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RAGGUAGLI STORICI SUL  REGNO DELLE DUE SICILIE

DIVISI IN VOL. 2, E CIASCUNO IN EPOCHE DUE SCRITTI DAL CONTE GENNARO MARULLI

OPERA che si pubblica per cura dell’editore proprietario LUIGI JACCARINO

NAPOLI - Per cura dell’Editore proprietario Luigi Jaccarino - Strada Rosario Portamedina n. 31 - 1845

Gennaro Marulli - Ragguagli storici sul Regno delle due Sicilie Volume Primo - 01 Volume Primo - 02 ODT PDF
Gennaro Marulli - Ragguagli storici sul Regno delle due Sicilie Volume Secondo - 01 Volume Secondo - 02 ODT PDF

— Volume Secondo, Epoca terza, Parte prima —

PRIMA RESTAURAZIONE DEI BORBONI SU TRONO DI NAPOLI 
CAPITOLO I CAPITOLO II CAPITOLO III CAPITOLO IV CAPITOLO V CAPITOLO VI


CAPITOLO I

Il Cardinale Ruffo restando in Napoli in vece del Sovrano prende il titolo di vicario generale e Capitan generale del Regno; editto del Re; partenza per Palermo di questo, rimuneramenti occorsi pel riconquisto fatto del Regno — Avvenimenti in Sicilia, l'uno in Augusta, e l’altro in Palermo — Delle truppe napolitane nello Stato romano, operazioni di esse — Rinforzi a queste truppe; Roma è ceduta ai napolitani, vi entra Bourcard Generale di Napoli — Cose disposte in quello Stato, vi giunge il Generale Naselli spedito da Re Ferdinando per tenere la somma delle cose in esso, suoi adropramenti — I francesi posseggono nello Stato romano soltanto la Piazza marittima di Ancona, come questa viene stretta; masse napolitane con i coalizzati contro di quella — Operazioni pel conseguimento della presa di Ancona; essa capitola onoratamente— Morte del Papa; conclave riunito per la novella elezioni, il Cardinale Ruffo lascia Napoli per riunirsi ai suoi colleghi; il Principe del Cassero in luogo del Ruffo — Stato della Trancia in tale anno.

Riconquistato il Regno di Napoli e ridotto esso novellamente del tutto sotto il dominio di Re Ferdinando IV, come nel precedente volume ho narrato, fu creduto dal Sovrano e suoi Consiglieri conveniente divisato il lasciare un provvisorio governo in questi continentali domini, sotto la presidenza di un qualche riguardevole personaggio, finché le cose stabilmente si assodassero. Di detto reggimento se ne diede il carico al Cardinale Ruffo facendogli assumere il titolo di Vicario generale del Regno, come precedentemente aveva, aggiungendovi anche quello di Capitan generale: fu ad esso accordato ogni potere e f esecuzione delle proprie disposizioni; essendo pensiero e volontà del Re di far ritorno in Napoli allorché il Vicario della stabilita quiete ne rapportasse. Per la qual cosa si fece noto ai popoli con un editto, in seguito del Decreto del 22 Luglio 1799 «Avere il Re vinto per gli aiuti di Dio, de’ suoi alleati e de’ suoi popoli un nemico fortissimo per armi e per tradimenti; essere per questo venuto a premiare i meritevoli ed a punire i ribelli, non comportando la giustizia la cessazione dei castighi né il suo real animo dalle ricompense; aver Egli ordinato il proseguimento de’ giudizi di Stato, ed il più ampio esame dei servigi resi dalle comunità e dalle persone. Quindi nel tenersi lontano poco tempo dalla felicissima città di Napoli con fidare la sicurezza e la quieta del Regno agli ordini ristabiliti, all’autorità dei magistrati, alla forza delle milizie, ma sopratutto alla’ fede sperimentata dei sudditi. Serbassero dunque intatta, l'acquistata gloria e l'accrescessero, com’ E gli costante il pensiero serberà della loro prosperità, e come spanderà sopra i meritevoli generose mercedi e benefizi () ciò disposto trattenutosi Ferdinando alcuni altri giorni nella rada di Napoli nel 4 Agosto per Palermo, come dissi, veleggio, laddove altro tempo vi fece dimora: tale allontanamento non desto piacimento nella popolazione di Napoli, imperciocché bramosa era questa di ritenere e rivedere sempre tra essa i suoi amati Principi; per la qual cosa rimasero gli animi non da furore, come per lo innanti sollevati, ma da dispiacenza, ad un quasi popolarti scoppio rivolti, che il tempo iridi seppe rattemprarc e tranquillare.

Fu volontà del Sovrano in quel tempo di ricolti pensare con magnifici doni, e premiare coloro che contribuito avevano a far ritornare il Regno a sue divozione e dipendenza. Donato venne primiera mente al Cardinale Ruffo in libera proprietà la rendita di Ducati 15000. all’anno in tanti beni fondi, che appartenevano al regio demanio in San Giorgio la Molàra, feudo del fu Principe della Rie eia, devoluto alla regia Corte por mancanza di Sue cessione, ed in altri luoghi: le lettere che accompagnavano i doni esprimevano la Reale benevolenza e la gratitudine: altre lettere autografe riceveva il Ruffo Cardinale dall’Imperatore Paolo I, che io nominava Cavaliere dell'ordine di Sant'Andrea e di Sant’Alessandro. Al duca di Baraniello fratello primogenito del Porporato ed a’ suoi eredi e successori in perpetuo, cedette la Maestà di Ferdinando il suo dritto di patronato sopra la Badia di Santa Sofia di Benevento ed all’altro fratello D. Francesco Ruffo, già Ispettore della guerra, concesse una pensione vitalizia di annui ducati tremila. La più parte di coloro, che distinti si erano per la ristaurazione della Monarchia riconosciuti furono chi con militari gradi, chi con donativi di ricordo, e chi con denaro ancora, chi con ordini cavallereschi e decorazioni, e chi con beni in libera, (proprietà, e pensioni a vita, e chi con cariche. Non mancarono i presenti per Hamilton Ambasciatore inglese, per Acton e per molti cospicui personaggi sì nazionali come esteri; e Nelson venne nominato Duca di Bronte con la rendita in beni fondi di Ducati 18000 l’anno. Larghe ricompense furono date allorché venne formato il nuovo esercito: erano le milizie antiche disciolte, le repubbliche proscritte ed abborrite, le bandi regie abbondanti di uffiziali e sott’ufffiziali, tali perché così vestiti, e nessuni o pochi solcali; avvenuto era questo perché il Cardinale nel principio della guerra tollerato aveva a quella gente sua, che ciascuno ponesse il più gradito segno di milizia, per non iscontentarli, e perciò i Capi presero quasi, tutti il grado di ufficiali superiori e di ufficiali minori in tutte le armi; per le quali cose il Re a questi tempi detto parecchi dispacci ed ordinanze a tal riguardo, onde tali abusi correggere con moderazione.

II. Fra tanti disastri e, sconvolgimenti succeduti nel Regno di Napoli, godeva la Sicilia di sua piena quiete, e tutto prosperava in quella parte insolare dei domini nostri; l’avere nella sua Capitale la Corte ed una gran quantità di persone con quella colà ritirate, Una non indifferente utilità le arretrava sì nel commercio interno, che nelle finanze tutte. Due fortuiti avvenimenti soltanto turbarono, in un qualche modo, in questo anno la generate tranquillità e gli animi di taluni dai suoi ahi latori; ma perché questi in due luoghi successero niobio lungi tra essi ed in differenti epoche, così da porco, o ninno riguardo nel grande delle cose risultarono. Il primo fu che un bastimento della Liguria, che una settantina di militari francesi ciechi e lenti aveva a bordo, essendo approdato, per ragione di traversia di mare, nel mese di Gennaio ad Augusta facendo dall’Egitto ritorno, il popolaccio di quei luoghi mettendosi in sospetto potervi su del medesimo un ricco tesoro esservi, a tutta possa assalì quella nave, e nel saccheggiarla più di quaranta di quei miseri invalidi trucido perché risistenza cercarono opporre, essendo gli altri a stento menali a salvezza per lo sopraggiungere colà d’una fregata napolitana, che per azzardo allora in quelle acque incrociava.

L’altro funesto avvenimento fu che allorquando le collegate squadre si trovavano nella rada di Palermo, nel giorno otto Settembre, giorno di Pubblica esultanza e di tripudio in quella Capitale, per la ricorrenza della festività della nascila della Vergine SS. che con solenne e squisito lusso si venera nel prossimo paese di Monreale nel Vescovato di quella Comune, una rissa insorse fra taluni cittadini ed alcuni soldati e marinari turchi, nella contrada nominata Santa Teresa, perché questi nella ebbrezza in cui si erano ridotti, misero ad insolentire con parole e con fatti varie donne di quei paesani, e comecché i Turchi, secondo l'usanza loro, armati di tutto punto per la città passeggiavano, delle loro armi fecero mostra ed imbaldanzirono contro le lagnanze e querele di quell’inermi. Al primitivo rumore il popolo, che nulla sapeva al positivo dello stato della briga, sospettando, che quei stranieri rubare quelle siciliane donne volessero togliendole il meglio di ciò che avevano di adorni, come da taluno ad alta voce venite annunzialo, tumultuariamente sollevossi ed assalendoli da prima coi bastoni e poscia coi fucili diversi ne uccise, (fu detto diecissette) ed un molto maggiore numero ne ferì. La mediazione però degli Ammiragli Inghilterra e di Russia impedì, che il turco Comandante vendetta ne prendesse, che ben era disposto a farlo volendo tirare a mitraglia dentro la città. Il Tribunale Palermitano, per ordine ricevuto con premura dal Governo, ne compilo una processura, ma le informazioni eccepite svanirono, e nel prosieguo niuno cittadino venne messo a castigo.

III. Trasandato non aveva Ferdinando IV le romane terre e le promesse fatte al Signore di esse ed allorché il Regno suo totalmente rivedeva alla pristina di lui ubbidienza, intese, per quante quell'epoca ancora sconvolta glielo permetteva, nella romana Repubblica porre di nuovo il piede. Conosceva, che i casi del suo Regno molto influito avevano su quello Stato e che in esso sollevatisi pure i cittadini, e prese le armi, l’esempio dei napolitani cercavan seguire, cioè di discacciare il francese dominio, che ben dannoso ed oltre modo pesante era loro divenuto; ufficiali antichi del Pontefice, preti, frati e canonici le rabbiose popolazioni stimolavano e guidavano contro dei repubblicani. Conosceva del pari che Mammone di Sora fatte aveva diverse scorrerie nella provincia di Campagna, e che De Donatis, Sciabolane, Cellini e Vanni discesi erano con numerose bande dagli Abruzzi, e scorsi avevano le vicine provincie delle Marche, sempre oprando a danno dei francesi. Sapeva ancora che le tedesche armate nell’alta Italia esistenti, quelle romane sollevazioni aiutavano e fortemente fomentavano, ed innanti si spingevano, e noto del pari era a Ferdinando, che taluni dei francesi Generali addetti alle armi cisalpine come Lahoz, nato milanese e Pino come anche si disse ma che non fu, giustificandosi poscia, in mente avevano di elevarsi a riformatori di uno Stato tutto italiano, che Italiana Repubblica chiamar si dovesse uscir volendo dal servile francese sistema.

Per tutte queste cose, che ad evidenza molto propizie erano, e tali sembravano al Re nelle mire. sue, aveva esso ordinato al Vicario Ruffo di spedire delle truppe in quel limitrofo Stato allorché fare il potesse; e Ruffo per secondare quelle sovrane volontà, essendo anche esso degli espressati riguardi informato, penso inviare, nello Stato romano sul cominciare di Agosto, Rodio, che fra i Capi delle masse fama godeva di moderato: diede egli al giovane: avventuriere alcune compagnie di calabresi e di fucilieri di campagna, con piccolo distaccamento. di cavalleria e quattro cannoni, genie sola che per allora trovavasi disponibile, e della facoltà di Commissario di Campagna in Capo lo investì, assegnandogli in seguito in qualità di Segretario e di Aiutante generale Giuseppe Clary, precedentemente nominato, nato, educato e cresciuto in Roma, ma proprietario di. taluni poteri nel distretto di Sora e che militato aveva sotto i Capi delle masse abruzzesi. Passando Rodio, onde condursi al suo destino, per Sora, quella terra libero dalla tirannide di Mammone, che coniro quella popolazione fieramente incrudeliva, ed entrando quindi, elassi pochi giorni, nella romana provincia di Campagna, scorse per Anagni, Palestrina e Zagarolo respingendo tutt’i distaccamenti di truppe patriotte, che in osservazioni trovavansi ciò fatto nel dì nove a Frascati pervenne, laddove si congiunse ad un corpo di truppe regolari comandato dal Duca di Rocearomana, che uopo la prima spedizione, aveva il Cardinale potuto riunire ed avviare verso quelle parti: queste truppe, tutte unite), occuparono Murino ed Albano, minacciando dappresso Roma, e procurando eziandio in essa una qualche intelligenza, onde mettere il basso popolo in sollevazione.

Il Generale Garnier, che allora teneva il colmando delle truppe di Francia stanziane in Roma, all’avvicinarsi di questo corpo militare verso di esso, una effettiva ricognizione portassi a fare, ma vedendo che quelle genti forma di truppe regolari aveva, mise mente, non dubbiando dell'esito, di spedire il Generale Teullié per introdurre un qualche negoziato col comandante della medesima, ma nulla essendosi potuto conseguire, nel di venti Agosto il Generale francese uffici alla campagna piuttosto per non capitolare senza combattere, che combattere per vincere, essendo gli accordi per Garnier in quel tempo il solo ed unico divisato a conseguire. Fuvvi un duro e lungo incontro tra i repubblicani sì francesi, che romani da una parte, ed i napolitani dal l’altra presso Monterotondo, ma quel di Napoli facendo virile resistenza per la poca conoscenza della terra di combattimento, furono non vinti ma dispersi epperò costretti a ritirarsi nei luoghi alti e montuosi.

Mentre per tal causa rinculati erano i napolitani da questa parte, da altra parte Fra Diavolo alla testa ai numerosa banda per la volta di Velletrie Salomone dagli Abruzzi nella Sabina discendeva traendo seco gran numero di armate generali e tante forze rinvigorirono e diedero possibilità alle genti di Rodio di ritornare tutte in Trescati e colà ricongiungersi, e la sorte delle armi novellamente tentare. A questo tempo anche il Ruffo (nel Settembre) avendo potuto riunire alcune altre migliaia di regolari truppe le mise all’obbedienza del Maresciallo di Campo Bourcard e nelle romane terre le spedì, appoggiate venendo da una Squadra inglese comandata dal Commodoro Trowbridge, che innanti Civitavecchia si andò a postare, mettendo a terra vari drappelli di loro uomini di mare.

avanzava,

La gente di Garnier, che non ancora riposata dalla fatica della battaglia di Monterotondo e di altre scaramucce, era stata condotta contro di Froelich Generale austriaco, che aveva fatto impeto in primo luogo contro di Civitacastellana e l’aveva occupata, e poscia se ne scendeva ad incontrare il nemico, fu costretta, perché battuta da quelle austriache schiere a ritirarsi prestamente, ed in Roma rifuggire, epperò restarono in potere di Garnier le sole fortezze di Castel Sant’Angelo, Corneto, Tolfa e Civitavecchia: questo fatto fu cagione, che unitamente quel comune nemico si stringesse, e quindi i napolitani s’avviarono, ingrossati di molto, di nuovo contro Roma e posero le loro prime guardie a PortaromanaPontemollo, come gli austriaci alla Storta. Consideratosi da Garnier il precipizio delle cose, e pensando, che il cedere a tempo, com’egli aveva opinato, e non porre mano alle armi, sarebbe non solamente la salute dei suoi, ma ancora quella dei repubblicani di Roma, che avevano seguita la fortuna francese, aveva introdotto una pratica di accordo con Trowbridge e con i napolitani, la quale fu condotta a perfezione e sottoscritta da ambe le parti il dì ventisette Settembre, ma per la pubblica tranquillità garantire, finché questa non fosse venuta a conseguimento, diverse ragguardevoli persone, quali ostaggi, nelle sue mani ritenne. Le principali condizioni dell’accordo furono le seguenti. Uscissero i francesi da Roma, Civitavecchia, Corneto e Tolfa con ogni onore di guerra; serbassero le armi, non fossero prigionieri di guerra; si conducessero in Francia od in Corsica. I napolitani occupassero Castel Sant’Angelo e la Tolfa, gl’inglesi Corneto e Civitavecchia. I romani che volessero imbarcarsi coi presidi francesi e trasportare le proprietà loro, il potessero fare liberamente; e quei che rimanessero e che si fossero mostrati affezionati alla repubblica, non si potessero riconoscere né delle parole, né dagli scritti, né dalle opere passate, e fossero lasciati vivere quietamente, sì veramente che vivessero senza molestia e secondo, la legge. ()

ed a

Peno qualche tempo Froelich a consentire all'accordo, parte per dispetto, perché Garnier avev’amato meglio trattare con gl’inglesi e coi napolitani che con lui, parte, e molto più, perché. per esso si venivano a troncare le speranze concetto delle conquiste: commise ancora il Generale austriaco qualche ostilità; ma finalmente, veduto, che senza troppo scoprirsi e dar sospetto, che i pensieri dell'Austria non si terminassero nella ricuperazione delle cose perdute, non poteva turbare l’accordo vi accomodo, l’animo, e rollatosi verso l’Adriatico se ne andò all’assedio di Ancona sola Piazza d’armi che nello Stato romano ancora si tenesse pei repubblicani. S’imbarcarono i francasi a Civitavecchia e con essi tutti coloro fra i romani, che stimarono più sicuro l’esilio, che il rimanersi in potere di un governo pro vocato con tante ingiurie: entrò Bourcard in Roma nel domani della consegna di essa, e con energia agendo contenne il popolaccio, che col pretesto di perseguire i giacobbini alla rapina avrebbe aspirato.

V. Dati quei primi essenziali provvedimenti Bourcard opro secondocché eragli stato prescritto, cioè col nominare un supremo magistrato col titolo di Suprema Giunta di Governo, per tenere il reggimento di quello Stato in nome del Re di Napoli, finché ritornato vi fosse il proprio Governo Pontificio. Questa creazione ebbe luogo nel 5 Ottobre e vi furono nominati membri il Conte Alessandro Buonaccorsi, il Marchese Angelo Massimi il Cavaliere Girolamo Colonna, il Marchese Clemente Muti e l'avvocato Antonio Lippi uomini tutti di esaltata probità ed alti alla guida delle popolazioni. Dopo alquanti giorni pervenne in quella città a bella poeta spedito da Re Ferdinando, D. Diego Naselli dei Principi di Aragona Tenente Generale delle armate di Napoli, ché senza dissestare la stabilita Giunta assistito dal Consultore D. Tommaso FrammarìniComandante Generate e Politico del romana Stato. Aggiunse il Naselli un Tribunale di Giustizia sotto nome di Giurala dì Stato, a cui chiamo per Presidente il Cavaliere D. Iacopo Giustiniani e per avvocato fiscale Monsignore Giovanni Barberi:

nelle sue mani la rappresentanza tenne di ufficio di questo tribunale fu, che la quiete dello Stato non si turbasse, e chi la turbasse fosse castigato.

La Suprema Giunta con approvazione del Naselli noto i beni venduti ai tempi della repubblica, come nazionali, ed abrogo le vendite fatte, riserbando agli spossessati il ricorso pei compensi; contenne il libero scrivere, freno la licenza del vestire sì degli uomini, che delle donne; e richiamo ai luoghi loro le suppellettili rapite o vendute del Vaticano e delle chiese, rimborsando però il valore, a chi le avesse comperate; inibì l’ingresso e la dimora in Roma a tutti coloro, che avessero avuto cariche nella repubblica, e bandì da tutto lo Stato romano i cinque notai capitolini, che avevano rogato l'atto della sovranità del popolo, e della deposizione del Sommo Pontefice. Molte altre cose si disposero e si fecero in tal tempo in quello State, tutte però con l’adesione del Comandante Naselli.

Dispose il Naselli unitamente alla Giunta, do}o alquanto di tempo del suo giungere, che tutte e bande d’insorgenti napolitani, che nel territorio della Provincia di Roma sparse si trovavano nelle terre loro proprie facessero ritorno; ed in seguito, che le truppe di Napoli, che le romane vicende avevano in assetto messe, unitamente alle austro russe al blocco della città e fortezza di Ancona passassero, della quale ne stava al governo il Generale Mounier.

VI. Mentre le cose di Roma procedevano io questa forma, dalia parte del Regno nostro ali abitatori delle rive del Tronto, non ostante l’ordine del Naselli teste annunziato, si erano in gran numero levati a rumore ed avevano fatta congiunzione con quelle masse di Z. Donato de Donatis, ex vicario del Vescovo di Teramo e degli altri capi. citati d’innanti, le quali insiememente unite esercitavano tutta la loro influenza su di Ascoli, Fermo, e Camerino, e talvolta si estendevano con delle incursioni fino a Recanate; di modo, che su di lunga linea erano queste riunite genti postate, in perfetta corrispondenza con gl’insorti di oltre Po epperò correndo francamente su quel tratto di paese minacciavano di stringere il presidio di quella Piazza rimasa unico propugnacolo dei francesi.

A questo tempo Lahoz amatore dell'indipendenza italiana sì univa con le popolazioni di Urbino e di Fossombrone, le quali anch'esse con le armi in mano perseguitavano a morte ed a sterminio Francia e chi al nome di Francia si aderiva: incitate e meglio ordinate le squadre dei sollevati sulle rive del Metauro e dell’Egitto, prendendo a destra dei monti, che chiamano della Sibilla, se ne andava Lahoz su quelle del Tronto per quivi abboccarsi con De Donatis ed i nobili Cellini e Vanni, non che con Sciabolane, denominalo in tal modo perché armato sempre di grossa sciabla, e con quelli esternava i suoi divisamenti onde formare un piano di operazioni. L’arrivo di un Generale tanto riputato per perizia di guerra e per valore di mano, molto confortava questi Capi perché speravano, che per opera di lui quelle genti indisciplinate e tumultuarie si convertirebbero in esercito regolato ed obbediente. In fatti Lahoz le distribuiva in compagnie, le indrappellava te squadronava, le rendeva sperimentale negli usi del muoversi del marciare e del combattere, ed in fine le vestiva tutte egualmente; formava del pari della cavalleria non ì cavagli dei nobili e dei loro fattori con quelli dei curati e dei contrabandieri, e con quelli ancora dei bargelli; si forniva di artiglierie, di armi e di monizioni dalle flotte turco russe, che si tenevano nelle alture di Fermo, con le quali esso aveva una continua intelligenza; e dagli Abruzzi veniva munito di buon numero di grossi cannoni pel servizio degli assedi.

Tutte queste cose fatte da Lahoz avevano rassicurate le speranze dei grandi proprietari di quelle Contrade, i quali forti del di lui disciplinale appoggio, si contentavano di fare delle grosse spese per il soldo ed i comodi dei loro concittadini arenati: ed in effetti queste idee venivano giustificate dallo stato delle cose presenti, poiché innanti il giungere di Lahoz gli attacchi degli Abruzzesi del Tronto altro non erano, che delle irruzioni nei villaggi ove si sentiva il nome di repubblica o di Francia, degli abbattimenti di alberi di libertà con grandi schiamazzi, o dei saccheggi, i di cui miserabili frutti erano portati per dividersi sull’albo delle montagne abruzzesi; ma ora queste genti preso avevano un assieme marziale, che delle militari colonne regolari ponevano dirsi, di modo che la vicenda nelle Marche mutuamente si sosteneva e quindi città ed i punti strategici situati sulle due rive del Tronto erano debitamente occupate dal corpo di De Donatis e su pi compagni le quali cose senza d consiglio di un guerriero e, sperimentato come era Lahoz avvenire non avrebbero potuto disposto aveva inoltre il generale supremo che Ascoli città forte per natura si fortificasse alla meglio anche per arte e fosse questa la Piazza di appoggio di quei suoi dipendenti. Concorrevano cupidamente tratti dal nome dì Lahoz altri molti abruzzesi, e fecero massa tale che da Ascoli passando per Calderola, Belforte, Camerino, Tolentino e Fabriano si distendevano con guardie non interrotte sino a Fossombrone e Pesaro, cingendo per tal modo quasicché strettamente tutto il paese all’intorno di Ancona.

VII. Contro tutte queste genti ed a quelle di Froelich, che stringevano da terra, e ad una flotta turco russa con un naviglio sottile d'Austria, doveva Mounier combattere col suo presidio che tra francesi cisalpini e romani appena passava tre mila soldati e forse nemmeno arrivava a questo numero, e quindi non volendo lasciarsi ristringere nella Piazza, che aveva assai bene garentita, usciva fuori di tempo in tempo alla campagna per combattere fazioni, che non potevano portare che danno per lui, perché aveva poche genti e non modo di restaurare i soldati perduti con nuovi, mentre i collegati per avere i mari aperti e le popolazioni sollevate in loro favore, potevano facilmente aggiungere genti a gente. Ma qual cosa si debba pensare di questa risoluzione di Mounier, $e seguitava una guerra minuta e feroce distruzione di uomini e di paesi; finalmente successe quello ch’era impossibile, che non succedesse, cioè che moltiplicando sempre più. le genti collettizie abruzzesi di Lahoz e le regolari dei collegati, fu costretto Mounier a serrarsi dentro di Ancona ed a far difesa de’ suoi le mura fortificate di lei. Varie zuffe e miti sanguinolenti ebbero luogo, come pure attacchi ordinati stando così le cose, sempre con perdita di terreno e di uomini per i repubblicani, quantunque operassero e valor e sapere: in una di queste però un soldato cisalpino el presidio prendendo di mira Lahoz, che il conoscevii per scritti, né per parole in favore della repubblica, e chi volesse seguitare il presidio con le sostanze e con la famiglia il potesse fare liberamente.

personalmente, tiragli un colpo di moschetto, che lo ferì mortalmente e dopo due giorni, per la riportata ferita, passo da questa all’altra vita. Intanto crollavano di volta in volta i bastioni della cittadella, rompevansi le artiglierie degli assediati la Piazza difettava fortemente di vettovaglia, e Froelich comparendo grosso e minaccioso a fronte di quella, mandava dentro a fare intima ed a rappresentare a Mounier per ben quattro volle le sinistre novelle dei repubblicani rotti in tutta Italia, specialmente delle novità di Napoli, di Roma e Toscana; e Mounier per le tre prime intime rispondeva non convenirgli proposizioni siffatte avendo e mezzi ed uomini per resistere, ma all’ultima delle sopradette proposte avendo fatto quanto l’onore delle armi e la dignità della sua patria da lui richiedeva, ridotte essendo a poche ore di munizioni, inclino finalmente al trattare. Patti onorevoli seguirono difesa onorevole; ed in questi fu espressamente significato «Che nessuno di qualunque nazione si fosse, particolarmente gli ebrei, potesse essere riconosciuto o castigato od in qualunque modo molestalo, né per fatti, né

Venut’Ancona in potere dei confederati i turchi ed i russi si diedero al sacco; Froclich, siccome quegli ch’era uomo di giusta e severa natura, faceva castigare aspramente i crudi conculcatori; il che accrebbe i mali umori e le cause di dissunione, che già passavano, tra la Russia e l’Austria; e gli abruzzesi e regnicoli nostri la più parte ai loro focolari ritornarono, ed altri di bel nuovo in Roma rimisero, il piede.

VIII. In tal tempo Papa Pio VII, che Giannangelo Braschi nomavasi nato in Cesena e successore di Clemente vinto dai suoi malanni e da tante sofferte disgrazie e maltrattamenti ricevuti, nel giorno diecinnove Agosto stanziando a Valenza nel Delfinato, fu sorpreso da forte febbre con dissenteria, singhiozzo» e vomito, funesto indizio d’irrimediabile male, e nel 29 di quel medesimo mese con placidezza estrema da noi ne parti, nell'età di anni 81 otto mesi e due giorni, dopo avere tenuta la Santa Sede per ventiquattro anni, sei mesi e quattordici giorni, cioè dal 15 Feb. 1775; regno, che in durata, aveva sorpassato quelli di tutti gli altri suoi antecessori dopo S. Pietro. La gravità del morbo, non punto la presenza del suo spirito gli avev’alterato, ed altamente dichiarò «di perdonare di cuore a tutt’i suoi nemici», nelle circostanze in cui in allora trovavasi la Santa Sede pensarono i Cardinali a riunirsi onde scegliere un successore a Pio VI. e dopo avere incontrato contrarietà ed ostacoli di ogni genere, ed avere consumato molto tempo in carteggio ed in missioni, si raccolsero in Venezia nel l'Decembre dello stesso anno.

Per siffatta causa fu dovere del Cardinale Ruffo abbandonare Napoli e lasciare le sue alte incombenze; Onde congiungersi ai colleghi suoi; epperò ottenutone dalla Maestà del Re il permesso nel cinque Novembre da questo Stato parti, lasciando qual momentaneo internino Luogotenente del del Regno il Marchese Simonetti; in tal modo distrutta venne del tutto la gelosia d'imperio, che in Acton ed in Nelson, contro un tanto benemerite suddito di Ferdinando, aspramente allignava.

Intanto veniva scelto dal Re in surroga effettiva del Ruffo, con identiche facoltà ed attribuzioni il Principe del Cassero siciliano di antica è nobile famiglia, atto al governo dei popoli per l’affettuoso è leale suo carattere, e per le vaste e particolari cognizioni di che era adorno. Partiva egli da Palermo, imbarcatosi su nave siciliana, nel 15 di quel Novembre unitamente a tutta la sua famiglia, e nella sera del 24 giungeva nella rada di Napoli. Il Corpo di Città portossi nel mattino del 25 nel sito dell’Immacolatella, ov’erasi a bella posta costruito uh ponte pel di lui sbarco colà si recarono ancora i due generali Spinelli e Principe di Ripa con gran numero di uffiziali di ogni arma, ed il Marchese Simonetti interino Luogotenente il ricevette in compagnia della primaria nobiltà. Fu condotto esso alla Reggia, corteggiato dal Maresciallo di Campo Logerot, da Monsignore Terrusìo in luogo del Cardinale arcivescovo assente, e dai Direttori delle varie Segreterie: lungo il Cammino eravi la truppa schierata ai due lati della strada, in bellissima mostra, per rendergli i dovuti onori, ed il popolo festoso ed esultante sentir faceva incessantemente le grida di vivano i nostri Sovrani e tuttala Reale famiglia, e confondeva queste col continuo trarre dei pezzi di tutte le castella della Capitale. Giunto a Palazzo passo egli immediatamente nella Beai Cappella ove fu celebrata una messa solenne e cantato l’Inno Ambrosiano in rendimento di grazia all’Altissimo, Nel domani si condusse il Principe Luogotenente all'Arcivescovato, ove venne accolto per le vie con segni di maggiore allegria del precedente giorno, e ricevuto fu in quella Cattedrale da gran numero di Signori e dal Clero con entusiasmo e contento indicibile. In vero giustifico egli poscia le speranze, che si erano su lui concette, rivolgendo esso ogni suo pensiero verso il pubblico bene, cercando con delle disposizioni economiche e saggie di sollevare gl’infelici, e di rimettere in quello stato di certezza che faceva d’uopo tutt'i rami di amministrazione sì civili, che militari, che in un totale sconvolgimento per le passate sventure si trovavano: il suo governo fu sì degno e alle correnti circostanze adatto, che gli amatori di repubblica medesimi contenti ne rimasero.

IX. Intanto le conseguite vittorie degli austriaci sotto l’Arciduca Carlo, e quelle dei russi obbedienti al Generale Suwarow minacciavano di rapire alla Francia tutto il frutto di sue tante fatiche; essa medesima su dei propri confini tenevasi stretta da numerosi eserciti, che molto da vicino la guardavano; il nome di Repubblica Francese oramai, da per ogni dove, nome da scherno diveniva sempre più; ed il Direttorio costituito trovatasi in assai difficili condizioni, poiché bollivano molte parti in Francia, è tutte si volgevano contro di lui.

La nazione francese impaziente nelle disgrazie per natura, ancora più impaziente per la memoria del le vittorie, dava imputazione, per appagamento proprio, ai suoi reggitori delle rotte ricevute, e della perduta Italia: moltiplici querele si muove vano in ogni parte contro i Direttori, ed il me no che si dicesse, era che non sapevano governare. Buonaparte, che in oriente di queste cose aveva conoscenza, e di quante altre si operavano e venivano dette, poiché per mezzo di un bastimento greco era stato del tutto informato dai suoi aderenti, risolvette abbandonare quella terra di deportazioni e di fame, dove le cose sue, giuste in quel tempo, cominciavano a declinare, e così al suo innalzamento la novella crisi della Francia far servire. lasciò egli il Generale Kleber al comando di quell’armata; e su d’una fregata cupidissimamente si avviava alle sue nuove e straordinarie sorti, attraversando il Mediterraneo allorché l’inglese convoglio per poco da quelle acque erasi allontanato. Sbarcato egli a Frejus nel nove Ottobre 1799 (17 vendemiale anno 8 della repubblica) percorreva la Francia dalle mediterranee coste in fino a Parigi qual trionfatore, disprezzando ogni legge di sanità. La sua spedizione quasi favolosa sorpres’arrecava, e le menti tutte occupate teneva, aumentando la sua già acquistata fama per le conseguite imprese d’Italia. Vittorioso generale qual egli era, negoziatore stimato ed obbedito, creatore di Repubblica aveva insiememente gl’interessi con destrezza trattati, e preparando da lungi i suoi ambiziosi destini, aveva le opinioni tutte con moderazioni a se rivolte; non erasi egli fatto l’uomo di sistema alcuno, ma rispettandoli tutti, col loro consenso cercava innalzarsi: fin dalle sue prime italiane vittorie fermo in alimento teneva il pensiero della usurpazione. Ll suo arrivo, qual fulmine, in Francia risveglio l’entusiasmo della massa moderata della nazione, e 16 generali felicitazioni ne ricevette, restando all’incanto di tutt’i partiti, poiché tutti guadagnar lo volevano; i Generali, i Direttori, i Deputati, i repubblicani medesimi con lieto animo il rividero e lo scrutinarono, e quale loro salvatore proprio accolsero. Esso di tutte queste cose giudicandone a proposito il tempo, sì destramente seppe cavarne partito, che dopo averne e palesamene e di nascosto tolto di mano alla nazionale assemblea potere, commettere fece questo nell’autorità di tre Consoli, dei quali esso ne fu il primo per istituto, ma in realtà il solo.

Queste cose di Francia, ch’io ho narrale, come il cardine di tutti gli avvenimenti sopravvenuti al cominciare del corrente secolo, sono di tale influenza nella storia in generale, che ogni particolare storia ritener le deve come ad essa appartenenti, epperò io le ho esposte.



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CAPITOLO II

Disposizione per la formazione del novella esercito — Considera fiorii su ciò — Novella istituzione del Corpo di Città e della Nobiltà del Regno — Il Re istituisce l'ordine di S. Ferdinando; venuta del Re di Sardegna in Napoli: indulto; nuovo Reggente di polizia: innesto del vaiuolo e come questo è inteso nel Regno nostro — Il Cardinale Chiaromonte dichiarato Pontefice: le truppe austriache e napolitane rimettono lo Stato romano nelle mani del propria elettivo Sovrano —Rivoluzione in Malta: trattata riguardante quell’Isola conchiuso tra la nostra Corte, la Russia e l’Inghilterra; l’Isola è ceduta dai francesi ai coalizzati — Nascita di un Principe nella nostra Corte: Stato dell'Europa: la nostra Regina va a Vienna; s’invia un corpo di truppe napolitane verso Roma — Composizione di queste truppe e riflessione su d’esse.

L’ordine della Storia mi chiama ora a fare di pubblica ragione delle disposizioni particolari, emanate dal Sovrano in Palermo nei primi mesi del 1800, dirette tutte per la stabilità del rimesso Governo napolitano. Tra queste quelle, che trattano della formazione del novella esercito n’è la prima; essa si legge in un uffizio scritto dal Capitan Generale Acton al Ministro della Guerra, Principe della Trabia in data del 10 Marzo, il quale si esprime.

«Il Re ha letta la rappresentanza della Giunta di Governo di Napoli del 10 del caduto Febbraro, nella quale rappresentanza si tratta distintamente l’accordo circa le diverse riflessioni fatte dalla Giunta dei Generali e dall’Ispettore della cavalleria Tenente Generale Damas, sopra il modo da tenere nello scegliere gli uffiziali da porsi in tema, per le proposte degli impieghi che si formano in Napoli, e circa gli ordini dati sull'assunto dalla Real Segreteria di Guerra di Napoli e dalla delta Giunta di Governo. S. M. ha trovalo soddisfacenti e giuste le considerazioni esposte dall’Ispettore Damas, ed opportuni ed analoghi alle Reali intenzioni gli ordini spediti dalla Reale Segreteria e dalla Giunta di Governo, quindi S. M. riunendo insieme tutte le idee, che intende doversi adottare nella scelta degli ufficiali dei novelli Reggimenti di fanteria e cavalleria dei quali deve comporsi il Real Esercito nel Regno di Napoli, nello Stato romano e nei Reali Presidi di Toscana e giurisdizione di Longone viene ad ordinare le cose seguenti.

«Per ora oltre dei Reggimenti, che dovranno pervenire da Potenze estere, si compisca l'organizzazione ordinata dei dodici Reggimenti di fanteria. denominati 1. Real Ferdinando, 2. Real Carolina primo, 3. Principe Reale secondo, Principessa Reale, 5. Reali Calabresi, 6. Reali Abbruzzi, 7. Reale Albania, 8. Reale Alemagna, 9. Real Carolina secondo, 10. Reali Sanniti, 11. Reale Montefusco, 12 Reali Presidi, ciascuno composto di tre battaglioni fucilieri e due compagnie di granatieri, formandosi ogni battaglio ne di quattro compagnie; in tutto 14 compagnie di cento teste l'una compresi gli Uffiziali, oltre allo Stato Maggiore, ed al minore; dei quali Reggimenti li primi otto si stanno formando in Napoli, gli altri tre in Roma, e l’ultimo nei presidi della Toscana. Questi Reggimenti giusta il Reale ordine del dì 4 del passato Feb. si distribuiscano in Brigate ed in Divisioni, cioè nella prima Divisione li due Reggimenti Real Ferdinando e Real Carolina primo formanti la prima Brigata, ed i due Reggimenti Principe Reale Secondo e Principessa Reale formanti la seconda Brigata; nella seconda Divisione li due Reggimenti Reali Calabresi e Reali Abbruzzi formanti la terza Brigata, ed i due Reggimenti Reale Albania e Reale Alemagna formanti la quarta Brigata: e nella terza Divisione li due Reggimenti Real Carolina secondo e Reali Sanniti formanti la quinta Brigata, ed i due Reggimenti Real Montefusco e Reali Presidi formanti la sesta Brigata. E siccome il Capitano D. Francesco Antonio Rusciano si trova di aver formalo un Reggimento di fanteria in Puglia, al quale fin dal mese di Giugno dello scorso anno 1799 fu dato il nome di Principe Reale, così venga confermato il nome di Principe Reale primo a tal Reggimento, che deve parimenti essere composto di 14 compagnie, conforme si compongono gli altri Reggimenti; e sarà unito alla settima Brigata, quando questa venisse formata, essendo il Rusciano stato creato Colonnello di quel Reggimento con Real Decreto della data di oggi, Perché sono della massima autorità in pace ed in guerra i Corpi leggieri, si formano sei battaglioni di fanteria leggiera da aggira separatamente l'uno dall’altro, secondo l'occorrenza. Ciascun battaglione costerà della stessa forza di un battaglione di fanteria di linea, così in Uffiziali come nel resto dei suoi individui; ma il suo Stato Maggiore sarà composto di un Tenente Colonnello Comandante, di un Maggiore col rango di Primo Maggiore, di un Aiutante maggiore, un Quartiermastro ed un Cappellano; ed il suo Stato Minore avrà soltanto un Chirurgo, un Tamburro maggiore, un Armiere, un Profosso, ed olio tra Corni da caccia, Trombetti, Pifari e Tamburri: in ciascuna compagnia vi saranno due soldati privilegiati forniti delle necessarie circostanze. l'sei battaglioni saranno denominati 1. Cacciatori Campani a. Cacciatori Appuli, 3. Cacciatori Calabria 4. Cacciatori Apruntini, 5. Cacciatori Albori neri t 6. Cacciatori Sanniti. E saranno addetti ciascheduno alle mentovale sei Brigate, secondo l'ordine, in cui queste stanno indicate di sopra, affinché nelle occorrenze di guerra quelle Brigate movendosi possano essere seguitate dai corrispondenti corpi di fanteria leggiera. Gli averi dei suddetti sei battaglioni di Cacciatori saranno eguali a quelli dei Reggimenti di fanteria di linea, eccetto il battaglione dei Cacciatori Albanesi pel quale vi sarà uno stabilimento diverso. Pel vestiario, armamento e serri vizio dei sei battaglioni di Cacciatori, la Real Segreteria di Guerra di Napoli formerà subito un regolamento opportuno. I battaglioni 1° 2° 3°4° 6° saranno formati da lutto il Corpo degli attuali fucilieri di montagna, che rimane abbolito ed altri individui abili da reclutarsi: il 5.° sarà formato dal Corpo dei Volontari albanesi, che parimenti resterà soppresso. L’Ispezione e formazione dei sei battaglioni di Cacciatori sia affidata al Tenente Generale Bourcard, il quale suddelegherà un uffiziale di sua soddisfazione in Napoli per tale formazione, e disporrà da Roma quel che convenga, ed occorrendo si porterà in Napoli.

«Degli attuali depositi di cavalleria del Regno di Napoli, e degli uomini e cavalli, che ha offerto di radunare il suddetto Colonnello Rusciano, si formano cinque Reggimenti di cavalleria denominati Re, Regina Real Principe Primo, Real Principe Secondo, Real Principessa mentre in Roma si compisca la formazione del Reggimento cavalleria Val di Noto Secondo, i quali sei Reggimenti costituiranno tre Brigate secondo l'ordine con cui sono qui notati; con dovere, giusta i Reali Dispacci antedenti, ciascun Reggimento essere composto di quattro Squadroni, dei quali ognuno di 150 teste comprese gli Ufficiali dei Squadroni, e costare in tutto di 620 teste incluso lo Stato Maggiore e lo stato minore.

«Gl’individui componenti tutte le Reali truppe sopra descritte, dovranno essere di buona condotta, di provala fede e di coraggio. La scelta degli Uffiziali, Aiutanti e Bass’uffiziali deve assolutamente cadere in soggetti fedeli, abili, costanti e forniti di merito speciale, e si farà nel modo seguente. Saranno in primo luogo preferiti a chiunque que’ militari, che avendo servilo nel passato esercito vi si siano ben condotti, abbiano bene agito nella campagna di Roma antecedente alla rivoluzione, e si siano anche distinti tra i Corpi a masse, o altrimenti nella conquista del Regno di Napoli senza avere punto servito all’anarchia, e quegli Uffiziali che con Reali ordini speciali sono stati destinati al novello Esercito. In secondo luogo seguiranno quegl’individui, che avendo solamente servito a pro della Real Corona in tempo della rivoluzione e successivamente senza prendere servizio nell'anarchia abbiano contratti meriti particolari e siano idoni al mestiere militare, e di buona condotta tenendosi presenti con particolarità i Capi masse e coloro che furono decorati con gradi militari dal passato Vicario generale Cardinale Ruffo. In ultimo luogo vengono considerati quei militari del passato esercito i quali non avendo prestato alcun servizio alla distrutta sedicente Repubblica, non abbiano neppure prese le armi a favore della Real Segreteria di Napoli, la quale fattone un pronto esame le umili a S. M. per via della Giunta di Governo, coll’avvertenza, che due Ispettori nel fare le terne suddette debbono lasciare vuoto in ogni compagnia di fanteria, ed in ogni squadrone di cavalleria un impiego di Uffiziale, in guisacché del numero di quest’impieghi vacanti l’ottava parte sia di Capitani. gli ÌJfiìziali che in consequenza di queste terne fossero scelti da S. M. riceveranno la patente dopo di dodici mesi colla data stessa del dispaccio con cui saranno scelti se non accada cosa in contrario sulla loro condotta, ma intanto goderanno gli averi stabiliti nel. regolamento dei 7 Febraro 1799. Riputandosi peraltro come interini riguardo alla proprietà degl’impieghi. Per il destino da darsi agli altri Uffiziali, che non venissero compresi nella detta scelta, e che meritassero situazione, i due Ispettori ne faranno poi le separate proposte precedente lo scrutinio della Giunta dei Generali su la condotta, dovendo ora unicamente occuparsi delle terne suddette. Per il Reggimento formato dal Colonnello Rusciano S. M. attende dal medesimo a dirittura le nomine, sulle quali disporrà quel che convenga, avendo ciò ordinato in altro dispaccio della data d’oggi.

«S. M. intende e vuole che le regole stabilite di sopra per la scelta degli Uffiziali ed altri individui del novello Esercito siano inalterabili e si eseguano puntualmente senza suscitarsi dubi ed interpretazioni, e senza frapporsi la minima dimora, e che la Giunta di Governo é la Reale Segreteria di Guerra di Napoli ne curino il conveniente adempimento. Nel Real nome comunicò la presente Sovrana de terminazione a V. E. peli’ uso conveniente, essendosene dato l’avviso alla Giunta di Governo ().

XI. Alle cos’emanate ed esposte di sopra è di uopo chiarirne delle altre sul medesimo oggetto le quali servir possono di avvertimenti a quelle, che si volevano con saldezza stabilire; queste, che io ora narro, servir debbono a dimostrare il vero stato in cui si trovava tutto il nostro ramo militare all’epoca della emessa riforma, e disgraziatamente anche dopo detta epoca. Dell’antico esercito non rimanevano stabili se non le poche truppe trovate dal Re nella Sicilia quando ivi riparo nei trambusti dei Regno. I corpi del genio dell’artiglieria e della marina rami essenzialissimi di un’armata, i più fiorenti prima della catastrofe del passato anno, erano nella maggiore decadenza che mai potessero essere, perocché gran parte dei distinti Uffiziali aveva emigrato. Negli altri corpi entravano con gradi di Ufficiali Superiori e di Uffiziali, per lo spirito del sopra citato ordine, la più parte dei Capi delle masse, benemeriti tutti senza alcun dubbio per pruove luminose di fedeltà, di divozione e di coraggio, ma nuovi al mestiere delle armi; gli Uffiziali dell’antico esercito riammessi al Servizio quantunque chiariti di principi illibati, erano non di meno di mal’occhio veduti dai nuovi Uffiziali e dai soldati benanche, perché tenuti complici dei disastri dell’esercito; altri antichi Uffiziali non al tutto innocenti non al tutto rei anche nell’esercito riammessi, si tenevano quasicché disprezzati. Per tutte queste cose ne risultava, che la istruzione era debolissima perché debolmente istruiti la più parte dei Capi dei Corpi e degli Uffiziali, la discipliua rilasciata, e più di più niuna confidenza, né simpatia, né concordia tra gli antichi e nuovi Uffiziali. Aggiungevasi a questi disordini essenzialissimi, che mancavano i metri per portare a numero i Reggimenti, per rimontare la cavalleria, per riformare il materiale dell'artiglierà in gran parte perduto, per ricostruire il naviglio miseramente incendiato. L’erario già esausto per le passate vicende aveva dovute, sopperire alle spese della spedizione di Roma, eBorosdin ed un’armatetta obbediente al Commodar Baillie, che l’Imperatore Paolo Primo per segno di amicizia aveva poste a disposizione dì Re Ferdinando.

doveva spesare una legione di Granatieri russi comandata dal Generale

Ma non erano queste le sole cause della niuna floridezza di nostr’armata e delle miserande sue condizioni, il riunito dicastero della guerra a quello della marina, oprato dopo alcun poco di tempo della esposta istallazione, fece sì che a reggerlo fu posto il Vice ammiraglio Fortiguerra

peritissimo nel servizio di mare, ignaro affatto di quello di terra; cosicché, per tutte queste niente soddisfacenti circostanze insieme riunite, rimaneva sempre il nostro esercito nuovo ed imperfetto, e poco meno di una massa inuniforme.

Altro decreto nel 25’ Aprile fu da Palermo emanato, che in Napoli a bandì nell’8 Maggio: in esso focose disposte io totalmente riporto, essendo queste essenzialissime e di norma a ciò che riguarda la novella istituzione del Corpo di Città di Napoli, e della Nobiltà del Regno. «Ferdinando IV, per lo grazia di Dio Re delle Sicilie, di Gerusalemme, ecc. Infante di Spagna, Duca di Parata Piacenza Castro ecc. ec: Gran Principe Ereditario della Toscana ecc; ecc: La nobiltà di ogni ben regolata Monarchia ne forma il più saldo appoggio, ed il migliore sostegno come il più glorioso lustro, quando ha per base della sua condotta la fedeltà ed il valore, ed a questi sublimi oggetti debbono unicamente fendere tutte le istituzioni che rendono nelle Monarchie il corpo de Nobili distinto, ed illustre tra i differenti ordini dello Stato. Quindi con massima pena dell’animo Nostro, abbiamo Noi veduto nelle passate circostanze, che i Sedili, o siano Piazze, della Città di Napoli, siano rimaste in una totale indifferenza sulla sorte dello Stato, ed abbiano confidato, ed abbandonato le loro facoltà in mano ad un drappello di giovinastri corrotti, e senza nessuno attaccamento alla causa di Dio, e Nostra, lasciandoli, com’è notorio, attentare i primi alla Nostra Suprema Autorità, senza opporsi all’usurpazione da essi fatta di quella potestà, che il Nostro Vicario Generale unicamente e legittimamente da Noi teneva. E quantunque gli Eletti e deputati dopo aver già criminosamente di molto oltrepassati i confini delle loro incumbenze, mossi forse da un momento di rimorso, e imbarazzati dalle circostanze, avessero data alle Piazze la di loro rinunzia, queste nondimeno non vollero accettarla, confermando così la rivolta, e la sedizione di essi Eletti e Deputati, quando che era in libertà delle Piazze di accettare una tale rinunzia, e di scegliere e proporre coloro, che fossero di un riconosciuto attaccamento alla, Religione ed al Trono. Anzi doveano le Piazze, subito che ravvisarono il trascorso degli Eletti e Deputati, rivocare ogni facoltà loro concessa, e venire alla nuova elezione e proposta di soggetti probi e fedeli.

«Il Nostro Reale e Clementissimo Animo è ben lontano dal supporre negl’individui delle Piazze, che avessero essi avuto disegni ostili e poco attaccamento alla Nostra. Real Corona, ma non abbiamo non potuto ravvisare nelle medesime quel vizio intrinseco, che ha scoraggiato i buoni e dato occasione ai cattivi di mal oprare. E’ noto, che da lungo tempo i savi e probi Cavalieri paco, o quasi affatto intervenivano nelle unioni dei Sedili, perché i voti dandosi a testa, e non a famiglia, tutt’i sconsigliati giovani, che la corruzione de’ tempi aveva resi peggiori, ed aveva fatti degenerare, formando la gran maggioranza nelle risoluzioni, le scelte sovente non cadevano, che sopra soggetti poco degni, ed erano perciò divenute motivo di scandalo per i buoni, in riguardo alle cabale, che si ordivano, e che infelicemente trionfavano, dirette a procurar gli impieghi a chi ne faceva solo un soggetto di lucro, o di abuso.

«L’aggregazione ugualmente ai Sedili punto così delicato per una illustre ed antica Nobiltà, era divenuto il più delle volte un vergognoso traffico, a segno che abbiamo Noi stessi dovuto negli ultimi tempi consci dei depositi pecuniari, che si erano fatti a tal uopo, impedire sì fatte scandalose aggregazioni, giacché quando la Nobiltà si compra e non è la ricompensa della fedeltà e del valore, come il risultato di una serie di generazioni, che nobilmente vivendone! valore e nella fedeltà, si sian distinte, cessa la medesima di formare il lustro di una Monarchia ed il di lei appoggio. E poiché non conviene alla Corona di soffrire fra i Nobili delle istituzioni, che li degradino ed essendo ben anche Nostro dovere, dopo la riconquista del Regno di Napoli, che coll'aiuto di Dio, le Nostre vittoriose armi hanno fatta, di togliere e correggere quelle istituzioni viziose, che vi siano negli ordini dello Stato, e che non abbiano corrisposto a que’ principi di fedeltà inviolabile che ci sono dovuti, abbiamo creduto necessario di diriggere al loro primiero, ed indispensabile oggetto tali corrotte istituzioni, e perciò abbiamo risoluto di dare una nuova forma alla Nobiltà di Napoli; ripristinandone nell’istesso tempo il lustro e lo splendore.

«A questa Nostra determinazione ci ha tanto più spinti quello, che si è ardito motivare e sostenere in iscritto in difesa degli Eletti e Deputati delle Piazze, cioè che queste avessero il privilegio, quando il nemico è ad Aversa di portargli le chiavi, e sottomettersi a qualunque invasore, come di assumere parte del Governo nell’avvicinarsi il nemico, privilegi assurdi che non hanno mai esistito e che non vi è, che la più sfrontata codardia, che possa immaginare. Non essendo pertanto da tollerarsi qualunque istituzione, che ardisca pretendere tali privilegi, perché sarebbe lo stesso che autorizzare la codardia, e l’indifferenza pel bene dello Stato, ed il permettere nei tempi dì cose l’anarchia e l’insubordinazione, perciò per mezzo da questo nostro sovrano Editto it perpetuum valituro colla suprema Nostra Potestà colla pienezza del dritto, che ci appartiene in virtù della riconquista da Noi fatta della Capitale e Regno, aboliamo per sempre le Piazze, o siano i Sedili della Città di Napoli, e ne proibiamo le unioni sotto pena di delitto di fellonia contro coloro che le procurassero o le fermassero, rivogando ed annullando a tale effetto ogni legge, capitoli e concessioni precedentemente alle medesime accordate.

«In conseguenza aboliamo totalmente il Corpo degli Eletti, o sia il Tribunale di S. Lorenza e tutte le altre Deputazioni di Città riserbandoci di provvedere in questo Editto qui appresaso al governo degli affari dell’Università della Città di Napoli rispetto alle cose di Annona ed agli altri oggetti, ch'erano diretti dal Tribunale di S. Lorenzo, e dagli altri Tribunali e Deputazioni di Città, che più sopra abbiamo in perpetuo abolito.

«XIII. Creiamo quindi un nuovo Tribunale che si denominerà Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno di Napoli, il quale sarà composto da un Presidente e sei Consiglieri presi tra i distinti e probi Cavalieri, riconosciuti pel loro attaccamento alla Corona, e per le loro massime e sentimenti di onoratezza; ed al detto Tribunale comandiamo, che si dia il trattamento di Eccellenza. Le basi delle incombenze di questo supremo Nobilissimo Tribunale saranno di mantenere sempre illesa la purità, e distinzione delle famiglie nobili, come di mantenere sempre vivi nella Nobiltà i principi di onore, fedeltà e valore e di eseguire, preparare e proporre tutti quegli ordini, che Noi crederemo opportuni di dare per così grandi ed importantissimi oggetti.

«perciò sarà di sua ispezione primieramente di conservare un esatto registro di tutte le famiglie che erano iscritte alle Piazze, o siano Sedili di Napoli, il quale registro verrà chiamato il Libro d’oro della Nobiltà Napolitana riservandoci soltanto Noi colla pienezza della Nostra Potestà, in vista di segnalati servizi, e di riconosciuta antichissima Nobiltà, di aggregare al detto Libro d’Oro i più distinti e benemeriti soggetti, e le di loro famiglie

«Terrà ben anche il detto Tribunale un registro, ma separato, di tutte le famiglie, che non erano ascritte ai Sedili ma che posseggono feudi almeno da 100 anni in quà; ed in ti oltre sarà dell'appartenenza di questo Tribunale il tenere registro di tutte le famiglie, ché passano l'abito di Malta di giustizia, Colla indicazione del tempo, nel quale hanno per la prima volta passato l’abito suddetto, è conserverà un altro registro di tutti i Nobili ascritti ai Sedili chiusi delle Città del Regno che formano Nobiltà, indicando, in libro a partite, quelle famiglie ed individui, ch’essendo della sopramentovata classe, ma non del Libro, d’Oro, siano domiciliali in Napoli.

«E siccome ci preme infinitamente, che i sentimenti di onore, che fanno il più bel pregio. di un animo nobile, siano inviolabilmente conservali nella Nobiltà, cosi sarà cura di questo Tribunale di prendere ispezione di tutti gli affari di onore, che tra i Nobili potessero avere luogo, informandosi severamente di chiunque tra i medesimi avesse potuto mancarvi, e cassando, previa relazione da farsi a Noi, l’individuo della Nobiltà, che vi avrà mancato, sia dal Libro d’Oro, se sarà nobile di quella classe, sia dagli altri registri, se sarà delle altre classi sopramentovate, e dichiarando il medesimo decaduto dagli onori, prerogative e preminenze del grado, e stampando ogni anno il detto Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno di Napoli, una nota degl’individui, che mai avessero incorsa tale degradazione, ed i soggetti degradati non potranno essere mai più ammessi loro vita durante ai Reali Baciamani, e all'esercizio di qualunque pubblico impiego.

«Vogliamo in oltre, che in tutte le decisioni, per affari di onore, che il detto Supremo Tribunale farà, abbiano sempre ad intervenirvi, con voto deliberativo, due Uffiziali Generali del Nostro Esercito, che Noi nomineremo a tal effetto.

«Terrà il detto Tribunale un altro esatto registro, che si chiamerà del Merito nel quale verranno notate tutte le azioni di fedeltà, di valore e di attaccamento allo Stato, che i nobili delle differenti classi avranno fatte, ed ogni anno lo pubblicherà colle stampe, essendo Noi fermamente risoluti di non accordare onori e prerogative, che a'  quelli tra i Nobili i quali nell'indicato modo si distingueranno.

«Formerà il detto Tribunale un sistema relativamente agli Stemmi, che ciascheduna classe dei Nobili può usare secondo le ricevute regole, è lo proporrà a Noi, affinché possa, dopo che Noi lo avremo approvato, pubblicarlo, ed irrimissibilmente farlo eseguire.

«XIV. Creiamo e stabiliamo pel governo degli affari dell’Università di Napoli un Regio senato, composto da un Presidente ed otto Senatori, i quali eserciteranno nel corso d’un anno l'istesse facoltà, che aveva l’abolito Tribunale di S. Lorenzo e di essi faremo Noi l’elezione, scegliendoli, tra i soggetti i più probi, e prendendo il Presidente e due Senatori dai Nobili del Libro d’Oro, due Senatori dai Nobili che non sono del Libro d’Oro, ma che sono degli altri registri, e domiciliati in Napoli, due Senatori dal celo dei Togati, e due altri Senatori dal Ceto dei Negozianti; e siccome vogliamo, che il detto Senato abbia tutta l’autorità convenevole pel disbrigo delle materie di Annona, non solamente uguale, ma maggiore di quella, che aveva il Tribunale di S. Lorenzo, cosi aboliamo la carica di prefetto dell’Annona, e l’appello alla Nostra Real Camera di S. Chiara e vogliamo, che istallato che sarà il Senato, tutte le materie di Annona, che prima dal Tribunale di San Lorenzo, dalla Corte del Regio Giustiere, dal Prefetto dell’Annona, e dalla Real Camera di Santa Chiara si decidevano, sieno inappellabilmente decise dal Senato suddetto, col voto e parere nelle materie di giustizia de’ due Senatori Togati, riserbandoci Noi in qualche caso straordinario di accordare la revisione nel detto Senato con Ministri aggiunti.

«L’abito di cerimonia del Senato suddetta sarà ad instar di quello della Città di Palermo.

«Il Regio Senato in Corpo avrà, come aveva il Tribunale di S, Lorenzo, il trattamento di Eccellenza e le altre prerogative, ed onori, che quello godeva, e sarà ammesso nelle pubbliche funzioni e Reali Baciamani, colle istesse onorificenze.

«Le funzioni di Regio Giustiziere si eserciteranno in giro per lo corso di un mese da tutti i Senatori, i quali proporranno nel Senatp le materie più interessanti.

«Le funzioni di Eletto del Popolo saranno esercitate da uno dei Senatori Negozianti, un mese per ciascheduno in giro, il quale proporrà tutte le materie di rilievo nel Senato, per decidersi in quello, ed invigilerà attentamente al buon ordine del Mercato e dei luoghi, e venditori lui soggetti, come per lo passato, e procederà nelle forme solite e consuete.

«Ricreiamo il Tribunale della Fortificazione, Acque e Mattonate della Città di Napoli, e vogliamo, che sia composto dal Sopraintendente, come per lo passato, da due Deputati presi dal libro d’oro, due Nobili presi dagli altri registri de’ domiciliati in Napoli, da un Negoziante e da un Avvocato, i quali tutti verranno da Noi destinati, ed eserciteranno per un anno le istesse facoltà attribuite per lo passato al detto tribunale della Fortificazione,

«Vogliamo, che il Tribunale della Generale Salute continui le sue interessanti funzioni, come per l'addietro, e gli diamo soltanto la seguente nuova forma. Sarà esso composto dal Sopraintendente che avrà le stesse antiche facoltà, e di dodici Deputati, cioè quattro presi tra i Nobili del Libro d’Oro, due da quelli, che sono degli altri registri, tre dal ceto dei Negozianti, e tre dal ceto degli Avvocati. Eserciteranno i medesimi durante il Nostro beneplacito, e faranno tutto cio, che prima dal detto Tribunale di Salute si faceva,

«Conserviamo la carica di Portolano come per lo passato, e lo eleggeremo Noi ogni anno, scegliendolo un anno dai Nobili del Libro d’Oro, ed un altro anno dai Nobili degli altri registri. Conserviamo ben anche la Deputazione dell’Officio suddetto di Regio Portolano, e vogliamo che sia composta a Nostra elezione da sei Deputati, cioè due dei Nobili del libro d’Oro, due dei Nobili degli altri registri, e due presi indistintamente dal ceto dei Negozianti o Avvocati.

«Vogliamo che il Primario dei Tavolari del Sacro Reg io Consiglio sia da ora in avanti una persona della facoltà, e ci riserbiamo Noi di nominarlo dopo aver preso i necessari informi dei talenti, e de’ servizi resi dai rispettivi individui della facoltà stessa.

«Tutte le altre Deputazioni di Città restano abolite, e risguardo a quelle degli Arrendamenti così detti di Città, alle quali le Piazze nominavano, vogliamo che il Nostro Luogotenente e Capitan Generale del Regno di Napoli, e quella Giunta di Governo ci propongano un piano analogo per l’amministrazione dei medesimi, in conformità dello spirito di questo stabilimento e degli altri Arrendamenti.

«Le opere pie, ch'erano amministrate da talune Piazze continueranno ad essere governate da individui scelti da Noi tra le sole famiglie, che avevano dritto e tali governi.

«Le famiglie, che avevano solo dritto di essere ammesse al Monistero di Dame di San Gregorio Armeno, continueranno ad essere sole a godere di quell’ammissione.

«Il Regio Senato di Napoli e le Deputazioni, che in questo Nostro Editto abbiamo conservate, si uniranno nel Monistero di Monte Oliveto, che per alto di Nostra Sovrana Munificenza Noi gli concediamo a tale oggetto. Vogliamo che il Senato e Deputazioni sieno istallate al primo di ciascun anno, e che i soggetti, che per a prima volta debbono coprirli, ci vengano proposti previ li dovuti esami, e nella forma solita per le altre cariche, dal Nostro Luogotenente del Regno di Napoli, e dalla Giunta di Governo, comandando che la Regia Deputazione, che attualmente è alla testa dell’Annona della Città di Napoli, continui ad esercitare insino allora le sue funzioni, in quello stesso plausibile modo, che ha finora fatto.

«E finalmente Tommaso d’Avalos Marchese del Vasto e di Pescara avendo abbandonato tutto per seguitarci in Sicilia, nel tempo della invasione del nemico, ed avendo con ciò rinnovato il glorioso esempio di fedeltà, che l'illustre suo antenato Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto, dette al Re Ferdinando Secondo Nostro Augusto Predecessore, abbiamo Noi risoluto di accordare a questa benemerita Famiglia un costante contrassegno della Sovrana riconoscenza, creando primo Titolo e primo Barone del Regno di Napoli Tommaso d'Avalos attuale Marchese del Vasto e di Pescara, e tutt’i di lui primogeniti maschi dal di lui corpo legittimamente discendenti in perpetuum; volendo ben anche, che la Nobiltà napolitana abbia un monumento perenne della fedeltà usata da quella illustre Famiglia, e della ricompensa ottenutane. Ed affinché quanto abbiamo prescritto in questo Nostro Real Editto firmalo di Nostra Real Mano, munito del Nostro Real Sigillo, e roborato della firma dell’infrascritto Nostro Ministro di Stato, prevenga a notizia di tutti, comandiamo che si stampi e si pubblichi nelle consuete forme nei luoghi soliti della Capitale di Napoli, e delle Provincie del Regno. Ferdinando ().

XV. In tal maniera rimettendosi le cose ad uno stato di moderazione nel Regno continentale, ritornavano gli animi della moltitudine ad una certa tranquillità, e tanto di calma riprendevano, per quanto più dai passati terribili momenti andavano allontanandosi. Bramoso ancora il Monarca di dare novelle ricompense a coloro che renduti avevano dei rilevanti servizi, e data qualche estraordinaria pruova di fedeltà alla Sua Real Persona ed alla Monarchia nelle passate luttuose catastrofi, d istituire penso un Ordine Real detto di Ferdinando e del Merito dichiarandosene esso medesimo Gran Maestro: fu quest’ordine con Sovrana legge del l'di Aprile istallato in Sicilia, é poscia in Napoli nei primi giorni di Agosto promulgato e trasmesso, e diviso in tre classi, cioè Cavalieri Gran Croci, Cavalieri Commendatori é Cavalieri della piccola Croce e molti personaggi di nome e di fama furono di quest’ordine insigniti; Le predetti popolari moderazioni e la quiete che nel Regno in conseguenza aveva presa piede unita alla fiducia, che il Governo novellamente nei suoi sudditi metteva, produsse, che buon numero di coloro, che di Napoli erano parti ti allorché sconvolti tempi correvano, ritorno vi fecero, ed il Re di Sardegna, che in sul principio dell’anno medesimo in Toscana aveva continuato a trattenersi per effetto di non potere nei suoi Stati rimanere, dopo aver fatto alquanta dimora nei Stati romani a Napoli nel Novembre ne venne e noti poco vi stette. Fu pensiero in tal tempo di Re Ferdinando profittar volendo di sì buone disposizioni di bandire un editto appellato indulto, il quale


nel giorno del suo nome vide la luce, con esso le passate colpe di stato rimise, dicendo «essere tempo di riposo, e bramare che i sudditi fossero come figli suoi tenuti, e tra doro come fratelli si amassero; e perciò sospendere e cancellare i Giudizii di Stato, vietare le accuse e le denuncie, e perdonate, obbliare e rimettere i delitti di lesa maestà, essere ciò sua Reale volontà» ().

Sembro questo editto il termine alle intraprese mire di giustizi», molti di. coloro, che nelle carceri erano detenuti, onde attendere sentenze, riebbero la libertà. Fu a questa epoca ancora, con maggiore beneficio del pubblico, scelto per capo della Polizia il Duca d’Ascoli, chiamato col nome antico di Reggente, il quale quantunque nuovo egli uffizii di Stato, ma poiché nobile di animo come di lignaggio, il publico ne sperava: ne ottenne giustizia verso i buoni, severità soltanto sulla plebe tumultuante tuttavia, ricordevole dei guadagni Fatti nell’anno scorso, che già nei vizii e nella crapula si erano sperduti.

Ristoravano l’umanità pur anco a questi tempi il novello rimedio scoverto da un; medico Inglese, col quale campar si vedeva infinito numero ’uomini, era questo l’innesto della marcia bovina a difesa del vaiuolo: era certo il rimedio, perché dei popoli dell’Oriente, come la Georgia e la Circassa, l’usavano, dov’è fama che la estirpazione del vaiuolo naturale per innesto ab antico vaccino, sia stata cagione della bellezza delle donne Giorgiane e Circasse. L’Europa visti morire in ogni anno numero sterminato di fanciulli cerco riparo dall’innesto naturale, cioè dall’inoculare in tempi e condizioni opportune il vajuolo benigno, ma umano: e comecchè se ne traesse piccolo benefizio, il pensiero fu scala ad opera maggiore. Nel 1776 un adunanza medica di Parigi discorse del contaggio vaccino, ma l'idea nulla valse insino a tanto, che nel citato anno 1799 la riprodusse in Londra un medico Inglese per nome Ienner, il quale fatta ventre, da Oriente la marcia e sperimentata sopra gran numera di fanciulli, ne pubblico l’effetto; e tessutane la istoria delle belle prove antiche, e disteso il processo delle presenti, muto in dottrina ed in fattola sterile ponghiettura del rimedio. Al grido ed alla gloria ch’ei n’ebbe si elevo invidiosa la scuola medica di Francia, vantando sé per gli accademici discorsi che si citano, percorritrici al Ienner; ma resto all’Inglese l’onore della coverta, e la dottrina di Ienner si sparse in Europa tutta. Correndo tal tempo giunse in Napoli il Dottore Marshall'Inglese propagatore del gran rimedio; il Re Ferdinando fece stabilire perciò offizii ed uffiziali di vaccinazione, e tosto agli Ospedali la prescrisse, alle case pubbliche di pietà, alla colonia di Santo Leucio; e da magnanimo e buon Re alla sua famiglia ne ordinò l’adopramento, facendola propagare anche in Sicilia; e rendendo lodi e gregie al Marshall, ricco di doni e di onori lo accommiato.

XVI. Fatta verso la metà di Marzo, dopo 14 giorni del riunito Conclave l'elezione del Pontefice nella persona del Cardinale Chiaromonte dichiarò esso di assumere il nome di Pio VII. per onorare la. memoria del suo benefattore Pio VI. Vide questi nella sua saggezza, che il partire per Roma tostamente sarebbe stato il migliore espediente onde riordinare colà sì il regime ecclesiastico che il civile; epperò non donando ascolto alle idee, che si esternavano, e che ad esso medesimo si suggerivano, cioè d trattenersi a Venezia o di fissare in Vienna la sua dimora, nel 6 Giugno s’imbarco su d'una Fregata austriaca per condursi nei suoi stati dalla parte di Civitavecchia; ma questa non si sa come, trovatasi camin facendo mal provveduta di provvisioni da bocca, e per la totale mancanza da acqua, obbligo Pio VII. a sbarcare a Pesaro, e di là proseguire per la volta della sua metropoli, ove nel 3 di Luglio venne ricevuto con trasporli di gioia e di rispetto, che facilmente si potevano prevedere: egli trovò la piazza del popolo, la ove erasi un giorno offerta una corona a Berthier un magnifico arco di trionfo, sotto del quale passo prima di entrare nella contrada del Corso, intanto la Corte di Vienna offesa per l’elezione del Chiaramonte col quale non aveva pensato di trattare, aveva da primo rifiutarlo di lasciarlo coronare nella Chiesa di S. Marco, ma ciò poco valse, perché in vece ebbe corona nella chiesa di S. Giorgio dal Cardinale Antonio Doria nel ai di quel mese; e poscia, come pur troppo è vero, essere cosa difficile il sapere restituire generosamente, anche ai proprii amici i possedimenti che per espi unicamente si sono, riconquistati, Cosi sembrava pesante cosa a quella rilasciare le Romane provincie occupate, e per questo allorché la congregatone dei legati Pontefici, composta dai Cardinali GiovanFrancesco Albani, Roverella e della Somaglia, che fin dal giorno 22 Maggio erasi recata nello Stato per prendersi le consegna di tatto il paese, affine di trovare il novello Pontefice nel suo ingresso tutto riacquistato, non potè ottenerla che nel 22 Giugno, e ciò perché Re Ferdinando di Napoli aveva di già dato consentimento, con piena lealtà, di consegnare quella porzione di terra, che in suo potere teneva; così anche gli austriaci ad un tale atto costrinse, e quindi un Commessario di quell’Impero par far palese questo consentimento in pubblica forma, essendosi tutti accorti della mala volontà nella spontaneità del procedere, dichiarò «Che S. M. I. R. A. aveva ricuperati gli Stati del Santo Padre per restituirglieli, e che sin da quel punto poteva egli mettersi al possesso degli Stati medesimi»().

Infra questo tempo i progressi di nuovo fatti dai Francesi nella primavera in Germania nonché in Italia, indussero l’Austria e Napoli a ristringere le mire della di loro politica, e quantunque richiamate tutte le truppe di esse presso di loro fossero state, pur tuttavia le austriache continuarono ad occupare le tre legazioni, e le napolitane ritennero Benevento e Pontecorvo province della Santa Sede, ma comprese negli stati di Napoli.

Conceputasi dai Maltesi, allorché arrivarono le novelle della vittoria di Aboukir, la speranza, che preponderando l’Inghilterra nel Mediterraneo non potessero più i francesi mandare nuovi soccorsi all'isola, si sollevarono in ogni parte contro i conquistatori e gli costrinsero a ridursi nella Valletta, che essendo fortissima per natura e per arte, non poteva facilmente essere espugnata. Governava il presidio di quell’isola il Generale Vaubois ma i soldati che sul principiare dell’assedio sommavano circa a quattro mila, erano scemati a questi tempi per modo dalle malattie, che non passavano i due mila: s’aggiungevano i marinari delle navi il Guglielmo Tell, la Diana e la Giustizia, avanzate alla rovina di Aboukir, che posti a terra e capitanati dall’ammiraglio Decrès cooperavano alle difese. Erano comparse al cospetto dell’isola’ alcune navi portoghesi condotte dal Marchese di Nizza, le quali tosto diedero opera a bloccare il porto; secondava immediatamente Nelson le operazioni di quegl’isolani sembrandogli ottimo espediente ciò che da essi si operava, per vedere nel Mediterraneo le navi di Francia scacciate, epperò con le navi sue agli assediati ogni speranza di soccorso e di redenzione toglieva.

Stavano così le cose in quell’isola, ed io le ho narrate per far congiungimento, e sviluppare quelle altre, che sono in dovere esporre, perché istorie napolitane riguardano. Allorché fu stipulato nel Decembre del 1789 il trattato di alleanza, che nel primo Libro ho esposto, fra il Re nostro e S. M. l’imperatore delle Russie, in un separato articolo fu detto «S. M. il Re delle due Sicilie e S. M. l’imperatore di tutte le Russie animati non meno, che lo è il loro alleato S. M. Brittanica nel desiderio sincero, che l’isola di Malta come vera proprietà dell’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme sia tolta al nemico, e conservata per tutto lo spazio della presente guerra nella sua integrità, nella sua indipendenza sotto la salva guardia dei tre Alleati, sono convenuti impiegare a questo fine tutt’i mezzi, che possono da loro dipendere. E presupponendo, che la restituzione di quest’Isola non ha già avuto luogo, non tarderà molto ad averlo, hanno destinato per l’isola e sue fortificazioni una guarnigione comune, cioè dalla parte di S. M. l'Imperatore di tutte le Russie tre battaglioni di Granatieri e 500 artiglieri che indipendentemente dalle truppe destinate al soccorso di S. M. Siciliana si renderanno, direttamente per mare da’ porti russi al loro destino. S. M. Siciliana invierà dal suo canto altrettanta truppa a cui S. M. Brittanica riunirà egual numero di truppe Inglesi, a fine che quest’Isola sia fino al ristabilimento della pace difesa e garentita dalle forze comuni da ogni nuovo ed inaspettato attacco. S. M. I. di tutte le Russie dichiara intanto, che avendo accettato conformemente al desiderio dei Cavalieri, ben intenzionati, dell’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme il titolo di Gran Maestro di quest’Ordine, non intende non solamente portare alcun pregiudizio ai dritti che S. M. Siciliana faceva valere sopra questa Isola, ma promettere ancora di entrare con detta S. M. allorché sarà in seguito questione delle disposizioni relative a tale oggetto, in tutti gli accomodi e di convenire di tutto cio, che potrà assicurare con una maniera la più stabile, e la più utile dell’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme l’esistenza per la lingua Siciliana con tutti i suoi privilegi e vantaggi. Quest’articolo separato avrà la medesima, forza e valore, come se fosse inserito parola per parola nel trattato di alleanza segnato oggi, e le rattifiche ne saranno cambiate nel medesimo tempo. In fede di che i Plenipotenziari rispettivi ne hanno fatto fare due esemplari perfettamente simili segnati di loro mani e vi hanno apposto il Sigillo delle loro armi. Il Duca di Serracapriola, ed A. Principe di Bekborodze ()».

In conseguenza di queste convenute cose il Re Ferdinando aveva mandato e manteneva nell’assedio di quell’isola duemila soldati sotto il comando del Brigadiere Fardella, unitamente a due compagnie di artiglieria, due Vascelli ed altre navi di guerra e da trasporto; e quelle milizie di terra e di mare gareggiavano per valore e per arti con le inglesi: aveva pur anco disposto che si provvedessero di armi e munizioni i sollevati, che s’impedisse strettamente di portare dalla Sicilia vettovaglie di nessun genere in Malta. Altra emanazione aveva data in seguito, cioè che circa trecento uffiziali di quelli non chiariti in fatto di opinioni, formanti due compagnie, verso il cominciare di questo anno fossero spediti nell’oppugnazione di quella fortezza per farsi merito da soldati, e così riscattare il commesso fallo, ma questi non mossero. da Messina ove si erano riuniti. Abbandonato da tutti Vaubois contrasto molto tempo gloriosamente, ed in vero non le armi il vinsero, ma bensì quel flagello, che toglie all'uomo sempre la forza e spesso la volontà del resistere; e quindi a questi tempi, e propriamente nel Settembre, giunse a Napoli la nuova avventurosa della fatta cessione di Malta alle milizie inglesi e napolitane. Si seppe con officiali dettagli, che le nostre truppe si comportarono con molta bravura e si distinsero sempre nel respingere le frequenti uscite, che faceva la parte francese, per distruggere le batterie servite dai nostri artiglieri, i quali bersagliavano i baluardi maltesi con una precisione di che gl’inglesi facevano le più alte lodi: ma questi nostri soldati erano del piccolo numero dell'esercito stanziato in Sicilia, al quale tostamente ritornarono i più, ed altri vennero in Napoli.

 XVIII. Fu rallegrata ancora la regia a questi tempi dallo sgravo della Principessa Maria Clementina moglie di Francesco Principe ereditario, la quale diede un Principe alla luce, che ebbe nome Ferdinando dal nome dell’Avolo.

Ma i fatti interni comunque lieti o avversi, erano passaggieri per lo Stato nostro, e tutti gli sguardi si fissavano ai potentati del settentrione e dell’occidente. Buonaparte dal canto di Marengo pieno e caldo di quella vittoria riportata, che avevalo reso padrone di dodici rocche, e di mezza Italia, aveva scritto all'Imperatore d’Austria, pregandolo per una pace durevole ai patti medesimi del trattato di Campoformio; piegava alla pace l'Imperatore, epperò il nostro Regno nuovamente nei pericoli della guerra trovavasi esposto; i quali tanto più gravi mali minacciavano quanto maggiore la esacerbazione delle parli era stata, quindi alle prime notizie di questi convenimenti la Regina Carolina imbarcossi subitamente da Palermo e per Livorno, Firenze, Foligno, Ancona e Trieste a Vienna si porto, a fine di trovarsi presso il centro della lega personalmente e far vedere da vicino, e vedere essa medesima le cose del Regno suo. Ma le idee pacifiche di Francesco Imperatore venivano opposte da quelle di Thugut suo ministro il quale era potentissimo ed obbedito, e queste secondate da quel Ministro Inglese Lord Minto, che assicurava gli aiuti promessi nel fresco trattato del 12 di giugno. Tali cose produssero cambiamento nell'animo dell’Imperatore, e per questo annullati vennero i preliminari di pace di già dal Conte di San Giuliano per l'Austria e da Talleyrand per Francia statuiti.

Buonaparte intanto vedendo rotta ogni linea bonaria, mise a movere le schiere accampate, ed a quelle, altre ne aggiunse, mandando in Isvizzera novello esercito, e concito con la sua possanza lutto il paese ira il Po ed il Reno. La casa d’Austria a queste mostre di guerra dichiarò al primo Console, che i suoi legami con l’Inghilterra impedivano ch’ella trattasse divisamente da quella Potenza, e propose nuove conferenze per conchiudere pace più larga fra i tre potentati. Buonaparte o che dotto dei casi di fortuna, fuggir volesse i cimenti, o che dopo lunga rivoluzione e sanguinose discordie domestiche ed esterne, sentisse quanto la Francia bisognava di quiete, o che volesse apparire al mondo invincibile in guerra, ma propenso alla pace, accetto le offerte e fermo nuovo armistizio ad Hobenlinden, convenendo gli ambasciatori austriaci, inglesi e francesi nella città di Luneville.

Giovavano all’Austria le indugie per adunare nuove milizie e rassicurare gli animi delle recenti sconfitte di Marengo; giovavano esse del pari, all’Inghilterra per impoverire l’esercito francese bloccato in Egitto, ma non convenienti erano queste, anzi nuocevoli, alla Francia, che in quel tempo avendo vantaggio di numero e di fama, le conveniva pace o guerra ma sollecita. Erano però in Luneville differenti le vedute, rapide nei francesi, indugevoli nei contrariasi arrestarono le conferenze e si scioglievano, indi si ripigliavano; ma Buonaparte, che di quelle cose ne vedeva chiaramente lo scopo, ruppe la tardezza del convenire ed intimo le ostilità, e fermato in queste idee diede comandi al Generale MoreauBrune capo di quello d’Italia, ed al Generale Macdonald per Io passaggio delle Alpi nella valle dello Splugen.

capo dell’esercito del Reno, al Generale

Dalla opposta parte l’imperatore austriaco avendo riordinati ea accresciuti gli eserciti suoi gli aveva messi alla obbedienza del Generale Bellegard, ed aveva richiesto alle Corti di Alemagna, e di Napoli aiuti ed alleanze. Per queste dimande dal Governo di Napoli si mandavano nell’autunno in campagna sei in sette mila uomini, e si spedivano alla volta di Roma per innoltrarsi verso la Toscana col disegno di congiungersi ad una divisione Austriaca di circa 6mila combattenti, che sotto la guida del Generale Sommariva occupava le Marche, ed agli insorgenti toscani, che facevano massa in Arezzo comandati da Spanocchi Generale toscano.

XIX. Di queste milizie di Napoli n’ebbe il carico il Tenente Generale Conte Ruggiero de Damas il quale alla sua immediazione teneva come Capo dello Stato Maggiore generale il Colonnello Conte di Lite Ventimiglia, ed il Maresciallo di Campo Barone Giuseppe Acton Comandante la cavalleria. Erano queste truppe divise in tre brigale due di fanteria in tutto dieci battaglioni, alla dipendenza dei Brigadieri Angelo Minichini, e Barone Carlo de Tschudy, ed una di cavalleria riunendo sedici squadroni obbedienti al Brigadiere Principe di Loperano: le artiglierie sommavano quattro compagnie, due del Reg. Re e due di quello di Regina, che servir dovevano a 5o pezzi di campagna tra obici da 6 e cannoni da 12 e da 4; più vi si aggiungevano due compagnie del Treno per il traffico di queste al comando del capitano Raffaele de Silva, e tutte le dette dipendenze in quest’arma subbordinate si tenevano al Maggiore Macry capo delle artiglierie. V’era anche per il loro servizio particolare, una compagnia di Pontonieri agli ordini dch Capitano Escamard, ed un altra di Pionieri a quello del Capitano Huber. Le truppe di Fanteria erano, un battaglione del Reggimento Real Ferdinando, uno di Carolina 1. due di Carolina 2. uno di Sanniti due di Montefusco, uno di Albania, uno di Alemanna, ed uno composto dalle riunite compagnie dei granatieri di Valdimazzara Valdemone, e Carolina 2. La cavalleria si formava di due squadroni del Reggimento Re, due di Regina, due di Principe, quattro di Valdimazzara, quattro di Valdinoto e due di Dragoni leggieri.

Ma in questa spedizione, incominciata tra il finire del Novembre ed i primi giorni del Dicembre, disgraziatamente si riprodussero in peggio tutte le combinazioni funeste della malaugurata campagna del 1798 e 1799, perciocché intrapresa questa nei rigori dell’inverno, con truppe nuove, ordinate, istruite, disciplinate e comandate come ho di sopra fatto vedere, ed anche numericamente inferiori ad un nemico più agguerrito e più imbaldanzito di maggiori e recenti vittorie, niuna cosa di felice potevasi augurare nel totale dello scopo; aggiungi che queste truppe avanzando al solito processionalmente ed alla ventura per solo difetto di disposizioni, senza linea di operazioni, senza riserva di sorta alcuna, e le colonne di marcia dosi tra loro distanti, che l'una non poteva portar soccorsi all’altra allorché gli facevano d’uopo. Dippiù era notevole tra le epoche questa differenza di assai sinistro augurio per la spedizione, che nel 1798 ed i primi giorni del susseguente anno, i belligeranti forti e confidenti nelle proprie forze e nella loro unione, erano in Sunto d’impugnare le armi, mentre il terminare nel 1800 ed il cominciare del 1801, vinti tutti e debellati tutti erano stati obbligati a deporle!



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CAPITOLO III

Ritorno del principe Ereditario nel Regno di Napoli, giubilo e feste della nazione — Operazioni della divisione militare obbediente il Generale Damas, particolarità dei movimenti —Osservazioni, su queste operazioni—Formazione di un nuovo corpo di truppe—Il Generale Murat alla testa di un esercito francese scendendo in Italia si dirige contro il nostro Regno—L’Imperatore delle Russie s’interpone come mediatore tra il Console e Ferdinando, aderimento del Console alla pace, le truppe di Damas retrocedono, lettera di Murat al Generale Damas — Armistizio di Fuligno in conseguenza delle dimostrazioni fatte dal generale Russo Lawaschef alla Corte di Napoli, Trattato di pace fatto a Firenze tra la Francia ed il Regno di Napoli, la divisione di Damas rientra nel Regno—Osservazioni su questo trattato: bando di Murat a’ napolitani emigrati. — La piazza di Lungone è ceduta ai francesi, dal Colonnello de Gregori che la comanda, molta sua prudenza e scrupolosità, la guarnigione napolitana si ritira in Gaeta. — ciò che succede alla famiglia Buoncompagni intorno alla cessione fatta dal Governo di Napoli dei presidi ai Toscana alla Francia. — Morte del Principe Ferdinando e di sua madre, morte di Emmanuele Campolongo, e di Domenico Diodato. Scoverta di un nuovo pianeta.

Non era nei popoli del Regno di Napoli cessato né affievolito il pensiero rivedere tra essi i propri Sovrani, anzi sentir facevasi negli animi di questi sempre più la mancanza loro: tali cose sapendosi da Re Ferdinando e perché convinto realmente dell’amore e benevolenza di quei sudditi, desidero, che fosse interamente quel voto compiuto. Per tanto in questo cominciare di anno, fatte in Palermo le debite etichette del Real giorno natalizio del Sovrano, ordinò egli il ritorno nei domini napolitani del suo primogenito Principe Ereditario, e profittando della piacevole corrente circostanza, con ampia elargizione al suo figliuolo concesse il dritto ai grazia totale per i traviati cittadini. Corsero queste, a sì Bella permissione, molto largamente e posesi fine così, almeno per la più gran parte, ai mali, che taluni soggetti ancora risentivano.

A tal uopo partendo S. A. R. da quella Capitale nella rada di Napoli vi giunse il trenta Gennaio in unione della Principessa Maria ClementinaFerdinando e tutta la propria famiglia. Venn’egli accolto con estraordinaria gioia dal popolo intero, il quale nelle sue dimostrazioni di contento Esternava quanto di piacevole e di fausto nel ritorno del legittimo Signore le popolazioni si augurano. Nel suo arrivò dal Corpo del Senato, e da quello della magistratura fu ricevuto, non che dai Capi delle milizie, e tutti accolse il Principe con grande e compiacente animo. Il susseguente giorno su di un ponte da sbarco, di vago disegno, a bella posta eretto al molo, rivide e ricevé con estrema letizia innanzi di porre piede a terra i principali dignitari del Regno, e poi per la via che al Real Palazzo mena trasferissi in esso. Era questa strada mista di festeggiarne ed esultante popolazione e di truppa, che schierata ai due lati tratteneva l’affollamento della moltitudine, e rendeva essa agli occhi dell’osservatore per quanto imponente altrettanto commovente e rallegrante spettacolo.

sua consorte, del piccolo Principe

Oltre delle piacevoli e sontuose esultanze spontaneamente fatte dal gran numero di coloro, che un tanto desideralo momento agognavano, ed al generale gaudio ad ogni classe di cittadini comune, ebbero luogo per tutto il Regno, ed in Napoli in ispeciale modo, per tre sere continue delle grandiose e piacevoli illuminazioni e furono ancora delle machine sorprendenti costruite alla circostanza allusive. Nella piazza del Castello si era eretto un tempio dedicato all’allegrezza il di cui esterno era semicircolare, sostenuto il d’avanti da dodici colonne di ordine corinto: da questo partiva un magnifico intercolunnio in ognuno dei due lati, e la detta parte semicircolare veniva coverta da una scodella con lanternino nel suo centro, che formava piedistallo alla Statua di Partenope con gruppo di Sirene all’intorno, esprimenti la gioia della popolazione delle 12 provincie del Regno, le quali venivano anch'esse rappresentate da dodici statue in piedi, coi rispettivi emblemi, situate ciascuna perpendicolarmente sur una delle dodici colonne; dall’interno del tempio si ascendeva per grandiosa scala, che formava un mezz’ottagono, accompagnante lo sferico della parte di mezzo, su ciascuno dei due suoi lati, da ognuno di essi si aveva lo sbocco in due gran loggiati adorni negli estremi della facciata di due piramidi da sopra la balaustra, che affacciava nella suddetta piazza, in questi vi stavano due orchestre da musica; nel centro del tempio si vedeva un gran piedistallo su del quale vi poggiava la statua della felicità con in mano un medaglione in cui erano rappresentaci in bassorilievo i ritratti dei nostri Sovrani con corona di alloro sostenuta in aria dal genio dell'allegrezza; nel piedistallo ora menzionato e nell’interno del tempio nei due intercolunni vi si leggevano delle analoghe iscrizioni.

Nella piazza dello Spirito Santo si scoprì la statua equestre del Re Carlo III, ed in tutto quel grandioso semicircolare edilizio fu disposta una ricca illuminazione, porzione della quale veniva formata in caratteri esprimenti, viva Ferdinando IV e Maria Carolina, viva sempre tutta la Real Famiglia: in cima dell’edilìzio, e fra gl’intervalli delle statue che l’abbelliscono vi si aggiunsero degli ornati a disegno per ampliare l'illuminazione suddetta; i due laterali dell’edifìcio furono prolungati a traverso della piazza con simile disegno e nel mezzo furono innalzate due macchine piramidali che sostenevano in cima due Fame portanti ciascuna un giglio borbonico: all’intorno delle piramidi vi stavano quattro statue esprimenti le virtù ed ai fianchi della statua del Re Carlo si vedevano due grandi orchestre: nelle quattro facce di ciascun piedistallo sostenenti la piramide vi si leggevano anche delle iscrizioni.

Non contento il Regio Senato del ciò fatto, per viemaggiormente il giubilo della popolazione aumentare, di maritaggi dono dispensa a'  quaranta povere orfane donzelle, ciascuno di ducati cinquanta oltre delle vestimenta; queste nel dopo pranzo del due Febbraio girarono per la città su di carri vagamente ornati, accompagnati da scelta musica, e sparsero su dell’affollata moltitudine delle composizioni confacenti alla corrente circostanza.

Nel mattino di questo medesimo giorno, ultimo dei tre stabiliti di pubblica festa ed esultanza, tutte le Cariche dello Stato portaronsi nella Real Chiesa dì santa Chiara ove fu cantata solenne messa e l'inno Ambrosiano in rendimento di grazie all’Altissimo per una sì fausta e desiderata circostanza.

XXI. Queste cose avvenivano con gaudio estremo nei domini continentali del Regno, altre però di non felice risultamento, nella medesima epoca, accadevano alle nostre milizie spedite a col legarsi con le austriache; in vero non per difetto di chi le dispose, né degli uomini che le operarono, ma bensì per poca avvedutezza e discernimento di coloro che ne avevano dato l'impulso, i quali dei tempi che correvano non ne seguivano fil filo l'andamento: di queste io ora narrero.

Poiché costretto l'Imperatore di Germania, per come erano rivolti i casi suoi, a trattare di nuovo di pace con la Francia, senza l’inglese intervento, mise jn non cale gl’interessi dei minori, collegati, e perciò alle sue forze cd alla sua politica il Re delle due Sicilie abbandono; a tal riguardo le truppe che da questo Monarca erano state inviate a Roma e che a Tuscolo avevano fatta staziona nel tempo del primo armistizio tra gli Austriaci e quei di Francia, ricominciale le ostilità avanzarono in Toscana, in dove per le circostanze ora esposte, furono sole rimaste, nulla del secondo armistizio di Treviso sapendo.

Nel settimo dì del 1801 giungeva in Siena la prima brigata della Divisione Napolitana col Generale Damas, il Capo dello Stato Maggiore ed il Brigadiere Principe di Loperano; essa si formava di un battaglione di Sanniti comandato dal Colonnello Gaston, due battaglioni di Montefusco guidati dal Colonnello Nunziante, ed un battaglione di Alemagna obbediente al Colonnello de Gambe; per cavalleria vi aveva uno squadrone di Principe dipendente dal Maggiore Caracciolo uno di Saldinolo dal Capitano Caetiglia, e due Squadroni di Dragoni leggieri sotto gli ordini del Maggiore Cicconi sei pezzi di artiglieria leggiera serviti da una Compagnia del Reggimento Re erano a questa colonna incardinati.

La gente contraria, che anche una brigala sommava di troppe cisalpine, comandate dal Generale Palcmbini che si teneva in posizione per covrire la città, fu obbligata a ritirarsi, ed il Forte presidiato anche da cisalpini dopo qualche giorno ai resistenza si arrese, dandosi la guarnigione prigioniera di guerra, epperò fu mandata in Radicojani ove vi stava il Maresciallo Acton con due squadroni del Reggimento ReCapece Scondito, due squadroni di Regina col Colonnello de Liguori, e l’intero Reggimento TaldimazzaraMoncada.

sotto gli ordini del Colonnello dipendente dal Colonnello

Il Generale Miollis, che in Toscana per parte della Francia comandava, all’annunzio di un tal retrogrado movimento dei suoi, immantinenti lasciò un debole presidio in Firenze, sguernì Livorno e con celeri passi le sue forze a Pisa venne a concentrare, per ritirarsi verso Modena e la Liguria secondocché le circostanze ne correvano; ma poi animato dalle novelle a lui giunte dei progressi dei francesi verso l’Adice non dubito, e non mise tempo in mezzo, di recarsi sulle offensive anch’esso, talché nel quattordicesimo giorno di quell’anno a Siena trovossi vicino, essendo calato per Poggibonsi.

Nel medesimo dì un piccolo distaccamento napolitano composto di cento cavalieri ed altrettanti, fanti spintosi fino a Poggibonsi per fare ricognizione, fu vigorosamente attaccato dalla intera divisione del Generale pino che di vanguardia serviva alla gente da Miollis guidata, e propriamente da un forte battaglione toscano comandato da Pignatelli Strongoli e da Buzzi; e dopo una scaramuccia vivissima il distaccamento napolitano si ritiro. Queste truppe di Pino composte di fanti cisalpini e cavalli piemontesi erano state spedite in tutta fretta sulla strada di Si Cacciano per congiungersi alle brigate del Generale Palombini e del Generale Triulsi ed arrestare il movimento offensivo dei napolitani. Damas sorpreso da forze superiori spedì ordinò alla cavalleria comandata dall’Acton di raggiungerlo al gran trotto, ed intanto Pino seguitando ad andare innati ti virilmente attacco la brigata di Napoli che in colonna serrata per battaglioni attese l’urto degli avversari; questa dopo avere per qualche tempo l’impeto trattenuto, verso Siena si volto e sotto le mura di quella città fece fermata, risoluto essendo Damas di restare in posizione; ma Pino dal felice successo della seguita intrapresa guidato, incontanente senz’attendere l’arrivo del principale suo corpo con assai brusca maniera gli attacco di nuovo; né vano riuscì l’intento suo, poiché dopo sufficiente conflitto nelle mura i napolitani si rifuggiarono; affervorato viemaggiormente Pino per quest’altra operazione, diè dentro il paese con la sua gente con molto impeto, fracassandone con i cannoni le chiuse porte e scacciandone i napolitani; allora il Generale di Napoli vedendosi privo di soccorsi, perché non ancora giunta la cavalleria di Acton, ed in faccia a nemico al doppio di numero e vincitore, dispose i suoi soldati su dei poggi che circondano Siena dalla parte di Roma. Quivi assaliti dalla sempre incalzante divisione di Pino, che pur di numero si era aumentata per vari distaccamenti, che ad essa avevano fallo congiunzione, si difesero i napolitani 'con coraggio sommo fino a notte avanzata, del cui favore trasse profitto il Generale Damas onde operare la sua ritirata, la quale proietta dalla cavalleria del Maresciallo Acton sopraggiunto a marcia forzata non appena cessato il combattimento, fu eseguita ordinatamente e senza essere in niun modo turbata dal nemico sino a San Quirico, ov’era pervenuta da RadicofaniMinichini composta di un battaglione di Real Ferdinando col Colonnello O’ gabia, di uno di Carolina primo, col Colonnello Harley e del battaglione misto di granatieri obbediente al Duca della Fioretta, e sei pezzi di artiglieria.

l'altra brigata del Brigadiere

Saputo questi congiungimenti il Generale Pino, arresto la sua marcia e contentossi di quanto aveva fatto; ed indi Miollis lascialo in Siena grosso presidio, ripiglio i quartieri di Firenze e di Livorno Un altro piccolo corpo comandato dal Brigadiere de Tschudy formato di un battaglione di Albania obbediente al Colonnello Candrian uno Squadrone di Principe Capitanato da Ruffo dei Principi di Scilla e due pezzi, che per la strada di Cortona era giunto in Arezzo, per sostenervi l'armamento popolare, ebbe ordine di retroedere, e si ricongiunse alla divisione in Viterbo. Il Generale Damas predestinato alle ritirate, fu felice anche nella presente.

Le altre truppe partite di Napoli fin ora non rinominate, si trovavano talune in Roma come due battaglioni di Carolina II col Colonnello Zuwayer, uno Squadrone di Valdinoto col Colonnello Sergardi, ed una compagnia di artiglieria di Regina; tal altre in Acquapendente col Maggiore Macry, cioè la riserva col parco ed una compagnia di artiglieria anche di Regina, e quelle di Pontonieri e di Pionieri; e nelle Marche vi stavano due squadroni di Valdinoto col Tenente Colonnello Ribera.

XXII. Questa fazione di Siena non fu certa in se stessa di lieve momento, laddove si prende a considerare, che la Consulta legislativa della Repubblica Cisalpina bandì per un tal fatto con sua legge del 29 nevoso anno nono (18 Gennaio 1801) essere benemerita della patria la Divisione di Pino, e diede grado di Generali a Colonnelli Ottavj e Milossewitz, che vi avevano presa parte, e fece promozione di Colonnello al Capo battaglione Cappi, e di altri uffiziali ad altri Uffiziali di quella quota italiana. Le nostre poche truppe, che furono attaccate, quantunque costrette sempre a dare indietro, si comportarono con coraggio e perizia, e fecero risplendere molli belli tratti di valore; e se tutta intera la Divisione avesse marciata, o in tal modo spartita, che mutuamente, le colonne avessero potuto l’un l'altre sostenersi e garantirsi nel momento del bisogno, forse l'operazione retrograda voltata si sarebbe in avanzante, e lungi di convenire ai termini, che si convenne, come saremo per dire, altre cose da noi si sarebbero conseguite.

Il solo Reggimento Montefusco composto in gran parte di raccogliticci romani, piego non ostante la voce e l'esempio del Colonnello Nunziante che lo reggeva, il quale per riparare al difetto dei suoi, opro estraordinario personale valore; ed alla testa dei granatieri, che rimasero saldi in colonna nelle loro file, si acquisto molta lode per la sua fermezza e per la sua bravura. In questo fatto è d’uopo considerare, che la brigata di Damas, sommante poco più di duemila combattenti, rimasta era di sole quattordici compagnie, perché le dieci di fucilieri di Montefusco inutili divennero nel conflitto, anzi dannose; e perciò lode somma è a darsi alle nostre genti in quell’azione, poiché appena oltrepassante i 1600 uomini erano essi, e seppero, se non vincere, almeno resistere ad un nemico triplicatamente maggiore e cedergli il terreno palmo per palmo. Volle il Re, allorché quelle truppe rientrarono nel Regno, che fosse licenziato il Reggimento Montefusco, menocché le due compagnie di granatieri, le quali congiunte alle compagnie di granatieri di Pende mazzara, Faldemone e Carolina II di già riunite in un sol battaglione sotto del Duca della Floresta, formarono un sol corpo che venne denominato con Real Rescritto del primo di quel Settembre in data di Palermo Corpo dei Granatieri Reali essendo suo obbligo di servire d’appresso il Re e la Real Famiglia, e perciò Corpo Reale divento: questi prescelti quantunque restassero sotto dell'immediato comando del Floresta pur tuttavia furono quasicché dipendenti dal Generale Maggiore, Borosdin

russo, venuto tra noi a far da capo a quelle genti che con Ruffo militarono, e che tra noi per qualche altro tempo rimasero; epperò questi Reali Granatieri ebbero formazione, tattica, armi e fogge di vestire alla russa.

XXIII. Frattanto sul cominciare dello stesso mese di Gennaio Murat siccom’èragli stato dal Primo Console comandato, scendendo per le Alpi Cozzie menava in Italia un rinforzo di diecimila scelti combattenti francesi: il modo astuto con cui Bonaparte aveva ordinato, che queste truppe marciassero, le fece supporre assai più numerose di quel che noi fossero in effetto; esse Procedendo a gran passi contro la Toscana e la Romagna si avviavano per invadere il Regno nostro, poiché voleva il Console, come a suo cognato, aprire a Murat l'adito alle grandezze ancora. Aveva questi istruzione ricevuta di spedire una delle sue brigate al Generale Brune e con le altre truppe Ferrara ed Ancona porre ad assedio. Ma allorché informe ricevé Murat della ritirata del Generale Damas, con molta sollecitudine in Toscana avanzòssi, e come l'armistizio di Treviso messo aveva Ferrara ed Ancona in potere dei francesi, così esso liberamente contro i napolitani si spinse tanto dalla parte del Gran Ducato, che dalla Marca: tale innoltramento verso noi agevolissimo divenne egli allora, poiché le vittorie riportate dai suoi connazionali, le trattative intavolate e la fama di questo suo nuovo esercito di riserva, sedate avevano le intenzioni degl’italiani avversi ai francesi, bene scorgendo per allora l’inutilità di ogni loro ulteriore opposizione. A Murat accostavansi ora due divisioni dell’esercito vittorioso di Brune; poiché preteso e richiesto aveva Damas, che l’armistizio di Treviso. dovesse essergli comune, essendo egli a Bellegard subordinato; e non ammettendo Brune questo articolo, quelle sue genti mandava a rafforzare Murat; il quale continuando a far avanzare le truppe a lui affidate, si trovava nello stato Ponteficio, e poco dopo il venti di Gennaio a Foligno concentrava le sue forze. Questo aumento da Brune dato a Murat avveniva perché Brune vedeva per lo stato delle cose a conseguire superflui e soprabbondanti i suoi dipendenti, epperò davagli a Murai per imporre viemaggiormente, esso che pel mezzogiorno dell’Italia doveva procedere.

Per siffatte operazioni il Gabinetto di Napoli vistosi solo nel terribile arringo, pose maggiore fiducia nei maneggi diplomatici, che nelle armi. In effetti il governo di Napoli il quale non erasi mischiato in questa e nel L’altra guerra, che per la sola inglese istigazione, come d’innanti feci vedere, oltre a non aver mai ricevuto alcun soccorso efficace, non potè tampoco ottenere, per quanto i plenipotenziari austriaci caldamente e lungamente perorassero a suo favore, d’essere compreso nell’armistizio stipulato con la Francia a Treviso; epperò il Re Ferdinando attendere dovette una ben dura legge da un vincitore orgoglioso e prepotente; e chiaramente videsi, che nelle lotte ove si discutono dei grav’interessi, i piccoli Stati soffrono assai più che i grandi il peso e le conseguenze di una guerra disgraziata.

XXIV. In pericolo assai grave per tanto giaceva il Regno di Napoli, ma dalla Russia venne salvato, imperciocché la Regina Carolina ch’erasi nel precedente anno a Vienna recata che tuttavia la dimorava, come quella che mente forte aveva è somma energia, e non molta fede alle malte credenze donava ed alle ciarle dei nemici di Francia, si era risoluta, non vedendo altro scampo, di voltare tutto l'animo suo alle speranze della Russia, onde ottenere con Francia ravvicinamento; quindi personalmente recatasi a Pietroburgo prego l'Imperatore Paolo I. ad intromettersi come mediatore tra il Console e Ferdinando. Piacque all’Imperatore delle Russie già col Console rappattumato, l'essere mediatore in questo affare e spedì a tal fine a Parigi il Generale Lawacheff affinché concordia fra le due potenze s’intromettesse. Soddisfaceva! Buonaparte del procedere di Paolo, perché in primo luogo scorgevano le nazioni, principalmente gl’italiani, che uno dei più potenti Principi del mondo, non solo il suo governo riconosceva, ma ancora amicizia manteneva seco; in secondo luogo vedeva egli il Regno di Napoli dalla divozione d’Inghilterra sottratto, e nuovamente nella propria ridotto.

Frattanto il Generale Damas trovandosi sempre con le sue truppe nello Stato ecclesiastico, e fermo ritenendo l’essere comune anche a lui ciò che con Bellegard erasi armistiziato, si prevaleva tacitamente del trattalo di Treviso e manteneva la sua truppa in quella occupazione. Ma per quanto Buonaparte avesse ceduto alle interposizioni di Paolo I. non intendeva però di trattare colla Corte di Napoli intanto che le truppe di questa potenza non avessero evacuati gli Stati romani. Murat disponeva allora di venticinque a trentamila combattenti; accantonato sul territorio anconitano poteva esso, in poche marce penetrare nel Regno. Il Conte di Damas cercava di acquistare tempo all’esecuzione, colla speranza di ottenere nell’armistizio da stipularsi delle più favorevoli condizioni. Ma bisogno finalmente cedere alla forza, e la Corte di Napoli dette l’ordine alla sua annata di retrocedere verso le frontiere del Regno. ciò avvenne per la seguente lettera scritta sul finire di Gennaio da Murat a Damas, e da questo comunicata alla Corte «Da più di un mese l’interesse che il Russo Imperatore prende pel Re di Na poli, ha indotto il Primo Console a non rammentarsi delle molte ingiurie di cui il Governo napolitano verso il popolo francese si rese colpevole, frattanto la Corte di Napoli quasi siasi potuta credere più fortunata degli altri nemici della Repubblica, sola in armi è rimasta, mentre le altre Potenze nella pace la salvezza dei loro paesi hanno cercato. Cred’essa dunque che il suo bellico contegno ai prodi soldati v che hanno l’Europa vinta imponga? Dissingannatevi Generali dell’armata napolitana, sgombrate subito gli Stati del Papa ed il Castello Sant’Angelo. Il Primo Console non darà consentimento ad entrare seco voi in negoziati, che allorquando nei confini del vostro Regno sarete rientrati. Il solo Principe, che attualmente proteggere possa il vostro Re per personali considerazioni e particolari, che ha per lui il Primo Console è l’imperatore di tutte le Russie. Il vostro Governo adunque meriti la continuazione delle beneficenze di questo Monarca; locché altrimenti non può farsi, che chiudendo i porli di Sicilia e del Regno di Napoli ai bastimenti inglesi, e mettendo l'embargo su tutt’i bastimenti di questa nazione, la quale dev’essere espulsa da tutt’i punti del continente. Questo embargo servirà di equivalente a quello che il Re d’Inghilterra metter) fece ingiustamente su tutt’i bastimenti Danesi, Svedesi, e Russi in altro tempo. Fatemi certificare dall’Ambasciatore Russo presso la vostra v Corte, che questi preliminari sono adempiti ed allora sull’istante la mia marcia arrestero, e con voi saro per conchiudere un armistizio preliminare di una giusta ed equa pace.()

XXV. Il Generale Lawascheff seppe così efficacemente far distinguere al Governo di Napoli che la salute del Regno dipendeva da una pronta rottura coll’Inghilterra, che per quanto grande si fosse la ripugnanza ad eligere questo partito, pur essa vi acconsentì. Il Cavaliere MicherouxFuligno vi concluse il 18 Febbraio un armistizio, che concedere doveva ai plenipotenziari delle due Potenze il tempo opportuno per determinare un trattato di pace definitiva. In questo armistizio fu convenuto, e stabilito vi rimase «I due Comandanti penetrali dai sentimenti di moderazione e di generosità che il Governo francese animavano e dall’interesse che l’Imperatore di Russia noi lasciava di prendere per la Corte di Napoli determinavano, che vi fosse armistizio per trenta giorni, né le ostilità si potessero riprendere che con la prevenzione di dieci giorni premessi. L’armata napolitana sgombrerebbe dallo Stato Ecclesiastico infra sei giorni; i francesi anderebbero ad occupare Terni, e per lungo la Nera si stenderebbero sino alla sua imboccatura nel Tevere, a né sarebbero per oltrepassare questo fiume. I porti dei Regni di Napoli e Sicilia agl’inglesi verrebbero chiusi, come ai turchi, ea i bastimenti di queste due nazioni ne uscirebbero ventiquattro ore dopo la notizia della presente. convenzione. I legni di Francia da guerra o mercantili vi goderebbero tutt’i privilegi delle più favorite nazioni. Il dotto Dolomìeu celebre naturalista, ed i francesi fatti prigioni al loro ritorno dall’Egitto, restituiti sarebbero all’istante, e poscia rilasciali tutti gli allri prigionieri delta stessa nazione. Ogni tribunale di rigore verrebbe abolito nel Regno delle due Sicilie, ed il Re sarebbe per obbligarsi di accogliere le raccomandazioni del Governo francese, durante i negoziali per la definitiva pace, a fine di stipulare gl’interessi dei detenuti e fuorusciti per delitti di opinione. ()

incaricato dei. poteri della Corte di Napoli recatosi al Quarlier generale di Murai a

Cio pattuito, datovi aderimento il Re, dallo Stato Pontificio, le truppe napolitane che obbedivano al Generale Dumas definitivamente evacuarono e tosto nel Regno fecero ritorno. Fu allora che ragnnossi un congresso in Firenze cui intervenne per la Francia il Ministro Alquir e lo stesso Micheroux pel Re delle due Sicilie. Brevi furono le discussioni fra i due inviati, e nel dì ventotto Marzo fu il trattato di pace definitivo stipulato, nel quale si convenne. «I Porti delle due Sicilie sarebbero chiusi a tutt’i bastimenti da guerra e da commercio turchi ed inglesi sino alla conchiusione tanto della pace intera tra la Repubblica francese e queste due nazioni, quanto al termine delle quistioni tra l’Inghilterra e le potenze del Nord. I medesimi porli, all’opposto, sarebbero aperti tanto ai bastimenti russi e degli Stati compresi nella neutralità marittima del settentrione, quanto della Repubblica francese e suoi alleali. E se per questa determinazione il Re delle due Sicilie si trovasse esposto agli attacchi dei turchi e degli inglesi, la Repubblica francese obbligavasi di mettere a di lui disposizione un numero di truppe eguale a quello che gli sarebbe stato mandato per soccorso dell’Imperatore di Russia. Il Re rinuncierebbe a Portolongone nell’isola dell'Elba,. ed a tutto ciò che gli apparteneva nell’isola medesima, agli Stati dei Presidi della Toscana ed al Principato di Piombino, dei quali paesi la Repubblica Francese potesse disporre a suo piacimento. Per fare sparire ogni traccia delle disgrazie particolari che aveano segnalato la Riterrà, la Repubblica rinuncierebbe ad ogni indagine relativamente a’ fatti dei quali potesse lagnarsi, ed il Re, volendo dal suo canto riparare ai mali cagionati dalle turbolenze accadute ne’ suoi Stati, si obbligherebbe a far pagare in tre mesi, a contare dalla ratificazione del Trattato, la somma di cinquecentomila franchi. che sarebbe divisa tra gli agenti ed i cittadini francesi che erano stati particolarmente vittime de’ disordini accaduti in Napoli, in Viterbo ed in altre parti d’Italia meridionale per fatto de’ napolitani. Il Re di Napoli si obbligherebbe a permettere che tutti quelli de’ suoi sudditi che fossero stati perseguitati, banditi o costretti ad abbandonare volontariamente la patria per fatti relativi al soggiorno de’ francesi nel Regno di Napoli, ritornassero liberamente nel loro paese e fossero reintegrati ne’ loro beni. Prometterebbe similmente che tutt’i detenuti per causa di opinioni politiche sarebbero messi tosto in libertà. Restituirebbe alla Repubblica francese le statue, i quadri e gli altri monumenti di belle artiche erano stati presi in Roma dall’armata napolitana. Il Trattato sarebbe dichiarato comune alle Repubbliche fiatava, Cisalpina e Ligure. Quattro mila francesi avrebbero occupate le coste settentrionali dell’Abruzzo sino al Sangro, ed altri dodici mila avrebbero preso posizione nella terra d’Otranto sino al fiume Brandano e vi si sarebbono trattenuti sino alla pace generale della Francia cori la Gran Brettagna. Il Re avrebbe somministrato il frumento necessario pel mantenimento di queste truppe ed inoltre X79 avrebbe dato ad esse cinquecento mila franchi al mese pel loro soldo.» ()

XXVI. Conchiusa la pace immediatamente serrati furono tutt'i porti del nostro Regno a’ legni da guerra e mercantili inglesi ed ottomani, ed aperti a legni russi e francesi, e delle potenze alla Francia alleate; e nel mese susseguente di Aprile occupate vennero da sedicimila francesi comandati da Soult le settentrionali coste Abruzzesi sino al Sangro, e quelle di Otranto sino al Brandano: tale occupazione, durar doveva un anno. entrò questa gente straniera nel Regno facendo mostra di sforzare il governo a mantenere il trattato, ed i perdoni verso i novatori fare eseguire, in fatti però per minacciare gl’inglesi, per vivere a spese del Regno di Napoli, come ognuno chiaramente vede, per soccorrere l’Egitto, mantenere libera la comunicazione con Corfù, che dai francesi veniva occupata, e procurare alle armate loro buoni porti. Imperciocché pel mantenimento delle stipulate cose d’uopo non v’era di porre il piede nel Regno ed attraversarlo intieramente, tutto al più sufficiente diveniva il restare nelle frontiere e di là spiare le operazioni; per l’amnistia non eravi necessità di pressatezza e stimolo, poiché fa di mestieri ricordarsi, che il Re fin dal mese di Maggio del precedente anno alquanto l'rigore delle prime disposizione aveva contro i rivoltosi temperato, e che sul principio dell'anno corrente avendo da Palermo spedito il Principe Ereditario in Napoli, di tale occasione approfitto per maggiormente la grazia ampliare. la fine pieno perdono fa dato a tutti a tenore di quanto erasi nel trattato di Firenze stabilito assai spontaneamente.

In questo modo da’ francesi travagliavasi il nostro Regno, e sì per certo questo ch'io andero a narrare mancava alla malignità dell’epoca, poiché qui è d’uopo narrare cose, quantunque non direttamente all'istoria nostra appartenenti, pure assai con essa in relazione, le quali non so se sia o maggior barbarie e maggiore ingratitudine, o maggiore insolenza. Comandava Murai stando in Toscana con bando pubblico per volontà del Console, che tutt’i napolitani esuli dalla patria loro per politiche opinioni dalla Toscana dovessero sgombrare e ritornare nei rispettivi paesi, in cui, secondocché affermava il banco, potevano in virtù dei fatti trattati, vivere vita sicura e tranquilla; chi fosse contumace a questo comandamento fosse per forza ai confini del toscano Granducato condotto ed espulso. In tal modo vedevasi che quelli i quali erano per l'istigazione della Francia venuti in odio ai loro antichi signori fossero cacciati, come gente di male affare, inesorabilmente dai loro ricoveri da un Generale francese. Accadde in tale occasione un caso degno di compassione, imperciocché alcuni forusciti napolitani per forza dalla Toscana svelti, quando a Roma furono arrivati non avevano i passaporti che da loro si richiedevano per modo, che non potevano restare in quella terra, né indietro volgersi, né tornare in patria; solo in Piemonte, trovarono essi dopo alquanto tempo ricovero lieto e sicuro. Ho narrato ciò per far conoscere la malvagità dei tempi, per mostrar quanto poco convénga fidarsi dei forestieri e per in fiue insegnare prudenza a coloro, che per avventura non fossero ancor guariti dall’esecrabile frenesia delle rivoluzioni.

XXVII. Era al comando della Piazza di Longone, per il Re di Napoli tenuta, il Colonnello Marcello de Gregari, il quale allorché i francesi nella loro prima discesa in Italia alla trovavansi in guerra con la Corte di Napoli e minacciavano l’isola dell’Elba non era che semplice Capitano accortosi in quell’epoca che il Colonnello Comandante la truppa ed il Forte di Longone manteneva una segreta corrispondenza coi francesi per consegnare loro la Piazza, cedette, nell’interesse del suo Governo essendo egli il capitano più antico della guarnigione, di fare arrestare il predetto Colonnello e spedirlo a Napoli; ed il Re per gratificazione dell’operalo creo il de Gregori Colonnello nella carica del destituito, e da quel tempo fè sempre egli da Capo in quella Piazza. Fu ad esso dato invito dal Signor Carlo de Fìssoli Colonnello Toscano comandante la Piazza di Portoferraio pel Granduca fin dal sedici Ottobre dello scorso anno 1800 a formare secolui una lega offensiva e difensiva, contro il nemico comune. Per garanzia della medesima avevano esd scambiato l’uno con l’altro una compagnia di soldati delle rispettive guarnigioni, passando cioè una compagnia Toscana in Longone ed una Napoletana in Portoferraio. Scarseggiava Portoferraio di artiglieria, munizioni, attrezzi e danari, ma la sorte secondo la fedele devozione di quel popola, e queste mancanze furono rimpiazzate, ed alla poca quantità del pecunio pel mantenimento del presidio avendo generasamente supplito il nostro Re Ferdinando don un mensuale sussidio di Ducati 12mila, crederono gl’isolani dopo tutti questi soccorsi nulla avere più a paventare dai francesi, che di già per le molte volte, ne avevano intimata la resa.

Erano in tal modo le cose, quando il Colonnello de Gregori, in conseguenza dell’armistizio di Foligno, ricevé l’ordine dalla sua Corte di troncare ogni e qualunque comunicazione col presidio e la città di Portofepraio, di tenersi pronto a consegnare la città ed il Porto di Longone ai francesi, e di avvertire il Colonnello de Fisson, che da quel dì cessavagli il mensuale assegno, fin allora dal Re di Napoli pagato al presidio. Invano de Fisson e gli amici più intimi del de Gregori si studiarono d’indurlo a ritardare di qualche tempo l'esecuzione degli accennali ordini. Obbediente esattamente al suo Sovrano, poiché estremamente religioso, onesto ed altrettanto bravo che affezionato al proprio governo era il de Gregori, non volle esso declinare per quanto poco dalle ricevute istruzioni, e la mattina del 4 Marzo avendo rinviata a Portoferraio la compagnia toscana, richiese ed ottenne il ritorno della napolitana in Longone. Poco tempo dopo gli elbani, perché il de Gregori sì atteneva strettamente agli ordini del suo Sovrano, secondati da due fregate inglesi si apparecchiarono segretamente ad impossessarsi di colpo, o per sorpresa della Piazza di Longone. Non dormiva però il Colonnello napolitano, che in tempo avvertilo, si rinchiuse nei Forti, si preparo alle difese, e malgrado le minacce ostili delle due fregate inglesi e del popolo non volle ascoltare proposizione veruna; per questa fermezza l'assunta impresa degli elbani venne abbandonata.

Era la notte del primo Maggio ed il Generale francese Mariotti, nato Corso, a norma degli ordini ricevuti essendo partito da Bastia in Corsica, approfittando di una buona marea si trasferì sotto Longone verso la spiaggia detta Marcianesi; il de Gregori informato dello sbarco, ordinò al comandante della Torre di Marciana di consegnarli al Mariotti, e si accinse a secondarlo nella presa di F«sesso, conseguente volendo essere a quanto nell’articolo IV del trattato di Firenze, a lui di già noto, era stato convenuto. Questo sbarco produsse gravi disordini, e molto rumore in quella parte dell’isola'  fu fatto; una quantità di fucilate furono tirate dagli elbani contro gli avversi francesi. la campana a stormo suonata in Marciana avendo destato l'allarme nella popolazione di quei contorni fece sì che il Mariotti trovò troppo azzardata la suà opera... i A queste mosse ed a tante e sì diverse agitazioni che si accendevano, ecco avanzarsi il de Gregori alla testa dei Capi delle comuni, e con essi gli ecclesiastici ed i benestanti, e fattosi innanzi all’esasperata moltitudine le rammento qual gra ve dispiacere avrebbe risentito il Re di Napoli nel vedere da essa trasgredita i suoi ordini, ed a quali conseguenze esponevasi attaccando le truppe di quella potenza da coi dovevano ornai dipendere, ed alla quale aveva Ferdinando Receduta la Piazza di Longone ed i suoi diritti sul resto dell’Elba. Rappresentale queste cose con tutta quella familiarità e saggezza, che in simili avvenimenti fa d uopo, la rabbia concepita da quegl’isolani venne sufficientemente scemata ed il furore represso; accortosi di ciò il de Gregori avanzòssi per incontrare Mariotti; a tal vista a poco a poco dagli apposti colli dissiparonsi le masse armate, e la fortuna francese pel grido solo delle vittorie del primo Console videsi così trionfare, senza incontrare resistenza.

Con questo mezzo pacifico tutto quel tenimento, che a Longone apparteneva passo senza ostacoli sotto il dominio di Francia; ed il de Gregori con la sua retta maniera e prudenza seppe rendersi benemerito agli elbani, ai francesi ed a Ferdinando IV suo Re. Fu verso il finire di Giugno, che la guarnigione di quella Piazza ritorno nel nostro Regno, ed in Gaeta prese stanze, indi trascorsi pochi mesi venne aggregata negli altri Corpi di fanteria.

XXVIII. Buonaparte dopo quanto aveva nel precedente anno con la Spagna convenuto a. Sant’Idelfonso e poi nel trattato di Luneville con l’Austria, nel ai ventuno Marzo aveva fatto col Re Cattolico un altro trattato in Madrid, nel quale fu stabilito fra le tante cose «che il Duca regnante di Parma con la garentigia della Spagna quel Ducato alla Repubblica francese consegnasse, ed il suo figlio in seguela di questa cessione ed in esecuzione del precedente trattato fra il Monarca Cattolico e la Repubblica francese concluso (con cui la Spagna aveva alla Francia la Luigiana ceduta) in compenso avesse il Gran Ducato di Toscana. Il Principe di Parma nel recarsi a Firenze assumesse il Titolo di Re di Toscana, garantito essendo tale atto dal primo Console. Il nuovo Sovrano rinunziasse in favore della Francia alla parte dell’isola dell’Elba appartenente alla Toscana; ed il primo Console in compenso avrebbegli dato il Principato di Piombino spellante (in quanto alla Supremazia) al Re di Napoli». Queste e varie altre cose a noi non riguardanti si conchiusero con la Spagna, ed allorché Portoferraio venne occupato, l’isola dell'Elba trovossi tutta in potere di Francia, recando alla famiglia Buoncompagni gravissimo, danno, poiché nel trattato di Firenze si era detto, come scrissi «che il Re delle due Sicilie rinunciava primieramente a Portolongone ed a tutto cio, che nell’isola dell’Elba appartener, gli poteva. In secondo luogo poi allo Stato dei Presidi Toscani, li cedeva unitamente al Principato di Piombino alla Repubblica francese, la quale a suo piacimento avrebbe potuto disporre. Buonaparte interpetro questo articolo secondo le idee del Direttorio o quelle sue, e nel presidiare. Portolongone e Piombino oltre i diritti supremi occupo ancora le particolari proprietà dei Signori Buoncompagni. Il Principe di Piombino ricorse al napolitano Governo il quale rispose «essere molto giuste quelle sue lagnanze, avere il Re il suo ceduto, e non le altrui proprietà, che questa occupazione col trattato di Firenze non aveva correlazione. Ricorresse al primo Console intanto, e certamente ottenuto avrebbe la soddisfazione dovuta e voluta. Così fu fatto. Il Principe di Piombino ebbe risposta dal governo di Francia a che un diritto così positivo quale era quello dell’acquisto di Piombino e dell’isola dell’Elba qualunque specie di ricorso contro la Francia escludeva, che per ciò si rivolgesse esso Principe alla Corte di Napoli tanto in qualità di cessionaria, che come Signora diretta Venne anche ciò eseguito dal Signor Buoncompagni Principe di Piombino, ma ognun vede, che la Francia, e non il Re di Napoli, aveva invase le di lui proprietà: laonde non e da maravigliarsi se tutte le rappresentanze fino al i8o5 prolungate furono inutili, ed il detto Principe il suo patrimonio perdette assolutamente. ()

XXIX. la presenza nella capitale dell'erede della corona, che agli affari presedeva, molto a calmare gli agitati spiriti contribuiva ed a riordinare le cose dello Stato, che ancora in qualche sconvolgimento trovavansk; non per tanto lieto ansiccheno volgeva la seconda meta dell'anno 1801. Ma questo avviamento al ben essere e felice vivere, venne turbato per l’afflizione, che il popolo e la reggia, ed il giovane Principe in ispecial modo gravemente provo, perché dopo pochi mesi di residenza in Napoli perdè l'infante Ferdinando suo figlio, e poco appresso, nella notte precedente al quindici Novembre, la sua consorte Maria Clementina d Austria, giovane che di poco Superava i venti anni, anche perdè: avveniva tal mancanza per causa delle sofferte passate amarezze, essendo sempre essa stata compagna fedele del suo sposo in tutti gli infortuni suoi e della Real Famiglia intera; epperò dopo lungo tempo moribonda per malattia lenta e struggitrice, serbando intera i sensi e la ragione fu ad altra vita chiamata: venn’essa pianta sì vero da per ogni dove nel Regno per le rare virtù sue e perla pietà grande verso i poveri in tutt’i tempi dimostrala: e così per le nuove disgrazie la Real Famiglia le precedenti risovveniva.

In questo anno e propriamente nel giorno 20 Marzo morì Emmanuele Campolongo da tutù compianto poiché oltre di essere stato ammesso fra i soci dell’Accademia Ercolanese, come dissi, fu nominato pur anco, per la gran perizia del latino sermone, maestro di latinità sublime e di romana antichità nelle RR. scuole del liceo detto del Salvatore di Napoli, ed in questa carica mostrassi oltremodo indefesso nel ben istruire la gioventù; non fu egli mai, ambizioso né querelo, ma bensì contento della sua parca fortuna, e non invidioso della gloria altrui, né maledico o accattatore di brighe letterarie, Impero fu stimato da dotti, riverito e rispettato da’ suoi discepoli fino alla morte; e nei tempi a ques’a vicini non occupossi di altro, che degli atti di religione, i quali esercitava senza ostentazione o vanagloria.

Altra perdita dolente provo il Regno nostro in questo medesimo anno col morire di Domenico Diodati, poiché uno era egli fra gli uomini rari, che si sono distinti mirabilmente per non simulata virtù e per verace sapere. Creala in Napoli nel 1779 l’Accademia delle Scienze e delle lettere Diodati fu scelto per uno de soci della mezzan’antichità nei quali studi era molto dotto, ed in tale adunanza diede fuori tali e tanti lavori, che si rendé assai benemerito della nostra patria ed oltremodo degli esteri; e ben si può francamente asserire che più lodi ed applausi ricevé dagli stranieri, che dai propri nazionali, avverandosi sempre, che nemo Propheta acceptus in patria. Il Diodati lungi d’invanirsi di tante lodi ed onori, che riceveva spontaneamente da tanti non nazionali e di tante pregevoli amicizie, continuo sempre a menare una vita privata senza fasto ed ambizione; e di se stesso niente estimatore, e di tutti modestamente parlando, fu esatto cultore di quella vera Religione che molti professano sulle labbra e che deprezzano nelle azioni.

Fu al termine di questo anno, che l’astronomo Giuseppe Piazzi dall’osservatorio di Palermo scopri ed aggiunse al sistema solare novella stella, che nomino Cerere Ferdinandea per alludere a|le ricche messi della Sicilia, ed al Re Ferdinando dì quella Signore.


[Illustrazione trat ta da Della scoperta del nuovo pianeta Cerere Ferdinandea, Palermo, 1802 – Inserita dal Redattore, 2019]



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CAPITOLO IV

Stato dell’Europa nel cominciare del 1802: idea di ima pace generale: il Ministero inglese è cambiato; preliminari sottoscritti a Londra per detta pace; altre convenzioni particolari fra le alte potenze — Trattato definitivo di pace sottoscritto in Amiens nel 27 Marzo} le truppe francesi che si trovavano nel Regno di Napoli né Escono: il generale Murat fa ima scorsa in Napoli—Ritorno del Re Ferdinando, nei domini continentali, feste, rallegramenti e premi accordati da esso. Ritorno da Vienna della Regina Maria Carolina: matrimoni con la casa di Spagna. — Affari di Malta, come finiti; le truppe russe sortono anch’esse dal Regno: morte della Resina di Sardegna Maria Clotilde: morte del Marchese Andrea Tunuolo — Napoleone Buonaparte primo Console a vita della Repubblica francese— Il governo di Napoli cerca migliorare lo Stato; il cav. de Medici capo delle Finanze, sue disposizioni e progetti: morte di Antonio Planelli e di Domenico de Gennaro. — Rotture della pacificazione di Armena: l’ordine di Malta si stabilisce in Catania, le genti di Francia rioccupano i lidi del nostro Adriatico: il Re Ferdinando dichiara la sua neutralità in questa nuova guerra — Le bilustre trame di Buonaparte giungono al loro compimento: Condanna del Duca di Enghien. — Buonaparte Imperatore ereditario — Come le varie potenze di Europa sentono questo atto. — Si rimette in Napoli e nel Regno intero la Compagnia di Gesù.

E’ mio debito in tal momento ricordare come al termine dell’anno 1801 e nel cominciamento del 1802 l’Europa si trovava, onde desumere ciò che in seguito saro per dire: di tal cosa sommariamente io ne diro solo per quello che importa al nostro Regno ed alla nostra politica.

Non era guerra in Europa, che per la sola Inghilterra, ma venne a rallegrare le speranze di tutti gli amatori di tranquillità il congresso riunito in Amiens di Ambasciatori francesi ed inglesi per trattare pace difinitiva. Il motivo di questa congregazione era il seguente. Buonaparte preparava una spedizione contro dell’Inghilterra, e gl’inglesi fatto avevano grandi apparecchi per respingerla, ma intanto desideravasi ardentemente pace d’ambedue le contrarie nazioni. La Gran Brettagna, per vero dire, durante la guerra aveva acquistata una decisa preponderanza sul mare. Essa presi o distrutti aveva alla Spagna otto vascelli e quattordici fregate, all'Olanda venticinque vascelli con ventidue fregate ed alla Francia sessanta vascelli e trentasette fregate, con un numero proporzionato di minori legni. Aveva inoltre essa levato alle stesse potenze la maggior parte delle loro colonie, ed all’opposto colla distruzione dell’Impero di Mysorì già governato da Tipoo Saib, aveva grandemente aumentata la sua potenza nelle Indie orientali: per tutte queste cose pervenuto era a dominare fra sudditi e tributari circa quaranta milioni di abitanti. Ma nel tempo stesso aveva accresciuto di duecento cinquantadue milioni di lire sterline il Debito pubblico, e dodici milioni e mezzo che ne aveva somministrate alle potenze del continente, non avevamo potuto impedire che la Francia vi acquistasse una preponderanza decisa. Quindi è che formossi una forte parte, che desiderava la pace; ed i Ministri Pitt, Grenville e Dundas i quali erano di parere «doversi continuare la guerra finché durasse la preponderanza della Francia nel mese di Marzo del 1801 dovettero dimettersi dal ministero, e furono sostituiti da Adington e Hawkesbury. I nuovi Ministri manifestarono subito alla Francia le loro disposizioni a trattare di pace, ed Hawkesbury ne incominciò i negoziali con Ott Commessario francese, che allora era in Londra per affare dei prigionieri di guerra. Molte e lunghe furono le discussioni, il Plenipotenziario inglese disse talvolta «essere necessario che il Governo francese sgombrasse il Piemonte e la Toscana, e tutta l’Italia ricuperosse l’antica sua indipendenza; altrimenti se conservasse una parte dell’influenza, che vi aveva acquistata, l'Inghilterra sarebbe autorizzata a con servare Malta per proteggere il commercio dei suoi sudditi in questa parte di Europa». ()

Finalmente nel giorno 1° di Ottobre del 1801 si sottoscrissero a Londra i preliminari di questa pace, e cambiate di fatti le ratificazioni furono nominati i Plenipotenziari pel congresso di Amiens. Intervennero Giuseppe Buonaparte per la Francia, Comwalìis per l’Inghilterra, Azara per la Spagna e Schimmelpennich per la Repubblica Batava. Le conferenze incominciarono sul principio di Decembre.

In conseguenza di questi preliminari di Londra ebbersi delle altre convenzioni similmente pacifiche cioè tra la Francia e la Porta Ottomana; tra la Russia e la Spagna; e tra la Russia e la Francia; anzi trascorri appena pochi giorni dei convenuti articoli le ultime due potenze sottoscrissero una convenzione secondaria segreta, nella quale fra le altre cose fa stabilito «che esse avrebbero accomodato con intimo concerto gli affari di Germania e d’Italia. La Francia obbligarsi di ritirare le sue truppe dal Regno di Napoli, e ad indennizzare il Redi Sardegna delle perdite che aveva sofferto. Le parti contraenti guarentivano l'indipendenza e la costituzione delle sette isole, nelle quali non vi sarebbero rimaste truppe straniere, Promettevano finalmente di unirsi per consolidare la pace n generale, stabilire un giusto equilibrio nellequatiro parti del mondo ed assicurare la libertà dei mari»().

I preliminari di Londra, allorché saputi, non erano punto piaciuti a molt’inglesi, sembrando ad essi di non riportare nella pace premi proporzionali ai vantaggi ottenuti nella guerra. Quindi nelle conferenze di Amiens molta lentezza si mise per parte del Plenipotenziario brittannico per come essere doveva essendo persuaso questo di negoziare piuttosto una tregua, che una stabile pacificazione. Molto si discusse su Malta, ma in fine si convenne, non però così di varie regioni d’Italia. La Francia avrebbe desiderato che «la Gran Brettagna riconoscesse il Re di Etruria e le nuove Repubbliche, ed il plenipotenziario brittannico rispondeva. Il suo Sovrano non essere per riconoscere il nuovo Monarca di Toscana, se il distretto di Olivenza non fosse reso dalla Spagna al Portogallo, o lo Stato dei Presidi non fosse restituito al Re di Napoli, e finalmente il Re di Sardegna non fosse ristabilito in Piemonte ()»

Il risultamento fu che il plenipotenziaria francese replico, che «non essendo il vantaggio per la sua Repubblica la ricognizione di quelle potenze, non avrebbe più insistila su di essa ()».

XXXI. Omessa dunque in quei negoziati l’istrutta e l’alta Italia, finalmente nel di 27 di Marzo fu sottoscritto il trattato definitivo di pace, nel quale in sostanza si convenne «L’Inghilterra restituisse alla Francia, alla Spagna ed all’Olanda tutte le colonie che ad essa appartenevano eccettuate le isole della Trinità e di Ceylan, le quali avrebbe ritenuto in sua proprietà. Il Capo di buona Speranza restasse alla repubblica Batava, ma fosse aperto ala navigazione dei bastimenti delle potenze contraenti. I territori del Re di Portogallo fossero mantenuti sullo stato in cui erano prima della guerra eseguendosi però quanto si era convenuto nel trattato di Badajoz. Rimanessero similmente nella loro integrità i territori ed i diritti della sublime Porta, alla quale intanto come alleata dell’Inghilterra si dichiarava comune il trattato. Riconoscersi la repubblica delle sette isole. Malta, Cozo e Comino fossero restituite all’Ordine Gerosolimitano per essere da lui possedute con le stesse condizioni che avanti la guerra, salvo alcuni articoli che si anderebbero a stipulare: si invitassero i cavalieri ad eleggere un nuovo Gran Maestro, ma non vi fossero più lingue francesi ed inglesi, e nessun individuo delle due nazioni potesse essere ammesso nell’ordine. Si stabilisse una lingua maltese per la quale non fossero necessarie pruove di nobiltà. Gl’impiegati del governo fossero almeno per metà abitanti dell’isola. Gl’inglesi la sgombrassero fra tre mesi, e la indipendenza ne fosse guarentita dalle potenze contraenti, non che dall’Austria, dalla Prussia e dalla Russia. Fosse poi costantemente neutrale. S’invitasse il Re delle due Sicilie a somministrare 2000 uomini nativi dei suoi Stati per servire di guarnigione nelle diverse Fortezze dell’isola. Una tal forza vi resterebbe un anno a datare dalla loro restituzione ai Cavalieri; e se allo spirare di questo tempo l’ordine, al giudizio delle potenze garanti, non avesse ancora fatta la forza necessaria per guernire l’isola e le sue dipendenze le truppe napolitane visi rimarrebbero finché non fossero esse rimpiazzate da una forza giudicata sufficiente dalle dette potenze. I francesi sgombrassero il Regno di Napoli e lo Stato romano, e gl’inglesi Portoferraio con gli altri posti che occupavano nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Gli stabiliti sgombri si eseguissero nello spazio di un mese in Europa, in tre mesi in Affrica ed in America, ed in sei nell’Asia. Il ramo della casa di Nassau già stabilita in Olanda avesse un compenso equivalente alle perdite fatte. S’invitasse la Porta Ottomana ad accedere al trattato». () Napoleone in conseguenza di quanto si trovava convenuto dono a quello che si era prescritto esecuzione, ritirando di fatti dal Regno di Napoli le sue truppe, che nel precedente anno lungo l’Adriatico eransi stabilite; e quindi ne’ primi di Luglio il Regno intero fu sgombro da questa straniera gente, sollevandosi così le popolazioni, che sotto il peso di quegli apparenti amici, ma in sostanza dominatori giaceva.

In tal rincontro il Generale Murat ad istigazione del Primo Console si porto in Roma per visitare rispettosamente il sommo Pontefice, indi trascorsi pochi giorni venne in Napoli per cogliere il merito dell’opera gradita della pacificazione, ed ebbe accoglienza e feste maggiori che in Roma, perché più splendida la Corte e più vasto il regno: lo ammirava il popolo per il bello aspetto, per la foggia de’ suoi abili stranieri e vaghi e per la gran fama di guerriero, l’onorava il Principe Francesco, la Corte ed i ministri per allegrezza della pace stabilita; ed al suo partire, che fu otto giorni dopo dell’arrivo, il Reggente Francesco a nome del Re gli fece presente di ricchissimo brando.

XXXII. Le genti del Regno di Napoli lieto vedevano lo scorrere di questo anno, ed altro non restava per essi a compiersi, onde ricordare l'antico Stato rimesso, che la presenza del Re, ponendo così un totale termine alle passate vicissitudini. Il volo dei napolitani venne compiuto; avvegnacché le correnti circostanze dei tempi tranquillizzali diedero aggio al Sovrano di potere prestamente in Napoli far ritorno in unione della Real Famiglia. Nel giorno diecinnove Giugno soppesi nei domini napolitani dal ministro della Segreteria di Stato ed Azienta, la risoluzione presa dal Sovrano di restituirsi in questa Capitale. In fatti nel 26 dello stesso mese alla vista di Napoli comparve il Vascello napolitano il SannitaVilla della Favorita

apportatore del Monarca, unitamente a dei legni inglesi ed altri minori nostri bastimenti. Ferdinando nel dì seguente alla fece sbarco. Fu in quel luogo dal Principe Ereditario, dai Capi di Corte e dello Stato, dai Generali dell’armala ricevuto, i quali tutti precedentemente erano andati a presentare i loro omaggi a bordo della nave Reale; il Tribunale conservatore della Nobiltà del Regno di Napoli del pari lo stesso opro, ed il Sovrano in gioia indicibile si tenne nel rivedere tanti amati sudditi, che pel corso di lungo tempo veduti non aveva. Nello stesso giorno dell’arrivo del Re correvano le popolazioni in gran quantità con ardore ed affetto estremo e dai circonvicini paesi e terre venivano, poiché di già erasene sparso il grido, per rivedere il Signore loro, e verso di quella Villa tutte si riunivano; ed il Re ad esse si lasciava vedere e quelle con contento ringraziava; e giubilante ed ilare la moltitudine a tal vista si mostrava, grande ovunque apparendo l’allegrezza e la soddisfazione; e e Ferdinando in letizia, per tanta verace esultanza, dimenticava così i tristi passati casi.

Fin dal mattino dello sbarco le truppe d’infanteria eransi nella strada recale, che dalla Real Villa della Favorita mena alla Regia nella Capitale, per fare ala al passaggio del Re. Verso le tre pomeridiane Sua Maestà postasi a cavallo seguito dal suo figlio erede Francesco, ed accompagnato dai dignitari di sua Corte, dai Capi dell'armata, dal Generale russo Borosdyn e da tutta la cavalleria esistente in Napoli, intraprese il camino per recarsi al Real Palazzo. Questo nobile corteggio veniva preceduto, circondalo e seguito da una moltitudine sì numerosa che a quarantamila sudditi ad un bel circa ascendere poteva e quindi il procedere fu sì lento, che alle nove il Re giunse al prefisso luogo. Al Ponte della Maddalena vi era un gran padiglione eretto ove il Corpo di Città si piazzo, ed al passarvi del Sovrano, dal Presidente di esso, vennero presentale alla M. S. le chiavi della città. Sontuoso e magnifico spettacolo era quella marcia, poiché riunite quasi tutte le popolazioni delle provincie intorno a Napoli; si vedeva per le strade il popolo in ogni classe, che a stormo s incontrava e si rallegrava caldamente; forti ed innumerevoli voci uscite da lealtà di animo gridavano a gara viva il Re, viva Ferdinando, viva il nostro Padre. Tali gridi ed esultanti giubili rimbombar si udivano nelle strade tutte, che frammiste allo scroscio dei militari bronzi delle castella, ed al suono delle campane di ogni chiesa della Capitale abbellivano e rallegravano vieppiù le vie a festa parate. Arrivato il Monarca al Real Palazzo recossi alla Real Cappella per fare ringraziamento all’Altissimo del piacevole corrente avvenimento, ed indi nell’appartamento ove ritrovo, per complimentarlo, la Corte intera, il corpo Diplomatico, ed il Re di Sardegna Carlo Emmanuele e sua consorte Maria Clotilde di Francia che tuttavia in Napoli facevano dimora. La sera ogni recondito angolo della città splendidamente venne illuminato, con egual periodo di tempo, che al ritorno del Principe Francesco e con le istesse descritte macchine, molte altre ancora aggiunte in variali luoghi.

Diede il sovrano grazie in gran quantità, e la libertà fece riacquistare con un generale indulto a tutti coloro, che detenuti trovavansi per qualunque si fosse delitto. Decoro parimenti con l’ordine cavalleresco di S. Ferdinando e del merito molti cospicui personaggi che alti servizi allo Stato ed alla corona prestali avevano; e così la gioia del popolo ad alto grado si porto, perché mista alla tranquillità dello Stato, le qualità virtuose del Sovrano di bel nuovo ritrovava.

Altra lieta ventura negli stessi domini napolitani circa questi tempi provossi, pel fausto ritorno da Vienna di S. M. la Regina Maria Carolina, che come dicemmo, erasi colà recata per oprare apro della salute del Regno, e così tutta intera e gaudente la Real Famiglia presso di noi fu di bel nuovo di ritorno. Riunita essa e felice, strinse doppie nozze con la Casa spagnuola, maritandosi al Principe Francesco di Napoli, rimasto vedovo, la Infante di Spagna Isabella (ora Regina madre) ed a Ferdinando principe di Asturie Maria Antonietta principessa di Napoli. Un naviglio spagnuolo venne al servizio di questa Principessa, e quindi unito a naviglio napolitano, che andava col principe Francesco a Barcellona per accogliere la Principessa Isabella, navigarono insieme, e quello di Napoli torno con gli sposi il 19 Ottobre 1802. Per la gioia della pace, del ritorno dei Principi, e delle nozze, furono continue le feste nella Regia e nella Città. XXIII. Il Re di Napoli rendere volendo lealtà per. lealtà, tosto che vide le genti di Francia dai suoi domini allontanate, mise pensiero a ciò che stabilito si era nel nominato trattato di Amiens per gli affari dell’isola di Malia. Immantinenti diede ordine, e partir fece ai primi di Settembre i due mila uomini di sua truppa, che a presidio di quella Piazza doveva tenersi. Gl’inglesi le ricevettero e le lasciarono sbarcare mollo amichevolmente, e le alloggiarono nei forti Manuel e Ricasoli, ma non diedero punto a quelle il comando della Piazza, quantunque ebbero occasione di ricordare, essere esse le istesse, che nel 1800 avevano contribuite alla resa dell’Isola fatta da Vaubois. Imperciocché suscitarono subito difficoltà intorno alla consegna formale da farsi di quell’isola. Primieramente opposero la mancanza del Gran Maestro il quale ne ricevesse la consegna; ed in vero attesa la confusione dell’ordine e la dispersione dei dignitari era difficilissimo di farne l’elezione nel modo stabilito nel trattato; e tante altre cose dissero e fecero valere, che in fine risposero a Buonaparte dopo alcun tempo, e propriamente nel seguente 1805, il quale protestavasi «amar meglio vedere gl’inglesi padroni del sobborgo Sant’Antonio (a Parigi) che dell’isola di Malta; che l’unica base su di cui si potessero le pendenti questioni accomodare essere, che la Francia non si opponesse alla cessione dell’isola di Lampedusa, che il Re delle due Sicilie avrebbe fatto alla Gran Brettagna. Stante poi lo stato in cui allora quell’isola si trovava gl’inglesi ritenessero Malta fintantoché potessero occupare Lampedusa ridotta a navale stazione: allora Malta agli abitanti rimessa sarebbe e riconosciuta stato indipendente. Non si potesse però chiedere lo sgombro della medesima che dopo dieci anni ()».

Attese queste cose le truppe di Napoli in quella isola per più. mesi fecero dimora senza mai potere nulla del predominio ottenere; e nel susseguente anno 1803 nel Regno ritornarono; tal cosa spiacque tanto alla Corte, che alle popolazioni; e sufficiente e non ingiusta rabbia contro dell’Inghilterra desto.

Uscirono anche dal Regno verso quel Settembre le milizie russe, che venute in poco numero nemiche della Repubblica Partenopea nel 1799 accresciute si videro in seguito per i casi di guerra nell’isole Ionie per pigliar consiglio e destro degli avvenimenti, ed ora per la pace conchiusa in Amiens tornavano richiamate in Russia, ore Vennero spedite perché reduce da’ paesi meridionali e piacevoli, ai presidi della Siberia. Cosicché pacificando il mondo, libero il Regno di gente straniera di ogni fatta ne fu.

In questo anno termino i suoi giorni in Napoli assalita da tifo la Regina di Sardegna Maria Clotilde dinnanzi nominata, e fu sepolta nella Chiesa di santa Caterina a Chiaja. Essa era nata in Versailles al ventitré di Settembre del 1769 da Luigi di Francia allora Delfino di Luigi XV e da Maria Giuseppa di Sassonia. Passo la vita in continui esercizi di tanta pietà Cristiana, che sei anni dopo la sua morte il Sommo Pontefice la dichiarò venerabile, essendo sottoscritta la commessione per introdurne la causa di beatificazione.

In questo anno medesimo diede l’anima a Dio nell’88° di sua vita il Marchese Andrea T0ndolo il quale mercé la fertilità della sua mente e la faciltà ed eleganza con cui esponeva le altrui ragioni, ebbe nome di valente e molto istruito avvocato; esso fu presso di noi il precursore del Purismo, che ora ha preso tanto vigore, essendo tutte le sue allegazioni scritte col più terso italiano linguaggio.

XXXIV. Erasi nell’Europa intera a quest‘epoca concepita la speranza, che il trattato di pace di Amiens chiuso avesse per sempre il tempio di Giano, e dato fine ad una tanto devastatrice e crudele guerra. Le nazioni tutte rallegravansene, e la francese in principal modo, stanca di tanto cittadino sangue, nei trasporti della gioia lanciandosi celebrava a Parigi la festa della paci azione con dei sorprendenti ed analoghi spettacoli, una sta tua innalzando alla pace avente in una mano l’alloro della vittoria, e nell’altra un avvolto dirlo tante il decreto del Senato.

Buonaparte in questa corrente quiete per come destro egli era, profittando del fanatismo delle genti; di Francia, che al suo valore, ed alla sua militare perizia tutto l'ingrandimento della nazione attribuivano, cerco come vantaggio, assicurando il suo potere, con la durata di esso, creando dei privilegi, ed assodando questi. Per tanto mandare ad effetto di soppiatto, per mezzo di seguaci suoi; opro sì, che comprati e pervertiti i membri del Senato, ottenuto avesse il seguente decreto col consenso del popolo. «Il popolo francese nomina, ed il senato proclama Napoleone Buonaparte primo Console a Vita. Il Senato essere l'organo presso il primo Console della confidenza dell’amore e dell’ammirazione del popolo francese. ()»

Più che mai contento Buonaparte del tant’ottenuto, da lui con ardore desiderato, fece mostra di aver ricevuto dalla nazionale riconoscenza un pegno di gratitudine al benemerito suo operare e senti dare corpo ad ombra, la intrapresa carriera controrivoluzionaria in suo vantaggio continuo. Un tale atto pose fine alla rivoluzione di Francia, che tante sciagure aveva quella nazione costata, non che al resto dell‘Europa intera; poiché tutto il potere nelle mani del Consolo a vita riunito trovavasi, tenendo esso una ossequiosa classe nel clero, per mezzo del concordato fatto col Papa; un ordine militate è possente nella Legione d’onore, da lui istituita, soggetto, un corpo di amministrazione nel Consiglio di stato a sua volontà obbediente, una macchina per far decreti nell'Assemblea legislativa ed un altra macchina infine, per far Costituzioni nel 'Senato. Non osando ancora distruggere il Tribunato d’onde di quando in quando parole di opposizioni uscivano, privollo dei suoi più coraggiosi e più eloquenti membri a fine di ridurlo ad intendere docilmente la volontà sua ripetuta da tutt'i corpi della nazione. Questa politica fu in tal modo estesa, che la Francia dopo tredici anni di dissensioni e di guerre, nuovamente quasi l’assoluto potere nelle mani di uno solo si vide. Per tal cosa gli Stati tutti di Europa attoniti rimasero nel rimirare il precedere di quella nazione; ed il più delle genti nelle popolazioni ebbero occasione dii riflettere, in quei fatti essere provato che il reggimento di un solo fosse necessaria condizione dell’umanità..

XXV Incominciava questo anno nella più tranquilla pace pel nostro Regno, non venendo esso turbata da niuno sconvolgimento, e ricordar faceva così le belle epoche pella quiete sua. Il Governo prendendo di ciò conforto ali buono avviamento dei pubblici affari poneva somma cura, epperò all’erario diligentemente metteva pensiero, ed era necessaria cosa, avvegnacchè per i guasti dell’anno 1799, per i bisogni di sostenere poscia, in Roma un esercito, per provvedere alla spedizione di Toscana, per l'assedio, di Malta, pel pagamento dei patti della pace di Firenze, per alimentare il costoso presidio francese nelle Puglie, e satollare la grassa avarizia dea diplomatici negoziatori stranieri e tante altre variate cause, erasi renduto esso erario vuoto di danaro a questi giorni, pure per i sotterfugi ed espedienti usati dal Ministro D Giuseppe Zurlo la finanza buona pezza resistette, e ciò per prestiti fatti; ma ora trovandosi vacillante oltremodo perché indebitato coi negoziatori della città, con gli esattori delle taglie, con le casse di deposito, con l’esercito e con la stessa borsa del Re, s'incominciarono a levare lamentanze e rumori? tanto era il discapito, che ventotto milioni all’incirca avevano di vuoto i banchi, e le polizze soggette ad ingente perdita. Per tanto rimediate fu commessa esame dell’amministrazione del danaro, e vedendo che il Ministro aveva tenuto uffizio dov’era impossibile di buon successo fu esso dimesso.

Nel cominciare dell'anno 1804 il Re abolì il Ministero e ricompose il Consigli di finanze come d’innanti era: venne nominato Vice presidente dì questo il Cavaliere de Medici; tale provvedimento salvo l’erario del presto fallire, e mostrò quale fosse l'ingegno del Medici nell’azienda pubblica: fec’egli risorgere dalle sue ceneri la fiducia comune, ed in pochi giorni le polizze ebbero il valore stesso della moneta; con nuovi mezzi ed altre estraordinari mess’in pratica il credito fu ristorato del tutto. Liquidato il debito dei banchi si addissero al pagamento di esso non solo i beni dei banchi ascendenti al valore di tredici milioni di ducati, ma altresì altri beni ancora sino alla somma sufficiente il vuoto sparì. Nel prosieguo propose egli al Re un nuovo ordinamento dei Banchi per rendere fermo il loro credito. Concepì allora per la prima volta il pensiero di una Cassa di sconto che voleva unire ai Banchi, divisando, che separandola, i biglietti da quella emessi avrebbero potuto dar libero adito alla carta monetata: invenzione contrastata da molti moderni finanzieri. Nell'anno, medesimo sottopose alla sanzione Sovrana una legge, che considerando la moneta come pura e semplice merce, ne permise per la prima volta fra noi la libera estrazione. Quella legge distrusse l’errore, fino a pochi anni sono comune a tutta l’Europa, che nella moneta solo stesse la pubblica ricchezza. Un minuto esame delle operazioni del Medici basterebbero a fare intendere quanto conoscesse egli le vere dottrine di economia politica, e come nell'applicazione alla pratica, sapesse spogliarle di quelle vane illusioni, che spesso rendono le più belle teoriche sorgente di calamità.

Ricade ora il ricordare, essendone di già trascorsa l’epoca, la morte di due distinti nostri patrizî i quali gloria e vantaggi hanno recato al paese che gli fu patria; il Cavaliere Antonio Planelli è l’uno, e Domenico de Gennaro dei Duchi di Belforte e cantatupo è l’altro. Antonio Planelli amante delle greche e latine lettere, delle scienze gravi e delle fisiche e dell’arte armonica, rimise a coltivare grandemente tutti questi variati studi, e meritamente se ricevé plauso sommo. Fu esso l’autore di un opera molto giudiziosa intitolata Sull’Educazione dei Principi, nella quale dopo avete esposto alla sfuggita le grandi difficoltà per ottenere tal fitte, viene a proporre il suo sistema di educazione, distinguendo in esso tre specie di educazione fa naturale cioè, fa civile e la politica, l’ultima delle quali dimostra appartenere propriamente al Principe: l‘opera è scritta con somma chiarezza, con molta erudizione, e con lingua facile, e niente intralciata. M Re Ferdinando volendo rimunerare i' meriti dei Flagelli, e specialmente fa perizia di cui aveva dato, saggio nelle arti metallurgiche lo dichiarò Maestro, come altura dicevasi, della Reggia Zecca molti incarichi, che gli vennero affidati dalla Corte, ebbe anche quello di mettere in ordine il Museo Mineralogico, che eseguì con la massima esattezza. Dopo tante variate incompense e travagli fatti a pro dello Stato nel Marzo del 1805 termino i suoi giorni da tutti ammirato e lodato. Domenico De Gennaro quantunque di giovanile età, essendosi acquistato fama di cavaliere probo ed istruito, venne deputato ad essere uno dei reggitori del grande Ospedale degl’Incurabili, ed in tale uffizio mostrò pienamente di quale spirito di cristiana pietà era fornito, nulla trascurando, onde quei miseri languenti fossero ben curati ed assistiti.

Fu esso autore di un opera molto utile ed elaborata intitolata Annona, o sia piano economico di pubblica sussistenza, opera di cui in un baleno se ne eseguirono quattro edizioni, con quattro date di diversi paesi. La fama, che prestamente si aveva meritato, lo fece nominare per uno della commissione per dare qualche ritrovo alle desolate Calabrie dopo l’orrendo tremuoto del 1785. Venne pure in prosieguo con onorevolissimo diploma prescelto per amministratore generale dei R. R. beni detti Allodiali ed in questa intralciatissima amministrazione ottime disposizioni diede, talché riscosse il compiacimento del Sovrano e le lodi del pubblico. Visse fino alla estrema ora con vera filosofica tranquillità e con intimi sentimenti religiosi; fini placidamente i suoi giorni nell’anno 85. di sua vita in questo 1805.

XXXVI. Non appena risorta per a pace e per gli interni provvedimenti le speranze di migliore vita civile, si udì che l’Inghilterra, prima ritrosa e poi manchevole ai patti di Amiens, ritenendo del tutto l’Isola di Malta in suo assoluto possesso denunziava nuova guerra alla Francia. Il Primo Consolo accetto la sfida e per tal causa d’ambo le parti si apprestarono eserciti e si concepirono vasti piani di guerra; e dal canto di Francia grosse schiere si posero in campo sopra le coste di Boulogne onde minacciare l’Inghilterra.

L’Ordine di Malta compagno agl’inglesi nei travagli dell’assedio contro di Vaubois, salito a sperame di Signoria per il trattato di Amiens, ed oggi deluso rimasto per il positivo dominio preso da gl’inglesi dell’Isola che aver dovevano restituita, cerco altro asilo onde riunirsi, ed al Re di Napoli si rivolse, dal quale ottenne la città di Catania nella Sicilia. Per ciò in Messina il Gran maestro Tommasi fu eletto dal Pontefice, in surroga di Ruspoli non accettarne la dignità primaria conferitagli e buon numero di Bali e Cavalieri celebrarono le solennità di ristabilita Signoria e nella metà di questo anno nominati gli uffizi ricomposero il governo qual era precedentemente, quindi splendido navilio e lussoso convoglio per terra condussero l’Ordine intero nelle nuove stanze di Catania ove per allora si fermo.

Per primo risultato della nuova bandita guerra si vide in Italia, che le genti della Repubblica di Francia riprendevano a loro possesso le fortezze di Genova, e di nuovo, come precedentemente avevano operato, occupavano il Regno nostro; avvegnacchè pretendeva Buonaparte, che in forza dello stipulato di Firenze egli avesse diritto di spedire soldati sui lidi napolitani dell’Adriatico ogni qualvolta in guerra con la Gran Brettagna, o con la Porta Ottomana fosse. Le circostanze nelle quali la Corte di Napoli in quel tempo si trovava non permettevano di opporsi a simile falsa e prepotente interpetrazione, e perciò ostacolo alcuno essa non oppose all’entrata nel Regno di due Divisioni di truppe della Repubblica, una francese sotto l’ordine del Generale Verdier, ed un’altra italiana di circa cinquemila individui comandata dal Generale Lecchi, tutte due sommanti quasi dieciotto mila uomini, le quali, in vero, con tranquillità somma occuparono le coste dell’Adriatico dal Tronto sino al Bradano presso Taranto; erano esse a dipendenza del Generale Gouvion Saint Cyr. Questo supremo Duce condottosi testo in Napoli sottoscrisse una particolare convenzione in data del 25 Giugno, la quale riguardava il mantenimento delle sue schiere a spese del governo di Napoli; cosa che il Generale di Francia credè scorgere anche di diritto nell’esecuzione del trattato di Firenze, e che il suo governo suggerito gli aveva per fare buono affare. Non ostante questa militare occupazione di una porzione del Regno, Ferdinando pubblicar fece «essere sua assoluta volontà l’osservare una perfetta neutralità con la Francia e con le altre potenze le quali in disgusto tra loro si trovavano»() la quale saggia condotta perfetta esecuzione ebbe, rispettata venendo da tutt’i Gabinetti la napolitana neutralità; cosicché non immischiandosi negli altrui affari il governo di Napoli ai suoi propri poté proseguire di badare, prendendo con accuratezza molti salutari provvedimenti atti tutti a porre rimedio ai passati sconcerti.

XXXVII. Corre in questo tempo epoca di grande avvenimento il quale ancorché inaspettato non fosse, pure empiè di meraviglie l’Europa intera ed il mondo; avvenimento che creare nuovi reami fece e nuovi Principi, e tutto distrusse ciò che la Francia in piedi aveva messo. Le bilustri trame di Buonaparte arrivate erano al loro compimento: la Francia tutta parlando a suo vantaggio, ed in ogni modo, esaltandolo fece sì, che l’ambizione di lui venne spinta ad appropriarsi la parola di quella di cui già aveva la sostanza, accoppiando in tal modo il supremo nome alla suprema potenza. Il partito degli Sciovani emigrati, che non aveva intrapreso più cosa alcuna dopo la Macchina infernale, e la pace del continente, sembrandogli propizia occasione le nuove ostili operazioni della Francia con la Gran Brettagna, mise in piedi una congiura contro di Buonaparte, che per capi delle varie operazioni ebbe Pichegru, e Georges Cadoudal, i quali si misero di accordo col Generale Moreau passato nel partito realista. Ma nel momento in cui questo progetto era per avere esecuzione fu scoverto ed il colpe resto fallito; e spiati i passi di tutt’i congiurali furono i più arrestali dalla Polizia: Cadoudal venne punito di morte, Pichegrù fu trovato strangolato nella sua prigione e Moreau condannato a due anni di detenzione, che si cangiarono in esilio. Questa cospirazione alla metà di Febbraio conosciuta, rese alla massa del popolo più cara la minacciata persona del primo Consolo, epperò indirizzi di divozione da tutt’i corpi dello Stato e da tutt’i Dipartimenti della Francia per, siffatta causa esso ricevé. Non restava per Buonaparte a conseguimento delle idee sue, se non che i repubblicani assicurasse: esso il fece con l’uccisione del Duca di Enghien Luigi Antonio Errico di.. Borbone, figlio di Errico Luigi Giuseppe Duca di Borbone e di Luisa Teresa Matilde di Orleans. Nella notte del 17 al 18 Marzo questo Principe fu portato via dal Castello di Etteinheim nel Gran Ducato di Baden ove stava, perché terra appartenente alla famiglia di sua moglie Carlotta dì Rohan Rochefort e condotto a Parigi. Ecco come la cosa avvenne. La sua casa fu circondata all'improvviso da tre in quattrocento uomini partiti da Strasburgo, ai quali si era riunii un gran numero di gendarmi: ai gridi che si fecero sentire nel giungere di queste genti, il Principe salto dal letto ove giaceva, ed in camicia prese un fucile per opporre resistenza, credendo essere quelli masnadieri; ma dalle sue persone di corte feces’egli comprendere l’inutilità della difesa e del consueto suo coraggio: rimosso allora esso desisté dal primitivo pensiero e misesi ad abbigliare: allorché i gendarmi penetrarono nella sua stanza con le pistole alla marno, non aveva avuto: egli altro tempo, che quello di mettersi un calzone ed un abito di caccia. Il Barone di Grunstein ed il Cavaliere Jacques segretario di lui cercarono con astuzia salvare il loro Signore, il primo cioè presentando il secondo per l'individuo che si richiedeva, ma i gendarmi, non persuasi della fìsonomia, tolsero ogni difficoltà con arrestare il Principe, che si teneva in altra stanza; ed i due predetti, personaggi. La truppa si diresse su Keppel ove passo il Rnin; un cattivo carro, eventualmente trovato, trasporto i prigionieri in quella notte a Strasburgo ove furono ritenuti nella cittadella della Piazza. Nel 18 istesso fu dato l'ordine di condurre il Duca di Enghien a Parigi, ove vi giunse a quattro ore dopo il tramonto: avendo preso il convoglio la strada, che mena alla barriera di Pantin: camin facendo un corriere recò al capo della. scorta l’ordine di portarsi a Vincennes seguendo il sentiero delle mura di Parigi, ond’evitare rumori in quelli Capitale. Erano le cinque ore Sella seta allorché il Duca entrò nel Castello; di poco procedente alla mezza notte fu dondolio esso al cospetto di una commissione: militare appositamente nominata per giudicarlo, Invano, esso allego la violazione del dritto delle genti nella sua persona, perché dimorante in terra neutrale; invano si difese di altre colpe addossategli, fu esso condannano alle quattro della notte v per iniquo giudizio, a morte, come emigrata, e mezz’ora dopo l'emanazione della sentenza, nelle fossato del castello venne fucilato. In notte essendo molto buia se gli attacco una lanterna sul cuore onde servire di punto di mira con Certezza ai soldati; il suo corpo ancor caldo fu gittato tulio vestito in un fosso cavato quasi, alla sua presenza, allorché si recava al luogo nel supplizio. Ricevé esso la morte con coraggio estrema, rivendo trentadue anni di vita: così perì pel più bel fiore degli anni l’ultimo rampollo dell'illustre ramo dei Condè.

Questo atto orribile commesso non basto né il proprio né l’altrui ingegno ad onestarlo; esso non fu dettato dalla politica, come si disse in seguirlo ma bensì dalia violenza, e dalla infamia: per niuna causa quell’atrocità doveva o poteva avvenire. I realisti avevano potuto credere il 18 Brumale che Bonaparte avesse voluto imitare Monk ma dopo quattro anni gli aveva guariti da questa speranza: il primo Consolo non aveva quindi più bisogno di romperla; con loro in un modo così sanguinoso, né di rassicurare i Giacobini, come si volle dare ad intendere, perché questi non più esistevano: gli uomini, che restavano attaccati alla repubblica temevano più il dispotismo rivoluzionario dei giacobini, che la controrivoluzione. Tutto porta a far credere che Bonaparte il quale contava poco la vita degli uomini, nulla il dritto delle genti, e che aveva già preso l'abitudine di una violenta e sbrigativa politica, credesse, o volesse far credere l’infelice Duca uno dei componenti la congiura precedentemente narrata; e volle finirla con le cospirazioni mediante un esempio terribile e di grido, ancorché ingiusto fosse; poiché a quell’epoca le cospirazioni erano il solo pericolo per la sua potenza. In questo perfido assassinio si udì avvolto, della stessa infamia del dispositore, il nome del Generale Gioacchino Murat governatore di Parigi, di già apparentato col Primo Consolo.

XXXVIII. La guerra con la Gran Brettagna e la macchinata cospirazione di Georgesi e di Pichegru servirono di gradino a Bonaparte onde ascendere con sollecitudine dal Consolato all’Impero. Il 6 Germile, anno XII della Repubblica (27 marzo 1804) il Senato ricevendo comunicazione formale del complotto, mandò una deputazione al primo Consolo. Il presidente Francesco di Neuchateau queste cose gli disse. «Cittadino primo Consolo, voi fondate un era nuova, ma voi dovete eternarla; lo splendore non è niente senza la durata. Noi non sapremmo dubitare che questa grande idea non vi abbia occupato, perché il vostro genio creature abbraccia tutto e non obblia cosa alcuna, ma non dilazionate: voi siete stretto dal tempo, dagli avvenimenti, dai cospiratori, dagli ambiziosi: voi lo siete in un altro senso da una inquietudine che agita i francesi. Voi potete incatenare il tempo, signoreggiare gli avvenimenti, disarmare gli ambizioni e tranquillizzare la Francia tutta, dandole istituzioni che associano il vostro edifizio e che prolunghino poi figli ciò che voi feste poi padri. Cittadino primo Console siate certo che il Senato vi parla in nome de’ cittadini.» () Bonaparte rispose da Saint Cloud il 5 fiorile istesso anno (25 aprile 1804) al Senato. Il vostro indirizzo non ha cessato di essere presente al mio pensiero, ed è stato l’oggetto di tutte le mie più costanti meditazioni. Voi avete creduto l’eredità della suprema Magistratura necessaria permettere il popolo al coperto dei complotti dei nostri nemici, e dalle agitazioni che nascerebbero da ambizioni rivali. Molte delle nostre istituzioni vi sono sembrate il trionfo dell’uguaglianza e della libertà pubblica, e per offrire alla nazione ed al governo la doppia garantia di cui hanno bisogno. A misura e le ho fissata la mia attenzione su questi oggetti, ho sentito sempre più che in una circostanza cosi nuova ed importante, i consigli della vostra esperienza mi erano necessari per fissare tutte le mie idee. Io dunque v’invito a farmi conoscere intieramente il vostro pensiero.» () Il Senato replico nel 14 fiorile (5 maggio) «Il Senato pensa che è del più grande interesse del popolo francese di confidare il governo della Repubblica a Napoleone Buonaparte Imperatore ereditario ()»

Con questa scena da teatro preparata si aprì la strada all’elezione dell'Impero. Il Tribuno Curèe impegno la discussione nel Tribunato con una mozione di ordine, e mise in campo gli stessi motivi dei Senatori: il suo discorso fu accolto con piacere. Carnot solo ebbe il coraggio di combattere questo atto, ma fu il solo a pensare così; i suoi colleghi si scagliarono a gara e con sorpresa contro l’opinione di esso.

I francesi dopo aver provato cosa fosse la democrazia si gittarono nell’impero, come gittati si erano nella rivoluzione: essi non parlarono di altro che della grandezza di un uomo e del secolo di quello; e combatterono ben presto per fare i Re come Combattuto avevano poco fa per creare le Repubbliche.

XXXIX. Delle potenze di Europa l’Inghilterra, che mai in inganno era caduta sulle qualità e pensamenti di Bonaparte, a tutta possa contrastava questo atto di esaltazione, ma senza alcun buono risultato; con eguale infelice successo la lontana ed ingannata Russia contrastava anch’essa; la Porta Ottomana per timore della Russia la simile politica di quella potenza mostrava ed in se stessa avevano perturbamento; l’Austria taceva; la Prussia che tuttavia per le sue emulazioni verso l’Austria continuava ad ingannarsi, non solamente aveva consentito, ma ancora esortato: quest’era stato uno de’ principali fondamenti dell’ardimento di Napoleone; primario confortatore a questi consigli era il Marchese Lucchesini Ministro del Re Federico a Parigi; la Spagna, la Svizzera e l’Olanda erano dominate da Bonaparte; il Piemonte pareva confortarsi della perduta indipendenza ponendo pensiero all’unione con chi al sommo imperava; la Toscana che vedeva tal quale le Cose presenti erano, non sapeva né che sperare, né che temere: il Regno nostro già quasi occupato al di quà del Faro, avea più di ogni altro di attendere in silenzio il corso degli avvenimenti. Tale, come dicemmo, era lo. stato della Francia in questo tempo, tale, come ora ho accennato, ora lo stato dell'Europa da si grande novità rimast’attonita.

XL. Intanto il Re Ferdinando nella incertezza e perplessità in cui si trovava, supplicava il Papa di restituire e rimettere nel suo Regno la Compagnia di Gesù, ad esempio di ciò che in Russia si era fatto; per rimediare per quanto potevasi agli abusi del falso spirito filosofico che nel Regno, alquanto profonda radice purea che avesse preso, deliberando di riunire similmente gli antichi Gesuiti suoi sudditi, ed affidare loro la direzione dei collegi dei nobili. Avendo per tanto inteso, che in Roma il socio Angiolini vi era, (venuto dalla Russia per, cercare d’incominciare ad introdurvisi collo stabilire un Ospizio poi Gesuiti Polacchi) chiamollo a fine di porre il concepito divisamento in esecuzione. Questi qui pervenuto, incominciò ad osservare che «sarebbe una tale unione imperfetta, che meglio si potrebbe riuscire col procurare il ristabilimento dell’antica compagnia». Piacque al Re il progetto, e deliberossi di mandarlo ad effetto, ma bentosto delle difficoltà gravissime s'incontrarono, imperciocchè il gabinetto di Madrid, che della cosa aveva avuta contezza, faceva note di opposizioni. Quindi per riguardi verso la Spagna e per le passate questioni colla medesima Corte di Napoli, incerto si teneva lo stesso Romano Pontefice Pio VII su che dovesse disporre. Ma tutte queste contrarietà superare seppe l’Angiolini con la prudenza sua, che in fine il Papa emano un breve (in data del 30 Luglio corrente anno) nel quale in sostanza stabili «per condiscendere alle petizioni di Paolo I Imperatore delle Russie nel 1801 ristabilito abbiamo la compagnia di Gesù nel suo Impero.

Ora Ferdinando Re delle Due Sicilie ci ha fatto esporre, che a di lui indizio, moltissimo gioverà nelle circostanze ci presenti tempi, per formare i buoni costumi della gioventù del suo Regno, ed istruirla con dovute e sane dottrine lo stabilire nei di lui domini come si fece nell’Impero delle Russie la stessa congregazione, nella quale tra i principali doveri degl’individui quello si annovera d’istruire i giovani nelle scuole e nei collegi. E Noi secondando i desideri di questo Monarca estendiamo al Regno delle due Sicilie il Breve in ciò emanato per l’Impero Busso, ed aggreghiamo alla compagnia di Gesù, stabilita in quello Impero, tutti quelli che nel divisato Regno sotto la regola di S. Ignazio si uniranno» (). Tant’ottenuto dal Sommo Pontefice il Re Ferdinando mise ogni cura, e tutta la possibile sollecitudine ond’effettuire il suo pensamento, e difatti dopo non guari di tempi stabiliti vidersi nel Regno nostro non poche case e collegi da questi padri diretti.



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CAPITOLO V

Adoperamenti di Napoleone per divenire Sovrano d'Italia; incoronazione di esso eseguita a Milano: il Principe Beauharnais suo figliuolo adottivo diventa Viceré d Italia. Genova si congiunge al Regno italico: l’imperatore e Re ritorna in Francia. — Come la pii parte dei Governi di Europa questa erezione sentono: legati mandati al nuovo Sovrano, in che modo essi accolti. — Tremuoto nel Regno di Napoli detto di Sant'Anna. — Macinazioni dell'inglese Ministro Pitt. lega delle Potenze Europee contro la Francia. — Disposizioni di Napoleone contro la lega predetta; tra queste si dettagliano quelle che riguardano il Regno di Napoli. — Ordine dato dal Maggior generale Berthier al Generale Saint-Cyr riguardante il nostro Regno. — Considerazioni di Napoleone sulle sue emanazioni t trattato di neutralità conchiuso tra la Francia e Napoli: lettera di Berthier a Saint-Cyr: le truppe francesi sotto di questo generale evacuano il Regno. — Considerazioni della Corte di Napoli sulla politica presente dei Gabinetti di Europa: l’Inghilterra la stimola alla guerra contro la Francia; essa vi condiscende. —Giungono in Napoli truppe Russe ed Inglesi per collegarsi alle napolitane e far causa comune contro la Francia: idea del piano di operazione; il Generale Lasey Russo è messo a capo di questa coalescenza; ordine del Re Ferdinando. — L’Ambasciatore francese signor Alquier abbassa gli stemmi della sua nazione, esce dal Regno e scrive lettera di dettagli al Generale Verdier a Livorno: composizioni delle truppe Russe. — Napoleone saputo lo sbarco degl’Inglesi e dei Russi nel Regno di Napoli si dispone ostilmente contro questo:, altra lettera di Berthier al Generale Saint-Cyr. — Il Gabinetto di Napoli cerca mitigare lo sdegno di Napoleone: il Principe Beauharnais si dispone contro la lega dell’Italia meridionale. i Francesi trionfano in Europa: pace generale: la guerra si rivolgo tutta contro Napoli. — Ordine del giorno 27 Decembre dato da Napoleone all'armata riunita per venire verso Napoli.

Dopo il ristabilimento del sistema monarchico in Francia, diveniva impossibile la forma di un governo Repubblicano in Italia, quindi era nel corso naturale delle cose, che quell’ordine medesimo le Repubbliche italiane prendessero, perché dipendenti da quella potenza. Sia pertanto che a Buonaparte convenisse il temporeggiare questo divisamente, sia che avesse egli effettivamente volontà di separare le due corone, manifesto dapprima l'intenzione d’innalzare su questo nuovo trono il suo fratello maggiore Giuseppe. Tale scelta gradevole diveniva ai cisalpini perché nelle opinioni di Giuseppe e nel suo carattere, trovavano essi tutto ciò che poteva mitigare i loro rammarici; a queste idee si aggiungevano, in concilio maggiore dei loro voti, le dichiarazioni fatte da esso al fratello Napoleone, cioè, che non avrebbe accettata la corona che volevasegli dare, se la Lombardia rimaneva ristretta nei limiti, che gli erano stati fin’allora assegnati fra le Alpi e gli Appennini; e se l’Imperatore non avesse accordato' al Regno che voleva creare, il compimento della sua esistenza politica e lo sviluppo della sua prosperità, dandogli un porto ed un litorale sul Mediterraneo. Chiedeva inoltre Giuseppe, che quel paese, cessando d'essere tributario ella Francia sgravato fosse dal sussidio che Napoleone esigeva di 25 milioni in danaro, oltre il mantenimento d'un esercito francese di 25 in 30 mila uomini. Disgustato Napoleone dal quasi formale rifiutò avuto da suo fratello di una corona com'esso voleva far nascere, tutta dalla Francia dipendente, cambio ad un tratto idea, e poiché la sua Imperiale autorità simile del tutto non era a quella dell’Austria, perché mancante la Rea le cosi risolvette quelle due possanze congiungere ne la persona propria.

Erasi recalo a Parigi nell'occasione della incoronazione Imperiale il Vice presidente della Repubblica italiana, non senza disegno di Napoleone, cd a quello congiunta si era la Consulta di Stato, ed i deputali dei vari dicasteri: Napoleone complimentandogli ingiunse loro di riunirsi tosto e stendere con la maggiore sollecitudine possibile un «progetto abbracciasse pur anco la compilazione et di una costituzione stabile, non che la concentrazione del potere nell’arbitrio di una autorità a suprema; concentrazione necessaria in tutti gli a Stati, ma sopratutto e specialmente poi nella Repubblica italiana, la quale composta di tanti Stati più piccoli, risente tutt’ora l’influenza delle antiche divisioni politiche. Intenderei, che questo potere avesse quella perpetuità, senza la quale la concentrazione diventerebbe inutile e quasi pericolosa». Varie altre cose egli disse intorno a questo argomento; in ultimo a quei deputati soggiunse «I vostri sguardi potrebbero forse gittarsi sopra uno dei miei germani, per la scelta dell’autorità suprema; ma non avendo essi per anco comandata un’armata, ed avendogli io ad altro destinati, non possono anche esce serio. Potreste chiamare un Principe della casa d’Austria, ma io non lo gradirei. Potreste note minare il sig. Melzi qui presente (Vice presidente della Repubblica italiana), ma egli non c accetterebbe. Finalmente potreste eleggere me stesso; ma dì ciò non mi mischio, e ne lascia pienamente a voi altri l’arbitrio!!!» ()

Queste opinioni esternate, ed il discorso diretto da Champagnv, Ministro dell’Interno della Francia, il susseguente giorno al corpo legislativo francese, dett’evidentemente a dimostrare ai Deputati italiani i precisi voleri di Napoleone Melzi dotato di un carattere nobile e dignitoso, e vero uomo di Stato, vide l’indispensabilità di piegarsi alle circostanze ed esternando ai suoi connazionali, tutto ciò che andavano suggerendogli i propri sentimenti, i suoi lumi e la sua esperienza, e ricordando quello ch'era stato tracciato a chiare note dal conquistatore, mise a comune veduta le cose; e quindi dopo lunghe conferenze e discrepanti opinioni, una deliberazione del Comitato italiana enuncio il voto «che la Repubblica italiana fosse se eretta in Regno d’Italia, e che il suo fondatoci re ne fosse il Sovrano. Determinato dalla Consulta di Stato lo statuto costituzionale pel nuovo Regno, il Presidente Melzi in unioni a gli altri deputati, lo presentò solennemente all’Imperatore nel 17 Marzo, il quale lo ricevé salito sul trono, nel Castello delle Tuilerie. Fatta lettura del suddetto statuto, si trovarono in esso posate le seguenti organiche basi. «Che Napoleone Primo Imperatore dei francesi, fosse proclamato Re del Regno d’Italia. Che il trono foss’ereditario di maschio in maschio nella sua discendenza in linea retta, legittima, naturale ed adottiva, ad esclusione perpetua delle femmine e loro discendenti. Che questo diritto d’adozione non potesse però estendersi sopra d’altra persona, che a favore di un cittadino del Regno d’Italia o dell’Impero francese. Che la corona d’Italia non potesse essere riunita alla corona di Francia, che sopra il solo capo di Napoleone. Che dovesse l’Imperatore cederla ad uno de’ suoi figli tosto, che le truppe straniere avessero evacuato le due Sicilie, Malta e le Isole Ioniche. () Dimandava finalmente la stessa Consulta, che la natura e la stabilità del potere essendo già state fissate, fosse l’Imperatore Napoleone pregalo di trasferirsi a Milano per incoronarvisi e dare una costituzione definitiva, la quale garantisse al popolo italiano la sua religione; l’integrità del territorio; la libertà politica è civile; r irrevocabilità della vendita la dei beni nazionali, che le imposte non fossero stabilite se non a norma della legge; e che i soli nazionali sarebbero chiamaci agli impieghi ed alle cariche dello Stato. ()

Il giorno dopo questa presentazione (18 Marzo 1805) Napoleone si trasferì al Senato con gran corteggio e fasto, ov’era pure stata convocata la deputazione della defunta Repubblica. L’Imperatore profittando della propizia circostanza, penso per la sorella sua Elisa e fece aprire la seduta con un lei consorte il Generale di brigata Baciocchi. Letta quindi dal Ministro italiano degli Affari Esteri Conte Marescalchi la legge fondamentale del nuovo Regno, vi rispose l'Imperatore con voce forte ma chioccia, come l'aveva, un analogo studiato discorso; terminando coll’ordinare la convocazione del corpo legislativo a Milano pel 15 maggio; i collegi elettorali pel 18; fissando verso il fine di quel mese medesimo la sua incoronazione.

Quando il tempo ne correva Napoleone venne in Italia e prese stanze in vari luoghi, e nel dì 8 Maggio giunse in Milano; nel 26 ebbe effetto la coronazione dell'Imperatore e dell’Imperatrice, come Re e Regina d’Italia nella Chiesa metropolitana di quella città, appresso a poco colle stesse forme che a Parigi. Ad imitazione di Carlo XII Napoleone non attese che l'Arcivescovo di Milano gli ponesse sul capo la corona; ma presela da se stesso di sull’altare e nel coronarsene la fronte esclamo con voce sonora «Dio me la diede, guai a chi la tocca! era questa la corona di ferro del Re dei Lombardi, la quale è deposta nella cattedrale di Monza. Con decreto del 7 Giugno nomino l'Imperatore in suo Viceré d’Italia il Principe Eugenio Beauharnais figlio dell’Imperatrice sua moglie, indi suo figliuolo adottivo. Per tutte queste cose la natura di Napoleone irrequieta, disordinata e solo costante nell’ambizione, che lungo tempo non rimaneva nel medesimo proposito sempre mutando per salire, al più alto grado si lasciò vedere; egli dopo avere varie cose assettate ed istituite per formare, siccome diceva, la felicità di quel Regno, per Genova si mosse, che alla Sovranità propria parimenti rinunzio, perché astretta dalle circostanze correnti, congiungendo il territorio suo a quello dell’Impero. Dopo questo giro l’imperatore e Re rientrando nella Francia, nella capitale del suo Impero fece subitamente ritorno.

XLII. I governi della media è bassa Italia furono sommamente costernati dell’erezione dei nuovo Regno, il di cui titolo solo sembrava indicarne ulteriori ingrandimenti. Non pertanto s’affrettarono, essi d’incaricare legati per fare, come gli altri Stati avevano fatto, a) nuovo Monarca i complimenti di uso, e nel tempo stesso con diligenti modi, esplorarne le intenzioni. Fu in Milano, che si raccolsero i deputati delle italiche ed estere città, fu colà che esso a tutti riuniti si presento. Andovvi Lucchesini portatore dei prussiani onori, poiché recava da parte del Re Federico a Napoleone l’aquila nera e l’aquila rossa: vi andò Celio inviato di Baviera; Benvenuti Bali mandato dall’ordine di Malta; Beust inviato dall’Arci-Cancelliere dell’Impero germanico; Alberg mandato dal Gran duca di Bade»; mandovvi la Vallesia il landamanno Augustini; mandovvi la Spagna il Principe Masserano; Lucca un Contenna ed un Belluomini; Toscana un Principe Corsini ed un Vittorio Fossombroni. Il Papa limitassi ad attestargli per mezzo del Cardinale Caprara Arcivescovo di Milano «i sensi che aveva concepito nel vederglisi aggiungere alla dignità imperiale anche la reale. Imperciocché memore di quanto aveva fatto in favore della cattolica religione, le cose ch'erano ec per lui di gloria, erano per sé giocondissime.» Ad alcuni parlo benignemente il Sire come a Lucchesini, e ciò il faceva per pungere l'Austria, perché a questo tempo il Re Federico si era risoluto ad istigazione di Lucchesini e di Hagwitz di secondare in tutto e per tutto i disegni di Napoleone Imperatore; all’Ambasciatore di Etruria anco in tal modo parlava, ad altri superbamente: aggiunse ch’egli «avrebbe fatto arar dritto e cui non avrebbe aralo dritto, avrebbe a fare con lui; che se alcuno avesse concetto gelosia pel Regno d’Italia aveva una buona spada per difendere i suoi nemici». All’Ambasciatore della nostra Corte Principe di Cardito gli disse, poiché certe lettere intercette a caso da’ suoi agenti, avevanlo insospettito di qualche segreto maneggio della Corte di Napoli co’ suoi nemici «Dite alla vostra Regina, che io so le sue brighe contro la Francia, ch’ella anderà maledetta da’ suoi figli, perché in pena dei suoi mancamenti non lascero e lei né alla sua casa tanta poca terra quanta gli copra nel sepolcro».

Tante altre cose esterno in dettaglio a gli altri, ed il fece con modi tanto plebei, che tutti gli astanti restarono persuasi, che se aveva la forza di governare, non aveva la dignità, e che novizio ancora, male sapeva portare il nuovo imperio.

XLIII. Per tutti questi avvenimenti afflitte stavano le nostre genti, allorquando ad accrescere mestizia e danno si scuoté la terra per tremuoto. Era il giorno ventisei Luglio quello della sventura; alle ore due ed undici minuti della notte avvenne la terribile catastrofe, che fece centro di violenta operazione Frosolone monte degli Appennini, fra la Terra di Lavoro e la Contea di Molise. Il terreno guasto e sconvolto fu da Isernia a Ielzi, che costa di miglia quaranta nella sua lunghezza, e nella sua larghezza da Monterodoni a Cerreto di miglia quindici; perciò il tutto riuniva seicento miglia quadrate rovinate, disegnando un lato della figura rettangolare la catena lunga dei monti del Matese quasiché la natura avesse opposta la colossale ed enorme massa di questo monte come barriera ai funesti effetti del flagello. Sopra di questo spazio sorgevano cinquantanove tra città e terre, le quali davano albergo a quarantamila e più abitatori; e di tanto numero due sole città, cioè San Giovanni in Galdo e Castropignano, quantunque fondate alle falde del Matese, restarono sole in piedi. In Isernia mezza parte della città fu adequata al suolo, cioè tutto l’ordine verso l’oriente; in Pecchio dei grandi macigni distaccati dall’alto del monte con la scossa e rotolati danneggiarono molti edilìzi; due fenditure profondissime nel suolo furono vedute in Carpinone in direzione di ovest-est; ed in Bagnoli altre due aperture si trovarono seguendo la linea di nord sud; la città di Freso Ione fu tutta distrutta; in Bojano vi nacque una sorgente di acqua; a Mirabello cadde nient’eccettuato il palazzo del Barone ed ammazzo quasi tutta la famiglia; a Macchia l’osteria della strada fu totalmente annientata; nel sito detto Locanda di Moncone si vide una elevazione sferica sul suolo, ed una sorgente ben grande di acqua solfurea, sboccata con la scossa, incominciò a fluire largamente. Gli uomini morti di tutta quella infelice regione montarono a 5611 ed i casi del morire furono variati e commiserevoli.

Gli abitanti di quei luoghi avevano sentito nel mattino del 26 una estraordinaria lassezza, ed un puzzo come di zolfo noioso all’odorato ed al respiro; essi videro alle ore quattro dopo il mezzodì annubilarsi. il cielo e correre i nugoli come se turbine impetuoso gli spingesse, mentre che in terra nessun vento spirava, ma col cadere del sole si alzo fiero aquilone, che poi cede allo scoppio del tremuoto, mutandosi in spaventevole rombo. La prima scossa fu leggiera e da pochi avvertita, ma ne succedettero altre tre nel Breve spazio di venti secondi, le quali ebbero estraordinaria forza e sempre crescenza, e furono le cause produttrici delle rovine e dei guasti che ho accennato. Anche la Contea di Molise ebbe le sue maraviglie di fortuna, e come in Calabria nel tremuoto del 1783 visse sotto alle rovine per undici giorni la donna chiamata Eloisa Basile la quale in mestizia e quasi in confusione mentale tiro innanti la vita ver altri pochi giorni; così nella terra di Guardia Regia. aspetto sotterra dieci giorni ed otto ore la nominata Marianna de Franceschi gentildonna giovane e bella, che appena compieva i venti anni, la quale ripigliando la pristina sanità e floridezza ebbe ventura di lunga vita, di marito e di figli.

Quel tremuoto fu sentito nelle parti più lontane del Regno come nel Principato Citra ed Ultra, nella Basilicata e nella estrema Puglia, e traversando il mare nelle isole di Procida e d’Ischia anche si udì, le quali sono alla distanza di cento miglia e più dalla Contea. La Capitale fu scossa fortemente, ed in tal maniera che alcune case rovinarono, molte furono fésse e ben poche o nessuna rimase illesa. Il tremuoto già detto, egualmente che tutt'i grandi tremuoti, fu seguito da una serie di altre scosse, che si svilupparono nel 28 dello stesso mese, nel 4, 6, 8 e 25 Agosto, come ancora se ne avvertirono delle altre molto sensibili nel novembre, e nel 27 e 28 Gennaio del susseguente 1806, e l’ultima fu quella che si manifesto nel 28 Marzo.

A quei moti della terra andavano compagne le eruzioni del Vesuvio, non tante veementi come quelle del 1794 d’innanti descritte. Fu chiaro che tutto lo sconvolgimento derivo da elettriche accensioni; potenti più dove il suolo, come in Molise, conserva i segni e le materie di vulcani estinti. Siccome il giorno 26 Luglio è votivo a Sant’Anna così questo disastro venne nominato, e tuttora si nomina nel nostro Regno Tremuoto di Sant’Anna e fu tenuto dalla popolazione della Capitale per miracolo di lei, che la città di Napoli, attesa la veemenza della scossa, non cadesse intera in rovina. Il Governo provvide a quella miseria, ma per iscarsa finanza in cui si trovava, i suoi soccorsi non toccarono a tutt’i disgraziati.

XLIV. Il Ministro Pitt rientrato da poco tempo nell’esercizio di sue funzioni, vedendo come le cose di Europa correvano, e lo stato pericoloso nel quale l’Inghilterra si trovava, cerco salvare la sua patria dalla fiera burrasca che la minacciava. D’altronde il pericolo comune avendo estinto le variate opinioni, che dividevano ed agitavano la nazione Inglese, venne anzi a riunirle ed a formarne una massa sola e compatta, che si schiero minacciosa sulle sponde del mare, risoluta di perire per la difesa dell’onore e dell’indipendenza della patria. Nè ciò sembrando sufficiente a Pitt, studio di sconvolgere ed infiammare con ogni mezzo possibile tutte le Corti ed i potentati europei contro la Frencia, mostrando loro l'ambizione eccessiva del suo capo, ed il trabocchevole potere, che di dì in dì andrebbe acquistando, se un salutare e prontissimo, argine non si formasse contro questo sfrenato straripamento; e ciò per la salvezza, per l’universale interesse.

Queste insinuazioni ed incitamenti vani non riuscirono e la Russia nell’Aprile fu la prima a concorrere e formare il cardine di una lega continentale. Tale nuova coalescenza contro la Francia si compose dell’Inghilterra, della Svezia, della Russia e dell’Austria: incartcavasi la prima di assalire ]e coste della Francia, e tumultuarla nell’interno; prometteva la seconda di sbarcare delle truppe per liberare l’Olanda dalla influenza Francese e riprendere l’Hannover; addossavasi la terza di una cooperazione di 15omila uomini in Alemagna per combattere Napoleone; s’impegnava finalmente la quarta di adunare subito 80mila combattenti sul fiume Inn, e 100mila sull’Adige, da restarvi però sulle difese fino all’arrivo del primo corpo Russo di 54mila uomini capitanati da Kutusow. La Prussia e Napoli attendevano la propizia occasione per piombare addosso esse pure alla Francia, stante che la prima di queste potenze, attese le cose ora dette, non più mantenersi poteva nella politica suggerita da Lucchesini. Fu a questo riguardo che delle segrete lettere erano state inviate dalla Corte di Napoli alle altre potenze, ed a queste lettere, perché saputele, alludevano quelle parole di sdegno dette da Napoleone nel Maggio all’Ambasciatore nostro Principe di Cardito. Dichiaratisi intanto neutrali questi due ultimi Stati guarentivano una tale posizione al primo 160mila armati, al secondo un trattato di cui favelleremo più abbasso. Così i collegati o. aperta mente o io segreto avevano divisato di agire sopra una lunghissima linea che stendevasi da Stralsund fino a Napoli.

XLV. L’Imperatore Napoleone sapute tutte queste convenzioni, misurando bene le forze della presente unione, e ciò che faceva di mestieri per rompere in aperta guerra, nel suo vasto ingegno bellico mirando, varie analoghe disposizioni donava onde quella massa di contrari arginare. Primieramente avendo saputo che l’Arciduca Carlo, guerriero esimio, era stato posto al governo della guerra d’Italia, avendo più fede nella fortuna di Massena, che in quella di Jourdan, surrogava il capitano italico al germanico, poiché quei possedimenti italiani molto a cuore gli stavano, e dava istruzioni variate a tutti i capi della sua armata. Tra quelle che riguardavano il Maresciallo Massena, divenuto ora comandante in Capite dell’armata d’Italia scritte dal Maggior Generale Principe Berthier v’erano le appartenenti alfe, operazioni per Napoli: queste si esprimevano così «Di Napoli — Se i Russi non avessero quindicimila uomini a Corfù, e gl’Inglesi 8mila a Malta l’imperatore ordinerebbe al Generale Saint-Cyr di ripiegarsi sull’Adige per rinforzarla col corpo d’armata da esso comandato. Ma S. M. l’imperatore prevede che appena Saint-Cyr fosse uscito dal Regno sbarcherebbero gl’Inglesi ed i Russi a Napoli, ed uniti a 15mila napolitani formerebbero un esercito che colte locato a poca distanza dalle sue spalle si troverebbe in grado di molestarla sul Po. L’Imperatore preferisce dunque ordinare a Saint-Cyr di annientare l’armata napoletana prima dello sbarco degl’inglesi e dei Russi, e servire (se il bisogno lo esige) come corpo di osservazione ()». In conseguenza degli ordinamenti dati nel grande, Napoleone prescrisse al Generale, Saint-Cyr con lettera del 15 Fruttidoro anno 14mo delle particolari cautele politiche e delle disposizioni preventive. La gente che sotto Saint-Cyr stava nel nostro Regno sommava 20000 uomini, cioè 8000 italiani, 3000 polacchi, 2000 svizzeri, e 7000 francesi. Napoleone per comunicare le dette istruzioni a Saint-Cyr non attese il principio delle ostilità, ma lo volle avvertito quindici giorni prima «affinché potesse, col più profondo silenzio» com’egli diceva «in contraccambio di quello osservato dalla Corte di Napoli, predisporsi all’adempimento dei suoi voleri» così nello svilupparsi dall’Imperatore al suo Luogotenente il vasto piano di campagna da esso adottato, il quale estendevasi dal mar Baltico fino a Napoli, trovavasi pronto Saint-Cyr ad eseguire l’importantissima parte, che gli spettava, tostocché pervenuta gliene fosse la Sovrana, ingiunzione. «Impadronirsi di Napoli e dei suoi Forti; a scacciare la Corte; stabilire una reggenza provvisoria di governo; adoprare ogni mezzo per mante dire e conciliare l'opinione del partito contrario alla Corte; e finalmente regolarsi a, norma della condotta che dopo questo evento tenuto avessero i Russi e gl’inglesi detti d’innanti: ()» tal’era il carico addossato da Napoleone a Saint-Cyr: le truppe da esso dipendenti potevano forse essergli sufficienti a tant’uopo, ma conveniva prevalersene prima che i Russi e gl’inglesi provvedenti da Corfù e da Malta, che sbarcar dovevano a Napoli, congiunti si fossero all’armata napolitana, o avessero seco lei concertato il modo di piombare sul corpo francese.

Ad evitare pertanto caso siffatto, era necessario che Saint-Cyr assumesse l’iniziativa dei movimenti, acquistasse tempo, dissimulasse profondamente e con chicchessia i suoi progetti, e mostrasse di vi vere nella massima buona fede, sulle intenzioni del governo di Napoli, almeno fino al momento in cui l’imperatore passando il Reno potesse egli (Saint-Cyr) cominciare egualmente le sue operazioni. Con questo procedere, o gl’Inglesi ed i Russi, dopo un tale avvenimento, uniti si fossero in Sicilia per attendervi nuovi soccorsi e concertare un piano d’invasione per sorprendere Napoli, ed in quel caso Saint-Cyr avrebbe acquistalo il tempo materiale per armare i partitami francesi, assumere un’altitudine imponente e difensiva, e conservarla lino allo sviluppo dei grandi avvenimenti di Alemagna: ovvero tentavano i Russi sbarcare delle truppe a Taranto, ed allora Saint-Cyr sentendosi abbastanza forte per seco loro misurarsi, doveva correrli addosso immediatamente, e batterli prima che avessero avuto tempo di rannodarsi montare la loro cavalleria e la loro artiglieria. Queste cose si opinavano, e nella politica allora della Francia chiare si facevano vedere.

XLVI. A queste disposizioni ed insinuazioni date a Saint-Cyr si aggiungevano ancora gli ordini comunicati ad esso dal Maggior Generale Berthier in ischiarimento dei particolari casi, che avessero potuto nascere: questi ordini così si esprimevano: «Se per qualsivoglia combinazione le forze del nemico fossero tali, ch'ella si trovasse costretto ad evacuar Napoli e la parte meridionale del Regno, ella disputerebbe il terreno, ed eseguirebbe assai lentamente la sua ritirata. Giunto a Pescara vi lascerebbe il generale di divisione Regnier per comandarvi la piazza, provvista di forte presidio è di copiosa artiglieria, munizioni ecc, e proseguirebbe la sua ritirata verso Parma, o verso la Toscana, a seconda degli avvenimenti, che potessero essere successi nell’alta Italia. In tal modo possono considerarsi le di lei operazioni sotto due punti di vista: come opposto all’armata Napolitana, ella è attaccante, e deve far la guerra offensiva invadendo il regno: e se delle forze coalizzate alle sue superiori, volessero a vicenda stabilire la guerra nel regno di Napoli, ella formerebbe di fronte a loro un corpo d’osservazione, che disputerebbe il terreno, ma che non: potendo lusingarsi di vincerle, per essere troppo a lei superiori, renderebbe però difficile le loro conquiste, tarda la loro marcia, e porgerebbe il mezzo alle armate di Alemagna e d’Italia d’inviarle de’ numerosi e potenti rinforzi. Sot 4 il primo punto di vista, cioè Come armata opposta all’armata Napolitana, le sue operazioni divengono di poca entità per le operazioni generali; ma sotto il punto di vista ai corpo d’osservazione. opposto ai coalizzati, ella impedisce o ritarda considerabilmentela loro unione coll’armata Austriaca, dell’Adige. I veri colpi si vibreranno in Alemagna ove l’imperatore si troverà personalmente, e le stesse operazioni dell’armata d’Italia, quando non ottenessero verun successo, non dovrebbero punto influire sulle sue. Qualora il nemico pervenisse anche ad impadronirsi di Milano, ella non deve muoversi da Napoli; perchè i di lui successi, se ne ottenesse, non sarebbero che di breve durata, e di una chimerica ed effimera eventualità. Se le operazioni dell’imperatore sono coronate dall’esito che devesi attenderne, il loro primo resultato sarà quello di trar d’impaccio l’annata d’Italia, la quale potrà spedire a lei quei soccorsi di cui potesse abbisognare, per rovesciare nel mare le forze coalizzate, riprendere tutto il paese che potesse essersi in perduto, e anche minacciare la Sicilia. In ultim’analisi ella deve, senza dilazione, cominciare l’armamento e l’approvisionamento di Pescara, collocarvi tutt’i depositi della sua armata e porvi a un comandante d’armi. Questo è il punto ove devono essere diretti i suoi soccorsi, questo è finalmente il centro delle sue operazioni. Questa piazza deve sostenersi per diversi mesi, quand’anche ella fosse costretto ad evacuare tutto il paese, e concedere il tempo all’Imperatore di completare il suo piano. Tosto ch'ella sarà padrone d’una piazza ne demolirà le fortificazioni e ne dirigerà tutta l’artiglieria e le provvisioni a Pescara. Gli stessi castelli, che dominano Napoli appena saranno in suo potere, li farà minare, onde non esser costretto a prenderli due volte. Ella li farà saltate nel caso che fosse obbligato all'evacuazione di Napoli. Questa lettera racchiude l'istruzione di tutto il suo piano di campagna, e qualunque imprevisto avvenimento potesse accadere: sarà sempre nello spirito di questa istruzione che ella dovrà cercare la regola per la sua condotta. Se si parla della contromarcia, che l'armata ha fatto dall’Oceano al Reno, ella deve dire, che non sono se non 30mila uomini i quali hanno operato tal movimento per rinforzare quella parte della linea. Firmato Berthier.»().

XLVII. Date queste ostili disposizioni ricordava e considerava in vero Napoleone, che in tutte le che le sparse, é perciò sempre al cuore aveva badato; quindi mise pensiero, che mentre il centro delle militari operazioni sarebbe stato in Germania inutile era per riuscire il tenere un corpo di osservazione isolalo nel Regno di Napoli, e perciò faceva di mestieri d’ingrossare meglio le sue genti sull’Adige col mandarvi quella parte che sotto Saint-Cyr nel Regno nostro alloggiava. La qual cosa perché con sicurezza potesse eseguire, aveva con sue pratiche segrete e maneggi, e per mezzo del Marchese del Gallo Ambasciatore del Re a Parigi indotto Ferdinando a sottoscrivere un Trattato di neutralità che nel 21 Settembre fu conchiuso tra il predetto Marchese del Gallo e Monsieur de Talleyrand Ministro degli affari esteri dell’Impero. A tal proposito il Maggior generale Berthier scrisse al Generale Saint-Cyr la seguente lettera:

«Parigi il 1° Vendemiale anno XIV. — Avendo a S. M. il Re di Napoli richiesta neutralità, ed esternato di non ricevere né Inglesi, né Russi, a è stato ieri concluso un trattato ai pace del quale le trasmetto doppia copia, per passarne una al a sig. Alquier nostro Ministro costì. Tosto che gliene saranno partecipale le ratifiche, ella si dirigerà a Pesaro e quindi sul Po. Tutt’i malati si evacueranno per Pesaro, la qual Piazza sarà conce servata fintantocché tutto ciò che appartiene al di lei esercito non ne sia uscito. Nei passare da Ancona ella vi collocherà guarnigione. Mi faccia a conoscere il suo itinerario, onde possa in tempo trasmetterle gli ordini Sovrani. Mentre V. S. leggerà la presente la guerra sarà cominciata. Se a per tanto, per una qualunque circostanza, le a ratifiche non fossero state prontamente cangiate. Ella attaccherà il Regno di Napoli, attenendosi strettamente alle già ricevute istruzioni. L'Imperatore crede ch'ella abbia già diretto i suoi bagagli ed i suoi malati a Pesaro. Con questo ecc. — Firmato Berthier». () Nel trattato anzidetto fa stipulato che «Il Re delle due Sicilie e l’Imperatore dei Francesi avendo volontà d’impedire che le correlazioni di amicizia, che i loro Stati servivano fossero compromessi dagli avvenimenti di una guerra, di cui desideravano scemarne i mali, restringendo per quanto avessero potuto il teatro delle ostilità, convenivano, che il Re delle due Sicilie prometteva di restare neutrale durante la guerra tra la Francia da una parte, e l’Inghilterra e la Russia e tutte le altre potenze dall’altra. Obbligarsi esso a respingere colla forza qualunque attentato, che fosse recato ai diritti ed ai doveri della neutralità. Quindi niun permesso avrebbe donato ad alcun corpo di truppe delle Potenze belligeranti di sbarcare o penetrare nei suoi territori, né alcuna squadra nei suoi porti fosse entrata. L’Imperatore dei francesi affidato a queste promesse acconsentiva a fare sgombrare dalle sue truppe il territorio napolitano un mese dopo il cambio delle ratificazioni. «Per patto segreto era convenuto» che il Cavaliere Acton dovess’essere allontanato dal Regno; che nessun suddito delle potenze belligeranti, o emigrato francese, potesse aver comandi nelle milizie napolitane»; () questa seconda parte riguardava direttamente il Conte Ruggiero di Damas, il quale per qualche tempo tennesi celato in una casina al Granatello. Il trattato fu di fatti ratificato da Ferdinando nell’otto Ottobre sotto la data di Portici, e le truppe sotto Saint-Cyr immediatamente dal Regno uscirono e si avviarono verso il Po; lo stesso General Supremo da Barletta, ove dimorava, nella notte del, al 10 di quel medesimo mese ne parti, e strada tacendo quelle truppe misero guarnigione nella Piazza di Pescara e nella sorpresa Ancona.

XLVIII. Parve alla Corte di Napoli, e così se ne disse allora, che se i francesi abusando della loro forza costretto avevano il Regno ad usare tanto di sofferenza per quanto più non potevasene, con l’occupare una parte di esso, e che se ritornati vi fossero nel 1803 senz’altro dritto, che quello della medesima forza, recando in questa permanenza di circa quattro anni, sì forte danno, che quasi in totale esaurimento le finanze dello Stato erano cadute; a far cessare quella violenza, lecita fosse qualunque promessa, senza intenzione di osservarla. Per tal cosa dal Gabinetto di Napoli fu considerato, che il disopra espresso trattato ritener si dovesse come uno stratagemma, al quale niuna fede potessesi attaccare. Questi pensieri prendevano solida consistenza col riflettere, che i numerosi marittimi armamenti preparati dalla Francia negli anni decorsi, mercé la strepitosa battaglia di Trafalgar, erano stati distrutti, perché vinta dagl'Inglesi, epperò l’Inghilterra era divenuta l’arbitra dei mari, quindi facile a soccorrere con ogni mezzo i paesi marittimi; e comecché questa Potenza voleva ora che l’esercito suo acquistasse della celebrità anche nei combattimenti terrestri, come la sua marina fatto lo aveva nel mare, così al tener per non fatto il trattalo con la Francia essa pure insinuava al nostra Gabinetto, per poter mettere il piede nel continente, propriamente nel nostro paese; ed altro trattato patentemente conchiudeva con la nostra Corte, stipulato in Vienna nel 26 di quell’Ottobre, ed in aperto modo faceva entrare questa nella generale lizza. Così era appena uscita l’armata di Saint-Cyr dal nostro Regno, che le Corti di Napoli e di Prussia, tacitamente 0 apertamente per la lega manifestatasi, mostrarono quanto grandi fossero state la sagacia diplomatica e la politica antiveggenza del Ministro Pitt. Erano questi due vulcani improvvisi, due potenti diversioni che suscitar si dovevano inopinatamente a danno di Napoleone nei due punti i più lontani del teatro principale delle sue militari operazioni, cioè al nord per le bocche dell’Elba, ed al sud pel golfo di Napoli; cose direttamente volute evitare da Napoleone, a causa, come dissi, del raggiro per l’enunciato trattato col nostro Governo. La gran tela di questo piano era distesa in tal modo, che impossibile sembrava alla Francia il non soccombervi: ma la stella Buonapartiana era nel massimo suo splendore in quel tempo, e l’Europa assistere doveva a maggiori avvenimenti, prima di vedere abbandonato dalla fortuna e dai benefici l'immenso colosso (come dice il sig. Chateaubriand) dai piedi di creta.

Fu da taluno in quell’epoca detto che questo procedimento di entrare in colleganza con le altre Potenze, fosse stato dalla Regina Carolina e dal Ministro Acton regolato, al quale il Re Ferdinando non condiscendesse che con assai stentata volontà, essendo egli molto proclive al tenersi fermo al parere, del Marchese del Gallo, che come Ministro a Parigi, con incessanti premure davagli consiglio di osservare con somma scrupolosità il trattato che stipulato egli aveva in buona fede.

XLIX. Essendo già oltre andata la metà di Novembre arrivarono nel golfo di Napoli nel giorno 19 dello stesso delle navi inglesi sopra le quali erano 11mila Russi e 2mila Albanesi partiti da Corfù sotto il comando del Generale Andres, e 5600 Inglesi mossi da Malta col Generale Greig. Queste genti sbarcarono in Napoli ed a Castellammare, e con esse armi nuove e munizioni in gran copia portarono per provvedere i nemici della Francia; annunziando venire non solo per proteggere il Regno, nia bensì per correre verso l’Italia alta in aiuto degli Austriaci.

Si era il Gabinetto di Napoli impegnato di unire a questi alleati 50mila soldati; ma allorché gli anglo russi pervennero nella rada napoletana, pronte non erano ad entrare in campagna, provviste le fortezze, che 2mila cavalli soltanto, e 12mila fanti: per portare le promesse milizie al convenuto numero, erasi in allora bandito il seguente dispaccio in data del 4 Decembre «Tutt’i nostri sudditi dall’età diventi anni compiti fino ai quaranta, atti alle armi, saranno riputati soldati e pronti alla difesa dello Stato. In ciascuna Università si fornii a subito registro di tutti gl’individui di tal’età, sottoscritto e giurato dal Parroco. Degli anzidetti allistati, bisognandone per orti non più che 50 a mila, ciascuna Università ne fornirà uno per ogni a cento anime. La bussola deciderà della sorte; ed i bussolati si uniranno l’indomani per partire alla volta di Napoli: essi bussolati saranno obbligati al servizio militare per quattro anni. Gli alte listati resteranno nelle rispettive comunità per essere formati sopra luogo alla disciplina militare, e prestarsi alle occorrenze. I Reggimenti urbani dei tre Abruzzi resteranno in piedi fino ad altra nostra determinazione. Gli urbani di Napoli e dei casali di sua giurisdizione rimarranno anche in piedi; ed in caso di bisogno faranno il servizio di supplemento ai Reggimenti di linea ()». Ad oggetto poi di rimpiazzare le truppe fatte venire dalla Sicilia fu decretato sotto il dì 8 Decembre «che da una giunta istituita apposi la mente si facesse un truglio di tutt’i carcerati esistenti nelle prigioni di Napoli e suoi conce torni, i quali fossero rei di omicidi a difesa, o a rissa, o di ferite anche pericolose di vita, e di altri delitti, ma non importanti infamia, e trovandosi tra essi dei giovani da 18 a 45 anni con dei requisiti propri per la milizia, fossero destinati a servire da soldati nelle reali truppe. Questo truglio si terminasse nel corso di tre giorni, ed i trugliati e prescelti alla milizia si dovessero imbarcare per la piazza di Messina. ()

La medesima ordinanza fu estesa, trascorsi pochi dì, per tutte le Provincie del Regno, ma questi coscritti essere non potevano di alcuna utilità prima della vegnente primavera; non pertanto SSmila combattenti, di cui andava all’incirca a comporsi, fra Russi, Inglesi e Napolitani l’armata attiva, sufficienti sarebbero stati, qualora moss'in tempo conveniente, per opporre una potente diversione alle spalle di Massena. Essa riuscita sarebbe tanto più pericolosa per i francesi, in quanto che veniva avantaggiata dalla facoltà con cui gli alleati potevano impadronirsi delle fortezze dello Stato Pontificio, formandone base alle loro ulteriori operazioni. Assicurava anche un esito probabile all’evoluzioni il valido sussidio, che avrebbero arrecato agli alleati i malcontenti già preparali e disposti ad agire nella Toscana, nella Romagna, negli Stati di Parma e nel Piemonte. Credendo dipendere pertanto dalla celerità dei movimenti napolitani, la più o meno felice riuscita della campagna, Ferdinando, tutt’ora ignaro degli avvenimenti militari accaduti recentemente in Alemagna, sollecitava a tutta possa la partenza delle truppe ed il cominciare delle ostilità.

A tal’effetto il Generale Russo Lascy, e l’altro Hoppermann che qual Capo di Stato Maggiore funzionava, occupavansi della topografia militare dei luoghi, e dei preparativi per fa spedizione disponevano; ed il primo investilo venne del Supremo ordinamento ai tutte le truppe attive riunite il Ministro della Guerra fece nota questa volontà Sovrana così «S. M. il Re nostro Signore volendo accedere alla dimanda, che gli è stata fatta da S. M. l’Imperatore delle Russie, ed al desiderio manifestato da questo Sovrano, di vedere le operazioni militari dirette dal sig. di Lascy Generale in capo delle truppe Russe; S. M. si è degnato nominare il detto Generale di Lascy Comandante Supremo delle truppe alleate riunite nel Regno di Napoli — il Generale Ministro della Guerra Fortiguerra: dal Palazzo il 27 Novembre 1805». ()

Ricevuto il Russo Duce il detto incarico disegnava esso di sboccare colla massa principale delle sue forze dagli Abruzzi in Toscana: quivi regolandosi a norma delle circostanze, proponevasi o trasferirsi al di là del Po per congiungersi ai sollevati degli Stati di Parma e del Piemonte, od assalire alle spalle, colle truppe di cui disponeva, l'esercito del Maresciallo Massena. Univa il Russo in tal guisa, se propizia gli fosse stata la fortuna, i propri sforzi a quelli dell’Arciduca Carlo, per distruggere o scacciare i Francesi dall’Italia, mentre i suoi partitanti danneggiando a più potere il corpo di Massena tenterebbero d’intercedergli ogni comunicazione. Tanto egli aveva divisato.

L. L’Ambasciatore di Napoleone Alquier viste le nemiche insegne stanziare nella Capitale e nel Regno, ed il procedere amichevole della Corte di Napoli verso di quei nemici del suo Signore, fece delle rappresentanze; ma Scorgendo l’inutilità di esse, Con molli acerbi modi diede in risentimenti e poscia calati gl’imperiali stemmi dal Palazzo di sua dimora, chiedendo i passaporti per la volta di Roma prese viaggio.

Nel partire ne informo il Vicerè a Milano, e nel giungere a Roma scrisse al Generale Verdier a Livorno la seguete lettera, la quale in molti passi si trova esagerata e mostra la poco esattezza delle sue relazioni e dei suoi rapporti. «Signor Generale=Ho l’onore di scriverle da Roma, ove mi sono ritirato, dopo un avvenimento del quale è necessarissimo, che io tosto la informi. Ella saprà Sig. Generale, che esisteva fin dal prossimo passato mese di Ottobre, una convenzione di neutralità tra la Francia e la Corte di Napoli: questa Potenza, dopo essersi promessa diverse violazioni manifeste del suddetto trattato, ha ricevuto martedì ultimo 19 Novembre nel porto della Capitale diversi Vascelli da guerra Inglesi e Russi, e 90 trasporti carichi di truppe. Il 20 i reggimenti Inglesi e Russi sbarcarono. Chiesi nello stesso giorno i miei passaporti ed usci da Napoli, conducendo meco tutta la legazione. È un’ora che sono in Roma e non perda un momento a trasmetterle a le nozioni, che ho raccolte intorno alla forza ed ai progetti del nemico. Il numero effettivo dei Russi partito da Corfù ed arrivalo a Napoli, a è di 15600 uomini. I dettagli che possono far conoscere le parziali divisioni di queste forze, si trovano nel quadro annesso alla presente lettera. Cinque mila 600 Inglesi sbarcarono a Castellammare a 20 miglia di distanza dalla città, in egual tempo che i Russi. Il Re si è impegnalo ad unire con loro quaranta mila uomini. Tutte le truppe avevano avuto l’ordine da qualche giorno di trasferirsi in Abruzzo, e vari reggimenti sono già pervenuti al loro destino. Si recluta con la maggior attività in tutto il Regno per compisci tare il contingente. Le masse composte di paei sani sono in movimento: tutta l'artiglieria nati poli lana, che da un anno a questa parte fu prodigiosamente aumentata, si reca pur essa negli Abruzzi. Fui assicurato, che 8 mila uomini di cavalleria Austriaca, provvedenti da Trieste, sbarcarono a Manfredonia: per quanto straordinaria mi sembra questa nuova, dopo i rovesci sofferti dall’Imperatore d’Austria in Alemagna e in Italia, ho qualche fondamento di credervi, mercé la costante esattezza dei rapporti attinti alla medesima fonte. In conseguenza della precipitazione che ho dovuto impiegare nella mia partenza da Napoli, non ho potuto verificare questo fallo, inviando a Manfredonia; ma ho l’onore di ripeterle, che io lo credo tanto più esatto, in quanto che il progetto di una simile operazione, mi era noto da circa tre mesi. Seppi collo stesso mezzo Signor Generale, che un corpo di 10000 uomini di fanteria Russa sia sbarcato a Taranto, Venni anche informato, che in conseguenza del piano determinato fra le Potenze alleate, l’ammiraglio Nelson doveva quanto prima sbarcare 18 mila uomini su quel punto della posta d’Italia, che sembrerà il più conte veniente, onde questo Corpo possa agire di con certo con quelli che arrivati a Napoli, sono per trasferirsi ai loro rispettivi destini. Il resultato tutt’ora ignoto a Roma ed a Napoli, dell'avvenuto combattimento fra le notte combinate Francese e Spagnuole e quella dell’ammiraglio Nelson, farà benissimo giudicare qual importanza debba assegnarsi a questa parte del piano generale del nemico. Sembra certo, (o almeno deggio crederlo in conseguenza delle ricevute informazioni) che il nemico è intenzionato di recante si in Toscana per campeggiare alle spalle della nostra armata d’Italia. É verosimile, che l’esercito combinato Russo, Inglese e Napolitano passi per gli Abruzzi: le truppe sbarcate a Napoli devono essersi poste in marcia oggi 4 Decembre. Questa riunione di forze sarà sotto gli ordini del Generale Russo Lascy, il quale si è costantemente occupato col Generale Hoppermann, Capo del suo Stato Maggiore della topografia militare del paese. Il Generale Andress, che nell’unito prospetto è indicato come comandante in capo le. truppe di Corfù non comanderà che in secondo, sotto gli ordini del Signor di Lascy. Mi è sembrato provato, al momento della mia, che mille ottocento Inglesi resterebbero in Napoli di guarnigione; è questo un attestato di soddisfazione e di compiacenza, che fu convenuto accordare al Signor Ministro d'Inghilterra. Io le avrei spedito fino da Napoli gli schiarimenti, che ho l’onore di trasmetterle, se non fosse stato certo, che il mio corriere sarebbe stato interciso prima di giungere alla frontiera. Riceva ecc; Alquier.

«Prospetto delle forze Russe imbarcate sulla spedizione, che pose alla vela da Corfiù il 33. Ottobre 1805.

Il Generale Andreas comandante in Capo.

Bugutoff segretario generale.

Bugutoff General maggiore, comandante tre battaglioni,

fra i quali uno di Granatieri uomini………………..» 2:100

Puchkin battaglione……………………………….……..» 2:100

Gedduc battaglione.………………………………….…..» 2:100

Il Principe Vialmonesls Generale dei cacciatori.......» 2:200

Slteter. ……………………………………………………………..» 2:200

Due colonnelli di Artiglieria…………………………………...» 800

Papando General maggiore degli Albanesi …………...» 2:100

() Totale degli uomini……………………………………... 13:600

L’Imperatore Napoleone non aveva saputo lo sbarco degli Anglo-Russi nel Regno di Napoli e le minaccie ostili, che partivano dal mezzo giorno dell’Italia che il giorno 8 Decembre. Non osando staccare peranco il Maresciallo Massena dal comando dell’armata d’Italia, per incaricarlo di recar la. guerra nel Regno di Napoli; ne affido la provvisoria direzione al Generale Saint-Cyr trasmettendogli la seguente lettera, e dando al Maresciallo Massena delle particolari istruzioni in conformità e buon andamento delle cose in essa stabilite. «Il Principe Berthier Maggior generale al sig. Generale Gouvion Saint-Cyr. Brunn, Decembre anno 14° L’Imperatore lo nomina Generale in Capo, e le da il comando del Tarmata di Napoli per marciare contro gli Anglo-Russi (noi vedremo che questo comando subì posteriormente una variazione). Il signor Maresciallo Massena ebbe l’ordine di formare, al più presto possibile, un corpo di 30mila uomini. Questo corpo si comporrà di tutto ciò che, trovavasi sotto il di lui comando nella sua prima armata di Napoli, e più di tre reggimenti di fanteria francesi. Il signor Maresciallo Massena ha l’ordine di darle una buona divisione di fanteria francese, e due reggimenti di cacciatori a cavallo; finalmente di portare il di lei corpo almeno a 30mila uomini, dei quali circa la metà sarebbero francesi, gli altri italiani, polacchi o svizzeri. Il signor Maresciallo Massena le somministrerà in maggior copia possibile l’artiglieria conveniente, non che tutti quelli uffiziali generali di Stato Maggiore ed amministratori, che le abbisogneranno. L’intenzione dell’imperatore è, che sieno da lei riunite le guarnigioni di Livorno, ove non deve rimanere alcuno dei nostri soldati, e quella di Ancona, ove non lascerà che un battaglione italiano per difendere il forte. L’esercito a lei assegnato, composto nel modo suddetto, ella si porrà immediatamente in cammino per le frontiere napolitane. Sarà prima sua cura di prendere posizione negli Stati del Santo Padre, tanto per guarentirli, quanto per coprire il regno d’Italia. Lo sbarco degli Anglo-Russi le farà bastantemente apprezzare l’urgenza della massima sollecitudine nel suo movimento. Mi trasmetta quanto più «presto può il prospetto della composizione e della forza della sua armata. Deggio prevenirla signor Maresciallo Massena con circa 40mila uomini forma l'ottavo corpo del grand’esercito, il quale avrà il suo quartier generale a Laybac. Il principe Eugenio comanda esclusivamente nei paesi veneziani e nel Regno d’Italia le truppe francesi ed italiane, che non fanno parte né del corpo del Maresciallo Massena, né del suo. La posizione del nemico necessita ch’ella mantenga meco un frequente carteggio per Laybac, Gratz e Vienna. Riceva ecc. Berthier. ()

Avuta questa lettera Saint-Cyr si recò con una porzione delle sue truppe sollecitamente a Bologna, lasciando l’altra in osservazione dinnanzi Venezia sottoposta al Generale Fontanelle, e con tutta la possibile energia si occupo della organizzazione delle sue nuove Divisioni.

LII. La Partenza dell’Ambasciatore francese da Napoli recò grave cordoglio negli animi dei Consiglieri del Re, presagendo quello che in futuro si avesse potuto malamente sperare; ma faceva di necessità l’attenersi alle presenti convenute cose.

Per mitigare l’aspro sdegno, che dalla Francia concepir si poteva, fu pensiero del Gabinetto di Napoli, in assai dubbiezza rimasto, di pubblicare un editto relativamente al commercio, a firma del Ministro de Medici col quale manifestava, «Che essendo da presumersi, che la negoziazione cote sì francese propriamente detta, come quella del Regno Italico, la Liguria, la Batava, e la Svizzera potevano mettere in dubbio la sicurezza del«le proprietà loro appartenenti negli stati delle due Sicilie, la Maestà del Re ordinava che si rendesse conto alla classe negoziatrice, che qualunque potessero essere le conseguenze di questo avvenimento, le proprietà dei sudditi Francesi, degli Italiani, dei Liguri, dei Batavi, degli Svizzeri, e delle altre nazioni all’Impero di Francia unite con alleanza, sotto la garenzia del Go«verno delle due Sicilie rimarrebbero come per lo innanti lo erano stato quando la legazione del Consolato e dell’Impero nella piena esecuzione delle funzioni sue si teneva, non estendendosi però la garentigia suddetta, oltre il continente dei suoi Regni di Napoli e di Sicilia.»() Questo editto niun buon successo produsse.

Il Principe Beauharnais agli avvisi ricevuti, che nel Regno di Napoli molte forze collegate si riunivano per salire verso il Settentrione, quel Viceré d’Italia e Comandante supremo, chiamar fece le guardie nazionali di quel Regno per dar difesa e guarentire la frontiera di esso; ordinando in pari tempo, che 30 battaglioni di queste milizie unitamente ad un corpo di truppe di linea, nei territori Bolognesi, Modanesi e Reggitani marciassero. Intanto la memorabile vittoria riportata dai Francesi nei campi di Austerlitz; i disastri sofferti dal principale esercito austriaco, capitanato di nome dal coraggioso Arciduca Ferdinando d’Este e governato in fatti da Mack e la cessione della formidabile Piazza di Ulula, fatta dagli Austriaci medesimi alle truppe francesi, per opera del predetto Mack, quel desso che nei fatti di Napoli dell’anno 1708 nominato con vituperio abbiamo, misero Napoleone al caso di poter concedere la sua amicizia a chi la chiedeva per appoggio: questa cessione fe chiaro al mondo vedere la incapacità e pusillanimità di quel Generale, coll’aver fatto stringere nella rete il fiore degli eserciti austriaci, e coll’aver sottoscritto una ignominiosa capitolazione, che metteva ai piedi dell'Imperatore dei Francesi 40 Generali, 2000 uffiziali di ogni grado, 56mila vecchi soldati, con 50 bandiere, e faceva cadere in sua balìa, una Piazza importantissima con artiglierie, armi, munizioni e vettovaglie di ogni sorta!!!

Per tutte queste cose liberatosi Napoleone dalla guerra coll’Austria, e da quella continentale mercé la stipulazione del trattato di Presburgo conchiuso il 26 Dicembre tra l’Austria e la Francia, rivolse con maggior cura i propri sguardi alla meridionale Italia, solo punto ove le armi contro la Francia erano ancora in piedi. Avendo egli determinato porre sul trono di Napoli un Principe della sua famiglia, ordinò al suo fratello Giuseppe di trasferirsi in Roma, onde rappresentarlo all’esercito che colà doveva riunirsi; ma come costui era privo di quella esperienza e di quelle cognizioni indispensabili per ben guidare un’armata a tal’effetto gli assegno Napoleone qual luogotenente mentore o regolatore delle sue imprese prima il Generale Saint-Cyr, di già capo dell’esercito, come dissi, che si andava riunendo per rivolgersi verso queste parti, e poscia il Maresciallo Massena: a costui il Maggior-generale Berthier diresse opportunamente il seguente dispaccio ed una copia del trattato di Presburgo. «Schoenbrunn il 27 Nevoso anno 14. — Signor Maresciallo — Come rileverà dalla unita copia del trattato, la pace è segnata. L’Imperatore le ordina di porsi in marcia sul momento con tutto il suo corpo d’armata per ritornare in Italia (era giunto Massena a Klagenfurth avendo occupate Gorizia, Trieste e Laybach.) Tutù i suoi dragoni, ed una delle sue divisioni quella che più le piacerà destinare, raggiugneranno l’armata di Napoli. Appena questi corpi saranno partiti; ella si trasferirà per le poste all’armata di Napoli della quale assumerà il comando principale.»() Tale ingiunzione fu tosto eseguita. I resti delle divisioni del Generale Saint-Cyr rimaste al blocco di Venezia, e destinate adesso all’armata di Napoli partirono nei primi giorni di Gennaio 1800 per recarsi a Roma.

LIII. Napoleone aveva, colta avidamente l’occasione che gli offriva la fortuna, di sottomettere alle sue leggi l’intera penisola italiana. Dirigendo il 27 Decembre 1805 da Schoenbrunn all’armata di Napoli un insolentissimo ordine del giorno che manifesto chiaramente le sue intenzioni. Studiandosi di coprirne la pravità con molti falsi pretesti, con molte millanterie, con molle esagerazioni e positive menzogne eruttate contro la Corte di Napoli.



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CAPITOLO VI

Disposizioni delle truppe coalizzate dipendenti dal Generale Russo Lascy; notizie giunte in Napoli, cosa esse producono — Composizione del? armata francese comandata da Massena, ed ove essa si trova, al principiare del nuovo anno, 1806; deliberazioni dei Generali Russi ed Inglesi, per le nuove ricevute; considerazioni del Generale Russo Andres su le cose deliberate — Operazioni dei Russi ed Inglesi, e perché queste, s7 imbarcano essi sollecitamente e lasciano noi soltanto contro i Francesi, tentativo prima di partire. Considerazioni a questo riguardo — S’inviano dal Governo di Napoli dei messi al Generale Comandante l’Armata francese per ottenere, un armistizio prima, e poscia una pacificazione; come questi accolti — Re Ferdinando parte per Sicilia e lascia in questi omini una Reggenza preseduta dal Principe Francesco: come queste cose le popolazioni sentono: si organizza in Napoli una Guardia civica; Sovrana adesione a tal riguardo utile, ed osservazione su di questa emanazione — Manifesto del Principe Francesco ai popoli del Settentrione del Regno — Il residuo della Corte s’imbarca per Palermo e ne’ parte; grave tentativo dei carcerati esistenti nel Reale Albergo dei poveri — Ultimi espedienti tenuti all’opera dalla Reggenza; i Castelli del Regno e le Piazze di esso sono ceduti ai Francesi; osservazioni — Manifesto della Reggenza alla popolazione della Capitale; cause di questo, e suo risultato.

PRIMA però che io entri a dettagliare l’esecuzione dei voleri del Sovrano di Francia, fa d’uopo retrocedere alquanto, a fin di conoscere ciò che fosse accaduto nell’interno del nostro Regno dopo lo sbarco degli Anglo-Russi. Per quanto essi sapessero, che troppo tardi erano giunti, onde oprare in Italia una sufficiente diversione a favore dell’Arciduca Carlo; ad onta, che le conferme del fatto di Ulma, e dell’ingresso dei francesi in Vienna confuse avessero le menti loro, pure il Generale Lascy, che Capitano pochissimo perito nell’arte della guerra era e superbo quanto mai è superbia, per tenersi pronto ad irrompere contro le frontiere del Regno italico, aveva nella prima metà di. Decembre disposte le truppe da esso dipendenti nel modo seguente. Il quartier generale venne stabilito a Teano; il centro composto di russi e di un Reggimento di cavalleria napolitano ebbe collocamento tra Venafro, Mignano e San Germano; l'ala destra riunita da 7600 napolitani, 1800 russi e 600 montenegrini fu piazzata sul fiume Pescara, estendendosi da Popoli al mare Adriatico; la sinistra formata dagl’inglesi, comandali da Greig uniti alla restante fanteria di Napoli occupo Sessa, tenendo l’antiguardo ad Itri.

In quel tempo che queste preliminari belliche disposizioni avevano effetto, pervennero quasi contemporaneamente alla Corte di Napoli le nuove della battaglia d’Austerlitz combattuta il 2 Decembre di quell’anno, quelle dell'armistizio tra l’Austria e la Francia e la cognizione del trattato di Presburgo, non che del manifesto di Napoleone, e quindi della marcia di un esercito francese diretto ad invadere il Regno. Per tutte queste cause gli animi di più scomposti e spaventati rimasero; la sala Regina Carolina degna figlia dell’illustre sua genitrice Maria Teresa d’Ungheria, mostrando un maschio ed eroico coraggio, per quanto vedesse svanita ogni idea di speranza, che la vittoria di Trafalgar le aveva fatto concepire, avvalorata dalla presenza delle due squadre e delle armate anglo russe, pretese che difendere si dovesse, il trono e la patria fino all’ultima estremità, anziché cederli con viltà. In vero scorgeva senza dubbio quella Sovrana l’impossibilità in cui si trovava un così piccolo Stato di resistere alla gigantesca forza di Napoleone; ma essa sperava che nel disporsi in cotal guisa alla difesa si sarebbe aperta una via più facile ai negoziati. Tutt’i preparativi guerreschi. proporzionati alle forze regolari del paese e delllo spirito delle diverse popolazioni erano di già stati fatti: le Piazze ben guarnite ed approvisionate nulla avevano da temere: in fine eletto un buon sistema di difesa, quale dalla natura medesima del paese viene. indicato, se non potevasi rendere l'invasione impossibile, eravi luogo da lusingarsi di non cedere senza onore, e che l’invasione riuscita sarebbe difficoltosa e pagata a. caro prezzo. In questo fare si venne all’anno 1806.

LV. L’armata francese destinata contro il Regno nostro trovavasi quasicché riunita alla metà di Gennaio fra Bologna e Rimini, verso quel tempo vi si recò il Maresciallo Massena per prenderne il comando, e stabilì il suo Quartier generale a Spoleto, ma il Principe Giuseppe che comparir ne So ve va il Capo non ancora vi si era congiunto. Quest’armala componevasi di francesi ed italiani. e costava di tre corpi: il primo era guidato personalmente dal detto Maresciallo ed ascendeva a 15600 uomini; il secondo sottoposto al Generale Reynier ammontava a 120000, ed il terzo formata, tutto di truppe italiane comandate dal Generale Lecchi contava 10000 e poco più combattenti.

L’avvicinamento di queste truppe fece sì che i Generali Russi ed Inglesi si riunissero a consiglio a Teano per prendere risoluzione se difendere si dovesse, o abbandonare il Regno di Napoli: a que sta congregazione chiamati non vennero né Generali del Re Ferdinando, né Ministro alcuno del suo Stato. Questi stranieri accordati di opinioni deliberarono per la ritirata. Il Lascy perché temeva che i francesi i quali erano già in Dalmazia entrali, non s’impadronissero dell’isola di Corfù, la quale pel trattato del 1801 sotto la Russa protezione era stata messa, e. dalle russe truppe veniva presidiata; il Greig perché diceva non avere ancora ricevute istruzioni dopo gli avvenuti ultimi fatti: tutti poi per quella ragione, troppo comune, che la compagnia del debole e del aggraziato e molto pesante. Ma per non far nascere sospetti presso del napolitano Governo, ambi due i Generali convennero nel dire, e covrire così le menzionate cause, che le frontiere del Regno non sicura base di operazione offrivano, mancando esse di piazze di guerra sulla strada di San Germano e dell'Aquila; essendo quella di Pescara sulle marine dell'Adriatico cosa di assai lieve momento; osservazioni tutte se allora dette e conosciute, alte a non fare opinare, pochi giorni innanti, il predetto collocamento delle riunite forze in quei luoghi al confine del Regno, ma bensì a suggerire l’idea di salire con celeri passi e prontamente nell’alta Italia per trattenere l'impeto di Massena contro dell'Arciduca Carlo. Così mercé queste tardi ed insufficienti riflessioni, il Generale inglese delibero essere assai meglio partito il ritirarsi in Sicilia, e quivi riserbare le proprie forze, per difendere e proteggere la parte insulare del Regno, anziché compromettere tutte le truppe senza speranza di successo per difesa della parte continentale. Ad onta di tutte queste considerazioni il bravo Generale Russo Andrea risovvenne, ai suoi colleghi il dovere sacro che ad essi incombeva come alleati; la compromessione in cui il loro sbarco aveva posto il Regno di Napoli; il vantaggio che veniva ad acquistare l’Imperatore dei francesi col possesso dell’intera Italia; e finalmente il1 discredito politico e morale in cui sarebbero cadute le loro armi e la loro alleanza per un tale vergognoso abbandono. Malgrado questi onesti ragionamenti la primitiva opinione dei Capi prevalse, e la ritirata fu decisa, e tostamente annunciala. La storia imparziale, replico allora l'onesto Generale con viso di sdegno, dirà che io sedeva fra voi a questo deliberamento, ma che non partecipai alle vostre non eque risoluzioni!!!

LVI. Per le menzionate cose il Generale Lascy. scrisse immediatamente al napolitano Generale Damas secondo nel comando di quell’armata riunita: «Essersi da un consiglio di guerra giudicata mi«possibile la difesa ai tutta la frontiera del Regno, e perciò doversi prendere una posizione più concentrata fra Gravina e Matera.» () Poco dopo il Ministro di Russia Tatischtscheff residente in Napoli annunzio alla Corte nostra «che le truppe del suo Sovrano essendo sbarcate negli Stati napolitani come ausiliarie dell’Austria, trovavansi esse costrette a partirne stante la cessazione delle ostilità fra l’Austria e la Francia. Considerarsi quindi ristabilita la neutralità del Regno delle due Sicilie! () Queste cose fu(3g) Documento rono dette, pel sopragiungere d’un corriere spedito dall’imperatore Alessandro al Generale Lascy il giorno susseguente della battaglia d’Austerlitz, il quale, passato, per l’Ungheria e pel golfo di Venezia, giungeva a Napoli il 26 Decembre, e recava ai Russi l’ingiunzione Sovrana «di rilirarsi senza dilazione dal Regno di Napoli e ritornare a Corfù, o nelle altre isole Ionie per difenderle dalle intraprese che tentar vi potessero i francesi.»() Dopo queste estraordinarie e poco convenienti dichiarazioni, sufficienti soltanto a comprovare il mio assunto cioè che i napolitani non altro hanno dagli esteri ricevuti che malanni e compromessioni, si affrettarono i russi e gl’inglesi ad imbarcarsi; e quindi abbandonando gli accampamenti delle frontiere marciarono con modi ed ansietà del fuggire, e fu tanto il loro ritirarsi oprato con temenza, che bruciarono i ponti di barche del Garigliano e del Volturno, come se avessero avuto alle calcagna il nemico, quantunque in quella epoca l’antiguardo francese fosse per anco assai distante dai confini del Regno. Poi si pretende che siamo noi' che di leggieri temiamo!! Imbarcarono essi sotto gli occhi stessi del Re, e tentarono anche tanto gli uni; che gli altri di questi alleati, prima di allontanarsi, d’impadronirsi, sotto specie di amicizia, della marittima e terrestre Piazza di Gaeta, ma ne vennero impediti dalla fermezza del Principe d’Hassia Philìpstal che con buon presidio era stato dal Re destinato a difenderla: questi per mostrare che non fingeva opponendosi ai loro tentativi, dopo aver usati e messaggi e lettere, si trovò costretto a sparare, contro quelli stessi alleali, alcuni colpi di cannone, i quali bastarono per allontanarli.

Ognuno può di per se stesso far concetto dell'impressione, che dovette produrre nell'animo dei nostri soldati il vedersi abbandonati con tal precipitane da’ più potenti alleati, appunto quando esposti per cagion loro al risentimento del vincitore dei primi eserciti di Europa, ci trovammo con un esercito debole, nuovo, disanimato a fronte di un nemico poderoso, agguerrito e preceduto dal prestigio della vittoria; quindi non farà meraviglia se la nostra armata, visto il celere abbandono, non potè opporre quella resistenza, che sarebbe sembrata necessaria. Molti hanno gratuitamente condannati i napolitani anco in questa volta dando loro taccia, che non meritano, (prescindendo ancora dall'antica nostra istoria, che vittoriosamente tali accuse confuta, alla quale non pensiamo, né abbiamo bisogno di ricorrere) rammenteremo, che i popoli della Calabria, come vedremo nel prosieguo dei presenti ragguagli, non furono, per cosi dire, quasi mai conquistati; e che i reggimenti napolitani guidati da buoni uffiziali e non corrotti da verun vizio, illustrarono la gloria delle armi di Napoli nel 1792 in Tolone, ed in Italia nel 1795 e 1799 come di già io dissi; e come diro in seguito in Ispagna dal 1807 al 1813 per le opposte parti; in Russia ed in Danzica nel 1812 e 1815 strappando all'Imperatore Napoleone medesimo, e ad uno dei suoi più bravi luogotenenti il Generale Rapp, dei reiterati ed onorevoli elogi; non che in altre parli, e per qualunque diversa causa avessero essi imbrandite le armi.

LVII. Allorché il Governo di Napoli non ebbe più speranze di aiuti esterni per la ritirata degli alleali, restrinscsi onde deliberare su quanto la necessità delle cose richiedesse. A quegli aspetti, veduto che il Regno, senza indugio, in manifesta perdizione andava, cercossi per migliori espedienti tentare, non abbandonarsi alle armi, ma di stornare la tempesta che minacciava, con pacifici provvedimenti: in questa speranza si prese risoluzione di mandare in contro al Generale francese un Ministro plenipotenziario con facoltà illimitate di proposizioni di pace e di amicizia, per ottenere un armistizio. A cotesta impresa fu prescelto il Cardinale Fabrizio Ruffo, precedentemente nominato allora nostro ambasciatore presso la Santa Sede: era di esso l’incarico, quello d’impegnare la S. Sede ad interporsi per mediatrice di questa nuova trattativa presso l’Imperator dei francesi, indi dirigersi tosto al campo nemico per trattenere la marcia delle truppe che venivano verso il Regno, e finalmente proseguire il viaggio sino a Parigi, o a dirittura presentarsi a Napoleone, ovunque si trovasse a fino di placarlo dal suo impeto, e scusare il fatto dello sbarco; adducendo essere stati troppo forti gli alleati, ed il Regno troppo debole in milizie, per impedire quelle intermissioni. Questa spedizione a dirla in breve riuscì senza alcuno effetto. Il Cardinale Ruffo a stento ottenne i suoi passaporti per continuare il viaggio, e senza essere stato degnate di alcuna accoglienza presso i vari Ministri francesi esistenti per ove egli passava, gli fu ordinato nel terminare di quel Gennaio di presto fermarsi e ritornare indietro sopra Ginevra, donde traversando la Svizzera se gli permise il riguadagnare l’Italia.

Di ciò avutasene conoscenza in Napoli assai a assai a pensare la Certe si delle in cosa oprar si potesse; in fine mettendosi nell’idea, che il nome dell’ambasciatore per i passati avvenimenti dell’anno 1799 avesse nociuto all’accoglienza dell’ambasciata, fu spedito il Duca di Santa Teodora, nome nuovo e senza parti, verso il luogo ove i francesi erano, per tentare novellamente di conseguire il divisato accordo. Fu accolto il Duca bonariamente; ma quando espose, che il Re aveva mancato alla neutralità colla Francia solo per forza patita da’ russi e dagl’inglesi, il Principe Giuseppe ruppe l'udienza dicendogli «che rimanesse, o partisse a suo bell’agio, ma col divieto di parlargli di accordi.» Santa Teodora allora torno in Napoli e narro le cose impostegli, dicendo «essere inesorabile il Principe Giuseppe, perché a Napoleone piacevagli Napoli, essendo di lui cupido volere formare in ogni luogo Stati dipendenti intieramente da esso.» Narrate queste cose il Santa Teodora ebbe comando di attendere di bel nuovo presso di quel Principe qualche opportunità per trattare di pace, epperò per la seconda volta verso, il campo francese partì.

LVIII. Fallite le missioni dell’uno e dell’altro inviato risolvettesi tra i Consiglieri, che il Re si ritirasse in Sicilia, e che seco conducesse la famiglia non che i ministri, e quanti soldati potesse: si delibero altresì, che il figlio primogenito Francesco restasse in questi domini continentali pel provvedimento degli urgenti bisogni, e per tentare, se possibile fosse in ultimo caso, il rappattumare la ferocia dell’animo dell’imperatore, poiché taluni avevano osservato mostrarsi Napoleone personalmente irritato contro la Regina ed il Re, quindi potersi forse accomodare le cose se questi rinunziasse il Regno al figlio. Per quest’opinamento partiva Ferdinando nel 25 gennaio per la Sicilia esso soltanto sul Vascello Reale l’Archimede lasciando in questi domini continentali una Reggenza composta dal Tenente Generale D. Diego Naselli di dragona, dal rispettabile Principe di Canosa vecchio, D. Michelangelo Cianciulli Capo Ruota come Consigliere e D. Domenico Sofia come Segretario, presieduta dal Principe Francesco suo figlio qual Vicario generale del Regno: annunziando nel medesimo giorno della sua partenza alle napolitano popolazioni il seguente manifesto. «Avendo noi creduto necessario di personalmente nel Regno di Sicilia recarci, ad oggetto di provvedere alla sicurezza, ed indipendenza sua, facciamo noto perciò ai nostri amati sudditi di avere a questo Regno di Napoli lasciato il nostro figlio primogenito Principe Ereditario con tutte le più ampie ed estese facoltà per governarlo.» () Alla partenza del Sovrano le popolazioni rimasero in estremo cordoglio, incerte e titubanti, massimamente quella della città di Napoli, poiché temevasi in essa dei francesi che al Regno si accostavano, dei calabresi temevasi ricordando le passate sciagure, e del popolo medesimo avevasi temenza, in fine un panico timore, negli animi tutti, vi dominava. Abbandonato a se stesso il Regno con un esercito che non sommava i 15mila uomini, videsi chiaramente non essere esso sufficiente a poterlo difendere con le armi. In circostanze così fatali e difficili nondimeno fuvvi chi di tentare opino il sostenere il Regno con una generale insurrezione, secondando le mosse delle truppe; ma vedutasi e la mancanza delle Piazze di frontiera, ed il pessimo stato della fortezza di Capua unica centrale, donossi riflessione di non potersi siffattamente la guerra sostenere. L’esempio dell’anno 1799 faceva molto a ragione, a tutte le oneste genti, diffidare dell’uso che il basso popolo avrebbe fatto della forza se il potere ne avesse avuto; questo fondato timore ravvivo Io zelo di un 'gran numero di cittadini ragguardevoli, i quali circondarono all’istante i Signori della Reggenza, e mostrando l’aumentata popolazione, perché in quel tempo sopraggiuugevano nella Capitale ed adiacenze sue, gran numero di proprietari delle Province, che nell’incertezza del vivere nel quale si trovavano rifuggiavano in Napoli, onde sincerarsi di ciò che accadeva, chiesero per mezzo del Segretario della Polizia Generale l’ordine della pronta organizzazione di una guardia civica. La Reggenza, che intendeva tutta l’urgenza di sì giusta petizione vi si presto pienamente nel giorno stesso, e fè pubblicare il Manifesto che siegue. «Dall’Eccellentissimo Consiglio della Reggenza del Regno è stata, nel Real Nome, comunicata al Capo delle la Polizia generale la seguente Sovrana detenni nazione. In vista della Rappresentanza di V. S. Illustrissima della data di oggi, circa la sollecita organizzazione di una Guardia composta di a individui delle migliori classi delle persone di questa Capitale; ha trovato il Re molto bene indicata al buon ordine, ed alla sicurezza comune, la Guardia che propone. È Sovrano volere pero, che questa debba essere tutta volontaria tra persone dabbene, possidenti ed amanti del buon ordine, non eccettuati né feudatari, né cavalieri,. né magistrati, né dottori. Alla testa di ogni Compagnia, la quale garantirà l'ordine del proprio pareggio, vi sarà una o più persone scelta tra i Cavalieri, Magistrati esimili. Siffatta Compagnia sarà divisamente in azione di giorno e di notte, a seconda degli ordini del proprio Comandante, nella cui probità, avvedimento ed esattezza ripone la M. S. la fiducia del mantenimento perfetto della pubblica quiete. Ciascun Comandante darà avviso di qualche notabile avvenimento; ed egli ne farà immediato rapporto alla Reggenza. Dell’esecuzione di questo provvedimento è incaricato il Capo della Polizia, il quale metterà subito in attività i Funzionari di Polizia: e farà ben capire, che quelle l’opera non ha niente di militare, e che non riguarda, se non il mantenimento del buon orti dine; e che resterà sciolta al momento che cesti sera il bisogno. Di Real ordine lo comunicò a V. Sign. Illustrissima per lo pronto ed esatto adempimento. Palazzo li febbraio 1806. Per Fasci senza del Segretario di Stato — Tommaso Colajanni ()

Della pronta esecuzione del medesimo ne furono i giudici di Polizia incaricati ciascuno pel suo quartiere, ed affinché costasse a tutti l’assicurazione della pubblica tranquillità si affisse il presente per gli angoli della città, a firma di Vincenzo Casigli Segretario della Polizia generale.

Tale saggia disposizione ottenne un felice successo; mai fu veduta in Napoli unione più concorde e ferma quanto in questa circostanza, poiché in brevissimo volgere ai tempo riuniti insieme si videro gran numero di persone dabbene, per l'esecuzione di questo assai lodevole pensamento: le strade furono in poche ore inondate da numerosi corpi di cittadini senza distinzione tra loro di condizione, di grado, di nobiltà; la sola differenza la costituiva il merito ed il coraggio: tutti egualmente munite di armi di ogni maniera montavano non a vicenda, ma bensì a gara la guardia della città e di giorno e di. notte, sorvegliando principalmente tutte quelle persone della cui mala fede. ciascuno nel rispettivo quartiere poteva aver conoscenza. A questo ragguardevole numero di armati prestavansi di concerto e per sostegno quei fucilieri che già formavano il Corpo di guardia della Città. sotto gli ordini del Sopraintendente di Polizia. Nel numero di costoro eranvene antecedentemente stati parecchi di assai dubbia fede; ma il Duca d’Ascoli abile al reggimento della Polizia, nel prevenire i disordini che macchinavansi per questi giorni, ne aveva già fatta scelta, allontanando gli altri dalla Capitale: con questi mezzi tanto prudenti che convenienti, la città di Napoli intatta ed incolume ne resto. Gloria sia dunque data a quei cittadini facoltosi, che per la pubblica e comune utilità, sepperò nella circostanza che correva, divenire difensori delle persone e delle proprietà. Possono queste pagine, dettate dal desiderio del decoro napolitano, meritare agli ottimi la ricompensa a cui generalmente aspira l’uomo probo; cioè la stima e la gratitudine delle genti sagge.

Per chiarire le menti di coloro, che si arrestano alle prime informative, senza passare a discutero ed analizzare le cose, che ad essi vengono messe in veduta, è d’uopo far loro avvertire, e ciò con argomenti positivi, che Capi di quest’ottimo divisato furono il Generale Italiano Francesco Pignatelli nato napolitano, come ognuno ben sa, il Brigadiere Fonseca, ed il Capitano di Vascello Maurizio, e non già come dice il Colletta essere stato suo merito, di aver levato in armi 20000 persone proprietarie colla sua voce ed esempio, esso altro non fu di quel numero, che una unità senza antecedente, né altro essere poteva un uomo, che in quel tempo professava soltanto il poltrire nell'ozio e nella dissolutezza, e faceva del giuoco la sua prima passione: queste cose sono documenta bili, né le sue millanterie, delle quali n’è larghissimo spacciatore, valgano a confutarle; quindi è mio debito pregare i miei connazionali a non mettere tanta fede ai fatti narrati da cotesto autore, i quali vengono, per la più parte, esposti, come dissi nel mio Proemio per covrire le proprie enormi nequizie, essendo questo il solo scopo di quella sua storia.

LIX. Fu dalla Reggenza ancora e. dalia Regina rimasta tuttavia in Napoli divisato, che le frappe ragunate a Foggia si fossero, è costrutte alcune opere di campagna sul Volturno ed Acerra, ed a Monteforte; ma non creduto espediente a buon esito questo primitivo disegno fu abbandonato, ed ordinato che Civitella del Tronto, Pescara e Gaeta si presidiassero e si difendessero, e vigorosamente si tenessero; concentrando tutte le altre truppe verso la Calabria sotto gli ordini del Tenente Generale Damas. Il Principe Ereditario ne prevenne col seguente manifesto i popoli delle settentrionali provincie. «Amatissimi figli, e con me fedeli sudditi — Il Re mio augusto e caro Padre avendomi con tutte le più ampie facoltà lasciato nella sua assenza a governarvi e dirigervi, ha dato a vece dermi con mio rammarico estremo che una nere mica imponente forza prossima è ad opprimerci contro ogni diritto, allegando de’ vani pretesti alla sua aggressione, che noi mai abbiamo voluto attirarci, anzi abbiamo procurato per mezzo H di tanti ben noli sacrifizi di allontanarla al più possibile dal territorio nostro. Tutte le paterne et nostre cure rivolte fin’ora ad altro non sono state, che a procurarvi un tanto desiderato bene, per mezzo di una solida e durevole pace. Le molteplici trattative però da noi aperte sull’oggetto, e tutt’i tentati mezzi sono per ora infruttuosi rimasti, non essendo dall’inimico stata ammessa neanco la soddisfazione da noi offerta, tendente a dimostrare la lealtà nostra, e le costanti prese pacifiche misure. Egli a gran passi marcia verso il Regno senza donarci campo ad opporgli una solida resistenza. Abbenché voi miei figli pronti e solleciti sareste a spargere meco il sangue per la difesa del nostro comune padre e Re, e della terra che vi ha data l’esistenza, pure non di meno, per non esporvi al dubbioso esito della a guerra ed al furore di essa, necessario ho Crete auto di ritirarmi con le truppe in Calabria, per ivi tutt’i possibili mezzi riunire, e niente late sciare intentato per fare di voi ricuperò e ben presto fra le vostre braccia tornare, o miei amatissimi sudditi. Questo è il giusto e leale motivo del mio allontanamento, sappiatelo, né altro ve n’ha, e così agendo io mi auguro che tutti i miei sforzi non resteranno paralizzati. Sperando sempre in Dio, che non sarà per abbandonarmi nel pretendere di ottenere la pace, poiché non sono cessate del tutto le già preparale trattali ve. Piegate quindi con me insieme la lesta al volere del Dio degli eserciti, ed alla forza che ci opti prime; né punto vi ci opponete. Conservate nei petti vostri sempre quella ben nota fedeltà in altre volte sperimentala, e ricordatevi che i leggittimi Sovrani da Dio costituitivi in qualunque luogo essi potranno essere, sempre gli occhi su voi rivolti avranno, e saranno per tentare tutto onde trovarsi di nuovo tra voi. Implorate dunque dall’Altissimo, che a noi tutti conceda una permanente pace, con farcela in seno della cara patria godere; e così formando voi ognora la delizia delle Sovrane attenzioni sarete per essere sempre l’oggetto delle paterne future nostre cure.»() Questo manifesto era datato del 6 febbraio.

LX. Scorsi due giorni della propagazione di questo manifesto, cioè nel giorno 8, il Principe Ereditario ed il di lui fratello secondonato Leopoldo, unitamente ai Ministri Colajanni e de Medici imbarcatosi su d’una Fregata prese rotta verso la Calabria, e percorso buon tratto di mare fece sbarco a Sapri nel Golfo di Policastro a poca distanza da Lagonegro, per proseguire il viaggio per terra. Un battaglione dei Granatieri RealiSelvaggi, ed il Reggimento di cavalleria Principe Primo obbediente al Colonnello Sergardi tutti sotto gli ordini del Tenente Generale Duca della Salandra, servirono di scorta alle loro Altezze Reali, le quali truppe partite da Napoli per la via di terra proseguirono il cammino della Calabria costeggiando il littorale del Tirreno.

comandato dal Maggiore

Allontanatisi questi Principi dalla Capitale fu alle popolazioni fatto noto del pari, che il Consiglio di Reggenza già statuito, fornito era delle più estese ed ampie facoltà, e singolarmente di quella di rappresentare la persona del Re. Così disposte le cose nel dì il di quel Febbraio la Regina Carolina non restandole per allora altro scampo e salvezza, che quello di uscire dal Regno continentale imbarcossi su d’un Vascello Napolitano, e con essa le sue figlie condusse, e la Principessa Ereditaria Maria Isabella; molti altri soggetti componenti la Corte anche seguirono quella Sovrana, e gran numero di devoti alla Borbonica dinastia fecero lo stesso: su di numeroso convoglio, destinato anche a seguire il cammino della Sicilia, vennero ritirati i preziosi oggetti, le monete e le cose monetabili, i rari monumenti di antichità e di belle arti, quanto potè togliersi dai magnifici luoghi di delizie Sovrane, tutto fu su quei bastimenti Condotto, Nello stesso giorno del l’imbarco della Regina il Real legno veleggio per Palermo ove dopo terribile e pericolosa procella giunse. Maria Carolina nel partire non dimenticossi dei suoi sudditi, e come altra volta aveva fatto, lasciò grandi elargizioni da per ogni dove, assicurando ancora, e dicendo che se le fosse stato possibile, ben presto essa sarebbe ritornata in Napoli, e se il bisogno il richiedesse essa medesima si porrebbe alla testa della sua armata per riacquistare questi domini continentali.

Nel domani della partenza da Napoli della intera Corte videsi nella Capitale uno universale lutto, misto a terrore e sgomentamento di animo. Accrebbe perplesso stato un grave tentativo dei carcerati ritenuti nel Reale Albergo dei Poveri i quali circa 2mila erano, condannati tutti ai ferri, che se effetto avesse avuto, andata sarebbe in totale rovina la Capitale del Regno; poiché questi carcerati, con l'aiuto di molti del volgo la sera del mercoldì febbraio da quel luogo tentarono evadere: i primi infatti ad oprar l'impresa uccisero la sentinella, e ferirono due altri di coloro che custodivano l'ingresso, ma non ebbero il tempo di facilitar l’uscita anche ai loro compagni. I pochi fucilieri che vi si trovavano in compagnia della guardia civica accorsero alla difesa della porta, e sostennero contro la turba degl’insorgenti un fuoco vivissimo, per modo che quelli atterriti, tenevano fra di loro consiglio sulle risoluzioni da prendere, mentre, non aspettandosi tanta resistenza per parte dei fucilieri, cominciarono a dubitare dell’esito della loro impresa, e credettero tradito il loro segreto. Giunse intanto un rinforzo dal vicino corpo di guardia di S. Carlo all’Arena a cui unironsi molti della guardia civica accorsi al rumore, e con essi alcuni soldati a cavallo, che a quell’ora incidentemente passavano di là; e questa poca truppa pel suo deciso coraggio e fermezza fu sufcientissima, virilmente percuotendo contro quei maliavvogliati, a rimetterli di bel nuovo dentro le carceri, cincendoli pure dei ferri che di già precedentemente si avevano tolti, facendo ad essi per forza riacquistare la quiete.

LXI. Svanito un tal colpo di sollevazione il Consiglio di Reggenza, dando pensiero strettamente alle circostanze correnti, ad estremi casi videsi ridotto; tanto più ch'erasi venuto a conoscenza che nelle carceri di Castel Capuano incominciavasi a manifestare un novello fermento di simile natura del precedente, che mercé la vigilanza e lo zelo del Caporuota Francesco Giampietro, tenuto allora a presedere alla custodia di quelle carceri, venne sventalo. Credè il Congregato di Reggenza per questo nuovo malanno che minacciava, conveniente e salutare espediente, Rinviare una deputazione a Giuseppe Buonaparte onde affrettare nel Regno il suo ingresso e quello delle genti a lui obbedienti, e cosi tener salva la Capitale da alcuna terribile sedizione, e non esporre il Regno intero alle dolenti passate stragi. Ma tal divisato effetto non ebbe, poiché si rapido il cammino delle truppe francesi era stato, non venendo da ninno ostacolo trattenuto, che inutile riusciva incitarli a cio; ed in quel tempo che, si cercava il sollecito loro movimento, si trovava tutta la parte settentrionale dello Stato invasa, e riempita di tanta estranea gente, che fu forza cambiar consiglio, per non vedere tutto precipitare, manifestandosi la plebe assai avversa a quell’affrettamento; e quindi incerto ancora il Consiglio di Reggenza su qual partilo scegliere, delibero altro espediente contrario del tutto al primo, mandando il Duca di Campochiaro ed il Marchese Malaspina al luogotenente dell’Imperatore per ottenere un armistizio, ed avuto in risposta un assoluto rifiuto, concordo rimettere al nemico le piazze, i forti del Regno ed i castelli della Capitale, a solo patto di rispetto alle persone ed alle proprietà. Un solo dei reggenti il venerabile consigliere Cianciulli opino ardentemente contro la cessione delle Piazze, ma prevalse l’avviso degli altri due non meno illibati, ma meno animosi di lui. Dal che noi argomentiamo non essere tali consessi buoni a regolare lo Stato nei tempi procellosi, perciocché la soverchia prudenza degenera spesso in timidezza, e chi ha paura è incontrastabilmente per metà vinto. Era net momenti di pericolo, che si crearono i Dittatori, accio l’azione del governo fosse stata pronta, energica e senza opposizione. L’importante si è di trovare l’uomo che al senno accoppi la forza del carattere, e l'calma del vero coraggio, per confidargli tutt’i poteri. La Real Corte non fu punto felice nella sedia di un tal uomo nell’anno 1799, e forse per questo preferì di lasciare il governo del Regno nelle mani di una Reggenza nel 1806. Le condizioni segnate da quei due messi col Generale Supremo di Francia per la reddizione delle Piazze e dei Forti della Capitale furono le seguenti: «per quella di Gaeta a e sua guarnigione si accordarono gli onori della guerra, uscendone il presidio con armi ed arnesi; depositando le armi sulla spianata della piazza, e riserbando gli uffiziali le spade ed il bagaglio; dichiarando appartenere all’armata francese ogni genere di munizioni da guerra, e tutto il dippiù che in essa si trovava. Per quella di Capua convennesi restare la guarnigione prigioniera di guerra ritenendo gli uffiziali le loro spade ed i propri effetti, consegnando la Piazza, tal quale esisteva, ad uno dei Generali di Francia. Per quelle di Pescara e di Civitella del Tronto, ed i Forti della Capitale, come Sant’Elmo, dell'Uovo, del Carmine ed il Castel Nuovo, non che il Castello di Bata e quelli di Puglia, furono convenute le medesime condizioni che per la Piazza di Capua, restando i presidi in libertà di ridursi ove loro a grado tornavagli. ()

Anche questa volta come nel 1799 le nostre Piazze erano comandate da stranieri, due dei quali il Generale Gualengo bolognese comandante di Capua, ed il Generale Salis svizzero di quella di Pescara, ubbidirono alla ingiunzione della Reggenza di consegnare le Piazze ai francesi. Ma il Principe di Hassia Philipstal Governatore di Gaeta, ed il colonnelli Wade irlandese comandante di Civitella del Tronto dichiararono risolutamente, come saro a far palese, di voler difendere sino all’estremità, non ostante gli ordini dei Reggenti, le fortezze confidate dal Sovrano al loro onore ed alla loro lealtà. Nobile risoluzione, che molto più nobilmente sepperò mantenere!

LXII. Tal’era lo stato delle cose di Napoli in questi ultimi giorni precedenti all’occupazione militare dei Francesi. Intanto i tre corpi di armata, come sopra dicemmo, marciando a grandi giornate per le rispettive loro direzioni, di tratto in tratto incontravano dei fedeli borboniani riuniti che loro contrastavano il passo; ma per l’incertezza in cui si viveva allora, nella parte settentrionale del Regno non gli stessi slanci estraordinari si videro oprare, che nell’altra innanti detta venuta dei Francesi.

Nello atto medesimo, che le condizioni della reddizione delle Piazze, e dei Forti vennero firmate, fu dato ordine da Giuseppe Buonaparte al corpo di vanguardia sotto del Generale Partonneaux di marciare all’istante su di Napoli. Informata la Reggenza di questa disposizione spedì in contemporaneo tempo a tutt’i Comandanti delle Piazze e dei Forti i bullettini delle rispettive loro capitolazioni per l’adempimento di esse. Stante la disposizione del Buonaparte il Generale Reynier che fatto aveva alto a Mola, per esplorare i sentimenti del Comandante di Gaeta, avendo avuto totale rifiutò della sua dimanda, come nel prosieguo dettaglieremo allorché delle operazioni di questa Piazza si terrà discorso, lasciato un corpo di 1500 uomini all’osservazione di quella, porto avanti la sua marcia in appoggio di Partonneaux per l’occupazione di Capua, e questa aperte avendo le porle vi entrò esso tranquillamente nel giorno istesso che vi giunse il corpo del centro.

La Reggenza saputa essere le truppe francesi nella prossima Capua pubblico nel dì medesimo 15 febbraio il manifesto che siegue. «Nella trattative tenuta col Comandante della truppa francese dai deputati stabiliti dal Consiglio di Reggenza, merci colle istruzioni avute dalla M. S. (D. G.) si è tra l’altro convenuto, che la truppa medesime ma già diretta a venire in questa Capitale, vi entri tranquillamente, rispettando specialmente le persone e le proprietà. Mentre il Consiglio di Reggenza ne fa la manifestazione al pubblico; lo avverte che la truppa suddetta entrerà forse domani il dì 14 di questo mese; e rammentando gli ordini antecedentemente dati, ripete, che nissuno ardisca di Sire in qualunque guisa me noma resistenza, complotto, o criminosa. unione, altrimenti sarà rigorosamente e subitamente punito colle pene militari.

Napoli 13 febbraio 1806.

«Diego Generale Naselli —

«Il Principe di Canosa —

«Michelangelo Cianciulli — ()

L’emanazione di questa disposizione, le provvide cure di sollecitudine e di antiveggenza usate da quei Reggitori, e l’instancabile attività e vigilanza sempre tenuta dalla gente della Guardia Civica pel buon ordine e sicurezza pubblica fecer sì, che questi giorni precedenti alla nuova occupazione, supposti di scompiglio e di disordine, passassero nella Capitale tranquilli ed a niuno molesti.

Fine della parte prima del Volume secondo.






























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