposto, il quale va scritto sulle vostre vittoriose bandiere, e ch'è nel cuore di tutta Italia e Vittorio Emmanuele.»

Napoli 7 settembre 186».

Con lettera poi, scriveva.

«Con la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutare il redentore d,' Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello stato ed i proprii destini.

In questa aspettativa, io starò saldo a tutela dell'ordine a della tranquillità pubblica; la sua voce, già da me resa nota al popolo, o il più gran pegno del successo di tali assunti.

Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con illimitato rispetto.»

Napoli 7 settembre 186ft.

Di lei, dittatore invittissimo

Libarlo Romano.

(78)

Proclama di Liberio Romano ai napolitani

Cittadini!

«Chi vi raccomanda l'ordine e la tranquillità in questi solenni momenti, il liberatore d'Italia, è il generale Garibaldi. Osereste non esser docili a quella voce, cui da gran tempo s'inchinano tutte le genti italiane? Nò certamente. Egli arriverà fra poche. ore in mezzo a noi, ed il plauso che ne otterrà, chiunque avrà concorso nel sublima intenta, sarà la gloria più bella, cui cittadino italiano possa aspirare.

Io quindi, miei buoni concittadini, aspetto da voi quel che il dittatore Garibaldi vi raccomanda ed aspetta».

Napoli, 7 settembre 1860.

Il ministro dell'interno

e della polizia generale.

Liborio Ramano.

— 253 —

(79)

Proclamazione di Garibaldi al popolo napolitano

«Figlio del popolo, è con pari rispetto ed affetto che io mi presento dinanzi a questo nobile ed imponente centro di popolazione italiana, cui secoli di dispotismo non hanno potuto umiliare, né ridurre a piegare il ginocchio avanti la tirannia. Il primo bisogno d'Italia era la concordia per realizare la unità della grande famiglia italiana, oggi la provvidenza ci da questa concordia, giacché tutte le province sono unanimi, e lavorano con magnanimo slancio alla ricostruzione nazionale. Quanto all’unità la provvidenza ci ha pur dato Vittorio Emmanuele, modello di sovrani, il quale inculcherà ai suoi discendenti i doveri che dovranno adempiere per la felicità di un popolo che lo ha scelto per capo, con ossequio entusiastico. I preti italiani che hanno la coscienza della loro missione, han per garenzia del rispetto col quale saran trattati, lo slancio, il patriottismo, l'attitudine veramente cristiana dei loro confratelli, i quali dai degni monaci della Gancia sino a' generosi preti del continente napoletano, noi abbiamo veduti, alla testa dei nostri soldati sfidare i più grandi pericoli della battaglia. Io lo ripeto, la concordia è il più grande bisogno d'Italia. Noi dunque accoglieremo come fratelli coloro che non pensarono come noi in altri tempi, e che vorranno oggi sinceramente portare la loro pietra all'edilìzio patriottico; infine noi rispettiamo la casa altrui, ma vogliamo esser padroni in casa nostra, piaccia, o non piaccia, a' dominatori della terra.»

Giuseppe Garibaldi.
(80)

Sappiano i nostri lettori ciò che avvenne di tutta la gendarmeria del Regno.

Il maresciallo di campo Emmanuele Caracciolo duca di S. Vito aiutante generale del Re, ed ispettore comandante

— 254 —

Il generale dì brigata Gennaro Santamaria Amato, ispettor comandante in secondo della gendarmeria, restò in Napoli col colonnello Francesco Dupuy, che si aveva il carico del dettaglio, e col rimanente del personale dell’ispezione.

Il maggiore Alessandro Spanò, comandante il 1.° battaglione, e 1° squadrone dell'arma, restò in Napoli colla 1; 2, 3° e 4 compagnia e parte dello squadrone; la 5.° e 6. compagnia e l'altra parte dello squadrone, ch'era in Terra di Lavoro, seguirono il Re.

Il capitano Francesco Biondi, che a tempo comandava il 2° battaglione, ed il 2° squadrone, con tutta la forza dipendente da lui, si recò in Capua siccome retroguardo delle truppe ch'erano in Salerno.

Il maggiore Angelo che Curtis, che comandava il 3° battaglione e 3° squadrone negli Abruzzi, restò ove si trovava, obbedendo al governo di Garibaldi.

Il maggiore Vincenzo Cristini, che capitanava il 'battaglione e 4° squadrone nelle Puglie, restò con tutta la forza in quelle province, tranne un drappello che per patto di guerra stipulato con alcuni garibaldini, si recò fino a Nola, condotto dal proprio capitano Giuseppe Gargiulo.

Il 5° battaglione e 5° squadrone, diviso nelle Calabrie parte fu sopraffatto e disarmato nelle proprie permanenze, per volere dei sedicenti governi provvisori locali, e parte ebbe la stessa sorte delle truppe delle brigate dei generali Ghio, Briganti, Melendez, e Caldarelli, che stavano nelle Calabrie sotto gli ordini del maresciallo Vial. Il maggiore Achille de Liguoro, ch'era il loro comandante e che a tempo esercitava altresì il carico di Prevosto generale in Monteleone, si recò in Capua, insieme al quartier mastro ed altr'individui. Poscia in quella piazza si andarono raggranellando tutti coloro, cui riuscì di sottrarsi alla rivoluzione.

— 255 —

(81)

Ecco l’ordine che si ebbe il comando generale delle armi, affinché trasferisse la sua residenza in Capua:

«Ministeriale della guerra del 6 settembre 1860 Segretariato—1. carico—numero 2587—Pressantissima a S.E. il principe d'Ischitella, maggior generale dell’Esercito. Partecipo a V. E. esser volere Sovrano che la cancelleria con tutto il personale di cotesto comando generale, trasferisca subito la sua residenza in Capua.

Ed io ne rendo consapevole V.E. per l'uso di risultamento.»

Pel ministro

Il direttore della guerra

Firmato —Clemente Fonseca.

(82)

Diamo ai nostri lettori i nomi di quelli uffiziali dello stato maggiore che obbedirono all'ordine di recarsi in Capua.

Colonnelli — Francesco Antonelli — Bertolìni.

Colonnello onorario —Vincenzo Polizzy.

Tenenti colonnelli—Felice Schumaker—Matteo Negri.

Maggiori — Achille Coco — Giovanni Garofalo.

Capitani—Giovanni delli Tranci— Giovanni Giobbe—Francesco Sav.° del Re—Antonio Pinedo — Davide Winspeare— Piedro Quandel — Luigi delli Franci — Patrizio Guillamat— Mariano Purmann — Francesco Sav.° Luvarà — Luigi de Paolis — Cesare Salerai — Giovanni Batt. de Giorgio — Antonio Fabri — Michele Bellucci — Francesco Satriani— Luigi Dusmet — Giovanni de Torrenteros — Luigi Bianchi — Achille Afan de Rivera — Francesco Carrelli —Alesandro d'Ayala — — Michele Melendez — Pietro Sarria.

Primi tenenti — Giuseppe Ferrara — Pietro Schert — Angelo Baio — Carmine Pandolfi — Carlo Assante — Ferdinando Savino — Oreste Cristini — Giuseppe d'Ambrosio—Francesco Valcarcell —Giuseppe Antonelli —Luigi Salmieri—Vincenzo Bruzzese — Pietro d'Andrea — Giulio Locascio — Gio

— 256 —

Secondo tenente — Francesco M. Gagliardi.

Alfieri — Antonio Polistina — Andreu Colonna — Ferdinando Fiore.

Tutti gli altri uffiziali di stato maggiore, taluni si dichiararono sciolti dai vincoli militari la mattina del 6 settembre, altri si rimasero nella capitalo per loro arbitrio.

Il maggiore Giovanni Garofalo, da Teano ove: i trovava come capo di stato maggiore della divisione della guardia, ed il capitano Alessandro d’Ayala, da Capua, abbandonarono la bandiera,dichiarando che s'intendevano liberati da ligami militari.

83)

Le istruzioni dettate da S. M. il Re comunicato al generale Ritucci con foglio del 5 settembre 1860 del comando generale delle armi, furono le seguenti.

«1. Si terrà fermo sulla linea del Volturno.

2. Se una iniziativa di offensiva potrà esser plausibile, si domanderà subito il sovrano permesso per agire.

3. Nel caso fosse necessità retrocedere, dopo combattuta e contrastato il passaggio di Cascano e S. Agata, il Garigliano sarà occupato, sostenendosi sopra Gaeta.

4. Far bene riconoscere i terreni su i quali si potrà combattere.

5. Tutto le truppe di fanteria e cavalleria si concentreranno fra Capua e dintorni, per operare sulla linea del Volturno, sotto gli ordini del maresciallo di campo Ritucci, che eseguirà gli ordini immediati del Re.

6. Il tenente colonnello Negri è il capo dello stato maggioro, e tutto lo stato maggiore del maresciallo di campo Pianell, si riunirà al comando in capo.

— 257 —

(84)

Rapporto del generale Ritucci al Re

«S. R. M.

a Adempio al dovere di rassegnarle il rapporto prescrittomi intorno alla posizione dei corpo di esercito, di cui mi ha affidato il comando, e comincerò dal sottomettere a V. M. che gli avvenimenti e le cose incalzano talmente, e da un'istante all'altro, che anche senza una particolare prescrizione di V. M, io le avrei questa mattina scritto sul proposito.

Il corpo d'esercito , riguardato sotto l'aspetto della posizione che sta occupando, può dirsi sommamente compromesso. La dritta di esso si appoggia al mare e sventuratamente noi non abbiamo niun mezzo per impedire che si facciano tutti quegli sbarchi, ed in tutti i punti che si voglia; perochè sa bene V. M , che non possiamo disporre di una barcaccia.

La sinistra manca egualmente di appoggio e può essere attaccata e girata ad ogni momento, e dalle truppe nemiche, e dalie masse dei paesi tutti ostili, le quali assai facilmente possono sboccare dalle montagne.

Strettamente parlando non abbiamo forze sufficienti per guardare una linea estesissima non solo , ma per dare alle nostre ali un appoggio conveniente, rafforzando con masse di truppa queste ali senza smembrare il fronte. Ma si potrebbe dire, supplite al numero col valore e col buono spirito delle truppe.

Somma, irreparabile fatalità, concorso di mille spiacevolissime circostanze, vogliono però che questo spirito delle truppe, invece d'esser buono, è cattivo; e su questo stato morale del corpo di esercito, io richiamo specialmente V attenzione della M. V. e la supplico di prendere in tutta la possibile considerazione le parole che un'istante solenne le indirizza un vecchio ed onorato soldato, quale credo di essermi sempre mostrato.

— 258 —

Lo spirito dei soldati era già fortemente depresso dai rovesci di Sicilia, dalle scene tristissime, e dirò completamente la verità, scene degradanti; questo spirito ha dovuto necessariamente essere prostrato dalla ritirata, che per quanto si cerca di renderla ordinata, non è esente dalla impronta della precipitazione e dal conseguente disordine che da tre giorni si sta operando, cagionando in Capua una confusione immensa, mentre si voltano le spalle alla capitale, che tutti i soldati sanno da racconti esaltati essere in potere del governo difatto: capitale che la M. V. e la Real famiglia hanno generosamente lasciata per salvarla dalla rovina. Questo spirito delle truppe è abbattuto, se non è quasi distrutto dallo osservare che manca un servizio assicurato di sussistenza, e di foraggi, non meno che di ospedali; le quali cose impossibili di regolarizzare , qualunque siano gli sforzi miei e del ramo amministrativo , sono tali, che mancando, produrranno certamente avvenimenti funesti; come funesto è dei pari lo spettacolo degli sbandati disseminati su tutte le vie, che i soldati del corpo di esercito traversano.

Gli uffiziali nei quali da più mesi si manifestarono non poche defezioni, e che già molto si erano pronunziati ed in modo ben chiaro negli ultimi giorni della dimora di V. M. in Napoli, si fa adesso palese in parecchi la loro volontà e tanto, da non dare a chi comanda la certezza di quello che debba, o possa, avvenire tra non tempo.

La scorsa notte tutti gli uffiziali della batteria numero 13 hanno consumata la diserzione, rifiutandosi finanche di dare la consegna di tutto quello che alla batteria si appartiene; il capitano del mio stato maggiore Ayala mi ha abbandonato, lasciandomi la sua dimissione; cosa che ha prodotto un funestissimo effetto sul morale di tutte le truppe.

E poiché da ultimo, per tacere di molte altre considerazioni, V. M. sa bene che la piazza di Capua nello stato in cui è non può assolutamente sostenere niuna difesa, parmi che non vi sia un1 istante da perdere perché la M. V. deliberi su quello che debba fare degli avanzi di un esercito, che ha sofferto le conseguenze di molte sventure.

— 259 —

Al momento che scrivo si può ancora evitare a queste truppe l'ultima delle sventure o delle umiliazioni, vaie a dire il totale sbandamento, il che potendo produrre conseguenze assai tragiche sulle sorti delle popolazioni del Regno, sarebbe certamente addebitato a V. M. ed ai poveri ed onesti uffiziali, i quali han creduto esser loro dovere e verso la M. V, e verso del paese, di non abbandonare i loro posti fino allultimo momento; ingoiando con rassegnazione fino all'ultima stilla un calice amarissimo.

Oltreché questi poveri ed onesti uffiziali, sentendo tutta la forza del dovere che li chiama a non far perdere al paese, nel quale sono nati, il materiale da guerra, che certo andrebbe in totale rovina, ove io sbandamento avesse effetto, han fede nella clemenza, nella religione, e nella giustizia della M. V, perché siano messi nella posizione di non mancare a quello che la coscienza detta loro.

Chiudo questo umile rapporto manifestando, che altro crollo ha sofferto lo spirito di queste truppe, con la notizia arrivata oggi, dei sovversivo abbandono della piazza di Siracusa.»

Capua li 8 settembre 1860.

Il generale in capo

Firmato —

(85)

Risposta del ministro della guerra al rapporto indirizzato dal generale Ritucci al Re

«Signor Maresciallo

«Ecco tutto quello che posso rispondere al contenuto del suo lungo rapporto degli 8 andante senza numero.

Il comando affidatole, il grado che ella occupa, la sua età e l'esperienza che debbo supporre, valer debbono per una norma,

— 260 —

nelle attuali circostanze, onde la disciplina dei corpi sotto i suoi ordini e l'onore militare restino a sicura guida dello spirito di essi.»

Gaeta 9 settembre 1860.

Il ministro di guerra — tenente generale

(86)

Ecco le parole testuali, che scrisse Re Francesco all'imperatore dei francesi, in manifestando che era deciso a combattere la rivoluzione.

«Sire

«Voi mi avete consigliato di dare delle instituzioni costituzionali ad un popolo che non ne dimandava, io ho aderito al vostro desiderio. Voi mi avete fatto abbandonare la Sicilia, senza combattere, promettendomi che cosi facendo, il mio regno sarebbe stato garentito. Ora io debbo prevenire V. M, che sono risoluto di non discendere dal mio trono, senza combattere; io farò un appello alla giustizia di Europa, ed essa saprà, che io difenderò Napoli, ove sia assalito.»

(87)

Ecco l'ordinamento provvisorio che dette il Ritucci alle sue truppe il giorno 7 settembre.

«Comandante in capo, Maresciallo Giosuè Ritucci.

Capo dello stato maggiore, Colonnello Francesco Anto nelli.

Personale di stato maggiore del comando in capo (Tutti gli uffiziali che trovavansi in Capua, e che non erano, o non furono di poi, destinati alle singole divisioni e brigate).

— 261 —

1.a DIVISIONE

Comandante, Brigadiere Filippo Colonna.

Stato maggiore       1° Tenente Giovanni Rammacca

Alfiere Andrea Colonna

1.a Brigata

Comandante, Tenente colonnello Ferdinando La Rosa. Stato maggiore, 1° Tenente Francesco Valcarcell.

3°battaglione cacciatori alloggiato in Traetto.

4°idem idem alloggiato in Bellona e dintorni.

6.° idem idem alloggiato in Caiazzo.

Batteria n° 11 di obici da 12 centimetri di montagna alloggiata in Caiazzo.

2,a Brigata
Comandante, Brigadiere Gaetano Barbalonga.

Stato maggiore, capitano Michele Bellucci — Alfiere Antonio Polistina.

2.° battag. cacciatori accantonato in Pantuliano e VituIaccio.

14.° idem idem accantonato al Ponte a battelli.

15.° idem idem accantonato ai Molini di Triflisco.

Batteria n° 13 di cannoni rigati da 4, di montagna alloggiata in Pantuliano.

2.a DIVISIONE.

Comandante, Maresciallo Gaetano Afan de Rivera.

Stato maggiore, Maggiore Achille Coco— capitano Luigi de Paolis — capitano Antonio Pinedo.

Comandante le artiglierie, maggiore Gabriele Ussani.

— 262 —

1.a Brigata

Comandante, il colonnello di stato maggiore Vincenzo Polizzy.

Stato maggiore, capitano Luigi Dusmet —1° Tenente Luigi Salmieri.

7° battaglione cacciatori

8° idem

9° idem

10° idem

Compagnia Zappatori

Batteria n° 10 di cannoni rigati da 4 di montagna.

Accantonati

in Teano e dintorni

2.a Brigata
Comandante, Brigadiere Luca Won Mechel.

Stato maggiore, capitano Luigi delli Franci— 1.° Tenente Giuseppe Ferrara.

1° battaglione carabinieri esteri alloggiato in Pignataro.

2° idem idem alloggiato in Pastorano, Camigliano, Sparanisi, e Calvi.

3° idem idem alloggiato in S. Andrea del Pizzone, Scarigno e Camprisco.

Batteria n° 15 di cannoni rigati da 4 di campagna accantonata in Calvi.

3.° DIVISIONE

Comandante, Brigadiere Luigi Tabacchi.

Stato maggiore, maggiore Giovanni Garofalo — capitani Mariano Purman — Gio: Battista de Giorgio — 1.° tenente Giulio Locascio.

Comandante le artiglierie, maggiore Ferdinando Ussani.

Comandante del genio, capitano Elia Catanzariti.

— 263 —

1.a Brigata

Comandante, colonnello Gennaro Marulli.

Stato maggiore, capitano Pietro Sarria

1° reggimento granatieri della guardia

2° idem idem

Batteria n° 1 di posizione di cannoni lisci da 12.

Alloggiati

in Sessa

2.a Brigata
Comandante, colonnello Giovanni d'Orgemont. Stato maggiore.

3° reggimento della guardia cacciatori accantonato in Sessa.

Battaglione tiragliatori accantonato in Gaeta. Batteria n° 6 di cannoni rigati da 4 di campagna alloggiata in Sessa.

3.a Brigata
Comandante, colonnello Giuseppe Ruiz di Ballestreros.

Stato maggiore, capitano Tommaso Cava—1° tenente Federico Basile.

6° reggimento di fanti alloggiato in Avezzano e Sorbello.

8° idem di fanti alloggiato in Carano, Piedimonte, alto e basso Garigliano e Carinola.

DIVISIONE DI CAVALLERIA

Comandante, Brigadiere Marchese Giuseppe Palmieri.

Stato maggiore, capitano Michele Melendez — 1.° tenente Roberto de Corné.

Comandante le artiglierie, aiutante maggiore Vincenzo Salazar.

— 264 —

1.a Brigata

Comandante, Brigadiere Antonio Echaniz.

Stato maggiore, 1° tenente Carlo Assante.

Carabinieri a cavallo alloggiati in Capua.

1.° Reggimento dei Dragoni alloggiati alla taverna fuori Capua e Sparanisi.

2.a Brigata
Comandante, colonnello Rodolfo Russo.
2. ° Reggimento dei Dragoni

3. ° idem dei Dragoni.

Accantonati in Caiazzo, Piana e Formicola.
3.a Brigata
Comandante, Brigadiere Fabio Sergardi.
1. ° Reggimento dei Lancieri

2. ° idem dei Lancieri Batteria n° 5 di cannoni rigati da 4 di campagna.

Accantonati in Carinola, Casale, Casanuova,

Croce e Nocelleto.

Suddivisione del reggimento cacciatori a cavallo.
1° Squadrone presso il comandante in capo.

2° idem in Sessa presso la 3.a divisione.

3° idem in Capua perché non provveduto di cavalli.

4° idem in Caiazzo presso la 1.a divisione.

5° idem in Teano presso la 2.a divisione.

— 265 —

Frazioni dei diversi corpi da riorganarsi.

2° reggimento di fanti

4° idem di fanti

11° idem di fanti

12° idem di fanti

Alloggiati in Pietramelara

Vairano e Pietra Vairano.

Reggimento carabinieri a piedi

13° reggimento di fanti

Alloggiati in

Roccaromana.

14° reggimento di fanti

5° idem di fanti

Alloggiati in Formicola

e Marinella.

Piana di Capua
Governatore—maresciallo di campo Raffaele Pinedo.

Stato maggiore—1.° tenente Angelo Baio — 2.° tenente Francesco M.a Gagliardi.

Brigata
Comandante—Brigadiere Raffaele de Corné. Stato maggiore—capitano Cesare Salerni—1.° tenente Giuseppe d’Ambrosio.

9.° Reggimento di fanti.

10.° Reggimento di fanti.

Artiglieria di piazza.

Battaglione zappatori minatori.

Batteria n.° 3 di cannoni da 6 di campagna.

Mezza batteria n.° 2 di cannoni rigati da 4 di campagna.

— 266 —

Frazioni di corpi da riorganarsi

1.° Battaglione dei cacciatori.

5.° idem.

11.° idem.

12. ° idem.

13. ° idem.

Frazioni di cavalleria senza cavalli
Carabinieri a cavallo.

1.° Reggimento dei dragoni.

3.° Squadrone del reggimento cacciatori a cavallo.

(88)

Come può tornare utile ai nostri lettori di sapere quali corpi costituivano il presidio di Gaeta, cosi non trasandiamo di precisarli e diremo altresì, chi governavala.

Governatore della piazza — Il maresciallo di campo Francesco Milon.

Presidio
1° Reggimento di fanti, 3°, 5°, e 7° reggimento di fanti, (quattro compagnie di ciaschedun reggimento, perché le restanti guardavano la cittadella di Messina).

16° Battaglione dei cacciatori.

Batteria a cavallo che alloggiava in Mola.

Veterani svizzeri.

Artefici di artiglieria.

1° Reggimento degli Ussari che accantonava in Mola.

(89)

Di coloro tra i militari ch'erano al seguito, o all’immediazione del Re, pervennero in Gaeta:

— 267 —

S. E. il Maresciallo duca Riccardo de Sangro — il Maresciallo Emmanuele Caracciolo duca di S. Vito — il Brigadiere Conte Francesco de Latour — il retro-Ammiraglio Leopoldo del Re — il Brigadiere Rodrigo Afanderivera — i capitani di stato maggiore Giovanni delli Franci e Giovanni Giobbe.

Poco dopo giunsero da Civitavecchia, restando pure al seguito del Re, il maresciallo Raffaele Ferrara ed il tenente colonnello barone Felice de Schumaker dello stato maggiore. Il capitano Luigi Carrelli ed il tenente Gennaro Avolio ambi dello stato maggiore, che il 6 settembre andarono direttamente in Gaeta, fecero parte dello stato maggiore del Re.

(90)

Il ministero di Stato cosi componevasi:

Presidenza e Dipartimento di Guerra, tenente generale Francesco Casella; — Marina, retro Ammiraglio Leopoldo del Re Affari esteri, barone Francesco Canofari — Finanze, barone Salvatore Carbonelli — Lavori pubblici, Istruzione pubblica, Affari ecclesiastici, Grazia e Giustizia, Interno e Polizia, provvisoriamente cav. Pietro Ulloa.

E per pregio dell'opera stimiamo qui registrare eziandio, la manifestazione che fece il generale Casella all’esercito, nell’assumere il carico di ministro della guerra.

Ordine del ministro della guerra.
«Soldati! — Anziano dell’esercito, son chiamato dalla clemenza del Re ad assumere il ministero della guerra in tempi difficili, gravidi di avvenimenti, atti a dimostrare il cuore di ognuno, lo spirito delle. corporazioni. Nell'accettare il difficile incarico, dirigo a voi con fiducia le mie parole e vivo certo che le considererete, le apprezzerete e ne farete tesoro, perché pronunziate da un soldato onorato, interessato sempre pel bene dei suoi subordinati, col premiarli, ma fermo e rigoroso nel punire ogni mancamento.

L'augusto Sovrano vi ha già richiamato alla memoria i vostri doveri; ma voi devoti per istinto, bravi per natura,

— 268 —

avete mostrato i sentimenti da cui siete animati, rimanendo sordi a tutte le subdole seduzioni. Siate dunque fermi in questo proponimento tanto onorevole e mostratevi all'Europa degni figli della bella Italia, ma non seguaci d'insulse utopie, che menano alla sua dissoluzione, anziché all'unità decantata da molti, per giungere ai loro pravi disegni, calpestando la sacrosanta nostra religione ed insinuando il disprezzo del dato giuro. Disciplina dunque, che impone cieca obbedienza ai capi, su i quali dovete fidare, perché distinti e bravi. Da banda le futili dicerie e le inutili grida che la conturbano e siate pronti al primo cenno di piombar su i nemici del nostro Sovrano e che sono anche i vostri, onde imparino, che malgrado tutte le mene, l'esercito napolitano è guidato dall’onore, sempre devoto alla Monarchia ed all’Augusta Dinastia, sempre pronto a versare l’ultima stilla di sangue delle sue vene al grido di «viva il Re».

Meriterete cosi innumerevoli ricompense dal Sovrano e rispetto dagli altri eserciti, coi quali, in ogni rincontro, emùlerete per coraggio, slancio e fedeltà.»

Gaeta 10 settembre 1860.

Il ministro della guerra

Firmato — Casella.

(91)

Reputiamo utile di specificare quali e quanti erano le navi, che componevano la marineria militare del Regno.
Legni a vapore
Fregate  Ruggiero — Guiscardo — Tancredi — Roberto — Ercole — Archimede — Sannita — Ettore Fieramosca — Tasso — Veloce — Fulminante.

Corvette — Ferdinando II. — Palinuro — Miseno — Stromboli — Capri.

— 269 —

Brigantini — Nettano — Peloro — Palermo — Saetta — Messaggiero — Maria Teresa.

Lance ed altri legni, come Pontoni — Sandali — Barche cisterne — Barche di ferro — Scogliere — Tremozze,

Legni a vela
Vascello il Vesuvio con 84 cannoni — Vascello il Monarca con 84 cannoni — Fregata Partenope con 60 cannoni — Fregata Regina con 60 cannoni — Fregata Amalia con 44 cannoni — Fregata Isabella con 44 cannoni — Fregata Urania — Corvetta Cristina con 44 cannoni — Brigantino il Principe Carlo con 18 cannoni — Brigantino lo Zeffiro con 18 cannoni — Brigantino il Valorosa con 18 cannoni — Brigantino l'Intrepido con 18 cannoni — Brigantino il Generoso con 18 cannoni — Goletta Menav — Due Bombardiere — 18 cannoniere latine — 27 Bovi — 8 Leuti — i Paranzelli — 36 Scorridoie.

Legni di trasporto — Valente — Mariella — Gozzo di Nisita— Sparviero.

Cavafondi — Vulcano — Tantolo — Erebo — Finanze.

(91) bis

Discorso di Mariano d'Ayala

«Capitano Italiano

«Permettete che io umile come voi, ma non come voi sì grande, a nome di questi che io chiamerei notabili, se non temessi di offendere la loro modestia, e le orecchie e l'animo del notabilissimo d'Italia, permettete che io e questi egregi deputati della città, vi diamo un bacio su quella fronte semplice come nell'isola di Caprera, ma circondata di visibile gloria; e questo bacio, è il bacio di 500 mila abitanti.

Vi accorgeste voi medesimo, o capitano, come questo bacio ve lo diedero davvero, per le vie, le genti affollate ed esultanti al vostro passaggio.

— 270 —

Voi non siete, nò, e vi sdegnerete di essere, il conquistatore della città regina del Mediterraneo; voi ne sarete il primo cittadino, poiché non la conquista d’una città d'Italia; non la conquista delle cento nostre città, potrebbe tornarvi sì cara, come vi tornerà dolce udire pel mio labbro, che voi avete fatto più nobile conquista e più desiderata da voi, una conquista degli italiani di Sicilia e di Napoli.

E che sarebbe mai la conquista dei nove milioni dell'Italia meridionale, dei 12 milioni dell’Italia settentrionale, se non aveste conquistato l’ammirazione di tutto il mondo civile dei due emisferi? se il vostro nome soltanto non scuotesse le fibre delle nazionalità oppresse; se al nome di Garibaldi, l'Ungherese, e l'Illirico, e fino il Boemo ed il Croato non sentissero infiammarsi di carità di patria e di sdegno verso l'oppressore?

Udirete in città, unanime, il grido di viva Vittorio Emmanuele, viva Garibaldi, nomi carissimi e venerati che si compenetrano e riescono in un nome e in un grido solo: viva l’Italia.

Ma avanti di partire, permettete o ardito e ad un tempo ingenuo capitano, che io vi dia un altro bacio in fronte, perché voi lo diate agli uomini dell’ordine che vi circonderanno del loro freddo senno e del braccio, agli uomini dell’azione che vi circonderanno del loro braccio audace e del senno; e voi, a mano a mano svolgendo l'ampio e maestoso concetto, per opera del senno e del braccio, sarete l’uomo più sapiente, più ardito e più fortunato, che l'Italia genuflessa e piangente avanti a Dio, aspettava; l’uomo che vide, cessando di piangere, dopo 5 secoli, il di 4 luglio 1807.»

Risposta di Garibaldi al d'Ayala

«La ringrazio, signor Ayala, delle benevoli parole che ha voluto indirizzarmi.

Io ho sempre confidato nel sentimento dei popoli; e quando si tacciava di temeraria la mia impresa, chi pronunziava tali parole, non comprendeva che cosa significhi

— 271 —

il con

(92)

Primo decreto di Garibaldi

«Il signor Liborio Romano, è confermato al suo posto di ministro dell'interno.

Il generale Errico Cosenz, è incaricato del dipartimento della guerra.

L'avvocato Giuseppe Pisanelli, è incaricato del dipartimento della giustizia.

I direttori delle finanze signor Carlo de Cesare e dell’interno signor Michele Giacchi, sono confermati ai loro posti.

È nominato direttore di polizia l'avvocato Giuseppe Arditi.

Il tenente colonnello Guglielmo de Sauget, è nominato direttore del dipartimento della guerra agli ordini del generale Cosenz. «

Napoli 7 settembre 1860.

Giuseppe Garibaldi.
(93)

Torna utile tramandare ai futuri, in qual maniera il Re onorò il colonnello de Liguoro ed il reggimento, ch'egli comandava.

Ordine del ministro della guerra del 6 settembre 1860.

«S. M. (N. 5.) volendo dare un duraturo segno di compiacimento al nono reggimento di linea, per la brillante condotta militare e per l’attaccamento mostrato, nel fatto d'essere rimasto a tutela del Real forte Nuovo il giorno 7 andante mese, ordina di renderai ciò noto all’armata.

In esecuzione quindi di tale Sovrano comando, mostro questo corpo ad esempio di leale, ferma e militare condotta, perché ha saputo con la sua esemplare disciplina, destare la universale ammirazione, traversando la capitale invasa da estere forze, con le bandiere spiegate e a tamburo battente.

— 272 —

A colmo di grazie, l'augusto Signore, nomina uffiziale del Reale ordine di S. Giorgio della riunione il colonnello Girolamo de Liguoro; e nel tanto fare, veggasi onorato, nella persona del proprio capo, il reggimento intero.»

Il tenente generale ministro della guerra

Firmato — Casella.

(94)

Era castellano del castello nuovo, il generale Bartolo Marra; di quello dell'Ovo, il tenente colonnello Zannetti; del forte del Carmine, il maggiore Sciotì ed infine del castello S. Erasmo il colonnello Stanislao Garzia.

(93)

Ecco i nomi delle diciassette guardie del corpo a cavallo, che andarono spontaneamente in Capua per combattere a favore della indipendenza della patria.

Giovanni Castellano — Giuseppe Mazzara — Carlo Mazzara — Cesare Mayer — Giuseppe Scalese — Filippo Pironti — Luigi Galiani — Luigi Siciliani—Antonio Grosso—Francesco Alfieri — Antonio Ciccarelli — Giulio Pugliese — Alfredo Friozzi — Benedetto Andreassi —Francesco Landi — Giovanni Caracciolo del sole — Carmelo Rodino.

(96)

Registriamo i nomi di quelli alunni del Real convitto militare che si presentarono in Gaeta per difendere anch'essi la causa dì.1l’onore e della giustizia, e non omettiamo palesare all’universale, che questi giovani valorosi si fecero ammirare e plaudire, nel tempo dello assedio ch'ebbe poco  poi a sostenere quella piazza.

— 273 —

Ferdinando Lanza—Manfredi Lanza—Francesco Ponze de Leon—Ludovico Manzi—Antonio Rossi—Eduardo Rossi—Ferdinando de Liguoro—Carlo Giordano—Carmina Ribas — Francesco Afan de Rivera—Felice Afan de Rivera—Alfonso Scotti

(97)

Ordine del giorno del 14 settembre 1860

«Il signor capitano de Gòumoéns e tenente Loriol che appartenevano ai disciolti reggimenti svizzeri, volontariamente sono venuti a prestare i loro servigi alla maestà del Re (N S.)

Questo atto spontaneo, avendo fatto grata impressione nel magnanimo cuore del sovrano, la M. S. ha comandato renderlo duraturo per mezzo dell’ordine del giorno, con elogiarsi tale operato. Inoltre la M. S. comanda, che questi due uflìziali siano destinati alla immediazione del maresciallo di campo Giuseppe Sigrist.

Adempio al superiore comando col massimo piacere, stimandomi fortunato poter mostrare all’esercito questo lodevole esempio di militare virtù.»

Il ministro della guerra

Firmato — Casella.

(N. B.)  Con altro ordine questi uffiziali fecero parte dello stato maggiore del generale in capo. Il de Gòumoéns, vi rimase fino alla fine della campagna, l’altro Loriol, mandato a tempo a far parte dello stato maggiore del generale Won Mechel, scontratosi con una mano di cavalieri nemici, mentre eseguiva una ricognizione tra Cascano e Sessa, fu gravemente ferito.
(98)

Il Re al generale Ritucci.

«Le truppe riunite fra Capua e dintorni formano un corpo di esercito, destinato ad operare sulla linea del Volturno e più indietro.

— 274 —

Esse sono tre divisioni complete di fanteria, tutta la cavalleria, tutta l'artiglieria e tutti gli altri corpi di fanteria e gendarmeria che si vanno raggranellando.

Ella come il più graduato ne ha assunto il comando con piena libertà di azione e quindi con intera responsabilità.

Curerà, riposate le truppe ove ieri sono giunto,far loro prendere posizioni militari adatte alla circostanza.

Dirigerà i rapporti qui, o dove mi trovo.

Profitti del momento per spedire in Napoli e chiedere quello ch'è necessario pei bisogni delle truppe, completando i quartiermastri e la cassa di campagna, per sopperire ai soldi, presi ed altro, almeno fino al 15 di ottobre.»

(98) bis

Non è nostro intendimento notare i nomi di tutti coloro che lasciarono la propria bandiera, quando le truppe si riunirono sul Volturno; né vogliamo dire, uno per uno, quelli che disertarono l’esercito, per combattere in favore della rivoluzione.

Nondimeno non possiamo tacere di alcuni uffiziali di artiglieria, i quali sciogliendosi Eglino proprio dai ligami militari, abbandonarono le batterie che comandavano in momenti solenni, in cui era mestieri innanzi tutto mantenere incolume l'onore della milizia.

Il perché diremo che:

Il capitano Nicola Somma, abbandonò la batteria numero 3, che comandava, e andò in Torino per militare sotto la bandiera del Piemonte.

Il capitano Eugenio Locaselo, lasciò il comando della batteria a cavallo, che il governo avevagli confidato, per predilezione, e passò a servire Garibaldi per combattere i fratelli d'arme sul Volturno.

E il capitano Lorenzo Piscicelli, abbandonò la batteria numero 1, che a lui obbediva, per andare in Napoli ed aderire al governo di Garibaldi.

Infine ci si conviene registrare il disertamento commesso, nel giorno 7 settembre, dal capitano Enrico Zaini,

— 275 —

dal primo tenente Eduardo Durelli e dallo alfiere Alfonso Bargagli, tutti dalla batteria numero 13, che stanziava in Santamaria, i quali corsero difilati a militare per Garibaldi.

Ma il Bargagli,.tosto pentito del suo fallo, andò in Gaeta per implorate mercé,.ed assoluto della colpabilità della quale era accagionato, fu destinato alla batteria numero 4.

Senzaché sappi, che insieme ai testé nominati uffiziali della batteria numero 13, si allontanò pure dalla stessa e nel medesimo tempo, il capitano 'Luigi Stevenson, il quale in momento inopportuno, volle giovarsi di quell'ordine, che, pubblicato nel giorno innanzi, gli dava facoltà di trasferirsi al suo nuovo destino, in Pietrarsa.

(99)

Egeo in quale forma scrisse ilministro della guerra al generale Ritucci.

«Essendosi S. M. il Re degnato di affidare il governo della piazza di Capua al maresciallo di campo Giovanni Salzano, richiamandolo dal ritiro in attività di servizio, ha comandato che ella, dallo stato maggiore dell'esercito residente costà, destini due uffiziali presso di lui.

Ha ordinato pure la M. S,. che il maresciallo Pinedo sia sottoposto ad un competente consiglio di guerra, per non aver bene disimpegnati: gli. obblighi inerenti alla sua carica.

(100)

Il generale Pinedo usci dalla piazza, travestito da popola. no, e andò difilato in 'Napoli,, invece di recarsi in Gaeta.

(101)

Da cinquanta furono cresciuti a centocinquanta i cannoni che stavano su i baluardi di Capua.

— 276 —

(102)

Manifestazione del generale in capo Ritucci.

«Il governatore della piazza si stabilirà nel largo del Castelluccio, (Cittadella), ove si dirigeranno tutti i rapporti.

Il colonnello Colucci e tenente colonnello Prichard, alla gran guardia.

I capitani del genio Ferrara e Resta, nella linea dei trinceramenti lungo il Volturno, fronte S. Caterina, e testa di ponte a porta di Roma, coadiuvati dal guardia del genio Armonio.

I capitani Ritucci e Pinedo, dalla batteria Macello e castello fino al bastione Sperone, coadiuvati dal guardia Sagna.

Gli zappatori, coi loro utensili, metà al bastione Sperone e metà presso porta nuova.

Un battaglione del nono dei fanti presso il bastione Sperone; uno del 10° pure dei fanti al largo del Castellacelo.

Le guardie saranno immediatamente raddoppiate dai corpi che le hanno fornite.

Sessanta uomini del primo dei cacciatori, comandati da due uffiziali si trasferiranno al quartiere S. Maria delle monache, per servire di ausilio all'artiglieria, ove il bisogno lo richiederà.

Una compagnia dell’11° dei cacciatori, andrà a custodia dell'arsenale e della sala d'armi.

L'artiglieria andrà ai posti assegnati.

Tre pompe staranno pronte col corrispondente servizio, che sarà fornito dagli artefici, e si stabiliranno, una all'arsenale, un'altra alla piazza dei giudici e l'ultima all'opificio.» Firmato — Rifacci.

(103)

Questa compagnia era comandata dal capitano Camillo Zizzi.

— 277 —

(104)

Ordine del ministro della marina.

Gaeta 8 settembre 1860.

«Circolare—È volere di S, M. il Re, nostro Augusto Signore, che tutti gli uffiziali di marina residenti nella capitale, infra Io spazio di due giorni, debbonsi recare in Gaeta, attuale sede del governo; nella intelligenza, che coloro che non si saranno presentati in eletto tempo, s'intendono destituiti ed esclusi dalla cennata Reale corporazione.»

Firmato —del Re.
(105)

Ordine del 9 settembre 1860

«S. M. il Re (D.G.) mio Augusto Signore, osservando che la sola fregata Partenope abbia obbedito al comando dato dalla M. S. di recarsi in Gaeta, ove ha trasferito la sede del suo Real Governo, nel dichiarare che i comandanti e gli equipaggi di ogni classe degli altri legni della sua flotta sono rei di alto tradimento, esterna la sua soddisfazione al comandante ed all'equipaggio di essa fregata, i quali hanno mostrato tutti aver serbato onore, disciplina, ed obbedienza ai voleri del Re, base primordiale per ogni militare di qualunque arma. Per lo che accorda da basso uffiziale in giù, una giornata di soldo in regalo, riserbandosi in appresso di dare, tanto al comandante, quanto agli individui di esso eguipaggio, il compenso che merita la loro devozione al Sovrano.»
Il ministro della marina.  Firmato — del Re.
— 278 —

(106)

Manifestazione del generate Ritucci.

«Un distaccamento di pontonieri, sostenuto da uno squadrone di cavalleria, distruggerà il ponte fra Cancello ed Arnone sul Volturno, per togliere ogni comunicazione col nemico.

Le truppe di Sparanisi e S. Andrea del Pizzone, Staranno sempre all'erta.

Il comandante la brigata estera, in caso di sbarco verso Mondragone, si trasferirà a S. Andrea del Pizzone, restando avvisato, che Carinola, sito ella sua dritta, è occupato da una batteria di artiglieria, da due compagnie di fanteria, e dalla brigata lancieri, che sarebbe seguita da altri due reggimenti di cavalleria, ed una batteria, provvedenti da Capua. Queste truppe potrebbero allogarsi alla sinistra del comandante della brigata; di talché la linea di battaglia sarebbe tra Carinola, Pizzone, e Torre degli schiavi presso il Volturno.

Supponendo che il nemico venisse da S. Germano, o da Venafro, la brigata di Teano lo affronterà; e siccome a sei miglia da Teano, e propriamente al sito detto taverna della catena, convengono le due strade di S. Germano e di Venafro, così si rende indispensabile occupare quel punto con truppa di cavalleria, che può esservi contenuta, nel fine di potere avvisare a tempo la guarnigione di Teano, perché potesse prontamente prendere le armi, e discendere per la traversa di Capua, o per quella di Venafro.

Le frazioni di Vairano e Pietra Vairano, passeranno ad occupare la taverna, ch'è alla congiunzione della strada di quel paese con la consolare degli Abruzzi.

Le truppe di Calvi, marceranno in soccorso di quelle di Teano, se l'attacco dalla parte del mare non avesse avuto effetto; in caso contrario, potrebbe la truppa di Teano aver soccorso da quelle accantonate in Roccaromana, Pietramelara, e Vitulaccio.

— 279 —

La truppa di Bellona, in ogni caso, occuperà Calvi per appoggiare la difesa dal lato del mare, o dal lato degli Abruzzi.

La truppa di Caiazzo potrà essere attaccata dalla via che mena a Raiano, e Piedimonte. In questa ipotesi, le truppe di Formicola scenderebbero pel ponte dell'Oglio a sostenerla; il battaglione di Triflisco, rinforzerà la intera colonna.

Questa, combattendo, ripiegherà in caso sinistro nella pianura, per appoggiarsi sulle truppe di Bellona e di Vitulaccio, che ivi si disporranno in battaglia con la dritta al Volturno e la. sinistra a Bellona. La cavalleria ed artiglieria che stanno in Capua, accorreranno come riserva, insieme alle truppe di fanteria della piazza.

Se lo sbarco avvenisse alla foce del Garigliano, la divisione che sta in Sessa si disporrà in battaglia fra i due rivi di Cascano e della Travata, e prenderanno posizione alla sua sinistra, le truppe della brigata del Ruiz, che sono in Avezzano, Sorbello e Carano.»

Firmato — Ritucci.
(107)

Fu nominato prevosto generale del corpo di esercito il maggiore Achille de Liguoro di gendarmeria, ma poscia avuto altro incarico, venne sostituito dal capitano Vincenzo Tambone dell'arma istessa. 11 21 ottobre, allorché l'esercito operante andò verso Teano, poiché rimaneva in Capua il Tambone, il carico di Prevosto generale fu esercitato dal maggiore Francesco Biondi.

— 280 —

(108)

Ecco come fu ordinato l'esercite

1.° DIVISIONE

Comandante, brigadiere Filippo Colonna.

Stato maggiore 1° Tenente Giovanni Rammacca
Alfiere Andrea Colonna Bellona
Alloggia in

Bellona

1.a Brigata
Comandante, tenente colonnello Ferdinando La Rosa.Stato maggiore, 1° tenente Nicola Morrone.
Alloggia in Caiazzo
3° battaglione cacciatori accantonato alla piana di Caiazzo

4° idem idem in Bellona

6° idem idem in Caiazzo

Batteria n.° 11 di obici da 12 centimetri di montagna alloggiata in Caiazzo.

2.a Brigata
Comandante, brigadiere Gaetano Barbalonga Stato maggiore, capitano Michele Bellucci— 1° Tenente Agostino Dragonetti —Alfiere Antonio Polistina.,
accantonati in Vitulaccio
2.° battaglione cacciatori accantonato in Vitulaccio.

14.° idem idem al Punte a battelli.

15. ° idem idem in Triflisco.

Batteria n° 13 di cannoni rigati da 4 di montagna alloggiata in Vitulaccio.

14.° reggimento di fanti accantonato in Formicola.

— 281 —

2.a DIVISIONE.

Comandante, maresciallo Gaetano AfandeRivera.

Stato maggiore, maggiore Achille Coco — capitano Luigi de Paolis — capitano Antonio Pinedo.

Comandante le artiglierie, maggiore Gabriele Ussani.

Comandante del genio, capitano Costantino Andimzi.

alloggiati

in Teano

1.a Brigata
Comandante, colonnello Vincenzo Polizzy. Stato maggiore, capitano Luigi Dusmet — 1° Tenente Luigi Salmieri.
alloggiati

in Camigliano

7° battaglione cacciatori accantonato in Pantuliano, S. Secondino, Pastorano.

8° idem idem in Camigliano

9° idem idem in Visciano

10° idem idem in Zuni e Petrilli

Batteria n.° 10 di cannoni rigati da 4 di montagna alloggiata in Pantuliano.

2.a Brigata
Comandante, brigadiere Luca Won Mechel. Stato maggiore, capitano Luigi delli Tranci— 1° Tenente Giuseppe Ferrara.
alloggiati

in Calvi

1° battaglione carabinieri esteri accantonato in Pignataro.

2° idem idem in Calvi e Sparanisi

3° idem idem in S. Andrea del Pizzone, Camprisco e luoghi vicini

— 282 —

Batteria n° 15 di cannoni rigati da 4 di campagna accantonata in Calvi.

3.° DIVISIONE
Comandante, brigadiere Luigi Tabacchi.

Stato maggiore, capitani Mariano Purman — Gio. Battista de Giorgio — 1.° tenente Giulio Locaselo.

Comandante le artiglierie, maggiore Ferdinando Ussani.

Comandante del genio, capitano Elia Catanzariti.

alloggiati

in Teano

1.a Brigata
Comandante, colonnello conte Gennaro Marulli.

Stato maggiore, capitano Pietro Sarria

alloggiati

in Teano

1° reggimento granatieri della guardia

2 idem idem

Batteria n. 1 di cannoni lisci da 12 di posizione.

accantonati in Teano
2.a Brigata
Comandante, colonnello Giovanni d'Orgemont alloggiato in Teano.

Stato maggiore.

3° reggimento della guardia cacciatori accantonato in Teano.

Battaglione tiragliatori  della guardia accantonato in Gaeta.

— 283 —

3.a Brigata

Comandante colonnello Giuseppe Ruiz

Stato maggiore, capitano Michele Melendez—

1.° tenente Federico Basile.

alloggiati

in Sessa

6° reggimento di fanti accantonati

8° idem in Sessa.

accantonati in Sessa
Batteria n° 6 di cannoni rigati da 4 di campagna accantonata in Cascano.
DIVISIONE DI CAVALLERIA
Comandante, brigadiere Giuseppe Palmieri. Stato maggiore, capitano Tommaso Cava — 1.° tenenti Riccardo Palmieri — Roberto de Come.
alloggiati in Sparanisi
1.a Brigata
Comandante, brigadiere Antonio Echaniz. Stato maggiore, 1° tenente Carlo Assante.
accantonati in una casina fuori Capua
Reggimento carabinieri a cavallo accantonato in Capua

1° Reggimento Dragoni alloggiato  nelle varie taverne fuori Capua.

2.a  Brigata
Comandante colonnello Rodolfo Russo, alloggiato in Caiazzo
2.° Reggimento Dragoni

3.° idem

accantonato nelle varie

taverne della strada consolare

da Capita a Sparanisi

metà come il 24 Dragoni,

e metà in Caiazzo

284 —

3.a  Brigata

Comandante, brigadiere Fabio Sergardi alloggiato in Carinola.

Stato maggiore.

1. ° Reggimento Lancieri
2.°
idem
3.
Batteria n.° 5 di cannoni rigati da 4 di campagna.

Due compagnie della brigata Ruiz

Accantonai

in Carinola

Frazioni di diversi corpi di fanteria.
2 reggimento di fanti

4° idem

Accantonati in Pietramelara.
Carabinieri a piedi e 13° dei fanti in Roccaromana.

11° e 12° dei fanti in Vairano e Pietra Vairano

11° idem in Formicola

15° idem in Marzanella.

PIAZZA DI CAPUA

Governatore maresciallo di campo Giovanni Salzano. Stato maggiore— 1.° tenente Angelo Baio 2.° tenente Francesco M.a Gagliardi.

Brigata di fanteria.
Comandante—brigadiere Raffaele de Cornò. Stato maggiore—capitano Cesare Salerni—l.0 tenente Giuseppe d’Ambrosio.

9.° Reggimento di fanti..

10.° idem

— 285 —

Battaglione zappatori minatori.

Artiglieria di piazza.

Mezza batteria n.° 2 di cannoni rigati da 4 di campagna.

Batteria n.° 3 di cannoni da 6 di campagna.

Frazioni di corpi da riorganarsi



1.° Battaglione dei cacciatori.5.°  idem.Trazioni del12.° idem.13.° idem.
11.° idem.
(109)

Il comandante della voluta brigata di Montanari del Vesuvio, era quello stesso capitano di fregata, Marino Caracciolo, che comandava la nave napolitana il Capri, la quale stava nelle acque di Marsala, quando Garibaldi, senza grave molestia. sbarcò ivi con i suoi mille combattenti.

(110)

Notiamo quali e quante erano le truppe che presidiavano la cittadella di Messina.

— 286 —

Stato Maggiore

Un generale e quattro uffiziali subalterni

ttttttttttttttttttttttttttttttttttt
tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt
tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt

(111)

Diamo ai nostri lettori i nomi degli uffiziali che dalla cittadella di. Messina disertarono l'esercito, ed eziandio i nomi di coloro, che furono espulsi da quel fortilizio, perché compresi dalla febbre delle massima nuove.

Disertarono l'esercito — Giovanni del Bono capitano del genio — Raffaele de Saint Paul 1.° tenente del genio — Giovanni Morante guardia del genio —Annibale Sardi. 2.° commesso degli ospedali — Giuseppe Chiarito capitano—Ignazio Palladino capitano sedentaneo — Ignazio Guccione commessario rii guerra—.Alfredo Avena capitano del genio

— 287 —

—Giovanni Colucci guardia del genio — Costantino Moffa 2.° tenente del 3.° reggimento di fanti — Vincenzo dell'Averano 2.° lenente del 3.° reggimento di fanti —Antonio Garzia 2.° chirurgo del genio — Ferdinando Guillamat colonnello di artiglieria — Gabriele Vallo colonnello di artiglieria — Giulio de Candia 2.° tenente del 3;° reggimento di fanti —. Luigi de Palma uffiziale telegrafico — Achille de' Michele maggiore di artiglieria—Pasquale Cosentino alfiere del 3.° reggimento di fanti—Salvatore Papa maggiore del'5.° reggimento di fanti — Salvatore Randazzi alfiere del 5.° reggimento di fanti —Gaetano Valestra capitano sedentaneo.

Espulsi dalla cittadella—Raffaele Ferram colonnello del 3° reggimento di fanti — Emmanuele Moleti colonnello del o. reggimento di fanti —Giuseppe Zammitti capitano del 5° reggimento di fanti — Napoleone Torricelli capitano.del 5.° reggimento di fanti—Nicola Forte alfiere del genio —Pietro Conte primo chirurgo del genio — Enrico Vigliena cappellano del genio —Giuseppe de Simon cappellano del 5 reggimento di fanti.

(112)

Se non abbiamo reputato essere del nostro compito descrivere i particolari della difesa della cittadella di Messina, contro le milizie sarde, giudichiamo nondimeno utile registrare il testo della capitolazione,, che impose il generale Sardo Cialdini al maresciallo Pergola, castellano di questo fortilizio.

«Art. 1. Domani giorno 13. alle ore 7 a. m. la guarnigione della cittadella, e tutti compresi con essa, usciranno dalla piazza senz'armi, meno i signori, uffiziali, cui lascio la spada.

Art. 2. La guarnigione si formerà in colonna sul piano di S. Ranieri.

In quel mentre dal piano di Terranova il 35. reggimento entrerà nella cittadella e prenderà possesso della piazza.

Art. 3. S. E. il maresciallo Pergola lascerà al cancello esterno

— 288 —

Art. 4. S. E. il maresciallo Pergola mi sarà responsabile di tutti i pezzi inchiodali che si trovassero e di tutte le mine, che non fossero anticipatamente dichiarate.

Art. 5. Si provvedere per le famiglie come e quando si potrà.

Art. 6. La guarnigione, resa a discrezione, sarà dal generale Cialdini raccomandata alla clemenza sovrana.

Art. 7. Le vite, gli averi e le persone, saranno rispettate e restano sotto la salvaguardia della bandiera del Re Vittorio Emmanuele.»

Firmato — Enrico Cialdini.
(113)

Lettera del generale Locaselo al generale Pergola.

«Signor Generale — Spediva il 20 dello spirante mese il mio aiutante di campo in Napoli per alcuni provvedimenti; ma privo tuttavia di questi, ed essendo a conoscenza che cotesta piazza siasi aperta, e quindi è in contatto con le truppe italiane, così mi sono spinto inviarle con la barca doganale il presente plico, per conoscere quale esser deve la norma a seguire, in seguito di avere intesi gli avvenimenti delle province continentali e la pratica da lei usata. L'essere questa piazza dipendente da celesta Cittadella, mi mena nell’obbligo interessarla a volermi tenere istruito di tutto ed al più presto, perché possa regolare l'andamento delle cose in guisa, da mantenere l'ordine pubblico e tenere salvo il decoro della truppa.

Con tale mezzo la prevengo che la truppa non à il prest che fino a tutto il 15 vegnente.»

Siracusa 31 Agosto 1860.

Firmato — Locaselo
— 289 —

(114)

Risposta del generale Pergola all'altro Locascio.

«Signor generale — Sono rimasto oltremodo stranizzato, leggendo il contenuto del suo foglio del 31 p. p. agosto n° 293, per le voci scoraggianti che le hanno asserito, ch'ella da vecchio ed esperto militare non avrebbe dovuto credere. Solo dal canto mio le posso raccomandare di tenersi fermo con cotesta guarnigione ed eseguire alla lettera il prescritto dai numeri 143 e seguenti della Reale ordinanza di piazza.

Le frottole che a lei si dicono, spesso anche a me si fanno giungere, mercé bullettini e stampe volanti, che mi vengono regalate dal signor Lella, Console sardo in Messina; ma io non vi presto fede, mentre comprendo che la mancanza di notizie officiali del continente, è causa di tante bugie.

Io però, col postale francese, spedirò espressamente persona di mia fiducia in Napoli, onde ottenere dai superiori l'invio subito di un legno a mia disposizione.

Ella deve tener per certo poi, che le notizie mi giungono, sono favorevolissime alla causa del Re (N. S.) mentre si vedono giungere in Messina molti feriti dalle Calabrie: veda quindi bene, che gli affari non vanno felici per la rivoluzione.

Relativamente al presi, anche qui non si ha che fino al 10 corrente, ma ho preso degli espedienti come provvedervi, anche per cotesta piazza, e mi auguro, quanto prima, farle rimessiva dell’occorrente.

La serie dei santi per questa prima quindicina, non gliela spedisco, per tema di dispersione; ma la manderò al ritorno da Napoli del suo aiutante di campo, che voglio sperare sarà presto.»

Messina 2 Settembre 1860.

Firmato — Pergola.
— 290 —

(115)

Lettera del colonnello Latour comandante la piazza d'Augusta al generale Pergola.

«Signor generale comandante — Verso le ore 23 italiane di ieri ho avuto luogo ad osservare in questa piazza un affollamento non ordinario di persone, che con massima gioia manifestavano essersi in Siracusa, per ordine del generale Locascio, fraternizzata l'intera guarnigione coi pagani, ed installata la guardia nazionale, oltre a diverse disposizioni inerenti alla circostanza, per cui mi dimandavano ottenere qui l'istesso.

Io non conoscendo i fatti veri successi, né da quali superiori ordini avessero potuto provvenire, ho impiegato tutti i miei sforzi per calmarli assicurando loro, che subito me ne sarei informato. Difatti sul momento spediva in Siracusa il signor capitano Canini del 15.° reggimento di linea con analogo officio, dal quale, nel ritorno, sono' stato informato esser vero quanto si era detto.

Dopo tali avvenimenti sperimentatisi in una città a poca distanza da questa, può argomentare il desiderio generale dell’intera popolazione, cioè di ottenere i medesimi cambiamenti: quindi è che mi veggo nella massima costernazione e nel difficile bivio di adempire al mio sacro dovere e contentare nello stesso tempo il popolo, che a voti generali ne reclama l'esito. In conseguenza altra via legale non scorgo che dirigermi a lei, signor generale, pregandola caldamente a precisarmi sollecitamente i suoi ordini sull’oggetto, con quella chiarezza e precisione, ch'esige lo stato imperioso dei tempi, ond’io non possa vedermi mio malgrado, nel dubbio delle diffinitive operazioni a praticare.»

Augusta 1.° Settembre 1860.

Firmato — Tompson Lalour.
— 291 —

(116)

Risposta del generale Pergola alla lettera indirittagli dal colonnello Latour.

«Signor colonnello — Di riscontro al suo officio del i.° andante numero 135, ora pervenutomi, mi pregio farle presente, che cotesta piazza è interamente affidata alla sua responsabilità; quindi le inculco attenersi strettamente al prescritto ne' numeri 142, e seguenti della Reale ordinanza di piazza; non trovando superfluo richiamarle all’oggetto l'officio di questo comando del 2 dello scorso mese num. 2719, che senza dubbio il signor maggiore Aldanese, che allora comandava interinamente, ha dovuto a lei passare.

Il denaro che le bisogna, lo riceverà quanto prima.»

Messina 6 Settembre 1860.

Firmato — Pergola.
(117)

Leggano i nostri lettori per disteso il patto, che fermò il colonnello Latour col municipio di Augusta.

«Real piazza di Augusta — Visto l’imperiosa circostanza di mancare il denaro pel presi della truppa, e per esser privi di ogni comunicazione e notizie del continente da circa un mese, si è dovuto ricorrere per la giornaliera sussistenza ai viveri di riserva, malgrado la piazza non fosse nello stato d’assedio; e visto ancora la circostanza di aver perduto il prossimo soccorso della piazza di Siracusa, perché resa, abbiamo stimato indispensabile eseguire una capitolazione, onde poter far trasferire in Napoli l'intera guarnigione, stabilendo i seguenti articoli.

1. Tutti i signori uffiziali, ed individui di truppa, componenti l'attuale guarnigione di Augusta, sortiranno dalle fortezze della piazza per recarsi al luogo d'imbarco, in seguito d'ordine del sottoscritto signor colonnello comandante la medesima, con armi, bagaglio, corrispondente munizione ed onori militari, portando secoloro gli effetti rispettivi di magazzinetti, ed analogo bagaglio dei signori uffiziali.

— 292 —

2. Il municipio di Augusta deve approntare i mezzi di trasporto, perché detta guarnigione sia disbarcata in Napoli e non in qualunque altro luogo, purché fra i detti trasporti vi sia un vapore che possa rimorchiarli.

3. La truppa uscirà dai forti al momento che sarà pronto ]' imbarco.

4. La consegna del materiale di artiglieria, poveristè e munizioni confezionate, verrà praticata dal guardia di artiglieria signor Luigi Bartucci, come consegnatario, che resterà a tale uopo nella piazza, e terminata la consegna, il detto signor Guardia, sarà imbarcato per Napoli per le cure del presidente del municipio, portando seco gli analoghi verbali nel numero di copie stabilito. Dal municipio sudetto saranno corrisposti al ripetuto guardia gli averi inerenti al grado, durante la permanenza in Augusta.

5. In forza della presente capitolazione,, resta conchiuso e stabilito, come non corso il periodo di dieci giorni segnato nel decreto dittatoriale degli 8 corrente, in cui si prescrive che ciascuno individuo appartenente alla truppa napolitana, sia uffiziale, sottuffiziale, o soldato, dovrà dichiarare L’ adesione, o il dissenso di servire l'armata nazionale, ma bensì correre per questa guarnigione, dal giorno in cui giungerà in Napoli.»

(118)

Regolamento per la interna sicurezza, prescritto dal generale de Benedictis alle autorità dei tre Abruzzi.

«Il torrente politico sviluppatosi, deve correre al suo confine.

La forza pubblica deve prestarsi all’invito delle autorità costituite per tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica, che è devoluta esclusivamente alla guardia nazionale. Quando da questa si richiede il braccio forte della gendarmeria, si dia, ma non mai per fare uso delle armi contro cittadini, menoché non debbano sventuratamente usarsi contro reazionarì, quando costoro discendessero a dei fatti: a questi bisogna però parlar prima con calma e persuasiva.

— 293 —

Qualora non si richiede la forza, o dalle autorità, o dalla guardia nazionale, essa, sia gendarmeria, sia truppa di linea, deve rimaner ferma nei quartieri, né mischiarsi in verun fatto.

Sento con dispiacere che le province, degli Abruzzi vogliono sollevarsi, e perché? Qual'è il nemico che debbono combattere? Coloro che vogliono tentare questo movimento insurrezionale, o non capiscono, o fingono di non capire; nemici a combattere non ve ne sono; i pochi infelici tentativi reazionari, si correggono come ho praticato finora e con buon successo. Dippiù questo è sommamente dannoso; si procura lo scioglimento della disciplina nei pochi uomini appartenenti al 12.° battaglione dei cacciatori e frazioni di linea restati negli Abruzzi. Un tale procedere è l’effetto d'ignoranza di coloro cbe non mirano ai veri interessi della nostra Italia. Quando vorranno l'armata, dopo essere stata corrotta nella disciplina e spinta a diserzioni, non più la troveranno. Questo è un grave fallo, di cui si troveranno ben pentiti coloro, che credono di far bene.

Ecco in breve la norma a serbarsi dalle autorità militari costituite nelle province degli Abruzzi, e sempre di accordo coi signori Intendenti. Facciano queste autorità ciò che vogliono, la forza pubblica rimarrà passiva al suo posto, menoché non venga richiesta come ho detto. Finalmente la forza pubblica deve sempre fraternizzare con la guardia nazionale in tutte le circostanze.»

Firmato — de Benedictis.
(119)

V'ha ricordato ciò che scrisse il de Benedictis al colonnello Perez.

«Quanto prima io verrò costà; fate leggere alla truppa del presidio le seguenti parole.

Nel partire da Napoli S. M. il Re Francesco li, ordinò a tutti i militari, che non avessero fatto più veruna inutile re

— 294 —
Firmato — de Benedictis.
(120)

Fa bisogno registrare le testuali parole indirizzate dal generale de Benedictis al presidio del castello di Aquila il 10 settembre 1860.

«Bravi artiglieri e zappatori —Una fronda dall'albero non cade, se non per la volontà di Dio, a cui noi tutti dobbiamo umilmente rassegnarci.

Il nostro Re Francesco II, se n'è andato e ciò deve ritenersi ancora essere avvenuto per volontà di Dio. Nell’andarsene, altro mandato non ha rimasto, che conservare la disciplina e la ubbidienza alle autorità costituite.

Soldati — 11 nuovo governo di Vittorio Emmanuele, per mezzo del dittatore Garibaldi, ci fa sapere, che chi vuole rimanere al servizio, rimanga, e chi vuole andarsene, se n vada; tanto per coloro che hanno compito l'impegno, come pure per chi non l'ha compito. Resti ciascuno libero di servire ed infine vi si raccomanda di rispettare le leggi, perché così solo sarete bravi cittadini, come foste ottimi soldati.»

(121)

Avvertenze mandate dal generale duca di Sangro e dall'altro Casella, ministro della guerra, al generale de Benedictis.

Il duca di Sangro al de Benedictis

«Gaeta 7 settembre 1860.—ore 10 p. m. S. M. il Re (D. G.) è contentissimo del buon ordine e dello spirito pubblico degli Abruzzi; raccomanda di conservarlo, mettendosi di accordo con le autorità locali, sì civili, che militari.

Ella diriga i suoi rapporti a S. M. il Re (N. S.) in Gaeta e tutte le altre autorità facciano altrettanto.»..

Firmato — di Sangro.
— 295 —

Casella a de Benedictis — Gaeta 7 settembre 1860.

«La sede del governo è in Gaeta. Mantenete l’ordine nelle tre province. Dirigete qui i vostri rapporti.»

Firmato — Casella.
(122)

Lettera del de Benedictis al duca di Sangro in Gaeta.

«Eccellenza — Lasciato solo negli Abruzzi il mio compito militare era finito; non mi restava se non che quello civile, cioè raffrenare gli armamenti generali di masse, che si preparavano per aggiungersi a quelle del generale Garibaldi, come dai miei rapporti diretti al ministero della guerra in luglio ed agosto.

Era riuscito ad impedire la guerra civile, gl'inutili massacri ed i saccheggi, ma appena il giorno 7 venne l'annunzio dell'entrata in Napoli del dittatore Garibaldi, gli Abruzzi si levarono come un sol'uomo; il tripudio fu immenso e generale; tutti furono indistintamente per l'annessione e le tre province si elevarono a governi provvisorii;  sotto la dittatura di Garibaldi.

Non rimane altro che Pescara, ove si verserà inutilmente altro sangue cittadino e vi sarà saccheggio. S. M. Francesco II, non ne ritrarrà altro vantaggio, se non che il rancore delle popolazioni. Io sono minacciato nella vita.»

Aquila 10 settembre 1860.

Firmato — De Benedictis
(123)

Significazione del de Benedictis 'al ministro della guerra di Garibaldi in Napoli.

«Eccellenza—Replico rispettosamente qui appresso per staffetta un telegramma inviatole al momento, nel dubbio che non le fosse giunto, aggiungendovi di più, a maggiore schiarimento, il dettaglio della guarnigione di Pescara.

Alcuni militari dementi, o di animo perfido, od ignoranti, di cui le farò conoscere i nomi, vogliono avvelenare il tripudio generale di queste popolazioni.

— 296 —

Pel forte di Aquila vi ho riparato.

Per Pescara vi sono grandi minacce e contro di me specialmente, e contro quel comandante ed altri uffiziali, fino a quella di uscire dalla piazza, incendiare, e saccheggiare Chieti. Le guardie nazionali non sono bene organizzate, né possono stare a fronte di truppe regolari. Sarei del rispettoso parere, che si spedisca un battaglione per la via di mare, da sbarcarsi in Ortona, o Francavilla, per rimanere in custodia della città di Chieti.

La truppa che tiene presidio in Pescara si compone, del 12° battaglione cacciatori (sette compagnie) di una batteria di obici a trascino col corrispondente personale, del 1° battaglione del genio (quattro compagnie) e dell’artiglieria di Piazza (una compagnia).»

Aquila 10 settembre 1860.

Firmato — de Benedictis.
(124)

Notificazione del de Benedictis al duca di Sangro in Gaeta.

«Eccellenza—Fin da ieri dirigeva risposta al primo e secondo telegramma di V. E, ma la linea essendo interrotta, mi permetto inviarle una staffetta, sperando che questa possa giungerle.

Fin dal giorno 5 io ed i miei figli, Giojan Battista dello stato maggiore e Michele del 10° dei cacciatori, inviammo la nostra dimissione dal Beai servizio di S, M. Francesco II al ministero della guerra, di che prego V. E. degnarsi rimanere intesa.»

Aquila 10 settembre 1860.

Firmato — de Benediciti.
— 297 —

(124) bis

E qui cade in acconcio manifestare, che il ministro della guerra Casella, non appena seppe aver notificato il de Benedictis, ch'Egli intendevasi disciolto e liberato del grado che aveva, e dall'ufficio che adempiva, pubblicò di mezzo all’esercito, che il tribunale militare sentenziasse sulla condotta di lui.

Ondine del ministro della guerra.
«Il brigadiere Luigi de Benedictis, viene sottoposto al competente consiglio rii guerra, per la condotta tenuta nel suo comando territoriale dei tre Abruzzi.»

Gaeta 15 settembre 1860.

Firmato — Casella.
(125)

È necessario notare quali erano le ingiunzioni del Garibaldi e però ne trascriviamo il testo.

«Il ministro della guerra Cosenz a tutti i comandanti le armi nelle province ed a tutti i comandanti, o governatori delle piazze.

«Questo ministero di guerra manifesta agli uffiziali di ogni grado ed ai militari dell’esercito napolitano, essere volere del signor generale dittatore, che tutti siano conservati nella loro integrità, sì nei gradi, che negli averi: però si avranno le seguenti norme.

1.° Tutti i militari dell’esercito che bramano servire, si presenteranno ai comandanti, o governatori delle piazze dei luoghi più prossimi al loro domicilio, rilasciando ad essi debito atto di adesione all'attuale governo ed il loro ricapilo.

2.° Gli uffiziali che si presenteranno con le truppe saranno conservati nella loro posizione con gli averi di piena attività, ma quelli che si presenteranno isolatamente, saranno

— 298 —

3.° Quegli uffiziali militari, che non affrettino di presentarsi al servizio della patria, resteranno di fatta esclusi e destituiti, se non faranno atto di adesione nella maniera indicata, tra dieci giorni, a contare dalla pubblicazione della presente disposizione.

Tanto le comunico per lo esatto adempimento di sua parte».

Napoli 8 Settembre 1860.

Firmato — Coseni. bis

Vuolsi che il tenente colonnello Gaudiano di artiglieria avesse, tra tutti gli uffiziali che componevano il consiglio di difesa, titubato circa la decisione che doveva prendersi. Noi per mancanza di documenti, non possiamo ciò affermare: certo è soltanto, ch'Egli compì i propri doveri, finché i difensori della piazza vollero difenderla.

Affermiamo eziandio, essere inesatto ciò che ha scritto lo storico De Sivo contro il colonnello Pirella. Il quale, non solo non contribuì alla risoluzione in che vennero le truppe che guardavano Pescara, ma fu ancora il più saldo sostenitore dell’onor militare e dei doveri di soldato.

(126)

L'uffiziale spedito in Gaeta, fu il secondo tenente Ricciotti.

(127)

Ecco i cementi che fece il colonnello Scavo, comandante. la provincia di Chieti, alle prescrizioni del governo di Garibaldi.

— 299 —

Lettera dello Scavo al Piccolo

«Dopo le disposizioni telegrafiche a lei comunicate, con cui il ministero della guerra ha fatto conoscere, essere volere del dittatore generale Garibaldi, che fra dieci giorni ogni uffiziale e militare qualunque, dichiarasse il suo assentimento al governo di Vittorio Emmanuele I. Re d'Italia, ritenendosi in opposto escluso dall'esercito, io ho voluto per qualche tempo maturare la mia determinazione.

La inutile resistenza presentata nei suoi primodì in Palermo a questo gran movimento italiano, che mentre dalle truppe veniva oppugnato con la effusione del proprio sangue, era destramente forse favorito dai molti che si guidavano alla battaglia, è stato il principale argomento a convincermi, che qualunque opposizione sarebbe stata non solo vana, ma inconsiderata, oggi che la condizione del governo subentrato al primo, ha preso salda consistenza nel Regno, pel voto delle popolazioni. Così le vittorie ed i progressi del dittatore, sono stati continuamente segnalati dalla simpatia delle geni ove transitava, e dagli stessi contingenti armati destinati ad opporvisi.

Non volendo io quindi, nella mia tarda età, essere pietra d'inciampo, né compromettere con la mia condotta la vita dei soldati, stanziati in questa provincia, ho risoluto di non ritardare di vantaggio un'adesione, per me tanto più doverosa, iu quanto che per un vecchio militare, le sue affezioni non possono essere, che attaccamento all’arma ed alla vita dogl’ individui che ne fanno parte e gli dipendono.

L'esercito napolitano, forte di giovani valorosi, non dev'essere perduto per inutili azioni, mentre può sorgere per esso un' Era da immortalarsi fra le truppe d’Europa.

Nell'adempiere quindi al dovere d'informamela, tanto essendo reclamato dalla nostra lealtà militare, la pregherei palesarmi, quale crede dovess'essere l’attitudine di cotesta Real piazza su le cose che volgono, in vista specialmente del ripetuto cannoneggiamento che costà avvenne or son due notti

— 300 —

e del quale nessun rapporto mi è mai pervenuto; tan

Chieti 14 settembre 1860.

Il colonnello comandante le

armi nella provincia

Firmato — Scavo.

(128)

Significazione del de Benedictis al presidio di Pescara

«Il Re è uscito del Regno, tutto è finito; consiglio la. guarnigione a regolarsi secondo le prescrizioni del ministro' della guerra di Garibaldi, u

Firmato — de Benedictis.
(129)

I tre principali agenti della rivoluzione che furono arrestati dalle truppe, erano; il de Cesaris di Penne, il Tripoli ed uu certo Delfico.

(130)

Il Pirella comandava il duodecimo dei cacciatori ed il Ditta era il capitano aiutante maggiore del battaglione medesimo.

(131)

Il capitano Giovane con i dugento gendarmi, alloggiala' no prima in Teramo e da poco tempo erano andati a presidiar Civitella del Tronto, per volontà del generale da Benedictis.

— 301 —

(132)

Il capitano Giovane, rapportando al Re ogni cosa che aveva attenenza alla difesa di Civitella, qualificò il Tiscar propenso al governo dittatoriale.

(135)

Registriamo la manifestazione, che il ministro della guerra indirizzò ai difensori di Civitella del Tronto.

«Soldati!

«L'eroica difesa della piazza di Civitella del Trento, commuove il generoso, clemente animo sovrano. Bella di ricche tradizioni la storia militare, non presenta un maggiore esempio di bravura e lealtà. Un pugno di bravi, issando l'avido ed immaculato vessillo della nostra casa Regnante, baldanzoso combatte l'idra della rivoluzione e la più vile delle nemiche aggressioni. Il nostro antenato Wead, nella magnanima difesa altra volta eseguita in cotesta storica città, rimane secondo al vostro invitto comandante capitano Giuseppe Giovane, essendo molto lungi il parallelo delle due difese.

La giustizia del Re (N. S.), sempre pronta a premiare la virtù, lo eleva al grado di colonnello, ed ordina, che si abbiano un grado di più i componenti della onorevole guarnigione.

Sia a duratura gloria, o miei compagni d'arme, l'eroico vostro coraggio, modello ed esempio di fede e di valore, mentre ammirati dall’Europa, rispettati dallo stesso attonito, atterrito nemico, compiamo la grande opera di liberare dalla oppressione straniera, questa bella nostra terra natale, al grido costante di Viva il Re.»

Gaeta 17 gennaio 1861.

Il ministro della guerra

Firmato — Casella.

FINE DELLA PARTE PRIMA.






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