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GARIBALDI

O LA CONQUISTA

DELLE DUE SICILIE

RACCONTATA DA UN TESTIMONE OCULARE

LIVORNO

L' Editore Santi Sorraglini

1861


(02)

(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)


Garibaldi o la conquista delle due Sicilie - Parte 01

Garibaldi o la conquista delle due Sicilie - Parte 02

17 Luglio

Ecco in la storia di domenica. Una cospirazione reazionaria era stata organizzata; il fatto è provato; se ne nominano i capi. Io non ripeto i nomi, perché non ho ancora prove sufficienti. Si sa solamente che i soldati di certi corpi avevano ricevuto del denaro per assalire la popolazione, promuovere la resistenza e ripristinare il potere assoluto. L'impulso veniva evidentemente da Gaeta, ove la feccia della camarilla ha stabilito il suo quartier generale.

Questo colpo distato doveva provarsi in varie parti del regno. Non l'han tentato che a Santa Maria, a Capua, a Caserta ed in altri luoghi circonvicini, e finalmente a Napoli.


Qui si sono mossi i granatieri della guardia. Domenica era data loro licenza d'uscire; non avevano altro che le loro sciabole:

le hanno sfoderate da prima alla porta capuana, poi nella via Toledo, un po' da per tutto. Assalivano la gente, le carrozze, brandendo le sciabole, e costringevano tutti quelli che essi incontravano a gridare viva il re! Nel modo stesso hanno assalito il console inglese, il ministro di Prussia, ammiraglio Le Barbier de Tinan. Altrove, percuotevano alla cieca, senza intimazione, ferendo e uccidendo ad occhi chiusi; invadevano i caffè e i pochi fondachi e botteghe aperte, e rompevano i vetri. Quei soldati erano ubriachi, furiosi, schifosi; la loro ferocia era pari alla loro codardia.

Non aggiungo le particolarità; sono cose che non si credono se non si vedono; fortunatamente la popolazione non ha fatto resistenza. Il governo sorpreso cosi all'improvviso ha lasciato fare. Non c'è stata né guerra civile, né incendio, né saccheggio; lo scopo non è stato raggiunto. Dopo un quarto d'ora, i ministri, i generali, gli uffiziali, chi con buone parole, chi con minaccio, alcuni anche con qualche sciabolata, hanno respinti i granatieri nelle loro caserme. Oggi tutto è quieto.

Invece di promuovere una reazione, gli agitatori hanno indebolito l'autorità regia. Non suppongo mica che il re fosse d'accordo

Se non che, tutto ciò ci costa caro. Fra morti e feriti v'ha certamente una sessantina di vittime. 1 granatieri sono fieri soldati quando non trovano resistenza. Il ministero è riformato, ma non completato. I Sigg. Spinelli, Manna, e de Martino restano.

Il

Si dice che i Napoletani mostrano poca premura per iscriversi nella Guardia nazionale; non è vero. Sono i sindaci che si oppongono alle iscrizioni per la strana ragione che i comandanti nominati dal re l'altro giorno non hanno accettato quell'onore insigne. La nuova del comando supremo accordato al principe Ischitella non è stata accolta bene da per tutto.

17 Luglio, di sera

Non finirei mai se volessi raccontarvi tutti gli eccessi commessi dai soldati. Un testi

Parecchi ufficiali di marina non hanno accettato la formola del giuramento. Intendono giurare fedeltà al re, ma a patto di non prender mai l'armi contro il loro paese. Il contegno della marina è veramente ammirabile. Oltre il maggiore Nunziante (dissimile affatto dal generale di questo nome), varj ufficiali si sono segnalati nel fatto di domenica. Un capitano Hueber, napoletano, del battaglione di cacciatori (che non è più svizzero) ha comandato alla sua compagnia di marciare contro i granatieri. Un caporale, veduto ciò; ha detto alla sentinella di guardia dinanzi al teatro San Carlino, di mirar bene

militare dicendo:

«Noi li abbiamo un po' bastonati, voi finiteli!» Malgrado queste violenze non hanno commesso il benché minimo furto; al contrario, i lazzaroni arrestavano i ladri; gli esuli che ritornano si meravigliano dei progressi che ha fatti questo popolo in probità ed intelligenza da dodici anni a questa parte.

18 Luglio

Jeri, nelle ore pomeridiane, il generale Ischitella, comandante supremo della Guardia nazionale, ordinò ch'essa si raccogliesse la sera stessa e incominciasse il suo servizio. Nella giornata, siccome accennai, i sindaci avevano respinti quelli che andavano ad inscriversi nell'armata cittadina, allegando che i capi di battaglione, nominati dal re, non avevano accettato l'ufficio; ma l'obiezione ha dovuto cedere all'ordine formale d'Ischitella, che è un grandissimo personaggio.

Una sessantina di fucili (buoni assai, ma molto pesanti) erano stati già depositati presso il sindaco di ciascun quartiere pel servizio della guardia nazionale, ed in cinque quartieri una quarantina di Napoletani sonosi

La guardia reale non è stata disciolta; ma allontanata da Napoli; essa è partita questa notte, alla chetichella e s'ignora per dove.

Stamane il Giornate Officiale ci reca un ordine del giorno del principe Luigi di Borbone (conte d Aquila) dato da S. A. R. nell'assumere il comando generale della marina; e un rapporto dello stesso principe al ministro, sul giuramento prestato alla costituzione dall'armata di mare. Cotesti documenti sono pieni di parole liberalissime e italianissime.

Segue un rapporta sull'affare del Veloce:

1 piloto 1 nostromo, e il contestabile. i quali vollero così coprirsi di vergogna.»

L'11 il Veloce pigliò il largo, per impadronirsi dell'Elettrico, che doveva venire da Taranto; ma predò invece due vapori mercantili noleggiati pel servizio del re, il duca di Calabria e l'Elba, sui quali ufficiali subalterni, tre capitani e un ajutante, di passaggio, furono presi, poi condoni a Palermo, e finalmente rimandati tutti insieme a Napoli da perché ricusarono di servirlo. Giunti qui il 15 sono stati tutti premiati con un grado d'avanzamento, un mese di soldo la medaglia del merito pei comuni, e la croce di Francesco I per gli ufficiali.

Il comitato segreto ha tosto risposto all'articolo officiale col seguente manifesto affisso questa mattina:

Notizie Interne

Palermo, 10 Luglio - Stamane alle ore nove gittava l'ancora nella nostra rada l'ex vapore napoletano il Veloce, quello stesso che apparteneva, nel 1849, al governo di Sicilia col come d'Indipendenza, e che fu sequestrato a Marsiglia, nell'aprile del 1849

«Questo bastimento trovavasi ieri a Messina quando quattro uffiziali, tra cui il comandante, che avevano concepito da qualche tempo il nobilissimo e ardito disegno di spogliarsi della livrea borbonica, ma che non avevano potuto, per gravissime circostanze, eseguire quel disegno, lo comunicarono all'equipaggio, il quale lo accolse con sentimento unanime. Verso sera il bastimento si diresse verso Palermo.

«Avvertito dell'arrivo e del fatto, il generale dittatore si recò sul Franklin, ove trovavasi già il comandante Anguissola. Questi si presentò al dittatore, che Io abbracciò, facendo le stesse accoglienze agli ufficiali del Veloce che gli furono presentati. Poi il dittatore, accompagnato dal Comandante e dai suddetti ufficiali, si recò sul Veloce ove giunto fu salutato dalle accia fruizioni dell'equipaggio, - alle quali rispondevano quelli navi vicine, - e ricevuto cogli onori dovuti all'alto suo grado. Quivi in una breve allocuzione il dittatore espresse la sua soddisfazione verso quei prodi marini e concluse dicendo: «Voi siete adesso della nostra famiglia. In nome della patria io vi esprimo i sentimenti della più viva gratitudine.

Io

son pronto a fare individualmente per ciascuno di voi, e per le vostre famiglie, tutto quanto può abbisognarvi. Se alcuno di voi vuol partire, - il che non temo, - egli ne avrà i mezzi; se vuoi rimanere, ciascuno di voi sarà considerato siccome il degno figlio della patria.»

A questo discorso risposero i più entusiastici applausi. Oggi gli ufficiali del Veloce sono invitati a pranzo dal dittatore.»

Come vedete le due narrative non consuonano; può pertanto ciascuno scegliere la sua. Tra gli esuli tornati noveransi Mariano d'Ayala, uno dei più bei caratteri del nostro tempo. ed il generale Ulloa, l'eroico difensore di Venezia.

Napoli 24 Luglio

La situazione e più complicata che mai; ognuno' segue la sua via; e da per tutto vi ha lotta; in su, tra la camarilla ed il ministero,-il re frammezzo; in giù, tra l'armata ed il popolo, a traverso dei quali, la stampa, la nuova polizia, la guardia nazionale seguono anch'essi la loro via. Tutte le autorità discordanti, conflitto di influssi contrarii, che sconcertano l'opinione: la diplomazia, il Sig. di Cavour. Vittorio Emanuele mostrano di non intendersi e operano separatamente. In questo garbuglio v'ha un uomo, un solo uomo, logico, immutabile inflessibile, che va innanzi, innanzi, senza deviare d'un capello, che sfida le potenze, le leggi, ed anche l'opinione,- cotest'uomo è Garibaldi, quel Garibaldi che prenderà Napoli.

Per ora, è il ministero che trionfa contro la camarilla, che l'assottiglia, liceo altri nove membri influenti di quel consiglio privato che s'allontanano da Napoli per ordine superiore; almeno così si afferma, e si nominano il generale Nunziante, il maggiore Saverino, i generali del Re, Latour, Sangro, e Ferrara, il principe Scaletta, il duca d'Ascoli.

Così trionfa il popolo. dell'armata. Erasi annunziato per ieri l'altro una ripetizione delle scene di domenica passata; se non che i lazzaroni hanno assunto un sì fiero contegno, preparato tali mucchi di pietre nei loro arsenali estemporanei, che le autorità militari hanno temuto pei loro soldati, egli hanno consegnati nelle loro caserme. Contuttociò, nei contorni di Napoli quella soldatesca commette violenze, le quali, benché isolate, non sono perciò meno deplorabili. E il re di rado punisce cotesti atti di brutalità. I granatieri della guardia sono stati mandati a Portici; non hanno avuto altra pena.

Il re non osteggia la reazione, perché diffida del popolo; e il popolo diffida del re, perché egli non osteggia la reazione. Ecco il cerchio vizioso dal quale non possiamo uscire. In corte si. crede cavarsi d'impaccio accarezzando gli uni e gli altri. Ma nessuno è contento. Il re non può riacquistare la fiducia, se, come suoi dirsi, non da fuoco alle sue. navi. Ma, anche bruciando le navi, non è sicuro di riguadagnare la perduta fiducia. Interrogate chi volete a Napoli, anche i capi di divisione nei ministeri - vincolati dal loro giuramento alla dinastia, - essi dichiarane che non ne voglion più. Dinanzi a tanta opposizione, che fare? Cedere ogni cosa? Ma sarebbe lo stesso che abdicare.

Ecco lo stato delle cose, e credo giudicarne rettamente.

Se non che rimane al re un partito, pochi uomini fedeli, ogni giorno più rari, che lo seguono desiderando ch'egli cammini: questi pretendono che gli affari non vanno male, che i negoziati procedono a Torino, che una lettera autografa di Vittorio Emanuele a Garibaldi è partita per Palermo., che la camarilla disarmata abbandona affatto il re, che il generale Nunziante gli rimanda le sue decorazioni, che la fiducia sta per rinascere... Lo desidero di cuore, ma non ne vedo alcun indizio intorno a me. Io non vedo altro che una defezione universale nelle amministrazioni, che si volgono verso il sole nascente; tra gli uffiziali, che danno le loro dimissioni; presso i paurosi, che aspettano l'annessione per avere la pace; presso i lazzaroni, che acclamano il loro Galubbarde; presso i giornalisti, che lo celebrano a cielo nei loro diarii, ed anche presso i cercatori d'oro, che non voglion più il re, e brigano presso i ministeri per avere impiego. Questa cupidigia, della quale nei primi giorni si erano astenuti, diventa tanto scandalosa, che ha dato luogo ad una circolare ministeriale, la quale richiama i Napoletani all'ordine, consigliando loro un po' di discrezione e di dignità.

25 Luglio

Trascrivo sul combattimento di Milazzo una lettera di Alessandro Dumas, perché è drammatica come un capitolo di romanze, mentre varii testimoni del combattimento la dicono esatta come una pagina di storia. Questa lettera è scritta da Milazzo, la sera del sabato 21 luglio, al colonnello Siciliano Carini, già esule a Parigi, e recentemente ferito a Palermo.

La battaglia di Milazzo

«Mio Caro Carini

«Gran combattimento, gran vittoria? - settemila Napoletani sono fuggiti davanti a duemila cinquecento Italiani.

«Ho pensato, che questa buona notizia sarebbe un balsamo per la vostra ferita, e vi scrivo sotto il il cannone del castello, che tira a casaccio, sia detto a sua lode, sulla città d'Edimburgo e sulla vostra umilissima serva l'Emma. Intanto che Bosco consuma la sua polvere, abbiamo il tempo di chiacchierare. - Chiacchieriamo.

«Ero a Catania 3 quando intesi confusamente che una colonna napoletana era partita da Messina, e muoveva incontro a Medici. Mandai tosto un messo al console francese di Messina, il quale mi rispose che la notizia era esatta.

Abbiamo tosto salpato, sperando giungere in tempo a Milazzo per vedere il combattimento.

«Il posdimani; in fatti, nel momento in cui entravamo nel golfo orientale, il combattimento era già ingaggiato.

«Ecco quello che accadeva. Potete credere all'esattezza dei fatti, poiché i fatti accadevano sotto i nostri occhi.

«Il generale Garibaldi, partito il 18 da Palermo, era giunto il 19 al campo di Miri; già da due giorni avevano avuto luogo varie scaramuccie.

«Appena giunto egli aveva fatto la rassegna delle truppe di Medici, e n'era stato accolto con entusiasmo.

«La domane all'alba, tutte le truppe erano in moto per assaltare i Napoletani sortiti dal forte, e dal villaggio di Milazzo. ch'essi occupavano.

«Malenchini comandava l'estrema sinistra, il generale Medici e Cosenz il centro; la destra; composta semplicemente di alcune compagnie, non aveva altro carico fuorché di cuoprirc il centro e l'ala sinistra contro una sorpresa.

«Il generale Garibaldi collocossi al centro, vale a dire là dove pareagli che lo scontro sarebbe più vivo. Il fuoco incominciò sulla sinistra, a mezza strada da Miri a Milazzo.

«Ora i volontarii incontravano le prime guardie napoletane nascoste nei canneti. Dopo un quarto d'ora di moschetteria a manca, il centro alla sua volta si è trovato in faccia della linea napoletana, e l'ha assalita e sloggiata dalla sua prima posizione. «Frattanto, la destra cacciava i Napoletani dalle case, ch'essi occupavano. Ma gli ostacoli del terreno impedivano che i rinforzi giungessero. Bosco spinse una massa di 6.000 uomini, contro i cinque o seicento assalitori che l'avevano costretto a retrocedere, e che oppressi adesso dal numero» erano stati alla lor volta costretti a retrocedere.

«Il generale mandò tosto per rinforzi, e tosto che questi furon giunti, assaltò di nuovo il nemico nascosto nei canneti e riparato dietro molte piante di fico d'India. Coteste era un grave svantaggio per gli Italiani che non potevano assaltare colla bajonetta. Medici conducendo la sua gente ebbe morto il cavallo sotto. Cosenz aveva ricevuto una palla morta nel collo, ed era caduto; lo credevano ferito mortalmente, quando si rialzò gridando: Viva l'Italia! La ferita era leggiera.

«Garibaldi si mise allora alla testa dei carabinieri genovesi, con alcune guide e Misori. Egli si era proposto di prendere a rovescio i Napoletani, e assalirli di fianco, tagliando così la ritirata a una parte dei 5 medesimi; ma trovarono sulla via una batteria di cannoni, che si oppose a questa «mossa.

«Misori ed il capitano Statella si avanzarono allora sulla strada con una cinquantina d'uomini; Garibaldi si misi alla loro testa, e diresse la carica. A venti passi il cannone caricato a mitraglia fece fuoco.

«L'effetto fu terribile; soli cinque o sei uomini rimasero in piedi. Il generale Garibaldi ebbe portata via la suola del suo stivale, e la staffa; il suo cavallo, ferito, divenne indomabile, ed egli fu obbligato ad abbandonarlo, lasciandovi il suo revolver. Il maggiore Breda e il suo trombetto giacevano morti presso di lui; anche il Misori cadeva sotto il suo cavallo percosso mortalmente; Statella rimaneva illeso in mezzo ad un uragano di mitraglia; tutti gli altri erano morti o feriti..

«Qui le particolarità scompariscono nell'insieme; tutti si battono; e si batton bene.

«Il generale vedendo allora la impossibilità di prendere quel cannone, che aveva fatto tutta quella strage di fronte, raccomanda a Misuri e a Statella. quando fosse varcato il canneto, di scavalcare il muro che si sarebbe parato loro davanti; e siccome, varcato il muro, essi si dovevano trovare a breve distanza dal pezzo di cannone, di avventarsi sopra di quello.

«Quella mossa fu eseguita dai due uffiziali e da una cinquantina d'uomini che li seguivano, con bell'ondine ed impeto meraviglioso; ma quando essi giunsero sulla strada, la prima persona che vi trovarono fu il generale Garibaldi, a piede, e la sciabola in pugno.

«In quel momento, il cannone fa fuoco, e uccide alcuni uomini, gli altri si scagliano sul pezzo, se né impadroniscono, è lo trascinano dal lato degl' Italiani.

«Allora l'infanteria napoletana si apre, e da il passo a una carica di cavalleria che slanciasi per riprendere il cannone. Gli uomini del colonnello Donon, poco avvezzi al fuoco, si gettano ai due lati della via, invece di sostenere la carica alla baionetta; se non che, a' manca li trattiene la siepe di fichi di India, a destra un muro. La cavalleria passa come un turbine. Allora dalle due parti i Siciliani fanno fuoco; hanno ripreso animo.

«Bersagliato a destra e a manca, l'ufficiata Napoletano si ferma, e vuole tornare indietro; se non che, allora, egli trova nel mezzo della via il generale Garibaldi, Misori, Statella, e cinque o sei uomini che gli chiudono il passo.

«Il generale salta alla briglia del cavallo dell'ufficiale e gl'intima d'arrendersi. L'ufficiale risponde con un fendente; Garibaldi lo para; e con un manrovescio gli apre la guancia; l'ufficiale cade; tre o quattro sciabole minacciano il generale, il quale ferisce uno dei suoi assalitori con una puntata; Misori ne uccide due altri, ed il cavallo d'un terzo con tre colpi di revolver; anche Statella mena la spada, e un uomo cade; un soldato scavalcato s'avventa ni collo di Misori, ma questi g!i fracassa la testa con un quarto colpo di revolver. Mentre ferve questa lotta da giganti Garibaldi ha rannodato gli uomini sparpagliati; ora ne fa un nodo, e si scaglia con essi, sul nemico, e mentre i suoi uccidono o fanno prigionieri i cinquanta soldati di cavalleria, dal primo fino all'ultimo, egli raggiunge finalmente, secondato dal rimanente del centro, i Napoletani, i Bavaresi, gli Svizzeri, cui sfonda colla bajonetta. I Napoletani fuggono, gli Svizzeri, e i Bavaresi reggono un momento;

ma travolti anch'essi in quello scompiglio, si salvano: la giornata è decisa; la vittoria non spetta ancora agli eroi italiani; ma già loro sorride.

«Tutta l'armata napoletana ritirossi sopra Milazzo. Gl'Italiani la inseguirono fino alle prime case; là, i cannoni della fortezza presero parte al conflitto.

«V'è nota la situazione di Milazzo, che sorge a cavallo sopra una penisola. Il combattimento che aveva avuto principio nel golfo di levante, s'era voltato a poco a poco al golfo occidentale; nei golfo sorgevo la fregata il Tukeri, l'antico Veloce. Il generale si rammenta d'essere stato prima di tutto marinaro; egli salta sul ponte del Tukeri, s'arrampica sui pennoni, e di lassù domina il combattimento.

«Una schiera di cavalli e di fanti napoletani sortiva dalla fortezza per dare ajuto ai regi; fa puntare un pezzo da sessanta su cotesta gente, e, a un quarto di tiro, le manda una grandine di metraglia. I Napoletani non aspettano un secondo colpo e fuggono.

Allora s'ingaggia la lotta fra il castello e la nave. Quando il generale vede come gli sia riuscito di tirare sopra di se il fuoco del forte, egli salta in una barca con unae si getta nella uffa di Milazzo.

«Cotesta moschetteria durò ancora un'ora, poi i Napoletani respinti di. casa in casa, rientrarono nel. castello.

Io, standomene sul ponte della goletta, era stato spettatore del combattimento. Ero impaziente d'andare ad abbracciare il vincitore. Calava ormai la notte; mi feci per tanto anch'io calare a terra, ed in mezzo alfe ultime fucilate entrammo in Milazzo.

Difficilmente potrei descrivervi il disordine ed il terrore, che regnavano nella

città poco patriotta, per quanto mi dicono.

I feriti ed i morti giacevano nelle strade. La casa del console francese era ingombra di moribondi; tra i feriti v'era il generale Cosenz. Nessuno frattanto poteva dirmi dove erano Medici e Garibaldi. In mezzo a una brigatella di ufficiali, riconobbi il maggior Cenni, il quale si prese l'assunto di condurmi presso il generale. Giunti sulla sponda del mare, seguimmo la marina, e finalmente trovammo il generale sodo il portico d'una chiesa, col suo stato maggiore coricato intorno a lui.

Egli s'era sdrajato sul pavimento, col capo appoggiato alla sua sella; vinto dalla stanchezza, dormiva.

«Davanti a lui vidi la sua cena: un pezzo di pane, una brocca d'acqua.

«Caro Carini, io mi credei invecchiato di duemila cinquecento anni; ero al cospetto di Cincinnato.

«Dio ve io conservi, miei cari Siciliani. Se lo perdeste, il mondo tutto, quanto è grande, non potrebbe darvene un altro.

«Avrei ancora molte cose da dirvi; ma «ve le racconterò a voce. Il generale s'è destato; egli mi ha riconosciuto, e mi vuol seco dimani tutto il giorno.

Vostro di cuore

ALESSANDRO DUMAS

Ho ricevuto in seguito dal general Bosco (che era soltanto colonnello a Milazzo) un rapporto molto circostanziato, ma affatto militare, di quel combattimento ormai celebre. Il rapporto non contraddice quello d'Alessandro Duihas sui fatti; v'ha differenza solamente, e somma, nel numero dei combattenti. Il Sig. Bosco dichiara ch'egli non aveva con se che battaglioni e mezzo di cacciatori, dei quali 4,600 uomini soltanto hanno partecipato al conflitto. Egli pretende non aver perduto che un solo obice. Mi limito a citare la fine di quel documento, datomi dallo stesso generale:

«Il combattimento durò otto ore e mezzo, senza farci mai abbandonare le nostre posizioni, benché il nemico facesse grandissimi sforzi spingendo sempre nuove masse per rompere il nostro centro, e impedirci di rannodarci, e ripiegarci sopra Milazzo, base nostre operazioni.

«Per quanto grande si fosse il valore dei nostri cacciatori, il lungo loro combattere contro masse del continuo rinnuovate a brevissimi intervalli, e la mancanza di truppe da sostituire, dal canto nostro, alle truppe già stanche, indussero il colonnello del Bosco a cedere il terreno a palmo a palmo, ed a prendere m Milazzo lo posizioni già stabilite. Frat

«Le nostre perdite sommarono a 2 uffiziali morti e 8 feriti, oltre 38.soldati morti e 83 feriti. Il numero dei soldati perduti ascende a 31 soltanto, trai quali noveriamo i morti ed i ferii i lanciati sul campo di battaglia.

«A detta dei prigionieri e dei sott'uftiziali disertori che si appressarono al castello nei momenti di tregua, il nemico ha avuto 1,100 uomini fuori di combattimento, e, fra i morti, molti ufficiali. Il fatto è stato

confermato dal console piemontese all'intendente di Messina, dalla qual città partirono molte vetture e dottori dei contorni.

«Inoltre, lo stesso Garibaldi ha detto al Sig. Salvy comandante del Protis, ch'egli aveva perduto più di 800 uomini, e che non aveva seco più di 8,000 uomini, sebbene tutti, non esclusi i prigionieri, si accordino a dichiarare che noi fummo assaliti da circa 12,000 uomini.

«Un fatto incomprensibile si è il timido ingresso dei nemici nel paese. Essi sparavano, senza necessità, colle loro carabine, dalla cima dei promontori che circondano il castello, e non avrebbero cessato dal trarre, se non ce ne fossimo rimasti quieti.

«Il cavaliere Salvy, comandante del Protis, andò a visitare il colonnello del Bosco la mattina del 25 nel castello; e dopo varie parole si provò a dirgli in nome del Sig. Garibaldi (sic) che gli offrivano di lasciarlo ritornare a Napoli, con tutti i suoi ufficiali, serbando le loro armi, e lasciando indietro tutta la truppa. Lo ammonivano nel tempo stesso, che se si opponeva a cotesta proposizione, farebbero saltare lui, colonnello Bosco, e tutto il presidio del forte al termine di quarant'otto ore.

«Il colonnello del Bosco rispose tosto risolutamente, che preferiva saltar solo sedendosi sui luogo ove era situata la mina, piuttostochè accettare condizioni disonorevoli, o lascerebbe giudicare alla storia chi fosse il più prode e generoso, se il vincitore o il vinto; standosene questi nel forte perché era stato respinto da forze quintuple.

«La capitolazione fu conchiusa - la domane 24 dal Sig. colonnello Ansarli, dello stato maggiore, mandato da Napoli espressamente con quattro fregate, per trattare della uscita del presidio; sicché il colonnello del Bosco dovette sottomettersi, suo malgrado, a ciò ch'era stato stabilito per ordine superiore. Ed il signor Garibaldi, benché avesse stipulato l'uscita della guarnigione cogli onori della guerra, chiese vilmente ed ottenne per condizione espressa che gli cedessero i due cavalli, che erano d'esclusiva proprietà del colonnello del Bosco.

«Un tal modo di procedere mostra la gravita del pericolo in cui una mano di prodi Napoletani aveva messo il Sig. Garibaldi e i suoi partitanti. Fino alle undici antimeridiane il vantaggio della giornata era pel piccol numero d'uomini risoluti che difendevano Milazzo.

«Queste particolarità sono esposte a S. K. il ministro della guerra dal capo di brigata del Busco, tacendo di molti atti di valore e di generosità eho si descriveranno in seguito nella lista di quelli che si sono segnalati.

Firmato, il colonnello Comandante.

«DEL BOSCO»

«2 Agosto 1860»

Poiché qui non si tratta né della bravura né della lealtà militare del generale del Bosco mi sia permesso indirizzargli una semplice domanda, relativamente alle cifre che egli ci porge. Com'è che una vittoria ottenuta sopra un sì scarso numero di soldati, e che è costata sì caro ai patriotti (1,100, uomini, in dodicimila combattenti contro 1,600) abbia prodotto, senza colpo ferire, la presa di Messina e dato la intiera isola al dittatore?

30 Luglio

L'opposizione si decide a procedere costituzionalmente. Essa organizzo una resistenza legale; - stabilisce comunicazioni, promuove accordi tra la guardia nazionale e l'armata, - si serve anche della stampa per chiedere delle guarentigie al potere. Ha fatto senso sabato un articolo dell'Iride, articolo categorico del Sig. Ricciardi, che chiede al ministero, in cambio della fiducia che esso reclama, i sei punti seguenti: licenziamento dei mercenari; scioglimento della guardia reale; disarmo delle guardie urbane; riforma radicale, per mezzo di elezione, dei meni uri dei municipi; la destituzione di tutti gli strumenti dell'oppressione passata; e la consegna del castello S. Elmo alla guardia nazionale. Un secondo articolo pubblicato ieri e l'innato collo stesso nome. chiede L'organizzazione immediata in legione sacra di tutti i soldati, sott'ufficiali e ufficiali che si batterono nel 1848 e nel 1849 in Lombardia e Venezia.

Frattanto Garibaldi marcia in Sicilia. Egli è entrato in Messina, ed ha fermato col generale Clary una resa illimitata. Tutta l'isola dev'essere sgombrata dai regi, salvo la cittadella di Messina,

la quale non potrà bombardare la città, e così non verrà assaltata se l'armistizio non sia denunziato. Le navi (Garibaldine possono circolare liberamente nel faro, nel quale circa dugento barche sono già pronte ad imbarcare le truppe. Finalmente la bandiera Siciliana e riconosciuta dal generale Clary.

Quanto a uno sbarco in Calabria credo che potete, ritenerlo siccome un fatto compito. Ho letto tre versi autografi indirizzati da Garibaldi al comitato di Napoli per raccomandargli di star preparati, poiché l'ora è vicina. So d'altronde, e da buona fonte, che il dittatore proseguirà l'opera sua «dovesse anche battersi contro un'armata di Cavour.» Ignoro se la espressione è veramente di lui; ma chi me l'ha ripetuta era presente al combattimento di Milazzo, ed è intimo amico del dittatore.

31 Luglio

La chiusura delle liste elettorali è protratta al 10 agosto per la strana ragione che finora nessuno elettore liberale era andato a inscriversi. Chi diceva, a che giova?

La costituzione non è che un agguato; nella prossima reazione le liste degli elettori diventeranno liste di sospetti. Altri invece dicevano: A che pro.Prima che il parlamento sia eletto, sarà a Napoli. Noi c'inscriveremo soltanto allora, per votare l'annessione sulle liste ampliate del suffragio universale.

Questi motivi messi innanzi da chi vuole astenersi vi danno lo stato degli animi nel reame. I soldati sono sempre per la reazione. I avete veduto il 15 luglio, che era un 15 maggio andato a vuoto. Tanto che gli uomini dell'opposizione si sono consultati per muovere le truppe, ajutati nei loro sforzi dagli uomini del ministero, e da ufficiali superiori che lavoravano coll'intento medesimo onde prevenire conflitti sanguinosi, ed assodare le istituzioni costituzionali.

Chi lavora per la costituzione lavora per l'annessione. La diplomazia, il ministero, gli zii del re, gli ufficiali superiori, la gente onesta del paese affrettano la fine della dinastia. Quelli che svolgono i soldati dalle violenze e dal saccheggio; quelli che prevengono l'effusione del sangue, sono, senza addarsene, annessionisti. Posta la certezza, quanto all'armata, di non aver più a temere un 15 maggio, si può affermare che Vittorio Emanuele sarà presto qui.

Or bene! questo movimento incomincia. Domenica passata, v'è stato un principio di amicizia fra varie guardie nazionali e alcuni sergenti della guardia reale. Sono usciti insieme a braccetto, contraccambiandosi ogni cortesia, e fermandosi nei cade per corroborare le loro effusioni d'affetto. Al posto del Mercatello, ove si sono riuniti, sono stati salutati dagli applausi d'una folla immensa Tutti i soldati che passavano eran pregati da tutti, ma specialmente dalle donne, d'entrare nel corpo di guardia; e quivi essi ricevevano dei rinfreschi. Frattanto la folla applaudiva, e non gridava: Viva il re! ma viva la truppa!

Se questo sistema continua, la regina madre essendo a Gaeta, Nunziante dimissionario, destituito, Murena partito scrivendo al re modestamente: Sire, voi vi spogliate di tutto, esiliate eziandio l'intelligenza, - Francesco II non avrà per se, che se solo - e l'annessione potrà farsi senza contrasti.

Mezzogiorno

Io sono in questo momento a bordo del Posillipo giunto stamane da Messina, per partire questa sera per Marsiglia. Ho dinanzi

- Il disinteresse del dittatore è incredibile;egli si è assegnato dieci franchi al giorno: ecco la sua lista civile. L'altro per caso ha bruciato i suoi pantaloni, e non ne aveva da cambiarsi; sicché è si ci trovato impacciatissimo per uno giorni. Diceva a Dumas giorni. fa: Se io fossi ricco, farei come voi, mi comprerei una goletta = Un momento prima aveva firmato un buono di 500 mila franchi.

- Ieri davanti al faro di Messina c'erano 168 barche da sbarco, riunite in una sola linea da

pronte ad essere varate in mare, e tali da contenere un 25 uomini per ciascheduna, senza contare i rematori; v'eran poi sulla riva quattro pezzi di cannone, che dovevano trasportarsi in Calabria, servire a erigere una batteria sulla punta del faro.

Un tale offriva a pezzi di cannone rigati acquistati nel Belgio; ma egli li ricusò dicendo che il cannone era un'arma inutile, dacché v'era la bajonetta. - Il maresciallo di Sassonia diceva lo stesso nel secolo passato. - Uscendo da Messina il colonnello del Bosco si era vantato di rientrarvi

- Uno degli articoli della capitolazione diceva che le armi sarebbero divise

metà. Pigliando possesso del forte, s'accorse che i dodici cannoni che gli spettavano di sua parte erano stati inchiodati. Preso dall'ira per questo mancamento di fede, egli saltò in una barca, si recò solo a bordo della fregata regia, e si fece restituire i dodici cannoni che i Napoletani si portavan via.

1 Agosto

Il ministero ha commesso un fallo che lo ha screditato assai nell'opinione. V'è noto quanto la regina vedova è compromessa in Napoli. Dicono, fondatamente no, ch'essa è l'anima della reazione. Essa continuo a Gaeta l'esilio del fu re, circondata da uomini

Il duca di Cajanello, che comanda la guardia nazionale sotto il principe d'Ischitella, ha voluto fare illuminare i corpi di guardia. Poco è mancato che cotesti eccitamenti non provocassero turbamenti gravi. Invece di obbedire si è mandato a dire lino nei quartieri più rimoti che non si doveva illuminare le case. La sera, in città, v' era una certa agitazione e capannelli di popolo d'aspetto minaccioso. La terrazza del convento di Santa Maria la Nova era stata illuminata; il popolo l'ha fatta spegnere. Tre teatri soltanto si dovevano aprire in quella sera, e sfoggiare alquanto nell'illuminazione.

Ma per minaccio sparse dall'opposizione, secondo altri, die

tro una circolare poco rassicurante del ministro 'dell'interno, i Ire teatri sono rimasti chiusi, scusandosi per malattia degli attori. Così Napoli ha festeggiato l'anniversario di Maria Teresa. Non una finestra illuminata! non un teatro aperto!

4 Agosto

Sempre lo stato medesimo. La reazione da un lato, la rivoluzione dall'altro, il re in mezzo, impotente, e abbandonato, il ministero inutilmente operoso, la popolazione inquieta, ma 'poco energica; qualche centinajo d'uomini politici intenti ad organizzare una resistenza ed una opposizione formidabile; la diplomazia inerte dinanzi a tatti che la confondono, e Garibaldi progrediente nell'opera sua a dispetto di tutto.

Se non che v'hanno ancora molti favoreggiatori del re assoluto; questi non aspettano per mostrarsi che una prima sconfitta sofferta dall'Italia: ve n'ha molti che si nascondono e ritirano gli artigli. Certi corpi dell'armata, i granatieri della guardia, una parte della fanteria di Messina, e segnatamente i mercenari stranieri arrabbiano.

Questi ultimi sono a Nocera, a un'ora di cammino da Napoli, incutendo uno spavento indicibile in tutta quella popolazione, perché hanno scosso ogni freno di disciplina. Oggi si deve presentare al ministero una deputazione per farli licenziare in massa; ve ne hanno già seimila nel regno, e ne arriva tutti i giorni.

La rivoluzione poi è per tutto: nei tre comitati elettorali, che preparano tutte le liste di deputati unitarii; nell'armata, subillata nel senso italiano; e nei dicasteri, in cui anche gli antichi impiegati si agitano contro la dinastia, nella stampa (ed anche nella stampa ministeriale), che assegna a Garibaldi la missione di salvatore, di redentore; nel popolo, che non vuole più il suo sovrano e compra i ritratti di Vittorio Emanuele; ed anche presso i cittadini timorosi cui l'annessione sembra il solo mezzo per uscire da tanta indecisione. Con disposizioni simili fa meraviglia che la rivoluzione non sia già fatta. In qualunque caso, posso dirvi che essa non si farà senza Garibaldi.

Fra questi due clementi, il ministero ogni giorno s'indebolisce di più, logorandosi in provvedimenti insufficienti, in nomine e destituzioni inopportune, in circolari e in decreti che altro non sono che belle parole.

Intanto assistiamo dolorosamente allo sfacelo di una monarchia che ebbe già una grande e bella esistenza, e che poteva cadere in un modo più degno.

Intanto Garibaldi occupa dei forti e erige batterie a Messina; egli non aspetta più che delle armi per varcare lo stretto. Le Calabrie son pronte a riceverlo. Gli ufficiali dell'armata cadono tutti, uno dopo l'altro, nel torrente rivoluzionario. La stessa reazione, con un colpo di stato come quello del 15 maggio, compirebbe l'anarchia senza salvare il trono. Ora aspettano il Sig. Manna, e il Sig. della Greca, i quali, malgrado l'umiltà delle loro proposizioni, non hanno ottenuto nulla dal Piemonte, né dalla Francia, né dall'Inghilterra. E le potenze collegate altre volte contro le idee liberali, i sovrani offesi personalmente dovunque un'autorità legittima è scossa. guardano con indifferenza, forse rallegrandosene, quel regno di dieci milioni d'anime conquistate da un capo di partitanti.

11 Agosto

Il fuoco s'è appiccato al continente. Un dispaccio telegrafico giunto ieri l'altro di Calabria e diretto al governo, annunciava dei torbidi gravi nella provincia, essendochè corressero il paese varie bande armate che rompevano i fili e i sostegni del telegrafo.

Hanno finalmente segnalato sei vapori, due cannoniere e non so quante barche che si appressavano alle coste con minaccia di sbarco. Marciano pertanto truppe in tutte le direzioni per opporsi a quei tentativi.

Più tardi, un secondo telegramma annunzio che il primo aveva esagerato l'importanza dello sbarco. Sembra che si trattasse semplicemente d'una vanguardia gittata sul continente per iscandagliare il paese, e promuovere una insurrezione, che giustificasse l'intervento di Garibaldi. Checchenesia, il paese si è mosso; e lo prova la seguente nota officiale:

«Siamo informati da Reggio, che la notte dall'8 al 9 il filo del telegrafo era stato rotto a Bagnara; che il comandante d'Altafiumana affermava la comparsa di turbe nemiche nel piano di Mariniti, al di qua di Cannitello. Alle ore due pomeridiane il filo elettrico era ripristinato, e tutto disponevasi per opporsi a qualunque invasione. Infatti il tentativo d'impadronirsi della posizione d'Altafìumana fu respinto dai regi acquartierati in quel luogo. Nel modo stesso furon respinti altri sbarchi tentati a Cannitello. In dugento uomini, che poterono sbarcare e penetrare nell'interno, sono inseguiti energicamente dalla truppa.

Le popolazioni rimaste quiete hanno serbato un contegno degno dei maggiori elogi. In tutta la rimanente provincia l'ordine si mantiene, e nello stesso distretto di Reggio, la tranquillità non è stata menomamente turbata.»

Questo racconto è officiale, - il che non vuol dire che esso è veridico - Mi mancano però i mezzi di verificare il fatto.

Mi recano nell'istante altri dispacci, e li trascrivo:

«Il generale Melendez, da Bagnara, a S. E. il ministro della guerra, ed al colonnello Severino a Napoli.

«Sbarco di cento individui a Cannitello; altro simile a manca di Reggio. Nel primo è stato preso un garibaldino ferito dai regi.

«La marina in crociera non si è curata d'impedire lo sbarco.

«I due generali Melendez e Briganti si concertano per assalirli.

«Da Bagnara, 9 Agosto, ore 9 di sera.»

Ecco un secondo dispaccio:

«Il generale Vial al ministro della guerra.

«Un altro sbarco di 200 individui è stato accertato a Bianchi e a Bovalino. A Gerace, una grossa nave tenta di effettuarne un altro.

Grossi navigli con bandiere straniere caricano truppe al Faro per isbarcarle sul continente. Da qui a Reggio il telegrafo è rotto.

Monteleone, l' 11 a? ore antimeridiane

Dispacci anteriori di Monteleone annunziavano come il popolo si fosse impadronito di un fortilizio presso Villa San Giovanni, e che un altro sbarco di 400 uomini credevasi si fosse effettuato a Gioja. Nel primo scontro la guardia nazionale si è unita ai soldati per respingere i filibustieri; e non poteva accadere altrimenti perché quella guardia nazionale è pressochè tutta composta dell'antica guardia urbana.

Queste notizie sono officiali, sebbene non ancora pubblicate. Se ne dicono molte altre, e più gravi alla Borsa, che va giù a precipizio. Secondo queste voci sarebbe sbarcato già con settemila uomini; altri dicono con diecimila. Io non lo credo. In ogni modo la crisi incomincia.

olete voi, per finire, un criterio bastantemente curioso dell'opinione pubblica? Ho veduto in questi giorni un litografo senza

M'ha detto testualmente queste parole:

«Dacché è promulgata la costituzione, ho venduto 6,000 Garibaldi, 4,000 Vittorio Emanuele, 200 Francesco II, e 50 Maria Sofia.»

V.

SUL CONTINENTE

Voci dello sbarco di a Castellamare. - II conte d'Aquila. - Dispacci del comitato segreto. - Insurrezione nella Basilicata - Capitolazione di Reggio - conte' di Siracusa - Mene dei cospiratori a Napoli - Istruzioni del colonnello Boldoni - Condizioni critiche del governo Napoletano.

14 Agosto

Mi destano per annunziarmi che è sbarcato stanotte a Castellamare, vale a dire a un'ora di cammino da Napoli. Ignoro se la notizia è vera; ma tutto è possibile. Se mi affermassero che il capo dei partitanti è sceso al palazzo del re, non lo crederei, ma neppure lo negherei. Comunque siasi, la città è come presa, almeno assediata. Le botteghe e le porte case indugiano ad aprirsi.

Grossi assembramenti di truppe sbarcano sul porto, sul largo del Castello, e intorno al palazzo reale. I soldati non negano lo sbarco. I galantuomini non osano avventurarsi per le vie. Tutto il presidio è in armi. Aspetto le notizie d'oggi: ecco quelle di ieri.

Jeri e Domenica i telegrammi piovevano, per mo' di dire, nelle strade. Ciascuno aveva il suo, e lo dichiarava officiale. Tutti però concordavano nell'affermare, che le Calabrie erano insorte. Il generale Melendez chiedeva che la flotta guarentisse per tre giorni il litorale, e s'impegnava di disperdere gl'insorti calabresi. Questi, il primo giorno, erano dugento; la domane, erano mila. Essi avevano formato un campo trincerato, e mangiato quarantanove pecore.

Il Fieramosca, e il Fulminante, vapori regi, stavano in crociera sulle coste di Calabria; ma quando giungevano sui luoghi indicati come quelli degli sbarchi, non trovavano nessuno. Il telegrafo di Brindisi dinunziava una corvetta mista senza bandiera, e carica di soldati, che esplorava le coste. Il generale Benedictis comandante gli Abruzzi aveva trasferito il suo quartiere generale a Giulia Nova e con mosse strategiche molto abili s'ingegnava di tener lontane varie scialuppe cannoniere, che accennavano di volere sbarcare.

Jeri sera il governo pubblicò nel Giornale officiale la nota seguente:

«Si fanno circolare copertamente per la città, stampati manoscritti, dei telegrammi immaginarii, e notizie atte solo ad incutere spavento ai pacifici cittadini, i quali non considerano che, sotto un governo costituzionale, tutto ciò che si avvolge nelle tenebre e nel mistero è menzogna ed infamia. E però ci crediamo in obbligo di richiamare a questo pensiero gl'inesperti e i timorosi, e dichiarare che tutto ciò che è stato sparso, dopo le notizie che abbiamo date nel foglio di venerdì, è intieramente falso.

«Se ne stieno dunque tranquilli tutti gli abitanti del regno, e particolarmente quelli della capitale, e vivano sicuri che il governo sta vigilante, non solo per la loro sicurezza, ma ancora per iscoprire e punire le mene bugiarde degli indegni cittadini che vorrebbero immergere il paese nello sgomento.»

Lo stesso numero del giornale pubblica i decreti che ristabiliscono al ministero della presidenza gli ufficiali destituiti nel 1849; chiamano il contrammiraglio de Gregorio alla direzione dei telegrafi, e ricostituiscono la polizia sopra basi più larghe, e con emolumenti più equi.

La somma di 26,383 ducati attribuita finora alla pubblica sicurezza è portata a 59,232 ducati; sicché ora i birri, le spie ecc., potendo vivere, non si venderanno più come facevano in passato.

Adesso le strade si ripopolano; le porte via via si riaprono. Tra i fuggiti, che io accennai più indietro, v'ha in prima riga l'uomo che ha fatto il più per rovinare la dinastia, vo' dire il generale Filangieri. Niuno ha dimenticato che cotesto illustre vecchio è stato un pezzo primo ministro sotto Francesco II. Ci rammentiamo come egli fosse stato chiamato al potere per opera della diplomazia, lusingata da esso colle più magnifiche promesse. Tostochè ei fu ministro, non ebbe altro pensiero che di eludere i suoi impegni. Fece anche di più; si segnalò nel suo accanimento a combattere le nuove idee.

Se la costituzione francese proposta dal Sig. Brenier, e la costituzione napoletana consigliata dal Sig. Elliot non sono state accettate un anno fa (il che avrebbe salvato la dinastia) vuolsene accagionare l'ostinata opposizione del Sig. Filangieri. Rammento questi fatti, perché il generale porta adesso in tasca una costituzione, e la fa vedere a tutti, dicendo a chi gli da retta ch'egli l'aveva proposta fin dal primo giorno alla sanzione

Mi recano adesso altre notizie sul supposto sbarco di Si tratta semplicemente di un tentativo fatto questa notte a Castellamare. Un naviglio dì corsari è entrato nel golfo, ed ha tentato di impadronirsi d'una fregata regia carica di munizioni e di denaro.

Mezzogiorno

La nuova riferita sopra si conferma; il Veloce si è, infatti, innoltrato fino a Castellamare, ed ha audacemente aggredito il Monarca vascello del re. Ma l'equipaggio avvertito da una sentinella del porto s'è destato in tempo per fare resistenza. Qualche colpo di cannone sparato contro il bastimento garibaldino l'ha costretto a desistere da quell'impresa, non però senza rispondere alle offese. V'hanno marinari morti, e un comandante di marina ferito. Il Veloce, Tuckery, ha preso il largo. Ecco l'origine di tutti i terrori di stamane.

Ore 3

Stante i torbidi di Castellamare ecc. Napoli è messa in istato d'assedio. - Il comandante Giosuè Ritucci assume l'autorità militare ed invoca il buono spirito della popolazione. Sono vietati gli assembramenti di più di dieci persone; dopo la seconda intimazione verranno dispersi colla forza. Sono pure vietate le riunioni clandestine chiamate comitati. Proibito di portare indosso armi da fuoco, bianche; e così grossi bastoni. Proibito di raccoglier pietre; di profferire grida sediziose - La città è cupa. Con tutto ciò la guardia nazionale non è sciolta ed i teatri sono aperti.

15 Agosto

Fanno molto chiasso in questo momento della espulsione del conte d'Aquila - Secondo me si da a coteste incidente una importanza ch'esso non ha; ma non lo posso tacere; ecco in brevi parole la verità vera in tal proposito.

Il ministero e il principe reale si teneano il broncio da un pezzo, essendoché il primo fosse garibaldino, e il secondo rimanesse naturalmente dinastico Il principe spigneva il re a più snidi propositi; egli consigliava di assalire risolutamente di licenziare il ministero, ch'egli reputava traditore, promulgare in Napoli la legge marziale. Il ministero poi accusava il principe di lavorare per proprio conto, e di aspirare a una reggenza che minacciava al tempo stesso il trono e la costituzione.

Da ciò erano nate alcune scene violenti in consiglio. e al cospetto del re. I mini hanno trionfato, la mercé di ritratti sorpresi non so dove, che avevano questa iscrizione: Viva il reggente! in luogo di titolo. È stato inoltre accertato, che il principe aveva ricevuto da qualche tempo molte armi, e ieri ancora una cassa di revolvers sotto le apparenze di chincaglieria. Aggiungete che domenica sera v'era stato un principio di sommossa in via Toledo, dietro una fucilata sparata da una finestra, e che era stata presa per un segnale.

Con queste terribili prove in mano i ministri hanno stretto il re, che ha ceduto. Per dissimulare l'esplosione. il ministro della marina ha intimato al principe, a nome del re,

Ecco la storia in poche parole di cotesto colpo di stato del ministero. Quanto alla cospirazione inventata per onestare tanta violenza, io dichiaro positivamente che non ci credo.

- Il conte partirà questa sera colla sua famiglia e il suo seguito sulla sua corvetta il Menai. Egli apre la via, - gli altri lo seguiranno da vicino.

Il giornale officiale distribuito stamane, annunzio che S. A. R. è stata incaricata di una missione in Inghilterra.

18 Agosto

In Napoli è sempre la paura quella che domina. Non v'ha cosa più strana del va e vieni generale dalla città alla campagna, e dalla campagna alla città, secondo i luoghi che sembrano più meno minacciati.

Il governo non è meno spaventato della popolazione. Non si può sapere ancora a qual punto sia l'insurrezione nelle provincie. I rari corrieri che giungono da Messina danno pochissima importanza agli sbarchi già operati. Essendo rotti i fili del telegrafo al di là di Salerno la nostra immaginazione può figurarsi, se vuole, tutto il regno insorto, dal Cilento a Reggio.

Quanto alle lettere esse giungono con una lentezza così classica, che non credo che la posta abbia comunicato sull'estrema penisola dei rapporti posteriori a quelli della Mouette, arrivata mercoledì. E la Mouette ci ha detto semplicemente questo: è partito da Messina il 13, annunziando una assenza di pochi giorni soltanto. Egli si è imbarcato sopra un antico vapore della Società Frayssinet, l'Elvezia, Quel Washington andava forse a Genova, forse a Cagliari, a cercare rinforzi; forse sulle coste del regno per esplorarle; nessuno lo sa. Per viaggio egli aveva abbordato il Mozambano, vapore sardo, che tragittava da Genova a Palermo. Alcuni credono che è passato dall'un naviglio nell'altro per ritornare nell'isola, nella quale accadeva disordini

Altri affermano ch'egli è già disceso sopra un punto qualunque; in queste incertezze v'ha un fatto certo, ed è che il dittatore a Messina si è imbarcato solo.

Intanto in Napoli continuano le paure; fa quasi ridere l'agitarsi incessante dei soldati, che non fanno altro che uscire dalle caserme in grosse pattuglie al passo accelerato, per correre dove li chiama un falso allarme. Talora son compagnie intiere che girano con armi e bagaglie. Jeri sera tutto un reggimento si è avanzato verso Santa Lucia; nelle ore pomeridiane si erano sparse voci sinistre; incili e cannoni sono corsi a furia lungo il lido. Ho creduto che fosse sbarcato. Ho seguito il movimento, ed anch'io mi sono avviato verso Santa Lucia. Là mi hanno detto, che non si trattava d'uno sbarco, ma d'un imbarco formidabile; 1,500 uomini dell'armata regia, con armi e bagagli, erano saliti a bordo di una nave piemontese.

Io non sapeva come spiegarmi cotesta diserzione di pieno giorno, in mezzo alla città, davanti il castello Nuovo, e quello dell'Uovo; né come i disertori avessero potuto trovare tutte le barche necessario per trasportarli in sì gran numero. Dopo un'ora non se ne eran più imbarcati 1500; ma 75. Narravano

Malgrado il perpetuo moto militare, che mette di malumore i soldati, questi vivono in assai buona intelligenza colla guardia nazionale, e si spartiscono il servizio quasi fraternamente. Questo accordo è di buon augurio; esso non ci fa più temere conflitti in istrada. Volete una prova statistica del terrore del potere e della sua diffidenza? Esso ha una forte marina per impedire gli sbarchi; esso oltreacciò, ha messo le mani

1.° Il Lione

80,000 Fr.

Brasile

72,000

Avvenire

57,000

4.° Il Carlo Martello

72,000

5.° La Stella

40,000

6.° L'Assiro

55,000

Il Protis)

60,000

8.° Il Pitia)

Imperatrice Eugenia

30,000

Totale 466,000 Fr

Ecco dunque un supplimento di 466,000 franchi, speso da un governo, che ha la prima marina dell'Italia, per non impedire lo sbarco di che possiede appena sei sette fattivi vapori!

21 Agosto

Mi dimenticai di dirvi che mercoledì, 15 agosto, abbiamo avuto un Te Deum per l'imperatore dei Francesi, in una chiesetta di Santa Lucia. La sera gran parte della città si è illuminata. La lettera al conte di Persigny, ed il paragrafo su Napoli avevano prodotto, i dì precedenti, una viva sensazione nella città, e rammentato Solferino, a quelli che bestemmiavano Villafranca. Questa lettera era stata riprodotta da tutti i giornali, e in via Toledo i Napoletani incontrandosi sorridevano, e dicevano crollando il capo: «Mio caro Persigny, le cose sono molto imbrogliate. «Il che significava: «Gli affari dei Borboni vanno male assai.

Non parlo di tutto il rumore che si fa a Napoli per le elezioni al Parlamento, - prorogate definitivamente al 30 Settembre, vale a dire alle calende greche!

A quell'epoca Francesco II non sarà più re. La dinastia corre presente pericolo; me ne appello ai dispacci del comitato segreto, oppure, e insisto su quest'espressione, del governo occulto:

«Dal quartier generale di Corleto, 17 agosto 1860.

- il moto d'insurrezione ha avuto principio oggi a Corleto. Dimani, a capo di 500,

600 uomini, oltre quelli che potrò raccogliere per via, e gli altri che accorrono dalla parte opposta di Potenza, marcierò verso quella capitale della provincia. Le popolazioni sono da per tutto animate da un buono spirito. Ho pubblicato: 1.° Una proclamazione che spiega i motivi della insurrezione; 2.° Un'altra proclamazione all'armata; 3.° un ordine del giorno alla parte armata dogli insorti.

«Ho formato il mio stato maggiore e organizzato il quartier generale, disponendo nel tempo stesso quanto possa occorrere per superare tutti gli ostacoli e vincere tutte le resistenze.

«A Potenza verrà installato un governo provvisorio che pronunzierà l'annessione all'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele. Il tutto con perfetto accordo col generale

Colonnello

Capo Militare dell'Insurrezione»

«Potenza, 18 Agosto 1860.» La capitale di questa provincia è nelle nostre mani. Il governo provvisorio accennatovi nella precedente mia lettera sarà installato nella giornata. Un quattrocento gendarmi fecer sembiante sulle prime di cedere alla imponente volontà del popolo; ma quasi subito dopo, al grido di: Viva il re! e morte alla nazione! profferito dal capitano Castagna, essi si batterono coi nostri, e furono respinti in siffatto modo che si volsero in fuga precipitosa, lasciando sette morti, tre feriti e quattordici prigionieri. I dispersi si arrendono adesso l'uno dopo l'altro. Dal lato nostro v'hanno tre guardie nazionali ferite. Pochi danni alla città.

«Il Colonnello

Capo militare dell'Insurrezione

Cotesto è per la Basilicata; ecco ora per la provincia di Salerno:

«Salerno, 19 Agosto, 8 ore del mattino.- «Giunge una staffetta che annunzia una dimostrazione, avvenuta in Foggia, di popolo e truppe che gridava d'accordo: Viva Vit

«Salerno 20 Agosto un'ora e un quarto dopo mezzodì...

«Il sesto reggimento di linea che da Salerno era stato mandato a Potenza per opporsi agl'insorti, a breve distanza dalla città gittò il di Viva Vittorio Emanuele! Viva e, giunto ad Auletta, protestò risolutamente di non volere marciare contro i proprii concittadini.»

Tali sono i dispacci del governo clandestino. Ecco ora quelli del governo officiale.

«Abbiamo avviso di nuovi sbarchi a Capo dell'Armi. - Sbarco di gente armata, condotta su vapori venuti dalle rive opposte della Sicilia. Coteste bande si dirigevano sopra Reggio, e le nostre truppe, uscite dalla città, avevano già, lo stesso giorno a ore pomeridiane, ingaggiato il fuoco contro il nemico. La guardia nazionale è rimasta per tutelare l'ordine pubblico.»

Credesi che trattisi di uno sbarco considerabile; un seimila uomini condotti da baldi. Vogliono che il vapore Torino, che portava i volontari, siasi arrenato sul lido, abbandonato come il Lombardo, e arso dai

Io so di buon luogo che si prepara una insurrezione a Avellino; e già se ne conosce il capo militare. La provincia di Salerno è pronta; la Basilicata insorta; le Calabrie invase. Le diserzioni continuano: altri ufficiali e sotto ufficiali, una sessantina fra tutti, non hanno risposto all'appello ieri l'altro. Vittorio Emanuele ha buon giuoco.

Abbiamo particolari sui primi sbarchi e sulle prime operazioni dei patrioti in Calabria. Dal 7 all'8 sbarchi sono stati tentati, a Villa San Giovanni, e presso Cannitello. Non si sa se erano Siciliani, gente di Calabria. Eran d'accordo coi patriotti del continente, che rompevano i fili del telegrafo tra Palmi e Reggio, intanto che lo scontro avveniva sulla riva. Lo scopo evidente di cotesti tentativi era il proteggere una terza spedizione distogliendo l'attenzione e le forze dei regi. Questo terzo sbarco ebbe felicissimo esito sulle coste d'Altafiumara. Fuvvi poi una nuova scorreria sul lito orientale, dalla parte di Gerace. Alcuni uomini furono calati a terra a Bianco e a Bovalino. Essi si avviarono verso Aspromonte, punto di riunione, posta generale di tutti quei drappelli separati.

Nel tempo stesso, alla punta del Pizzo, ira Villa San Giovanni, e Torre Cavallo, il fuoco riva impediva l'appressarsi ad una sessantina di barche:.

Chi ci da queste particolarità crede che i patriotti avessero fatto il disegno di tagliar fuori e di separare: le forze regie, (disposte a scaglioni a Reggio, da quelle che guardano il litorale fra Bagnara e Palma. Infatti, essi tengono la campagna a Melia, col nerbo loro forze, minacciando così seriamente la strada da Scilla a Reggio, e nel tempo stesso proteggono gli altri sbarchi che potrebbero tentarsi verso la pianura di Melia. La quale cosa si è verificata, poiché l'11 si sono vedute in quelle spiagge, circa cento cinquanta barche cariche di truppe e battelli a vapore..

I Napoletani se ne stavano sulle difese. L'intendente disarmava la guardia urbana e le sostituivo la guardia nazionale, che ha serbato il più lodevole contegno (dicono i fogli ufficiali), il che vuole dire ch'essa non si è mossa. Il 15. allo mattina fuvvi un combattimento dinanzi a Bagnara ove il telegrafo visuale era stato atterrato fino dal primo giorno ed ove il generale Melendez s'era condotto col quarto di linea. Una colonna di patriotti assaltò quella posizione;

la moschetteria durò quattro ore, e Melendez si credè vincitore, perché rimase padrone del campo; ma i patriotti dicono avere assaltato quella posizione isolamento per girarla e gittarsi su Palmi, tagliando a Melendez Io sue comunicazioni con Monteleone. E così hanno fatto, con molto coraggio e scarsissime perdite. In tal modo tutti sono contenti: il generalo Melendez, e il capitano della guardia nazionale di Bagnara, che comandava i patriotti. Ecco tutto quanto si sa fino adesso..

Un altro fatto importante di questi ultimi giorni si è la sommossa accaduta a bordo dell'Ettore Fieramosca. Cotesta fregata regia incrociava sulle coste di Calabria, e non faceva nulla per impedire gli sbarchi. perché nell'armata, e segnatamente nella marina, gli ufficiali sono italiani; ma i soldati ed i semplici marinari sono realisti. Ond'è che quelli dell'Ettore Fieramosca si ribellarono contro i loro capi e inalberarono la bandiera bianca, che ora è Io stendardo della rivolta; poi eccitati da un capo tamburo, e da altri sott'ufiiziali, essi rinchiusero il comandante, e lo stato maggiore nella stiva, e ordinarono al pilota di ricondurli a Napoli. Se non che, il pilota non volle ubbidire senza l'ordine del comandante; si venne allora a patti; il comandante

Le dimissioni abbondano nella marina e i dimissionarii si rifugiano nelle navi straniere, che così diventeranno in breve tante case napoletane. V'era noto certamente che i navigli piemontesi hanno truppe da sbarco a bordo. I bersaglieri scendono in terra, e piuttosto in numero, e l'aria smargiassa che danno loro le penne di gallo che hanno al cappello infastidisce passabilmente il potere. Quindi è che l'altro giorno fu loro vietato di scendere in terra armati. Ne hanno anche arrestati alcuni fuori della porta Capuana, ma gli hanno rimandati presto, dietro un reclamo degli ufficiali sardi.

La fucilata sparata la settimana scorsa in via Toledo, che si supponeva essere un segnale d'insurrezione, era stata tirata da un gatto. Non ridete: il fatto è ufficiale. Quel quadrupede inoffensivo, saltellando in una camera

Ore 5

Napoli è quieta. Ricevo una lettera di Messina, e credo poter dire, senza danno, il nome dell'amico che l'ha scritta; cioè del Sig. Massimo Du Camp, il poeta dei Canti Moderni, e il viaggiatore del Nilo,

oggi addetto allo stato maggiore del generale Turr, che sta per marciare su Napoli. Questa lettera è di ieri, 20 agosto; ne trascrivo i passi importanti.

«Bixio è sceso ieri l'altro in Calabria con 4,500 uomini. solo, come Cesare, lha raggiunto ieri - Cosenz dev' esser partito ieri sera. Eber sta per partire, ed io sarò certamente di là dallo stretto verso la fine della settimana.

«Il generale Turr comanda la divisione della quale Bixio e Eber forman parte come brigadieri. Egli partirà l'ultimo della divisione con una terza brigata, per prendere il comando dell'armata delle Calabrie che muove verso Napoli.»

22 Agosto

Ecco i dispacci del governo occultò: «Jeri, a mezzogiorno, le truppe italiane, sbarcate al Capo dell'Armi ingaggiaron battaglia coi borbonici. Alle ore quattro pomeridiane esse si appressavano a Reggio.

«Ci viene annunziato che quella città è oggi (21 Agosto) occupata dai garibaldini, malgrado il fuoco del castello.

«La notte passata, cento tre barche, vapori, sei barconi, e cinque brigantini mercantili hanno effettuato un altro sbarco, tra Bagnara e Scilla. La marina ha lasciato fare.

«Nove compagnie sotto gli ordini di Vial si concentravano a Scilla. Lo stesso Vial, è partito da Monteleone, vedendo la provincia minacciata. Egli chiede al governo altre forze, ed un altro generale, che assuma il comando cui esso gli cede.»

Ecco finalmente la narrativa d'un giornale ben pensante, e bene informato, la Nuova Italia.

«Parlasi d'uno sbarco di quattromila garibaldini a Capo dell'Armi e di duemila a Melito. L'intendente di Reggio chiede al governo navi e barche per impedire gli sbarchi successivi. Mille uomini dei regi sortivano contro i garibaldini per tagliare loro il cammino verso Reggio, siccome pare - Il vapore Torino, ai servigi di si arrenò sulle coste di Calabria, e vi sostenne per più ore un fuoco vivessimo contro una fregata napoletana. Esso finalmente fu dato alle fiamme con tutte le munizioni che erano a bordo, dopo che tutto l'equipaggio ne fu sceso a terra.»

Ieri il Posillipo, è passato nel nostro porto, conducendo da Messina, e trasportando a Genova una cinquantina di patriotti feriti a Milazzo. V'erano fra quelli fanciulli di 15 anni, che avevano combattuto come uomini.

Ieri sera alcuni bersaglieri, scesi a terra dalla nave piemontese, conversavano tranquillamente sul ponte della Sanità con varii cittadini, quando furono assaliti codardamente e brutalmente da soldati della truppa regia. La guardia nazionale accorse e operò con vigore, non temendo di puntare la bajonetta contro le sciabole dei regi. Parecchi bersaglieri sono feriti gravemente; la è una brutta faccenda.

La città è più quieta che mai. Il nuovo prefetto di polizia, Sig. Bardari, ha pubblicato un manifesto un po' parolajo, nel quale egli domanda ai cittadini la loro cooperazione pel mantenimento della tranquillità pubblica.-Disgraziatamente la guerra è dichiarata, e le parole conciliative non fanno più effetto.

25 Agosto

L'Iride ha ricevuto una lettera importante sull'insurrezione di Potenza. La Basilicata era

Le prime scariche dei regi rimbombarono prima che i nostri avessero avuto il tempo di gridare: all'armi! Una palla percosse alla tempia il capitano Assolta, che aspettava l'assalto di pie fermo con una cinquantina di guardie nazionali.

Allora soltanto questi incominciarono

Oltre la ferita del capitano Assetta gl'insorti lamentano la perdita di giovani, e contano donne e bambini fra i feriti. Eppure cotesta strana insurrezione, promossa, affrettata almeno, e giustificata, come la guerra italiana dello scorso anno, dall'aggressione de' gendarmi, è riuscita pienamente, e si è propagata in un batter d'occhio. Frotte innumerevoli di montanari armati sono discese da ogni luogo nella città in ajuto dei loro fratelli. Le donne si sono comportate onorevolmente; i feriti e i prigionieri regi sono stati, non solo risparmiati, al semplice cenno di un capo, ma sovvenuti d'ogni soccorso e assistenza come se avessero combattuto per la causa patria. Il 19, a Tito, la guardia nazionale cacciava la gendarmeria. Il 20 vi aveva Potenza più di diecimila uomini armati; il 22 noveravansene fino a quindicimila. Tutta la nobiltà, i possidenti, i notabili, i letterati, e persino i preti, pareggiano per gli insorti. I villici si armano del proprio al grido

Intorno alla città e sui monti stanno a guardia grossi distaccamenti disposti a scaglioni, ed occupano buone posizioni, fra le altre quelle di Marmo ove una mano di prodi può far testa a un'annata. L'insurrezione e già talmente forte, che può tenere lontani da se i regi. Hanno mandato contro di essa dei Napoletani e dei Bavaresi; i Napoletani si sono fermati ad Auletta, i Bavaresi a Salerno.

- Potenza è asserragliata e si prepara a resistere tino all'ultimo sangue.

Ritorniamo in Calabria. Il governo officiale nega le difeziooi, ma confessa le sconfitte.

«Il piccol numero di compagnie, narra il detto governo, le quali a seguito degli sbarchi annunziati, sostenevano l'urto a Reggio, dopo avere valorosamente combattuto, furono costrette dal soverchiante numero dei nemici a ritirarsi nella cittadella; se non che cotesta cittadella non era capace di regolare difesa, perché in istato di ricostruzione - Quindi è che dopo una lotta accanita, quella mano di soldati furon costretti a ricongiungersi colla brigata del generale Briganti, alla quale essi appartenevano.»

Abbiamo ragguagli sulla capitolazione di Peggio. Il presidio è uscito dalla cittadella coi suoi fucili soltanto e il bagaglio personale dei soldati. Otto pezzi da campagna e paixbans di 80, sei di 31, e 46 18 pezzi da posizione, più 2 mortai di bronzo, 500 fucili, molti viveri, carbon fossile e muli sono rimasti ai vincitori. Il giornale officiale del 23 annunziava che i generali Vial, e Ghio, ed il colonnello Rulz accorrevano sul terreno; che la brigata Melendez e la brigata Briganti occupavano le forti posizioni del Piale, che domina tutta l'estrema Penisola, e che la mattina del 22, a quattro ore e mezzo, il fuoco era incominciato; il foglio del governo ci ha lasciati da quel momento in mezzo a quel combattimento, e guardandosi bene dal palesarcene l'esito. Ond'è che lo si crede disastroso per l'armata regia; affermavasi poi ieri che la posizione del Piale era stata presa d'assalto dai garibaldini.

Le corrispondenze particolari del Nazionale dicono che i volontari che sbarcano in Calabria sono bene accolti, e ne ingrossano le file ad ogni passo; perché calano rinforzi da ogni parte, e bande intiere (una quali condotta dal barone Nicotera) aspettano i patriotti di Sicilia.

Una lettera particolare di Messina, datata del 21, narra infauste provocazioni dal lato della cittadella. Le prime guardie napoletane tirano fucilate alla spicciolata, e talvolta fanno anche scariche di pelottoni intieri; queste per lo più i a notte; pare che anche le artiglierie hanno qualche palla in città, offendendo alcuna navi ancorate nel porto. Perché il comandante inglese se ne è lagnato, con minaccia di rappresaglie. Tutto questo in tempo di armistizio fa sinistro effetto.

Oggi vi sono molte notizie; incominciamo dai documenti ufficiali. V'ha in primo luogo una nota del ministro degli esteri alle potenze, datata del 21, ma pubblicata solamente ieri. La trascrivo:

Napoli 21 Agosto

«Il generale dopo avere invaso la Sicilia, non contento d'avere usurpato la bandiera reale di Sardegna, e rivestiti tutti i suoi atti del nome del re Vittorio Emanuele, ha, con decreto del 3 corrente, messo in vigore lo Statuto piemontese ed obbligato tutte le autorità e loro ufficiali non meno che i municipii nominati dalla rivoluzione a giurare fedeltà al re Vittorio Emanuele.

«Il governo di Sua Maestà si crede in obbligo di notificare a tutte le potenze queste nuove usurpazioni e questi attentati, che mettono in non cale le prerogative le più evidenti della sovrani!a, i principii più inconcussi del diritto genti, e fanno dipendere i destini di una nazione dal capriccio arbitrario d'una forza straniera.

«Il governo di Sua Maestà volendo, anche n costo dei più grandi sacrifizi, evitare l'effusione del sangue, a seguito della promulgazione dell'atto sovrano del 25 giugno; e col desiderio di fare armonizzare la sua politica con quella della Sardegna pel mantenimento della pace in Italia, ha sperato la soluzione della quistione Siciliani, nelle sue lunghe e perseveranti negoziazioni.

«Essendo mancata quest'ultima speranza il governo di Sua Maestà, per l'organo del sottoscritto, ministro segretario di Stato agii affari esteri, si vede ineluttabilmente astretto a dinunziare a questi attentati che si commettono sotto la pressione di una forza straniera in Sicilia, a protestare energicamente contro tutti gli atti, che tendono a negare o a indebolire i diritti legittimi del re suo augusto Signore, e dichiara che esso non riconosce, né riconoscerà veruna di quelle conseguenze, essendo fermamente deciso di mantenere le

«Il Sottoscritto profitta ecc.

«Firmato DE MARTINO»

Avverto che questa protesta non è venuta che dopo lo sbarco di sul continente. Fino a quel punto pareva che il governo abbandonasse la sua isola, purché gli lasciassero la penisola. Ma dacché le Calabrie sono invase si vuole tutto niente.-Passiamo al secondo documento; esso è prezioso; - si tratta di una seconda lettera diretta al re dal conte di Siracusa.

Sire

«Se la mia voce, che sorse già per scongiurare i pericoli rovesciatisi sulla nostra casa,

«Ed ora la guerra civile, che ha già invase le provinole del continente, trascinerà seco la dinastia in questa rovina suprema, che le arti inique di consiglieri perversi hanno già da gran tempo preparata alla discendenza di Carlo 111 di Borbone. Il sangue dei cittadini inutilmente sparso, inonderà ancora le città del regno, e voi, un dì speranza e oggetto dell'affetto del popolo, voi sarete considerato confratricida.

«Sire, salvate, ne avete ancora il tempo salvate la nostra casa dalle maledizioni di tutta l'Italia! Seguite il nobile esempio della nostra reale congiunta di Parma, la quale, appena irruppe la guerra civile, sciolse i suoi sudditi dalla obbedienza, e lasciolli arbitri del loro destino. L'Europa e i vostri popoli vi sapran grado di questo sublime sagrifizio, e voi potrete, Sire, alzare la fronte fiduciosa verso Dio, che ricompenserà Tatto magnanimo di Vostra Maestà. Ritemprato nella sventura jì vostro cuore si aprirà alle nobili aspirazioni della patria e voi benedirete il giorno in cui vi sarete generosamente sacrificato alla grandezza dell'Italia.

«Io adempio, Sire, con questi brevi detti, il sacro dovere che la mia esperienza m' impone: prego Iddio, perché v'illumini e vi renda degno sue benedizioni.

«Di Vostra Maestà l'affezionatissimo Zio

«LEOPOLDO, CONTE DI SIRACUSA

«Napoli, 24 Agosto 1860.»

Quel che v'ha di più strano in questa lettera, si è la distribuzione che se ne fa questa sera in tutte le strade della città, e la sua riproduzione in tutti i giornali. Notate che non vi ha meno di ventimila uomini tuttavia in Napoli, e che siamo in istato d'assedio. Ecco adesso la verità sopra una grossa diceria diplomatica, esagerata naturalmente dai referendarii officiosi. Il Sig. barone Brénier non aveva chiesto riparazione per l'attentato commesso sulla sua persona. Egli si era contentato dell'assicurazione data dal Sig. De Martino che il Sig. La Greca, nella sua missione a Parigi, avrebbe composto la faccenda coll'imperatore. Ma non essendo stato fatto nulla, il Sig. Thouvenel se ne lagnò acremente a Napoli, e il Sig. Brénier trasmise vigorosamente al ministero le lagnanze del Sig. di Thouvenel. Il Sig. de Martino dovette calar la bandiera. Chiese le soddisfazioni volute dalla Francia.

II Sig. Brénier, il quale aveva, secondo me, pieni poteri in cotesto a fare nulla reclamò per se, ma una ambasciata straordinaria a Parigi per presentare le scuse all'imperatore, una indennità, che può ascendere a 2,500,000 franchi per le vittime francesi del bombardamento di Palermo, e il cordone di San Gennaro per il Sig. Thouvenel.

Anche la legazione sarda ha ottenuto giustizia. I soldati regi sono stati chiamati dinanzi a un consiglio di guerra la loro aggressione dell'altra sera, e i bersaglieri piemontesi feriti hanno ricevuto un'indennità di ventimila lire. Sicché in sostanza essi hanno fatto un buon affare; Le sciabolate fruttavano meno a San Martino. Per vendicarsi., i soldati regi volevano dare addosso tutte queste sere lla guardia nazionale; e v'è voluto del buono sulle prime per reggerli; ma poi la riconciliazione si è fatta; e ieri l'altro le parti si sono date la mano.

Né questo è tutto, i comandanti dei battaglioni nazionali sono stati ricevuti ieri dal il quale ha parlato loro pressappoco in qesti termini:

«Io sono rassegnato alla mia sorte qualunque siasi. Checché avvenga, come sovrano, e come Napoletano, vi prometto che neppure una fucilata sarà sparata in Napoli. Ma se provocate i miei soldati io non sto garante per essi.»

Il che non astringe a niente, come ognun vede. Il 15 maggio 1848 furono gli agenti della polizia, travestiti da Mazziniani, che provocarono le truppe. Comunque siasi la guardia nazionale occuperà, incominciando da dimani, i posti abbandonati dai soldati.

-L'armata lascia a poco a poco il suo re. Gli ufficiali si adunano in conciliaboli, e preparano una dimostrazione, che, se fosse vero, darebbe l'ultimo crollo alla dinastia. Anche i generali volevano indirizzare l'altro giorno al re una nota collettiva onde pregarlo istantemente di andarsene. Quest'idea luminosa è del generale Viglia.

A giudizio di tutti la causa è perduta. Quelli che non osano suggerire al re d'andarsene definitivamente lo scongiurano di allontanarsi almeno da Napoli.

Il re sembra avere ceduto a tutte queste preghiere, ed ha espresso positivamente l'intenzione di abbandonare la sua capitale. Ma egli la vorrebbe salvare senza perderla. Ha fatto pertanto il pensiero di renderla neutrale mediante una convenzione con Si porterebbe la guerra dietro!a linea del Garigliano; l'armata regia si appoggerebbe da un iato sulla fortezza di Gaeta, e dall'altro sul baluardo del trono, e dell'altare, cioè sul Sig. de Lamoricière. Napoli neutrale, protetta dalla guardia nazionale, dalla temperanza civile, e dalle squadre, non udrebbe un solo colpo di cannone.

Notate di volo questa parola: Protetta dalle squadre. Cotesto parci un modo insidioso di sollecitare un intervento.

Il quesito è stato presentato ieri l'altro in quei termini

Frattanto il governo si prepara alla resistenza; si vuoi istabilire un campo trincerato a Salerno, malgrado la malaria che regna l'estate su quella riva malsana, si mandano, per la ferrovia di Vietri, legioni intiere di soldati, cavalleria, cannoni, nel principato Citeriore, per tentarvi un gran colpo. Il generale Von Mechel, che comanda i Bavaresi, chiamato a Napoli sabato sera, s'è recato al palazzo, donde è ripartito immantinente per Salerno.-«Che c'è di nuovo, generale?» gli fu domandato mentre lasciava il re: Von Mechel rispose: «Perdio, c'è un odore di polvere, che ammorba!»

Ho veduto un ufficiale svizzero mandato in Calabria per un affare di casse militari. Al suo ritorno ei non ha inteso altro che acclamazioni a da Cosenza a Salerno. Chiamato qui dal re e interrogato sulle disposizioni quell'ufficiale ha risposto presso a poco così: «Siamo spacciati.»

Infatti l'insurrezione si mantiene nella Basilicata. Leggo nel primo numero del Cor

«Vittorio Emanuele, re d'Italia, il generale dittatore

«Il governo prodittatoriale, considerate le mene reazionarie dei nemici della patria, gli effetti quali si sono verificati in diversi luoghi della provincia; - considerato l'ultimo attentato della gendarmeria contro la guardia nazionale e contro i cittadini di quel capoluogo.

«Dichiara:

«1° Che l'insurrezione della provincia è legittima:

«E ordina

«2.° Che il comando dell'armata patriotta sia affidato all'onorevole colonnello Cammillo Boldoni.

3.° Che una giunta insurrezionale sia immediatamente installata in tutti i municipi! della provincia; che questa giunta sia composta di tre individui noti per la loro fede politica e la loro energia - i quali saranno scelti da commissarii delegati a questo effetto e muniti facoltà necessario;

4.° La giunta stabilita jn questo modo ha tutti i poteri necessari: 1.° Per fare eseguire tutte le disposizioni che emaneranno dal potere prodittatoriale;

2.° per mantenere l'ordine interno; 3.° per rispondere ai bisogni dell'insurrezione colla mobilizzazione immediata di vi terzo della guardia nazionale, colla formazione d'una cassa dei pubblici denari e d'altre offerte spontanee, e col far sì che il municipio tenga a disposizione della patria, uomini, armi e munizioni.

«Potenza 19 Agosto 1860

Una lettera indirizzata da Potenza, il 25, al Sig. F. Petruccelli, e pubblicata nell'Iride, dice: fra quattro, cinque giorni, avremo sotto le armi, e bene, 15,000 vigorosi combattenti, e 500 cavalli: 120 preti, 24 frati, servono nelle nostre file, comandano piccole schiere Così il padre Raffaello da Cirignola marcia alla testa di 200 giovani mandati da Spinazzola. Ogni comune ha formato una cassa militare pei suoi; i più ricchi possidenti della provincia hanno largamente contribuito; è sono. tutti qui. Chiunque ha ricchezza intelligenza accorre; sicché v'è folla. Il popolo gareggia colla cittadinanza; le donne cogli

r fucili arrivati da Sapri confermano la nuova dello sbarco operato in quel luogo già celebre nella storia scorrerie moderne. Affermano dappertutto che sono seimila i patriotti scesi su costa, e che li conduce il figliuolo di Sembra egualmente certo che Cosenza è insorta. Parlasi di corpi franchi raccolti da per tutto, di difezioni di tutta l'armala, e tante altre cose. Ecco le notizie più sicure; provengono dal comitato dell'ordine, il solo che abbia il sensocomune.

«Il generale dopo la vittoria di Reggio, si recò cdi circa 7,000 uomini a Villa San Giovanni. La mattina del 23 egli assaltò i regi, in numero di 15,000 uomini ordinati a scaglioni nelle campagne, intorno a' forti di Altafiumara, Torre di Cavallo, Sicilia e Punta del Pizzo.

«Dopo poche ore di combattimento!e brigate Melendez e Briganti, 5,500 uomini tra tutte e si arrenderono a discrezione, e ribaldi, dopo averle disarmate e disciolte; invitò ciascuno a seguirlo o a ritornare afte loro case. Un piccol numero d'ufficiali acconsentì a seguirlo, esempio dato il resto dei regi incominciò a rendere le armi e a darsi alla fuga. La sera il forte del Pizzo, capitolò, e le milizie del Borbone ne uscirono disarmate.

«Nella notte del 24 investì gli altri forti, i quali tutti successivamente si arresero, senza trar colpo, l'uno dopo l'altro, e alle stesse condizioni del primo. - il governatore: generale della Calabria Ulteriore I, in virtù dei suoi pieni poteri, ha già proclamato lo Statuto fondamentale e le leggi organiche di S. M. il re Vittorio Emanuele.

«I valori al servizio del governo siciliano trasportano truppe dal Faro nella parte opposta dello Calabrie. Si dice che ha già un corpo dai 18. ai 20,000 uomini.

«Bagnara, 22 Agosto. - Il colonnello Ruiz non intende riprendere la posizione d'Altafiumara, perché ha già occupato tutte le alture. - A illa San Giovanni le truppe hanno fraternizzato coi garibaldini. e il generale Briganti passeggiavano insieme sulla piazza di Bagnara, per ordinare le Il generale Briganti ha accattato l'invito di per pranzare insieme e collo stato maggiore. Le medesime cortesie sono state scambiate col generale Melendez sul campo di Piale.

«Tutta In truppa a Piale e a Villa San Giovanni, ha ricusato di battersi contro pochi che opinavano diversamente hanno dovuto sbandarsi, ed unirsi ai colonnello Ruiz.

«Salerno 26 Agosto. - Il generale Scott spedisce una grossa colonna a Avellino, per reprimere qualunque siasi movimento d'insurrezione.

«Pizzo 26 Agosto. - Il telegrafo di Montecivita è abbandonato. Da Capo Bonifazio vengon segnalati piroscafi che si dirigono verso scirocco; un d'essi rimurchia un bastimento mercantile. Segnalano quattro brigantini e molte barche su diversi punti.

«Cronaca interna - Continuano gli arrivi di truppe da Reggio e da Torre di Piale. Il ministro dell'interno manda ordini severissimi

La polizia combatte dal canto suo contro i reazionarii, ed anche contro i rivoluzionarii. Il processo pel fatto del conte d'Aquila si prosegue attivamente. Quanto agli uomini del partito avanzato ecco l'espediente che hanno preso. Gli hanno semplicemente invitati di recarsi alla prefettura, e poi con ogni maniera di gentilezza gli hanno pregati di andarsene. I più tra costoro non hanno voluto presentarsi (e tra questi il Sig. Giuseppe Ricciardi). Altri hanno protestato contro questa proscrizione arbitraria e segnatamente il Sig. Nisco, il quale si è rifugiato a bordo di una nave piemontese.

Nel numero strane scoperte della polizia, in questi ultimi giorni, dobbiamo accennare quella d'un personaggio sinistro che era alloggiato nell'albergo della Bella Venezia, e si faceva chiamare Bandini. Trovarono presso di costui un gran plico suggellato collo stemma regio.

Protestò d'essere unitarissta

e scuoprèndo il suo antibraccio, lo mostrò segnato di questa inscrizione: Unità e Indipendenza italiana. Se non che commissario lo pregò di ripiegare più in su la camicia, e. costretto a obbedire, lasciò 'vedere sulla parte superiore del braccio stampate egualmente le parole Costanza alla Monarchia. Cotesta specie di pipistrelli non manca mai tra gli agenti segreti delle cospirazioni. Ecco un fatterello per lecchezzo. Un certo numero di soldati prigionieri di Garibaldi hanno chiesto di ritornare a Napoli. Garibaldi gli ha imbarcati sul Franklin, e rimandati. Il Franklin è arrivato stamane inalberando la bandiera parlamentare. Alcuni vapori napoletani gli erano andati incontro, e per poco non l'hanno accolto a cannonate. Essi avrebbero calato a fondo centottanta Napoletani resi al loro re dalla favolosa generosità del corsaro.

28 Agosto

Tutta la guardia reale è già partita. Il maresciallo di campo conte Cutrofiano ha ripreso il comando della piazzo, e rinnovata la proclamazione dello stato d'assedio, per l'edificazione del paese.

Mi vien detto che il. capitano dei corpi stranieri, che sono a Salerno, ha testé fatto arrestare uno Svizzero, non militare, stabilito in cotesta città, sotto il pretesto che egli favoriva le diserzioni; e dopo averlo tenuto tutta una notte in carcere, legato i piedi e le mani dietro la schiena, gli ha fatto dare, senza fede né legge, e di proprio arbitrio, cento bastonate da' suoi uomini. Ora è bene avvertire che la bastonatura è stata abolita, fanno poche settimane, da un decreto speciale e firmato dalla mano del re.

Sono ora nel caso di dire qualche cosa sugli sforzi tentati dal governo per ottenere che Napoli sia neutralizzata. Cotesta è un'idea del Sig. de Martino, comunicata al ministro di Francia, accettata da lui di botto, siccome un bel pensiero d'umanità, combattuto in seguito dal ministro inglese che non voleva impegnare |a responsabilità del suo paese, e discussa finalmente domenica in un consiglio diplomatico al ministero degli esseri.

Appariva evidente che il governo napoletano, oltre le ragioni d'umanità, che io non contesto, aveva delle mire militari. La città neutralizzata non avrebbe più avuto bisogno d'esser difesa; così rimanevano tanti soldati di più da opporre a Garibaldi. Eppure Napoli bella e buona, com'è, meritava d'essere risparmiata; sicché il corpo diplomatico fini col decidersi ad accettare cotesta neutralità senza guarentirla. Ma il punto essenziale sì era il farla accettare da Garibaldi. Il Sig. Villamarina si prese questo difficile assunto. Egli offrì di recarsi personalmente presso il generale dei patriotti, salva l'autorizzazione di Vittorio Emanuele, Questa autorizzazione non era ancora giunta stamane; ecco lo stato delle cose. Debbo intanto aggiungere che due ministri stranieri (indovinate quali) si sono pentiti ieri della loro decisione di ieri l'altro, e hanno ritirato l'adesione ch'essi avevano data all'idea umanitaria accettata dalla Francia. Quei due ministri, cui non giova nominare, dichiarano adesso che non vogliono entrar per nulla in un aggiustamento, sia pur qualunque, con un capo di filibustieri.

Questa convenzione proposta dal Sig. di Martino e approvata dal corpo diplomatico, ha un carattere singolare; essa è senza precedenti nella storia. La è la prima volta che si mette una città fuor di combattimento. Abbandonata dalle truppe, Napoli sarebbe protetta dal presidio che la difende ordinariamente in tempo di pace, ed anche cotesto presidio dovrebbe essere neutralizzato. Dopo la guerra, che continuerebbe a Salerno, negli Abruzzi, a Gaeta, e altrove, Napoli apparterrebbe per diritto al vincitore. Il pensiero è generoso, ma fantastico.

29 Agosto

I giornali contengano una lettera del nunzio apostolico al Cardinale Antonelli che prova il malo esito dell'imprestito romano presso gli abitanti divotissinii del reame di Napoli. Io non voglio citare quel documenta;. Rilevo solamente questa frase: «Le popolazioni... soprattutto a causa della estrema empietà, nata dalla rivoluzione disgraziatamente compiutasi in Sicilia e minacciante adesso violentemente il resto del regno, non si trovano disposte a rispondere alla chiamata.»

Varii liberali esaltati, avendo ricevuto l'ordine di partire, si sono rifugiati sui vascelli stranieri che sono in rada; tra gli altri il principe Lequile e dicesi anche il colonnello Carrano. Vogliono che il re dicesse: Come accade mai che Carrano e Lequile sono tuttavia qui, mentre Mazza e Governa hanno lasciato Napoli?

Ecco il duodecimo bollettino del governo segreto:

«Riceviamo le nuove officiali seguenti sullo stato della colonna del generate Gallotti, che ritorna da Reggio:

N. Ufficiali Soldati Disarmati

«14° di lin, 33 890 180

«13° idem »

26

9

«1° idem » 67 58

«1° Cacciat. » 33 8

«2° Corr. » 26 Smontati

«Mezza batteria d'artiglieria, senza cannoni nè cavalli, con 2 ufficiati e 63 soldati.

«Treno: 1 ufficiale e 33 soldati disarmati.

«3 Trombettieri della guardia d'onore.

«7 Ufficiali isolati.

«9 Ufficiali e 300 soldati feriti o malati.

«L'8 di linea imbarcato a Paolo per imbarcare al Pizzo, e combattere i soldati di Garibaldi, si è ammutinato in quest'ultimo luogo, e volle ritornare a Napoli, ove è giunto ieri sera sul vapore francese: la Ville de Lgon

«I cacciatori del 14° battaglione hanno trucidato il generale Briganti, che gli ha traditi.

«I distretti di Campagna e Sala sono in piena rivolta.»

Un'osservazione. Sento dire che i soldati dell'8° di linea non si sono ammutinati per ritornare a Napoli, ma che hanno dovuto retrocedere dinanzi al contegno ostile delle popolazioni. Un altro vapore garibaldino ha ricondotti altri prigionieri ed altri feriti a Napoli. Parlasi di sommosse in tutte le provincie. Siamo prossimi alla catastrofe.

1 Settembre

Avanti! al passo del telegrafo! Questa spedizione il lampo, come diceva Manzoni. Lo stesso scriveva da Palma il 25 Agosto:

«La nostra marcia è un trionfo; le popolazioni sono frenetiche, i regi si sbandano.

Ecco la storia di questa in tre parole. Manifestazioni a Bari, diserzioni eziandio a Benevento, d'onde sono partiti tremila uomini per unirsi al dittatore. Tutta la Calabria citeriore è insorta; dappertutto formatisi accampamenti. In Altamura siede un governo provvisorio. A Catanzaro la bandiera italiana sventola davanti il palazzo dell'intendenza, e davanti la statua di

I Calabresi sono ammirabili: essi soli hanno fatto capitolate la brigata di Caldarelli; reggimenti di carabinieri una batteria, uno squadrone di lancieri che hanno di non più combattere contro contro le guardie nazionali, né contro la Sicilia. Essi se ne vanno da Cosenza, cacciati dal comitato di quella città, e promettono di mantenere la disciplina dovunque passeranno. Hanno lasciato il materiale inutile e 500 fucili in deposito. I patriotti li seguono a distanza e chiudono 'dietro di essi i passi perché non ritornino.

Il 27 un drappello di giovani è partito d'Eboli per andare a sollevare il Cilento. A Oliveto gli hanno ricevuti con acclamazioni. Giungendo a Buccino erano già 2,000. In Calabria sonvi quattro campi d'insorti, è secondo le voci che corrono può disporre già in quelle provincie di 40 mila uomini. A Napoli il popolo favorisce le diserzioni. Tra i più attivi a nascondere i soldati che abbandonano i loro corpi si cita una donna singolare, eroe in gonnelle, ardita fino all'audacia, armata fino ai denti, e garibaldina fino in fondo all'anima; la chiamano la San Giovannara; tutto il suo quartiere obbedisce ai suoi ordini.

Dicono che il giovane principe don Alfonso, fratello del re, parte con le truppe; che

Che Castro-Villuri ha disarmato i suoi gendarmi; che era il 28 in Pizzo; che ieri il conte d Aquila, di ritorno è sbarcato a Posillipo, donde è ripartitimmantinente; se ne dicono d'ogni specie!

L'Iride ci trasmette curiose notizie dalla Basilicata. Boldoni comanda la provincia; da ordini e li pubblica senza mistero. Chiunque organizzerà bande, con armi senza, senza avvisarlo, e chiunque v'entrerà sarà punito di morte. A Napoli hanno scoperto spirazioni. Un Francese, ch'io non voglio nominare, ha stampato in quarantamila copie un indirizzo del popolo al re per supplicarlo di assumere il potere assoluto. Coteste Francese è stato arrestato. Hanno trovato presso di lui lettere romane e carte che provano com'egli fosse stipendiato da un principe reale. Il suo indirizzo non è scritto male; disgraziatamente non ha il senso comune; non basta essere intriganti per risuscitare i cadaveri.

Con questa nuova cospirazione tutta la popolazione è stata conturbata; perché si son vedute rinforzare le guardie, chiudersi le botteghe, e le altre solite cose. Si era anche sparsa una voce strana: si diceva che ieri sera il ministero aveva detto al re: «Sire,

Sapiente consiglio, non è vero? Ora però vi dirò la verità intorno a coteste ammutinamento ministeriale.. Il conte Cutrofiano comanda la piazza; il principe Ischitella. comanda le guardie nazionali; il ministero pretende, con ragione, o a torto, che quei comandanti congiurano. Intendiamoci però sul valore parole; congiurare, in questo momento, significa tenere le parti del re.

Ond'è che ieri sera i ministri hanno detto a Sua Maestà di scegliere tra essi e i loro avversari. Essi proponevano al posto d'Ischitella il generale de Sauget, ed al posto di Cutrofiano il generale Viglia. E veramente la risposta doveva esser data ieri mattina alle undici ore. Jeri mattina alle ore undici, il re non essendo ancora deciso, i ministri mandarono le loro demissioni; ma non hanno ancora lasciato l'ufficio. Come transazione temporanea fu deciso che Cutrofiano non darebbe alcun ordine senza l'adesione del ministero.

Ecco la verità vera.

I capi di battaglione

Il 8ig. Raffaello Farina protesta contro la sua espulsione dalla prefettura. Il Sig. Savarese protesta contro la destituzione d'uno dei suoi impiegati bonifiche. Il conte d'Aquila protesta, il ministero protesta, il paese protesta; qui non vi hanno più che protestanti. L'indisciplina e il disordine sono patenti nell'armata. Ho accennatoil fatto dei revolvers sequestrati in dogana sotto pretesto ch'essi eranostati comprati pel conte d'Aquila. Ora mi vien detto che il re gli ha reclamati siccome roba sua e li distribuisce ai suoi uomini. Jeri l'altro sera v'era folla al teatro San Carlo. Era benefiziata dei volontari feriti nel 1848-49. È stato molto applaudito il tragico Salvini che declamava un bel poema di Prati, la Cena d'Àlboino. Qui non manca l'entusiasmo.

L'altro giorno al di là di Resina, un ufficiale ba arrestato il corriere di Calabria, ed è stato tre ore, a leggere le lettere mandate da Napoli in provincia; e ciò alla presenza d'un alfiere della guardia nazionale e del sindaco del luogo, richiesti d'assistere a cotesta operazione. L'ufficiale non faceva altro che eseguire l'ordine formale del comandante la piazza di Napoli. Notate che viriamo sotto un reggimento costituzionale. Finalmente, posso annunziarvi che il duca di Cajanello è partito l'altro giorno per Parigi con mandato straordinario; va a presentare lo scuse del governo all'imperatore per l'attentato contro il Sig. Brenier. Il duca porta una lettera autografa del re di Napoli. Credo che il giovine monarca domanda se l'ingresso di nel regno non può considerarsi, sotto un certo aspetto, come un intervento. Ma, e i 6000 Bavaresi che gli sono giunti dall'Austria?

2 Settembre

Ecco un documento curioso; sono le istruzioni date dal colonnello Boldoni per la guerricciuola che sta forse per incominciare nella Basilicata; questo documento da contezza, meglio che tutte le descrizioni possibili, della famosa strategia :

Istruzioni per la parte armata

degli insorti.

«Apparire per isparire; inquietare senza posa i regi; attirarli negli agguati per combatterli con vantaggio sicuro; usare tutte le astuzie immaginabili per condurli nei luoghi difficili; non dar loro tregua ne il giorno né la notte; impadronirsi dei di viveri e di munizioni, del denaro armate, e casse pubbliche; indebolire distruggere l'azione dei regi: ecco come gl'insorti faranno la guerra. Per questo vuolsi conoscer bene i luoghi ove si passa, quelli pei quali debbon passare i resti per assaltare gl'insorti, e quelli

«Bisogna pertanto conoscere non solamente le strade che conducono al monte che ci sta di faccia, ma anche quelle della ritirata. Se la truppa ritirandosi è stanca, si riposi nelle gole strette e nei boschi, ma frattanto si custodiscano le alture, e si chiudano i passi con barricate. Gl'insorti marcieranno sempre con una vanguardia e una retroguardia, e con una scorta, ed esploratori ai fianchi. La vanguardia dev'essere più grossa andando avanti; ma invece più grossa la retroguardia retrocedendo. Le truppe dei fianchi non devono appiccar battaglia. Gli esploratori si allontanano dai fianchi, minacciano, e studiano il terreno visitando le case, e chiedendo nuova dei regi.

«Si molestano i regi con incessanti marcie di giorno, recandosi con poca gente sui siti sui diversi siti ch'essi occupano, e sparando qualche fucilata per diffondere l'allarme nei loro accampamenti e acquartieramenti, e poi scomparendo. Si attirano nelle imboscate come, per esempio, nei sentieri dominati dalle alture, nelle gole anguste, nei luoghi nei quali non possono operare; dando loro false guide che li menino in siti occupati da noi precedentemente, e nei quali ci sia agevole costringerli a deporre le armi, se non. vogliono essere schiacciati dai sassi scagliati dalle alture.

S'usano stratagemmi per ingannarli: por esempio, si fanno scrivere dalle famiglie ai loro figli ascritti tra i regi false notizie sulle nostre mosse, e sulle nostre posizioni; facendole divulgare dagli stessi regi; facendo credere che abbiamo spedito ordini per razioni e viveri in luoghi in cui quelle razioni e quei viveri non anderanno, e illudendo i regi in tutti i modi possibili e sopra ogni cosa. Le nostre marcie debbonsi effettuare specialmente la notte, perché in quei momenti è difficile che i regi possano operare. Quando i regi occupano un paese, la popolazione in massa deve abbandonarlo, se il paese non può essere difeso, se gl'insorti sono troppo lontani, se non sono numerosi abbastanza. - Per tre giorni, le popolazioni coi loro oggetti preziosi potranno rimanere nelle campagne, perché se i regi vi dovessero perdurare lasciarvi una guardia, gli uomini armati battersi, impadronirsi di cavalli da tiro, artiglierie dei cassoni:

«Vuolsi poi incaricare alcuno di assalire i capi nel caso di scontro; e perciò si scelgono i più audaci, i migliori tiratori, i più abili a maneggiare la scure, la zappa qualunque altro strumento da campagna. Caduti i capi, la truppa si avvilisce; un contadino che passa non da sospetto di voler offendere un capo - La notte, e qualunque volta la truppa degli insorti dovrà fermarsi per riposarsi, importerà mandare attorno varii drappelletti, e porre sentinelle d'infanteria sulle alture, e vedette di cavalleria, e far pattugliare un terzo almeno della forza annata. €n altro terzo stia in piedi per somministrare rinforzi a coteste pattuglie che vigilano di continuo intorno al campo. La sera darassi la parola che sarà conosciuta solamente dai capi; e un'altra controparola nota alle sentinelle;

avrassi poi

un segnale per quelli che sono nel I interno del campo. Queste parole le darà il commissario civile, perché sieno comuni a tutte le provincie e mandate anticipatamente ogni cinque giorni.

Potenza 20 Agosto 1861

Il Colonnello Capo dell'insurrezione

«CAMILLO BODONI»

4 Settembre

Incominciamo dalla storia di Napoli. Sabato mattina, come fu giri avvertito, il ministero aveva minacciato di dare le sue dimissioni se non si toglieva il comando della piazza e Cutrofiano, e della guardia nazionale a Ischitella, sostituendo al primo il generale Viglia, al secondo il de Sauget. Ma il re non accorda mai che una parte di ciò che gli domandano. Egli non accordò dunque né il Viglia, né il de Sauget, ma acconsentì ad allontanare Cutrofiano, e mettere in sua vece al comando della piazza il generale Cataldo.

Sicché la sera di sabato tutto il ministero mandò le sue renunzie in iscritto; e il re le accettò. Poi, dopo i ministri rinunziarono i direttori dei ministeri, il prefetto di polizia, i commissari, gl'ispettori e una lunga fila di impiegati subalterni.

Questo nasceva dal credere che cotesta determinazione solenne potrebbe suscitare un moto in Napoli; ma tutto è rimasto tranquillo. La sera di domenica, fuvvi, è vero, un po' d'agitazione. Nella notte, affìssero ai muri dei cartelli tricolori acclamanti Garibaldi e Vittorio Emanuello, nostro re. Quegli adissi furono lacerati in parte dai soldati, in parte dal comitato di azione, che non vuole rumori. l'ebbe anche qualche rissa sciolta a pugni, qualche minaccia di stilettata. Ma l'ordine presto si ristabilì. Jeri, malgrado la crisi ministeriale, malgrado l'ostilità dei due comitati segreti, malgrado Garibaldi che si avvicina, ed il re che non vuole andarsene, la città era quieta.

Intanto il ministero rimane al suo posto aspettando chi lo surroghi; ma aspettano per ora invano; nessuno si vuoi pigliare coteste carico. 1 ministri demissionarii consultati sulla scelta dei loro successori designavano i Sigg. Serracapriola, Buonanni e Falconi; ma questa combinazione non è riuscita. Ecco un articolo del Nazionale di ieri che definisce la situazione con molta precisione e molto coraggio:

«La crisi ministeriale continua, e crediamo ch'essa non debbe cessare. - Una nuova amministrazione, quando pure potesse formarsi, viverebbe, secondo noi, in una crisi continua, che non finirebbe che colla sua morte. - Noi neppur comprendiamo il perché d'un nuovo ministero. Esso sarebbe un elemento di maggior disordine, poiché vorrebbe governare e noi potrebbe. - Basta, a senno nostro, che i ministri dimissionarii continuino a spedire gli affari, a tener saldi gli scarsi mezzi di ordine pubblico che rimangono, ad impedire che il sangue venga inutilmente versato. - La crisi non potrebbe cessare che per due mezzi; ma la crisi ministeriale non cesserebbe per alcuno di quei due mezzi, cioè:

«O per una risoluzione spontanea ed unanime d'una immensa maggioranza di cittadini;

«O per una risoluzione spontanea del re.:

«Ora né quelli né questi ci sembrano decisi a prendere questa risoluzione; ond'è che si vegeterà in questa situazione penosa ancora alcuni giorni, qualunque siasi il ministero che resta, O quello che salisce.

«Che se il re si risolvesse a comporre un' amministrazione reazionaria, non farebbe che un ultimo male al suo popolo e, lascerebbe di se un'ultima ricordanza ben trista. Ma, è Io diciamo eoo vera schiettezza e lealtà, il re a quest'ora non salverebbe più nulla.

«Il re vuoi forse resistere ancora? Bene, vada al campo coi soldati che gli rimangono fedeli; aspetti a un passo il Garibaldi, e combatta! Noi saremo astretti a deplorare la sua risoluzione, ma non dovremo vilipendere la sua alterezza reale.

«Ma non permetta che oggi, in nome suo, si arrestino, si perseguitino, si uccidano i cittadini; la non sarebbe né una risoluzione di re, né una prudenza d'uomo di stato, ma una vendetta passeggiera e vana accordala a quelli che lo hanno perduto. Poiché vi pensi bene, coloro che l'hanno condotto ove ora si trova, non sono né i liberali, né gli militari; ma sono quelli che pretendono essere i più fedeli dei suoi servitori, i più convinti dei suoi partigiani ed i più accaniti dei nostri nemici.

Veniamo adesso alla riunione militare convocata dal re sabato sera. Trattavasi semplicemente di sapere se era ancora possibile di resistere a Garibaldi. Il generale Bosco, che certe corrispondenze avevano mandato a Monteleone, e che non era mai andato più in là di Salerno essendo ritornato a Napoli per consultare il dottor Palasciano sopra una lombagine ostinata, assisteva al consiglio dei generali. Invitato a parlare Bosco disse risolutamente che sé l'armata era così debole e sì facile a lasciarsi sedurre voleasene incolpare certi gran signori militari che appiccavano la spada alla parete, e stavano tuttodì al tavoliere. Il principe Ischitella ricevé la botta, e la prese al balzo; la scena fu violenta al cospetto del re: per poco non andò a finire là sul fatto in un duello; la domane il generale Ischitella mandò le sue dimissioni al re, il quale parlò queste dolorose parole: «Io non faccio mai il male, eppure ne porto sempre la pena.»

Queste angosciose parole sono la moralità di quest'ultimo regno, espiazione dei falli, e, diciamolo pure francamente, poiché è storia, l'espiazione dei delitti di Ferdinando. Intanto i generali hanno dichiarato nel loro consiglio che l'armata poteva reggere ancora. Una sola voce, più coraggiosa e più sincera, ha sostenuto che una prolungazione del conflitto, non sarebbe più che un inutile spargimento di sangue. Ringraziamo il generale de Sauget che ha detto francamente questa libera parola. Disgraziatamente essa non sarà ascoltata; e senza organizzare un disegno di guerra, senza raccogliere delle forze per un estremo sforzo, il re persiste nel sistema di ostinazione e di indecisione che ha già rovinata la sua dinastia.

Ecco, del resto, le ultime notizie della guerra desunte dagli ultimi bullettini (n. 17 a 21) del comitato dell'ordine.

Il 30 agosto, il Sig. Stefano Passaro, in virtù dei poteri che gli sono stati conferiti dal comitato centrale, ha dichiarato l'insurrezione incominciata nella Lucania occidentale. - Egli ha formala una commissione per raccogliere armi e munizioni d'ogni specie; una commissione per le offerte volontarie, ed una commissione destinata a provvedere alla sicurezza pubblica. - Le truppe regie di Monteleone si sono sbandate, ed unite in parte, all'armata dei patriotti. - L'insurrezione d'Altamura cresce a vista d'occhio. - Il 31, numerose bande di volontarii organizzate a Piedimonte d'Alife si disponevano a partire per Avellino. - Già il 30 a mezzodì, circa un tremila insorti giungendo da tutti i comuni del distretto di Sala e una trentina di soldati di Garibaldi comandati da Fabrizi da Nupone erano entrati in Sala gridando: Viva l'Italia Viva Vittorio Emanuele! Viva Garibaldi! ed avevano istituito un governo provvisorio nel palazzo della vice intendenza. - La banca di Bari ha le casse vuote, gl'impiegati del governo non sono pagati. Il comandante militare volendo evitare dei conflitti colla popolazione ha lasciato la città. - Tre vapori senza bandiera che si dirigevano sopra Gaeta sono tornati indietro verso scirocco. - Parlasi d'uno sbarco garibaldino sulle coste di Mondragone. - I soldati ritornati di Calabria, e che erano stati spediti a San Saverino per formare un solo corpo, si sono sbandati e sparsi a Caserta, a Capua, ed in altri luoghi vicini. - Hanno richiamato a Napoli la gendarmeria di Lecce; ma la popolazione ed il comitato nazionale di cotesta città si sono opposti alla partenza dei gendarmi., e questi sono rimasti.-Quest'ultima notizia è di ieri, 3 settembre. Tali sono i bullettini del comitato dell'ordine. Ecco un manifesto affisso dal comitato d'azione:

«A Sala, il Dittatore Garibaldi al prodittatore Giovanni Matina (risposta).»

«State saldi e organizzate le vostre rivoluzioni. Non fa d'uopo che mi veniate incontro. Verrò io da voi. Dite al mondo tutto che coi miei prodi Calabresi ho fatto abbassare le armi a 10,000 soldati comandati dal generale Ghio.

I trofei della vittoria furono 12 cannoni, 10,000 fucili, 300 cavalli, alcuni muli, ed una immensa quantità di arredi da guerra. - Parto per Rogliano.

Agrifoli, 8 ore della mattina»

Sento dire che Bosco e Vpn Mechel non andranno ad assalire il nemico, ma Io aspetteranno davanti Salerno. In questo momento tutta la flotta è a Napoli. Si era sparsa la voce che volessero mandarla a Trieste, per darla ali Austria, adesso che essa è inutile al re, e che potrebbe servire a Garibaldi. Ma gli equipaggi non hanno voluto partire i macchinisti sono scesi a terra, alcuni anche colle loro robe. Tre soli vapori hanno salpato, l'Ercole, il Fieramosca, ed il Ruggiero, dietro promessa formale di non andare oltre Gaeta, e ritornare immediatamente. Questo serve a dipingere lo stato di Napoli.

Sere sono fu cantato, nel Teatro Nuovo, un inno alla guardia nazionale. Dopo gli applausi frenetici alla cantante che teneva la bandiera italiana, alcune voci proruppero tre volte con un accordo perfetto in queste grida: Viva Vittorio Emanuele! Viva Garibaldi! Viva l'Italia!

Tutto l'uditorio fremé d'entusiasmo a quelle grida sediziose. L' ispettore di polizia si provò veramente a imporre silenzio con gesti di pace; ma fu indarno. Da quella sera quel teatro è rimasto chiuso, e l'inno non è stato ripetuto. -.Questa sera doveva esservi al teatro San Carlo una nuova dimostrazione, ma l'hanno contrammaudata. Nessuno si dee più muovere fino all'arrivo di Garibaldi.

VI.

GARIBALDI A NAPOLI

Garibaldi a Napoli - Francesco II a Capua - Proclamazione e decreti di Garibaldi - Aneddoti di Garibaldi - Resa del Castel Sant'Elmo - Provvedimenti del nuovo governo - Ordine del giorno in occasione della morte di de Flotte - Lo Statuto piemontese promulgato a Napoli - Giudizio su Francesco II.

6 Settembre

Garibaldi è in Napoli, e tutta la città non risuona che d'una acclamazione; ma moderiamo il nostro entusiasmo e procediamo con ordine. - Ecco i dispacci di ieri l'altro.

Afan de Rivera al Colonnello Anzani

Salerno a ore 10, 30 di Sera

«Si è saputo da due sott'uffiziali che ritornavano dalle Calabrie, che la brigata Caldarelli si è unita a Garibaldi; che Garibaldi è a Auletta; che è avvenuto a Sapri uno sbarco di 4,000 uomini comandati dal generale Turr. Si chiede truppa.»

Comando Generale a Afan de Rivera

Napoli, ore 2 dì mattina

«Tutta la truppa che è a Salerno si concentri a Nocera passando. per la Cava, e si metta subito in moto, tenendo occupata con due battaglioni la posizione di Cava. Essa aspetterà l'arrivo dell'altra divisione.»

Il Comando Generale al Sig a Avellino

Napoli, ore 2 di mattina

«Nel caso che la posizione esigesse imperiosamente di ritirarsi dinanzi o forze superiori, anderete ad occupare le gole di. Monteforte, e di là, se gravi perdite vi ci costringono, vi ripiegherete per Noia su Nocera.»

Generale Perez al Generale Scotti Avellino,

4 Settembre, li ore di sera

«Corre voce che le munizioni di guerra sono state alterale, specialmente i cartocci dei cannoni. Esaminateli.»

Scotti al Comando Generale

«Questa notte marcerò sopra Avellino»

Maresciallo Rivera a S. M. il Re

Salerno, 4 Settembre, 11 ore dì sera

«Il filo elettrico tra Eboli e Salerno è rotto; si dice che Garibaldi con grosse masse di rivoltosi e la brigata Caldarelli è giunto a Auletta. Si mandino immantinenti truppe nei luoghi determinati. Mando per la via ferrata i due sottufficiali Neamburgo, del 15° di linea, e Guida del 4°, con indirizzo al colonnello Anzani.»

Gallenga a........

Eboli, 5 Settembre un ora e mezza del mattino

«La brigata Caldarelli si è unita a Garibaldi; Turrcon 4,000 uomini è sbarcato a Sapri = altri sbarchi saranno effettuati più vicino a voi.»

Ecco i dispacci diffusi ieri l'altro a sera. Non parvi che il telegrafo abbia anch'esso la sua poesia? Quella stile riciso, a spinte, anelante, è veramente quello che conviene a cotesta spedizione inverosimile. Colui che non la scrive coi telegrammi non sa proprio. quel che si fa.

Udite queste notizie il re ha fatto chiamare i capi dei battaglioni nazionali ed ha d'etto loro testualmente queste parole:

«Poiché il vostro... (interrompendosi) il nostro amico comune don Peppe si avvicina, il mio compito è finito, ora incomincia il Vostro. Mantenete la tranquillità. Ho dato l'ordine alle truppe di capitolare.»

Dopo ciò, ieri l'altro, il re ha preparato la sua partenza. La regina di Spagna gli ha offerto il suo palazzo di Siviglia; ma pare che Francesco II vuoi passare per Gaeta e difende i visi Ultima illusione; ma aspettiamo i fatti.

Jeri destandoci abbiamo inteso che Garibaldi, sbarcato la notte tra Vietri e Amalfi, era in Salerno fino dalle ore cinque della mattina. «Il generale arriva, dice il dispaccio; le divisioni Cosenz e Turr lo seguono coi carri, le vetture, e mille altri veicoli somministrati dalle popolazioni -Tien loro dietro Fabrizj con le bande numerose degli insorti di Basilicata e del Principato. Sbarchi da per tutto nel golfo di Salerno. e nel golfo di Napoli.»

La vedete cotesta armata, che giunge in vettura?

Non è spettacolo fantastico, maraviglioso! Figuratevi Io stupore, il contento di Napoli.

La folla impaziente di quei diritti che era in procinto di acquistare toglieva da per tutto gli stemmi regi. Contuttociò l'hanno impedita di prorompere ne' trasporti di giubilo e di ira, che minacciavano d'accompagnare la partenza. del re. Questi si è recato solo, in una barca, a bordo di un naviglio spagnuolo prendendo seco tutto quello che ha potuto imballare; erano le ore 9 di sera. Partendo Francesco II. lasciava una proclamazione alla popolazione di Napoli,Niella quale protestava degli ottimi suoi sentimenti verso il suo popolo; narrava i suoi disegni per renderlo felice, troncati da una ingiusta invasione. Dichiarava volersi allontanare piuttostochè vedere rovinata la sua capitale, e sparso il sangue dei suoi amati sudditi; ma recandosi altrove farebbe ogni sforzo per difendere i suoi diritti. Terminava poi dicendo che se la sorte delle armi e il volere di Dio lo riconducessero presso il suo popolo, e sul trono dei suoi antenati, egli manterrebbe le libere istituzioni omde aveva irrevocabilmente circondato quel trono, per rivedere i suoi popoli uniti, forti

Dopo la proclamazione venne una protesta, nella quale narrando come un audace condotticro, valendosi di tutte le forze della rivoluzione, aveva invaso i suoi domini invocando il nome di un sovrano parente ed amico, dichiarava voler sostenere in ogni modo i suoi diritti basati sulla storia, sui trattati ed obblighi internazionali, e sul diritto pubblico europeo. Diceva che sebbene si allontanasse dalla sua capitale per non esporla ai mali gravi di una guerra interna intendeva riservare tutti i suoi diritti e ragioni; chiamava nulli, illegali e senza valore tutti i fatti ed eventi accaduti a suo danno, e rimetteva nelle mani di Dio onnipotente la sua causa e quella dei suoi popoli, intimamente sicuro di non avere auto. nel breve regno, nessun pensiero che non fosse consacrato al loro bene ed alla loro felicità.

Dietro ciò il re ha ritirato tutte le sue truppe da Salerno e da Nocera, e le ha raccolte a Capua, dove formasi un nuovo campo. Il falso che i Bavaresi si sieno dati a Garibaldi; dal canto loro non sarebbe che un tradimento; essi si sono ammutinati da prima contro i loro sott'ufficiali, poi contro i loro ufficiali che appartengono agli antichi reggimenti svizzeri. Cotesti Bavaresi sono, in generale, Tirolesi e Boemi. Obbediscono malvolentieri agli Svizzeri. - Pare incredibile, ma è però vero, che hanno cambiato in questi ultimi giorni tre volte il disegno della campagna. Da prima si voleva aspettar il nemico fra Eboli e Salerno; poi erano decisi di disporre le truppe a scaglioni nei passi difficili che separano Napoli da Salerno d'Avellino; il terzo disegno, forse il migliore, era di spiegare i cacciatori sulle alture che dominano quelle gole; quivi la difesa sarebbe stata formidabile. Ora v'è un'altra idea; si vogliono rinchiudere nelle piazze forti. Così, retrocedendo sempre, i soldati regi hanno fatto a Garibaldi, il dittatore, un ingresso trionfale in Napoli.

Ancora una parola, e poi dirò di Garibaldi. Prima d'imbarcarsi, l'ultimo Borbone di Napoli ha lasciato sedici colonne di decreti; gli ultimi contengono delle grazie.

Piacemi finire con questa parola la storia di questo regno ch'io ho raccontata giorno per giorno, senza debolezza, ma senza'ira, sostenendo da prima la nazione oppressa, ma usando un giusto riguardo al re vinto.

Eccomi ora a Garibaldi!

Egli è dunque giunto stamane, chiamato dal Sindaco e dal comandante della guardia nazionale. Egli non ha condotto truppe con sé, ma pochi ufficiali del suo stato maggiore; sempre solo, come Cesare. Prima di venire egli aveva scritto ai Napoletani.

«In questo momento solenne io vi riccomando l'ordine e là quiete corrispondente alla dignità di un popolo che rientra nella sovranità dei suoi diritti.

L'ordine è datato da Salerno, e di questo stesso giorno, alle ore sei e mezzo di mattina. Nell'istesso tempo sono state affisse due lettere di Liborio Romano, l'una, a Garibaldi per chiamarlo a Napoli e deporre nelle sue mani il potere con promessa della pubblica quiete e con proteste del suo rispetto illimitato; l'altra, al popolo, per annunziargli Garibaldi, e per consigliargli nel tempo stesso l'ordine e l'entusiasmo.

Il dittatore è sceso alla Foresteria, che è un palazzo situato sulla piazza di San Francesco di Paola e che forma l'angolo destro col palazzo reale. Ho domandato al mio cocchiere perché Garibaldi non occupava la residenza reale, e il cocchiere m'ha risposto: «Perché il palazzo reale è riservato a Vittorio Emanuele.»

Non so se cotesto è un gentile pensiero del dittatore già conosciuto in città, o se è un commento del popolano che m'aveva locato il suo calesse; in ogni modo l'idea è buona.

Il palazzo della Foresteria guarda da un lato sopra una strada, e dall'altro sopra una piazza. La strada e In piazza erano gremite di popolo, malgrado il sole. Garibaldi passava da un balcone all'altro; e la folla quasi impazziva; io non mi sarei mai immaginata una ebbrezza simile.

Prima del mio arrivo Garibaldi aveva arringato i! popolo. Ecco in quali termini il Nazionale riferisce il suo discorso:

«Avete ben ragione di esaltarvi, in questo giorno in cui cessa la tirannia che finora vi oppresse, e incomincia un'era di libertà.

E voi ne siete degni, voi, figli del più splendido gioiello d'Italia. Vi ringrazio di questa accoglienza, non per me, ma in nome dell'Italia che, voi costituite, col vostro concorso, nella sua unità. Così voi meritate la gratitudine non dell'Italia soltanto, ma di tutta Europa.

Pensate gli applausi. Pochi istanti dopo ho veduto di nuovo Garibaldi, e più da vicino, nella via Toledo, mentre recavasi dal palazzo della Foresteria in quello del duca d'Angri, ove il principe di Fondi gli aveva fatto accettare l'alloggio. Il generale pareva quieto, felice, ma stanco; aveva le labbra atteggiate al sorriso, ma un sorriso stanco. Le acclamazioni rimbombavano come fragore di tuono dovunque passava. Io non poteva immaginarmi che l'entusiasmo nazionale giungesse a quel segno.

La strada pareva animata da un capo all'altro dallo sventolare di mille bandiere italiane colla croce di Savoja. Migliaja di carrozze s'incrociavano in tuttj i versi, zeppe di popolani che agitavano bandiere ed esternavano in cento modi, e con alte grida la gioja loro. Nella sua ebbrezza quella gente frenetica brandiva tutto quanto le capitava alle mani, bandiere, picche, bastoni, ed eziandio coltelli. Viva Garibaldi! Viva Vittorio Emanuele! Viva l'Italia!. In quelle carrozze, alla rinfusa. con Napoletani, si tenevano in piedi, colle loro camice rosse, gli uomini di Garibaldi, accolti anch'essi mentre passavano dalle grida da tutti ripetute Viva! Bravi! Coteste grida scendevano da tutti i balconi, si diffondevano per tutta la strada, uscivano da tutte le vie traverse; l'aria era imbalsamata dai fiori, che piovevano da tutte le finestre.

La guardia nazionale faceva ala, e marciava qua e là, colla banda musicale alla testa, con un'aria marziale che non si era mai più veduta; ma ora v'era l'occhio del padrone! - E la folla immensa, le donne del popolo, i carri variopinti, i fiocchi tricolori, le grandi sciarpe in che certi ufficiali s'avvolgevano intieramente, le camicie scarlatte, le vesti cenciose dei lazzaroni, i balconi zeppi di gente, e adorni di tutti i colori, molti preti eziandio, ritti nelle carrozze, agitando anch'essi la croce di Savoja, la quale però non è quella del Vaticano, - tutti quei romori, quei colori, quelle figure sotto la limpida luce e il ciclo ardente di Napoli facevano un tumulto abbagliante ch'io non dimenticherò mai. - La sera poi altro spettacolo, illuminazione, folla che empie tutte le vie; corso di carrozze gremite di gente e di torce; urli e grida di Viva Garibaldi, così insistenti, così frenetici, così spontanei nel popolo, che quei trasporti diventano, per così dire così contagiosi che i più freddi, e forse i più avversi, non sanno resistere alla piena di tanta passione, e gridano e urlano le grida e gli urli del popolo.

Non vuolsi tacere che nessun accidente ha turbato h festa; sebbene ho inteso dire, che poco fa, lontano dal centro, al forte del Carmine v'è stata qualche fucilata, e dei soldati morti. Mille discorsi si fanno e tutti diversi e strani; scelgo il racconto più verosimile. l'ha in quel forte una carcere e dei galeotti. I galeotti hanno voluto evadere, e la sentinella ha scaricato il suo fucile. Quest'atto male inteso, ha dato l'allarme; e dato luogo a mille dicerie l'una più assurda dell'altra. Intanto la guardia nazionale è intervenuta, ed ha ripristinato l'ordine con buone parole.

In conclusione, l'è stata una bella giornata. ba conquistato il regno a marcie forzate in diciassette giorni.

8 Settembre

Il atto di è una proclamazione di alla cara popolazione di Napoli, nella quale come Figlio del popolo dice presentarsi con rispetto ed amore a quel nobil centro di popolazioni italiane non potute umiliare corrompere da secoli di dispotismo. Primo bisogno dell'Italia essere la concordia onde giungere all'unità. Alla concordia avere provveduto la Provvidenza; dover noi oggi provvedere all'unità; essere Vittorio Emanuele il vero padre della patria italiana.

Un primo decreto del dittatore ba aggregato tutto il navilio da guerra dello stato alla squadra del re d 'Italia Vittorio Emanuele comandata dall'ammiraglio Persano.

Bella retata, non è vero? Notate che tutta la flotta è a Napoli, perché il re non poté condurre alcun vapore a Gaeta. Gli equipaggi

Questa sera aspettasi una brigata della divisione Turr. Quegl'Italiani saranno qui i primi venuti; poiché quest'ultima circostanza non è la meno strana di quest'epoca fantastica. «è arrivato solo, lasciando dietro di se tutta la sua armata; i più avanzate lo seguivano a giornate di distanza. La retroguardia è ancora a Reggio. I castelli hanno inalberato ieri la Croce di Savoja nel tempo stesso che l'inalberava la flotta, ma restano sempre nelle mani dei soldati; tratta l'armata con una abilità singolare; perché non creda che disfida di lei egli le lascia occupare le sue formidabili posizioni; egli non glielo toglierà giammai colla forza.

Poco fa egli ha licenziato l'infanteria di marina che gli era ostile, ed ha permesso che tutti quei soldati tornassero alle case loro; figuratevi il loro Corrono per le vie urlando: Viva

9 Settembre

Io non ho parlato al dittatore, perché non sono da tanto da essergli presentato; ma ho conversato già a lungo con varii dei suoi ufficiali, per dir meglio, dei suoi camerati. Il conte Arrivabene m'ha raccontato questa straordinaria Non vi si capisce niente; e se non fosse qui nessuno vi crederebbe. Il generale Galloni s'è lasciato prendere a Reggio come in una trappola. Interrogato su questa resa incredibile rispondeva ai patriotti? «Che volete che vi dica: lo vi aspettava per dinanzi, e voi siete venuti di dietro.»

Sapete voi in qual modo gl'Italiani hanno preso Salerno? Mercé d'una semplice burla immaginata da alcuni ufficiali di buon umore, Essi composero dispacci, l'uno al ministro della guerra a Napoli, e l'altro al comandante di Salerno, i quali annunziavano che la città era già circondata, le alture occupate., e quarantamila uomini stavano per piombare sui regi. In un batter d'occhi fu levato il campo e presa la città. E la cosa anche più singolare si è che il dispaccio è stato

Altrove un certo numero di Garibaldini hanno assalito quattro cinquecento regi gridando: «Avanti, bersaglieri come se chiamassero un'intiera armata. E tosto i regi hanno deposte le armi. Ora volete sapere quanti erano i garibaldini che hanno fatto quel bel tiro? erano cinque! - Io potrei moltiplicare questi fatti, ma credo basti questo per dare un'idea della di Napoli. Sentite però, per conchiudere, come avvenne la presa di Villa San Giovanni, siccome mi fu raccontato ieri da un' ufficiale dei patriotti. Essi erano disposti a scaglioni sulla montagna, e preparavano la minestra. dormiva. Destato da un fuoco infernale egli proibì ai suoi uomini di sparare un solo fucile, e mandò un parlamentario ai regi per domandare loro il perché non si arrendevano. - Il generale rispose: «Perché i miei soldati si vogliono battere. - Bene, dunque si battano «disse ricevendo questa risposta. E proibito avendo un'altra volta ai suoi uomini di sparare, egli si riaddormentò. Crescendo il fuoco, ribaldi rimandò il parlamentario, il quale domandò di nuovo ai regi perché non si arrendevano. Il generale rispose ancora: «Perché

Nojato però dal tempestare inoffensivo che l'impediva di dormire, il dittatore mandò per la terza volta il suo parlamentario per dire ai regi ch'egli andrebbe ad assalirli se non si arrendessero al termine di trenta minuti. I regi allora risposero: «Questo è quello che vogliamo» e tornarono a sparare più insistentemente che mai contro i garibaldini che non si muovevano. Dopo venticinque minuti essi avevano posate le armi» - Strano conquisto! camminava diritto diritto senza mai voltarsi, per istrade ove cinquecento uomini risoluti avrebber potuto arrestare la sua armata; e questa gli andava dietro, come meglio poteva, qui a drappelletti, altrove a schiere; in certi luoghi quegli uomini marciavano uno dopo l'altro. La coda non era ancora sbarcata sul continente e già la testa era a Napoli. Tutti quegli uomini procedevano un po' alla ventura, mangiavano qualche volta, dormivano dove potevano, le più volte a ciclo scoperto. Fuvvi i primi giorni qualche fucilata; poi nulla più; i regi si disperdevano come la polvere strade sollevata dalla loro fuga.

Il colonnello Frapolli, uno dei primi sbarcati - uno dei grandi Italiani - soldato e scienziato scorreva i monti a piedi, e studiava geologia.

Poi raggiunse e precorse gli altri. Quando giungeva in un villaggio, s'impadroniva prima di tutto del telegrafo, poi annetteva il villaggio e continuava il suo cammino. Così ei si è impadronito di Salerno, e l'ha tenuta in sua mano un giorno intiero con tre amici. Egli è giunto a Napoli prima della partenza del re - e quivi, in Napoli, ei si è impadronito del telegrafo anche prima della partenza del re - Io non invento nulla; ho avuto tutti questi ragguagli dagli attori stessi di cotesta, ch'io chiamerei volentieri, commedia eroica, farsa di cappa e di spada degna del teatro spagnuolo.

Ma vi è anco, lo confesso, il lato schifoso, ignobile. Francesco II è stato abbandonato infamemente da tutti quelli che avrebbero dovuto sostenerlo. Ora costoro si vantano d'averlo tradito. Non voglio più rammentare le difezioni dell'armata, le rotte e gli sbandamenti Calabrie; i soldati tratti la sera dai loro generali in certe strette in cui essi svegliavansi la mattina circondati dai patriotti; il denaro involato da quelli che friggono adesso, si nascondono, si mettono in mostra, oimè! - Dopo aver venduto il loro re, la condotta equivoca d'una parte della marina, che bombardava risolutamente

E così dovrei notare se avessi già i diritti dello storico, che deve osare di dir tutto ciò che è vero (ne quid falsi dicere audeat, ne quid veri non audeat) le viltà civili, l'adesione universale degli impiegati, che violano il loro giuramento al re vinto, per conservare i loro impieghi, e che si gloriano di cotesto tradimento; la doppia parte di certi personaggi che erano al potere in questi ultimi giorni, e che servivano nel tempo stesso Francesco II, e allontanavano l'uno e chiamavan l'altro. Ho avuto sotto gli occhi le prove ed anche gli atti della loro politica, le lettere che essi scrivevano al vincitore dal giorno in cui la sua vittoria era assicurata per dargli in mano Napoli e rimanere così al potere. Ma lascio ad altri il tristo incarico di pubblicare e giustificare quelle opere; forse esse hanno

Ora mi affretto d'aggiungere che una gran parte dei Napoletani ha fatto il suo dovere. I più fra gli uomini superiori si sono allontanati sul finire dell'ultimo regno. Intiere provincie, la Basilicata, il Cilento, le Calabrie si sono sollevate spontanee all'appressarsi del dittatore. I Calabresi sono uomini. Quando i patriotti sono giunti a Catanzaro ventimila cittadini sono andati ad incontrarli chiamandoli loro liberatori; altrove, i vecchi piangevano i loro figli, morti troppo presto per vedere cotesta rigenerazione. A Maida, i patriotti hanno trovato tutto li popolo in armi; le donne portavano dei fucili e sapevano servirsene. Anche quelli della Magna Grecia formano una razza distinta, una legione d'uomini fieri e gravi che debbono essere stoici.

La divisione Turr, almeno una brigata di cotesta divisione, giunta ieri l'altro, e partita di nuovo per la provincia d'Avellino, ove alcuni contadini comunisti hanno attirato in un agguato della guardia nazionali e le hanno uccise con barbara ferocia. Non oso ripetere ciò che si racconta stragi di Ariano; son cose da rabbrividirne.

Ora non si parla di Francesco II. Non si parla che di

18 Settembre

L'ho finalmente veduto da vicino, l'ho inteso parlare; egli è ammirabile. Ha voce decisa, risoluta, la mano larga, e il corpo ben tarchiato. Nell'ila ei dev'essere terribile. Nella calma ha lo sguardo placido, dolce il sorriso. non è un ingegno sublime; è piuttosto un apostolo. Egli procede nella sua fede, senza debolezza e senza paura; e frattanto fa miracoli. Nella tempesta ei sarebbe capace di scendere dalla sua barca e camminare sulle acque. Egli crede alla sua missione, come altri credevano alla loro stella, e va innanzi diritto, sicuro del fatto suo, come tutti i vincitori.

L'altra sera, nella rissa del Carmine, nella quale i soldati hanno sparato fucilate e cannonate sul popolo, egli non si mosse; offerse sigari alle guardie nazionali che lo circondavano e disse loro: «Aspettiamoli fumando.» Ma ei sente il pericolo, e quando lo vede in alcun luogo, egli esclama: «Ci vado io!»

Egli stesso ha detto che è figlio del popolo, ed è adorato dal popolo. C'era molto del carnevale in cotesta esplosione di gioja popolare che innebria il paese. Ma quelle pasquinate erano l'espressione esagerata di un sentimento vero, profondo, universale. Pei lazzaroni è un santo, mandato da Dio per salvare il paese. Molti Io chiamano Gesù Cristo; i suoi ufficiali sono i suoi apostoli.

I chiedono l'elemosina in nome di qui tutto si traduce in devozione.

se ne è accorto, la mercé di quel suo raro buon senso, che in lui supplisce alla scienza e all'arte politica. E però ha rispettato le idee cattoliche del paese. Nella sua prima proclamazione egli ha blandito i preti. Appena giunto nella capitale si recava alla cattedrale, nella quale, sia detto per memoria, egli non trovò nessuno. Il clero si era disperso come l'armata fin dal primo istante; ha dovuto salire in pulpito il cappellano di - La domane, festa della Vergine, il filibustiere si è recato, nella vece del re, alla chiesa di Piedigrotta, sempre visitata in quel giorno da un corteggio reale, gli hanno presentato 1 immagine della Vergine adorna di nastri tricolori, col mazzetto di fiori benedetti, che solevano offrire ai re.

I Napoletani credono che è invulnerabile. Forse ei deve a cotesta superstizione la sua salvezza dalle offese dei reazionarii. Rammentatevi ch'egli è entrato solo in città, tuttavia difesa da truppa numerosa (dicono seimila uomini). I castelli erano in mano dei soldati, che avrebber potuto incendiare Napoli. Sotto le finestre della Foresteria, donde egli arringava il popolo, la guardia reale era ancora armata dietro i can

Eppure ha traversato venti volte la folla in carrozza scoperta. E rimasto una serata intiera nel teatro San Carlo illuminato per lui. Il vagone che lo ha trasportato da Salerno a Napoli era pieno d'incogniti; e nessuna palla sanfedista ha fatto udire un sibilo ferale intorno a lui. Jeri sera dicevasi che nello scendere da Sant'Elmo, sulla strada di Capodimonte, egli era stato assalito da un soldato; e che quel soldato era morto trafitto da mille colpi. Cotesta nuova è stata smentita. Trattavasi semplicemente d'un contadino del Vomero, il quale sbucando da una siepe e brandendo un coltello aveva voluto costringere alcuni uomini a gridare: Viva i Borboni! Una fucilata l'ha freddato sul tiro.

Il buon senso del dittatore s'è mostrato fin dal primo giorno nei suoi atti. Si temeva che giunto a Napoli si lasciasse aggirare dai Mazziniani. Ma egli non solamente gli ha spiritosamente allontanati offrendo loro innocui uffici nella Dogana nella Banca, ma ha scelto

Il Sig. Andrea Colonna, che tanto ha fatto per Napoli, negli ultimi dodici anni, è nominato Sindaco della città. Il Sig. Pier Silvestro Leopardi ritorna a Torino, ove rappresentò già Napoli nel 1848, nel tempo della prima guerra; il marchese de Bella va a Parigi presso l'imperatore; e il Sig. Carlo Cattaneo presso la regina Vittoria. - I primi decreti sono ispirati da una singolare sapienza. La cumulazione degli uffici nella stessa persona è abolita; è riconosciuto il debito pubblico; son richiamati ai loro posti tutti i magistrati e ufficiali purché si presentino personalmente e facciano atto d'adesione, senza altra condizione. Le destituzioni sono rarissime; le demissioni anche più rare. La magistratura in massa accetta la dittatura provvisoria ed il regno italiano. I soldati, al contrario, si mostrano avversi, e pochi sono rimasti; sicché

11 Settembre

ha decisamente detronizzato San Gennaro. Egli è adesso il patrono di Napoli; egli regna e governa, è da per tutto, e tutto; ei va per la sua strada con una sublime audacia che gli da ragione e lo salva dal pericolo. Non so se si pensa ancora alla stranezza della sua avventura; lo stupore si stanca, e alla fine accetta tutto. Ma la mia ammirazione è più fedele.

Io aspettava giorno per giorno, coll'ansia del paese, che ne aspettava la sua liberazione, cotesta spedizione di cui ho annunziato a mano a mano il successo meraviglioso. Eppure non mi pare ancora possibile. Ho scritto già da un pezzo che la dinastia dei Borboni stava per cadere al primo soffio. Il soffio è passato, la dinastia caduta, ed io non ci credo.

Si diceva testé di «È un soldato animoso, capace di condurre un battaglione, forse anche una brigata:» Ed io aggiungo: Non esser neppur generale, poiché egli aveva date già le sue dimissioni; non avere in proprio né beni di fortuna, né potere riconosciuto, né mandato legittimo, e neppure uno di quei casati illustri che cuoprono l'ambizione personale d'un diritto divino; - non essere insomma che il rappresentante d'un'idea, di una astrattezza, quasi d'un'utopia come testé si diceva, - e non d'una idea politica, seducente gli uomini cogl'interessi materiali, e con promesse di avanzamento; - ma d'una idea nazionale, che non chiedeva che una sublime annegatone ed eroici sacrifizi, e che, lungi dal trionfare in tre giorni, come le insurrezioni città, non poteva porgere il premio della vittoria, che dopo molti anni di privazioni, di combattimenti e di pericoli.

- Avere intanto contro di se tutta l'Europa, il

diritto delle genti, i trattati, l'equilibrio delle potenze, e non potere opporre a tutte le tradizioni, a tutto le leggi stabilite, che il prestigio d'un nome popolare, illustrato da splendide avvisaglie; ma non consacrato ancora da quelle grandi vittorie che del generale Bonaparte avevano fatto l'imperatore Napoleone. - In somma, esser solo, povero, e senza alcun diritto; ma commuovere le nazione; improvvisare degli uomini, trovare dei milioni, sollevare il mondo con una parola; e ciò senza abilità, senza cospirazione, senza mistero, mostrandosi a tutti, cogli occhi fissi, e col dito teso verso il punto vagheggiato. - Poi partire con una mano d'uomini, e con quella mano d'uomini dichiarare la guerra a un sovrano che aveva centinaja di navi, e 80,000 soldati. Dinunziato, vigilato dovunque, scivolare, per mò di dire, tra crociere formidabili; piombare all'improvviso sul sito più difeso della costa, davanti due navigli da guerra che avrebbero potuto rovinare la sua causa con una ventina di cannonate; poi in quindici giorni, con 1092 italiani e 3 unghie resi, prostrare 30,000 uomini e conquistare la Sicilia. né pago di ciò varcar d'un passo lo stretto, gittarsi d'un lancio su di una piazzaforte, e in diciassette giorni, marciando diritto a sè,

senza deviare d'un passo, conquistare un regno, abolire l'opera d'un secolo, e mostrare al mondo stupefatto una avventura più strana, più meravigliosa dello. antiche conquiste dei Normanni. Essere un corsaro sconosciuto dal suo re, e dare a quel re con una pennata d'inchiostro un centinajo di navi e 10 milioni d'uomini! E tutto ciò dinanzi all'Europa, la quale, sconcertata sulle prime, non osa resistere e non protesta; poi, trascinata, abbagliata, o consacra cotesto eroico attentato con una specie di simpatico astenimento, che costituisce una complicità morale. Ecco che cosa ha fatto quell'uomo solo; e certo non rimarrà a mezza via!

12 Settembre

L'atto il più strano, il più incredibile, il più spaventoso di questa rivoluzione, vogliam dire la consegna già da noi accennata della flotta napoletana all'ammiraglio Persano, che l'ha accettata, è stato consumato fin dal primo giorno senza difficoltà, senza opposizione. Tosto un numero di truppe piemontesi da sbarco sono scese nella città, e la Costituzione ci reca da Genova dei bersaglieri,

e il Sig. Scialoja, uno dei sommi economisti del nostro tempo, il quale ritorna a Napoli, dopo dieci anni di esilio, per assumere il ministero delle finanze. I bersaglieri occupano qui la Granguardia e l'Arsenale. Ecco dunque il Piemonte impegnato. Si dice che l'Austria manda dei passeggeri isolati a Ancona, i quali poi si riuniscono in battaglioni. Questo stratagemma non inganna nessuno. Essa dunque interviene; che diranno Francia e Inghilterra?

Intanto Garibaldi lavora, e lascia venire i suoi battaglioni. Ecco i decreti più importanti pubblicati ieri sera: Abolizione dell'ordine dei Gesuiti; annullazione di tutti i contratti d'ipoteca e di trasmissioni passati con essi dopo lo sbarco del dittatore in Sicilia, essendo che tutti i loro beni, mobili e immobili sono dichiarati beni nazionali. Liberazione di tutti i detenuti politici. Restituzione dei pegni dei monti di pietà il cui valore non ecceda tre ducati; soppressione d'ogni dazio tra Sicilia e Napoli, Istituzione d'asili pei figli dei poveri nei dodici quartieri.

La Nuova Italia reca triste nuove sulla reazione d'Ariano. La popolazione eccitata dai preti, e sostenuta dalla guardia nazionale, ha dato addosso ai garibaldini che v'eran giunti poco prima, e gli ha costretti a uscire dalla città. I contadini, nascosti nelle siepi, uccidevano i fuggenti, e li spogliavano. Dopo la partenza dei garibaldini la città è stata saccheggiata. Scene consimili sono accadute in altri luoghi circonvicini.

Capua è vigorosamente fortificata. La strada ferrata è rotta tino a Caserta. Il re a Gaeta ha nominato un ministero, composto di generali e presieduto, per quanto si dice, dal consigliere Ulloa (che non è il difensore di Venezia). Gli ufficiali della Partenope, sola fregata regia rimasta a Gaeta, si sono presentati al re per dargli le loro dimissioni. Il re ha detto loro: «Badate, potreste pentirvene; pensateci ancora ventiquattro ore» Ci hanno pensato, ma hanno confermato le loro dimissioni.

Le adesioni al nuovo governo giungono da ogni parte; anche da Benevento, benché pontificio. Udite la resa del castel Sant'Elmo. Il presidio era composto di quattro compagnie del 16° di linea e d'una compagnia d'artiglieri. Udendo che lo volevano mandare a Capua esso si è ammutinato. Un colonnello d'artiglieria, presentatosi al castello per chiederne l'evacuazione in nome del ministro della guerra, trovò i ponti alzati, i cannonieri ai loro pezzi, e fu ricevuto a fucilate.

Allora il dittatore mandò a dire al presidio, che se volessero tornarsene alle case loro nessuno vi si opporrebbe: figuratevi la gioia di quegli uomini, e le grida di Viva Garibaldi! Tosto Sant'Elmo fu ingombrato da popolani, che compravano a vil prezzo le bagaglio dei soldati. Se non che nessuno andava a prendere possesso del forte. Finalmente alle ore sei, una pattuglia nazionale, composta di otto uomini e un caporale, avvertita del caso, salì da Antignano a Sant'Elmo. Fu preso a caso il primo officiale che capitò, un porta - bandiera ci raccolse tre o quattro camice rosse, qualche contadino armato di picche, due cittadini; più in là fu incontrato il colonnello d'artiglieria, che si era presentato il dì innanzi, - e si entrò nella cittadella. Alla vista della croce di Savoja, il presidio gridò: Viva Garibaldi! Dopo le numerose diserzioni, non rimanevano che sei cento soldati, i quali uscirono alteramente con armi e bagaglio, procedute da molti lazzaroni che portavano la bandiera italiana, e acclamati da per tutto con entusiasmo. Essi scaricarono per via i loro fucili e gittarono lo loro munizioni. Molti uscivano dalle file per chiedere la nappa tricolore; erano divenuti italiani per non essere più soldati!

Hanno trovato nel castello 63 pezzi d'artiglieria, 5 obici, 1 mortajo da bombo ed una enorme provvisione di viveri e ecco come si è arresa ad una quindicina di prodi quella cittadella formidabile; che; doveva ardere Napoli.

15 Settembre

Garibaldi abita sempre nel palazzo d'Angri. Il Sig. Bersani e Liborio Romano sono sempre i suoi consiglieri onnipotenti. Fino do mercoledì il ministero di polizia è stato separato dal ministero dell'interno, e affidato al Sìg. Conforti focoso avvocato in Napoli, ministro nel 1848, esule dieci anni a Torino, ove aveva ottenuto varii alti uffici ed anche un seggio nel parlamento. Agl'intendenti delle provincie che saranno chiamati ad altri uffici sono stati sostituiti dei governatori, prime autorità civili ed amministrative. Dalla data del 12 settembre, tutti i beni della casa reale, quelli riservati alla disposizione sovrana, o costituiti in majoraschi regi, o spettanti all'ordine costantiniano, o amministrati pel ministero della presidenza, o illegalmente dati a servitori della monarchia, sono stati dichiarati beni nazionali. È possibile che si reclami contro questa confisca, ed a me non spetta il giustificarla.

Debbo però rammentare un fatto. Quando andò al trono, Ferdinando II non aveva che dei debiti ereditati da suo padre; egli li pagò tutti, e lasciò un patrimonio personale di 80 milioni di ducati. Ecco i documenti del processo; l'opinione sarà giudice.

Fra gli altri decreti v'è quello che istituisce un collegio pei figli del popolo, sovvenuto dallo Stato; quello che sopprime gradatamente il giuoco del lotto, e l'abolisce definitivamente pel io gennajo, A questa imposizione immorale sono sostituite le casse di risparmio cui serviranno gl'impiegati del lotto soppresso. È pure decretato che i castelli di Napoli vengono affidati per sempre alla guardia nazionale, «affinché quei baluardi della tirannia divengano i baluardi della libertà.» L'opinione estrema sostenuta dal popolo reclamava la distruzione di quei castelli, che sono pure necessarii alla protezione della città, e s'era anche tentata per ciò una dimostrazione; ma il dittatore con una frase liberale ha calmato a un tratto quello spirito distruttore.

Intanto con la sola sua presenza il generai Turr ha costretto la brigata Donarmi a deporre le armi. Il 15° reggimento di linea è sciolto. Anche il battaglione di carabinieri a cavallo cede le armi; anderà a depositarle a Nola con quadro pezzi di artiglieria. Nella notte dal 12 al 13, e nel villaggio di Sant'Antimo, nei dintorni di Napoli era stata preparata una manifestazione realista. Avevano eretto un altare, almeno così è la voce, coi ritratti del re e della regina appesi sotto un crocifisso vero o non il fatto si è che una mano di camicie rosse e di guardie nazionali è bastata per reprimere l'insurrezione; cinquanta prigionieri, tra i quali molte donne, sono stati condoni in Napoli. Mentre reprime così le sedizioni Garibaldi tien gli occhi su Capua e Gaeta. Varie volte e si è recato verso il Volturno; ha anche mandato delle truppe in quella direzione, e questa notte parte tutta la divisione Turr. Dicevasi che oggi vi doveva essere battaglia contro i Bavaresi; ma v'è stato un contr'ordine.

In mezzo a tutte quelle occupazioni il dittatore riceve tutti i giorni dalle undici ore a mezzogiorno. Egli ascolta tutti, e fino ad oggi ha preso di propria mano le suppliche, leggendole, e postillandole; e sì che gliene porgevano a migliaja! - Contuttociò al Sig. Ricciardi pare che il dittatore operi poco. In nome del popolo costui chiede l'abolizione immediata di tutte le dogane, anche tra Napoli e Roma, anche tra Napoli e Venezia vuole l'abolizione di tutti i beni di manomorta; delle contribuzioni indirette, l'estinzione della mendicità insomma vuole uno sconvolgimento completo dell'amministrazione.

Dopo aver letto quella graziosa nota di reclami, il dittatore ha dato al conte Ricciardi il governo di Foggia a quaranta leghe da Napoli fra le innumerevoli visite che riceve Garibaldi ogni mattina, noto una deputazione di nobili calabresi più o meno perseguitati, che gli hanno indirizzato la parola in versi:

«Salve o Cristo, dei popoli!...» - E non vi cito che il principio. Un fatto poi singolar è il contegno del clero nel regno s'incontrano per le vie moltitudini di preti colla nappa di Savoja sul petto. Il padre Alessandro Gavazzi predica sulle piazze vestito del camiciotto rosso, e il popolo applaude. Il padre Pantaleo, francescano della Gancia e cappellano del dittatore orò nella Chiesa dello Spirito Santo con bellissimo effetto. Vuolsi inoltre avvertire che l'insurrezione incominciò in un convento siciliano. Pare che ritorniamo al buon tempo di Gioberti; ma questa volta, per rovesciare l'idea giobertiana. Il moto religioso si volge contro il potere temporale. - il nostro dittatore ha già la sua diplomazia. Quella degli altri paesi ha seguito il re a Gaeta, eccetto la legazione di Inghilterra, e la legazione di Francia. Questa però è stata testé richiamata telegraficamente e richiamata a Parigi.

Il distributore del Giornale Officiale mi richiede l'ultimo numero di quel foglio, e me ne porta un altro in quella vece, dicendomi che hanno ristampato il numero di quel giorno, perché v era stata dimenticata una frase. Cerco quella frase, che è nel principio di quel foglio, eccola:

Napoli 14 Settembre

ITALIA E VITTORIO EMANUELE

Il dittatore dell'Italia meridionale.

«Decreta: Il Generale Sirtori è nominato prodittatore del continente napoletano.

«Il Dittatore GIUSEPPE GARIBALDI»

Ho copiato testualmente per mostrare la formola. Infatti, il decreto è importante: Garibaldi non nomina prodittatore che quando sta per imprendere una spedizione. Dunque ha in animo di marciare sopra Capua, ove già egli ha 16,000 uomini.

Ora dirò alcun che di Francesco II che è sempre a Gaeta, e infelicissimo. Gira per le strade negletto, abbandonato, errante come un'anima che pena. Le difezioni continuano; 150 uomini di cavalleria si sono dati ieri l'altro a Gaeta è una città morta. Fra non molto quella popolazione patirà la fame. Intanto che il prezzo del pane scende in Napoli a 5 soldi e quel del sale a 6 soldi il rotolo, a Gaeta questi generi salgono a prezzi favolosi. Intanto Francesco II governa né più né meno che se fosse a Napoli. Capua è fortificata e le sue mura potrebbero resistere se dietro quelle mura vi fossero dei soldati. Si dice che vi sono dei Bavaresi risolutissimi, ed una legione straniera venuta d'Austria di Roma. Ma io diffido di coteste voci.

Se potessi forbire più degnamente il mio stile vorrei darvi un'immagine dell'aspetto di Napoli in questo momento, con quelle migliaja di camiciotti rossi serrati alla cintura sciolti a mò di bluse di tuniche; quelle calzature fantastiche copiate da tutte le mode; quei cappelli appuntati posti alla sgherra sopra teste calabresi; quegli eroi straccioni,

18 Settembre

ha proclamato Io Statuto Sardo del 4 Marzo 1848; il decreto è del 14 settembre. Un altro decreto fisserà l'epoca in cui lo Statuto dovrà essere attuato. - lo non voglio confrontar qui i Statuti, quello di Napoli conceduto da Ferdinando II, il 10 febbrajo 1848, e richiamato testé in vigore dall'ultimo re e quello di Torino concesso da Carlo Alberto, l'8 marzo 1848, e mantenuto dopo quell'epoca dalla lealtà del re Vittorio Emanuele. Avverto solamente una differenza notabile nell'articolo più importante, quello dei culti.

«Statuto napoletano art. 3. L'unica religione dello Stato sarà sempre la cristiana, cattolica, apostolica, romana, senza che possa esser mai permesso l'esercizio di veruna altra religione.»

«Statuto piemontese, Art. 1. La religione cattolico, apostolica, romana, è la sola religione dello Stato. Gli altri culti esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.»

Così nel cambio noi guadagnamo in libertà di coscienza. È vero che non v'ha altro culto statuto piemontese; chi richiama in vita il napoletano; chi anche inclina a proclamare la repubblica. Talvolta il ministero nomina a un ufficio in provincia, e il governatore

poi ascolta tutti i reclami colla calma di un Giove olimpico. Cotesti disordini non lo turbano; egli è avvezzo alle tempeste; da ragione a tutti, firma tutti i decreti che gli presentano, e tira innanzi. L'altro giorno nominò il romanziere Alessandro Dumas direttore dei musei e degli scavi. Alessandro Dumas ha accettato, a patto però di non prestar giuramento a Vittorio Emanuele, re d'Italia, per la ragione ch'egli non ba mai prestato giuramento a verun re. Il quesito è stato seriamente dibattuto tra Liborio Romano e il dittatore, e risolto a favore del poeta. Alessandro Dumas non ha prestato il giuramento, ed ha fatto aprire ieri mattina il musco segreto.

Dopo aver nominato Dumas, il dittatore ha lasciato Napoli acconciarsi come potrebbe, ed è partito per Palermo. Il suo gran pensiero in questo momento non è l'anarchia del paese e neppure gli ultimi colpi, e forse gravi, da dare al re di Napoli. Egli lascia il generalo Turr con 45 mila uomini dinanzi Capua donde il presidio regio, molto ridotto dacché il re fa retrocedere le sue forze verso il confine romano, manda ogni mattina alle prime guardie garibaldine una dozzina di palle che non fanno male a nessuno.

Alcune centinaja di giovani animosi si sono gittati nei monti per girar Capua e assalirla alle spalle; tutto la strategia di questa guerra da burla sta nell'evitare con sorprese i combattimenti regolari.Si prenderà dunque Capua come si potrà: baldi non se ne da pensiero. E neppure s'inquieta del broncio diplomatico tra la Francia e il Piemonte, dei rinforzi mandati a Roma col generale de Govon. La sua sola inquietudine è il Sig. di Cavour. Il suo più grande terrore si è che lo credano riconciliato con cotesto ministero. E però gli è parso necessario di pubblicare sabato nel suo Giornale officiale la lettera seguente:

Armata Meridionale

Napoli 45 Settembre 1860

«Caro Avvocato Brusco, Genova»

«Voi in' affermate che Cavour da ad intendere che noi siamo d'accordo insieme e buoni amici, lo posso assicurarvi che quantunque

come fui sempre, a sacrificare sull'altare della patria tutti i miei risentimenti personali, io non potrò giammai riconciliarmi con uomini che hanno avvilito la dignità nazionale e venduto una provincia italiana.

GIUSEPPE

Questa dichiarazione non dee recare stupore: noi siamo fuori affatto dalle abitudini ufficiali e diplomatiche. Ambiamo un padrone che ha il cuore sulle labbra. Egli rifiuta assolutamente ogni influsso del Sig. di Cavour. Se la Sicilia cerca naturalmente d'uscire dallo stato precario e irregolare in che l'ha immersa la sua rivoluzione e se ne chiede l'annessione immediata al Piemonte rientrare sotto un governo normale, non vede in questo desiderio naturalissimo che mene piemontesi. Egli non ammette che ora si pensi ad altro che all'Italia, che a rovinarsi per essa, ed a farsi uccidere. Nel punto di vista eroico ha ragione.

Disgraziatamente il mondo non si compone

Essi dicono: ora che siamo emancipati, cessino i disordini; cacciate il re da Capua e da Gaeta, e non se ne parli più. Roma essendo difesa dai Francesi e Venezia dagli Austriaci, non hanno diritto al par di noi d'esser liberate. Legittimo è solamente quel che è facile, è il diritto cessa dove incomincia il pericolo. Vogliamo il commercio, le arti, l'industria, l'agricoltura e la quiete pubblica. Altrimenti la Francia e l'Austria potranno batterci e rimetterci nelle mani di Francesco II. Ecco il perché la Sicilia chiede innanzi tutto d'annetterai immediatamente, ed è per questo che il dittatore è partito per Palermo.

Intanto l'aspetto di Napoli è sempre gajo. Il popolo è soddisfatto e si cura poco degli impacci del ministero. Abbiamo continue predicazioni all'aria aperta, e preti vestiti di nero, ma armati e coperti il capo d'un kepi, involti in un camiciotto rosso, che perorano contro i Borboni, e contro ti Papa-Re. Un di questi, il padre Gavazzi, ebbe l'altro dì una strana idea; egli predicava sulla piazza di San Francesco dei Paoli, davanti le statue equestri di Carlo III e di Ferdinando I; a un tratto egli uscì fuori con questa proposizione: «Noi non siamo vand

19 Settembre

Ormai non ho più da parlare di Francesco II. Egli è un re, che non è mai stato re, e che probabilmente non sta per incominciare ad esserlo. Non bisogna attribuirgli né i suoi falli, né le sue sventure. Le sue sventure, e non cesserò mai di ripeterlo poiché in questo sta la moralità della catastrofe, sono gastighi previdenziali inflitti ai delitti di Ferdinando. I suoi falli devono ricadere sui suoi consiglieri e sui suoi ministri. Quel giovane despota ha

Dopo la presa di Palermo il giovine principe smarrito, gittossi nelle braccia della diplomazia, e governò meno che mai sotto i suoi ministri costituzionali. Non importa ch'io rammenti il resto; la è storia sinistra e che può compendiarsi in parole. Richiamare in vita la costituzione era lo stesso che evocare il 1848, cioè un fantasma terribile. E 1848 si levò contro il giovane monarca. Quell'anno di rivoluzione riapparve a un tratto con le sue rimembranze infauste: lo statuto giuralo, e poi violato, le prigioni aperte, poi richiuse violentemente,

il parlamento convocato volte poi mandato in galera; il 15 maggio soprattutto, quella giornata di saccheggio e d'incendio, quella larga macchia di sangue. L'anno fatale ricomparve coi suoi uomini i più intelligenti del regno e i migliori, forzati, proscritti, reduci dall'esilio dal bagno, dopo dodici anni di rancori accumulati, e con idee italiane, e il culto del re galantuomo, del vincitore di Palestro.

E tosto, quegli odii, quelle ire, quei patimenti, quelle oppressioni, quelle torture, tutte quelle memorie implacabili, tutto il regno, insomma, di Ferdinando, si levò in tutta la sua altezza, e ricadde con tutto il suo peso sul trono infranto di Francesco II. E tutto ciò che il defunto re aveva faticosamente e a gran prezzo ammassato per la sua difesa, la sua magnifica armata, la sua splendida marineria, le sue cittadelle e i suoi castelli., le sue munizioni e i suoi tepori, i suoi popolani e la sua nobiltà, tutto ciò è fuggito, venduto, disperso al primo soffio. è entrato in Napoli come in casa sua, solo.

Sento accusare intorno a me il giovane re della caduta della dinastia; ma l'accusa è ingiusta e falsa; la colpa è di suo padre. Sento anche dire che se Ferdinando fosse vissuto avrebbe salvato il suo trono. Ma hanno dimenticato

Io non debbo pertanto inveire adesso contro il real figlio di Ferdinando, e narrando ancora gli sforzi supremi del suo partito, è cotesto partito ch'io rendo odioso piuttosto ridicolo. Perché non v'ha scempiaggine che non sia commessa dagli uomini della reazione. A Mola di Gaeta, che èsempre in mano dei regi, è stato tentato un moto, che

Dire l'entusiasmo, le grida di allegrezza, le esclamazioni, gli applausi?, le convulsioni divote, io non potrei. Dirò che viviamo in un paese in cui la gioja far paura. I cannoni dei castelli, le campane di tutti i campanili sparando continui e rintoccando a distesa, faceano un frastuono da render sordi i più duri d'orecchi. riconosciuto da San Gennaro ha lui oggi tutto il popolo.

Intanto giunto ieri da Palermo è partito stamane per Caserta. Ora lo vedremo dinanzi a Capua, tornato al suo mestiere di soldato. Egli lascia a Napoli Sirtori come prodittatore, e il Sig. Liborio Romano, capofila del ministero. Il Sig. Liborio Romano ha prestato giuramento nel modo che appresso:

«Io Liborio Romano, ministro dell'interno, giuro fedeltà e obbedienza a Vittorio Emanuele

VII.

DINANZI A CAPUA

Ordine del giorno del generale Turr - Combattimenti davanti - Proclamazione e nuovi decreti di - Combattimento di Santa Maria - padre Gavazzi - Mazzini a Naftoli - Sua risposta a Pallavicino - Voto d'annessione al Piemonte - Allocuzione di per la consegna bandiere alla legione ungherese - Capua si arrende al generale piemontese della fiocca - Ingresso di Vittorio Emanuele in Napoli - Addio di ai suoi commilitoni.

22 Settembre

Incomincio dal più importante, dalle notizie di Capua. L'assunto non è facile. Capua è distante da Napoli ore di cammino per via ferrata, eppure non potete immaginarvi quanto è difficile il sapere esattamente ciò che vi accade;

perché non è la mancanza di notizie che da impaccio, ma sì la loro quasi favolosa abbondanza; se si dovessero registrare le smargiassate stolte, le menzogne impudenti, le esagerazioni e le falsità spacciate sulle operazioni dei patriotti e sulla difesa dei regi, si farebbe un'epopea in dodici canti. La cosa più strana ancora si è, che le maggiori assurdità vengon dalla stessa Capua; i meno informati sono quelli che ritornano dal campo. Per uscire da questo laberinto ho dovuto ricorrere alle fonti ufficiali che smentiscono tutte le relazioni individuali. Ecco, a mio senno, i fatti quali sono accaduti.

Sulle prime operazioni trascrivo un rapporto del generale Turr:

Ordine del giorno, 17 Settembre 1860

«Devo una parola d'encomio alle nostre prime guardie di Santa Maria e di San Leucio per la regolarità del loro servizio, e segnatamertte pel valore che hanno dimostrato negli scontri di questi ultimi giorni. La mat

«Veduta la. fuga disordinata della sua cavalleria il nemico mandò un grosso corpo di fanteria; ma i bersaglieri della brigata Eber, e i cacciatori del battaglione Carrano gli andarono audacemente incontro. Dopo le prime scariche i nostri bersaglieri si avventarono all'assalto coi loro compagni, e cacciarono il nemico fino sotto le mura di Capua, dentro la quale esso si riparò fuggendo in disordine e sotto la protezione del cannone dei forti.

«La mattina del 16 le prime guardie di San Leucio della brigata Puppi dovettero sostenere un combattimento 'in una ricognizione; vi si trovarono impegnati il 5. battaglione (maggiore Ferracini) e la 2 compagnia del genio (capitano Tessera) sotto gli ordini del colonnello Winckler. Il nemico, che occupava, in gran numero, la sponda destra

Generale Comandante le Prime Guardie

«STEFANO TURR»

Passiamo adesso agli scontri più importanti del 16. Ve nota la posizione di Capita, seduta sulla sponda sinistra del Volturno, che ne ricinge una metà. Vi si entra, dalla parte di Napoli, mediante un ponte levatojo che congiunge le sponde del fiume. Se ne ha l'egresso, dal lato di Gaeta, mediante un altro ponte che sorge sul detto fiume. voleva separare Capua da Gaeta. Bisognava perciò ch'egli passasse il Volturno sopra un sito qualunque per occupare le alture che dominano la sponda destra del fiume e le strade maestre della Terra di Lavoro; se non che il Volturno era difeso e vigilato da forze considerabili. Giovava distrarre l'attenzione del nemico. Il generale Turr ricorse allora al vecchio stratagemma che ha sempre fatto buona prova contro gli

Immediatamente i Bavaresi, i Napoletani, un dieci mila uomini in tutto, si avventarono contro quella colonna, fulminandola senza posa. Nel frattempo altri corpi italiani andavano a situarsi sulle alture di Cajazzo, dopo aver valicato tranquillamente il Volturno.

Cotesta è la storia in parole; daremo ora i particolari. La cura del finto attacco contro Capua era stata commessa a un Prussiano, al colonnello Rustow, buon soldato. Quegli si mosse la mattina del 49, un'ora innanzi l'alba, con 2000 uomini, e pezzi di cannone. Giunto sullo spianato che è dinanzi la città, Rustow rimase al centro con La Masa, di riserva, il colonnello de Giorgi a destra, Puppi a manca. Il colonnello Spanrasi avviato, nottetempo, per Tammaro e Casa Reale, verso la foresta cui doveva occupare, per raggiungere quindi la colonna di Rustow.

I regi intanto avevano ammassato i loro battaglioni e i loro squadroni nel campo trincerato ch'essi avevano costruito dinanzi la città. Avevano l'artiglieria del campo, quella fortezze e dieci mila uomini, contro i mila volontarii di Rustow.

Né parendo loro bastanti queste forze essi richiamarono i battaglioni che custodivano i passi dell'alto Voltarne. Ciò facendo secondavano mirabilmente senza addarsene, il disegno del generale Turr.

Se non che gli uomini di Rustow ebbero a sostenere un fuoco veramente terribile. I cannoni puntati troppo alto non facevano un gran male; le granate scagliate troppo lontano scoppiavano nell'aria; la cavalleria napoletana non osando sortir dal campo (altri dicono che fece una carica; ma che fu sperperata) non giovò a nulla; ma i Bavaresi dalle mura della città e dal campo trincerato, traendo sui battaglioni scoperti, miravano con comodo e davano nel segno. Ora è noto che i garibaldini non sono esperti tiratori; per essi il fucile non. è che il manico della bajonetta. Ne cadde dunque un centinajo tra feriti e morti; e fra gli altri il colonnello Puppi e un maggiore. Rustow ebbe morto il cavallo, e corso per le file sei ore di seguito sotto una grandine di metraglia. Comunque siasi i patriotti hanno fatto portenti, i Lombardi segnatamente, e i cacciatori di Milano. Fuvvi però un momento di terror panico, all'annunzio che la cavalleria napoletana si muoveva alla carica. Tutti i carretti mandati di Santa Maria per ricondurre i

Una trentina d'uomini risoluti penetrarono fino nella città, ove, secondo certi novellieri, essi furono presi e arsi vivi. Ma son veramente novelle. Nel frattempo la brigata Sacchi marciava a destra sul guado di Formicola e sul guado di Cajazzo, e rincacciava i regi dall'altra sponda del fiume dopo quattr'ore di combattimento. Il capitano Cattabene traversava il Volturno e alture di Cajazzo, donde respingeva battaglioni svizzeri, e un reggimento napoletano, inseguendo i nemici colla bajonetta ai reni fino al ponte del Volturno. Si provarono 1500 regi a riprendere Cajazzo; ma furono respinti. Già da giorni il maggiore Schudaffv s'era'gittate nei monti con trecento valorosi e aveva occupato Piedimonte. Capua in quel momento doveva essere cinta da ogni parte. Gli atti di bravura furon molti in tutta quella giornata. Il colonnello Spangaroil quale non poté congiungersi con Rustow, ebbe il cavallo ferito volte sotto di lui. Il maggiore Montese si avanzò con 250 uomini fino al fosso di Capua, e vi rimase parecchie ore sotto il fuoco dei bastioni, provocando il nemico a sortire per entrare

Dopo il 19 non vi sono stati altri combattimenti a Capua. I patriotti si fortificavano nelle loro posizioni, gittavano un ponte sul fiume e collocavano una batteria sul Monte Sani Angelo. 1 regi non osavano uscire dalla città. - Intanto credo opportuno trascriver qui una proclamazione del dittatore ai volontarii; essa dice:

«Quando l'idea della patria era in Italia il dono di pochi, si congiurava e si moriva. Oggi si combatte e si trionfa. I patriotti sono

«I capi dei corpi formati in tal guisa avviseranno, prima del loro arrivo a Napoli, il direttore del ministero della guerra, affinché sia apprestato ogni bisognevole. Si daranno gli ordini opportuni per il passaggio di quei corpi che potrebbero venir qua più convenientemente per via di mare.

«Italiani, il momento è supremo. I fratelli nostri già combattono lo straniero nel cuore dell'Italia. Andiamo ad incontrarli a Roma, per marciare di là insieme sulle terre veneziane..Quanto è debito e diritto nostro sarà fatto da noi, se saremo forti. Armi, dunque, ed uomini! Coraggio, ferro, e libertà!»

I decreti sono continui, e molti d'importanza somma; piacemi rammentare quello che, sotto la data del 19 settembre 1860, abolisce tutti i privilegi concessi da re Ferdinando I agli abitanti del Pizzo per la loro condotta verso Giovacchino Murat, quando, nel 1815, quell'infelice sbarcò quivi per ricuperare il trono. I motivi del decreto sono: «che i popoli non sorgono alla libertà pei mezzo di rimembranze che perpetuano fra loro le azioni malvagio dei tiranni.» Ora forse si dirà di come di Ulloa, ch'egli è diventato murattista.

La reazione è agli estremi. Essa non sa più che cosa inventare per disonorare la sua causa. Ha tentato l'altro giorno una dimostrazione nel piano di Nocera eccitando i contadini. Ma la guardia nazionale ha represso il moto. In molti altri luoghi si son fatti simili tentativi; ma sempre invano.

5 Settembre

Trascinato, come tutti gli altri, dall'effetto dello spettacolo non ho insistito sulle imprudenze commesse dal condottiero, spintosi innanzi, a Napoli,

solo, mentre che la retroguardia della sua armata era ancora a Reggio. I patriotti sono arrivati, uno dopo l'altro, come han potuto, senza alcun pensiero né del vivere né del dormire. Così sono andati a Capua. A Caserta, a Santa Maria hanno trovato viveri, ma non avevano munizioni. Cajazzo è stato preso mercé di uno stratagemma sempre riuscito. Vi avevano lasciato 800 uomini col colonnello Cattabene, quello stesso che aveva conquistato quel sito; ma non si erano curati di lasciar loro cartuccie. Ond'è che assaliti venerdì da 5000 napolitani, e separati dal resto dell'armata a del fiume, essi non hanno potuto servirsi loro bajonette, e la meta di quei valorosi è caduta. Vedendoli vinti i villici si gittavano sovr'essi armati di piccozze e di forche; si noverano un 400 uomini caduti tra morti e feriti.

I regi hanno arso Cajazzo; ma debbo aggiungere che essi si sono limitati a questo. Il colonnello Cattabene, ferito e prigioniero, ha scritto a che lo trattano egregiamente. Alcuni chirurghi del campo italiano hanno chiesto d'entrare in Capua per visitare i loro feriti, e ottenuto l'ingresso si sono accertati che i patriotti erano curati al pari dei Napoletani.

Questi fatti smentiscono le assurdità

26 Settembre

Intanto le operazioni dell'assedio proseguono alacremente. Il monte Sant'Angelo è già coperto di batterie. Si fanno preparamenti importanti, ma involti nel mistero. recasi ogni mattina dinanzi a Capua; stamane è a Maddaloni. Null'altro di nuovo tranne alcune ricognizioni tentate dai regi, ma respinte dai patrio!ti.

Mezzogiorno

Ecco le voci che corrono in città. Dicono che Cialdini ha scritto dai confini al dittatore per dimandargli: «Che cosa si ha da fare? «- E che ha risposto: «Venite subito!»

Ecco un incidente narratomi ieri da un

29 Settembre al 2 Ottobre

è un gran carattere; egli lo ha mostrato anche ieri l'altro nel suo ordine del giorno ai soldati. l'è noto il felice successo di Cialdini nelle Romagne. Cotesta spedizione turba evidentemente i disegni del dittatore ed è un tiro che mostra l'accortezza e la sapienza del Sig. di Cavour. Non occorre ch'io spieghi a lungo il mio pensiero. Eppure si è rallegrato schiettamente e pubblicamente di quelle rapide vittorie in un suo ordine del giorno.

Mi si dice che ha corso un'altra volta pericolo di vita. Tornava in carrozza da

3 Ottobre

Le notizie di ieri si sono confermate, segnatamente il pericolo corso da presso Santa Maria; gli hanno ucciso il cocchiere, un cavallo, e guide. I regi si sono battuti bene; nella giornata essi hanno cambiato tre quattro volte le loro linee. A Santa Mana, con dodici mila uomini, divisi in quattro colonne, hanno assaltato i patriotti quattro volte; ma sono stati ricevuti dagli artiglieri piemontesi che servivano i pezzi. I cannonieri di Vittorio Emanuele, che sanno il loro mestiere, gli hanno lasciati innoltrare, e poi gli hanno fulminati colla metraglia; così intieri squadroni sono andati in terra.

Nella fuga i Calabresi saltavano sui pochi che cercavano di salvarsi, gli accoltellavano, e si traevano dietro i cavalli in trionfo.

16 Ottobre

Ecco la verità intorno al soggiorno di Mazzini in Napoli. Mentre viveva appartato visitando i tempj di Pestone gli scavi di rompe i lo accusavano di sconvolger ogni cosa. Ora la paura è il sentimento che più di qualunque altro fa prodigi a Napoli. La paura di Milano ha ucciso Ferdinando; la paura di ha cacciato Francesco II; la paura degli Svizzeri aveva in altri tempi contenuto i Napoletani; la paura di Mazzini gli ha resi tutti emanuelisti. Cotesto inesplicabile terrore fu spinto tant'oltre che lo stesso predicatore Pallavicino, uomo di senno e di cuore, antico carcerato dello Spielberg, fu costretto dall'opinione, appena fu nominato alla prodittatura,

a scrivere una lettera a Mazzini per pregarlo di andarsene giacché, dicevagli, «l'abnegazione fu sempre la virtù dei generosi.» (1)

(1) Mazzini Rispose

«Credo avere animo generoso, però rispondo con un rifiuto alla vostra lettera del 8, ch'io leggo oggi solamente nell'Opinione Nazionale, Se non dovessi cedere che al primo impulso ed alla stanchezza dell'anima partirei dalla terra, cui sono un peso, per ritirarmi là dove la libertà opinioni è lasciata a tutti, dove la lealtà dell'uomo non è sospettata, dove chi ha operato e sofferto pel paese non crede dover dire al fratello, che ha pure operato e sofferto: parti!

L'unica ragione della vostra proposizione si è l'affermazione che, senza volerlo, io divido. Ecco le ragioni del mio rifiuto - Rifiuto perché non mi sento colpevole, né cagiono di pericolo pel mio paese, né macchinatore di progetti elio possano esser ad esso funesti, e crederei confessarmi tale se cedessi; perché italiano in terra italiana riconquistata a libera vita, credo dovere rappresentare e sostenere nella mia persona il diritto che ha ogni Italiano di vivere nella sua propria patria, quando egli non ne offendo le leggi, e il dovere di non cedere a un ostracismo immeritato. Imperocché, dopo avere contribuito, quanto m'era concesso, ad innalzare il popolo d'Italia fino al sacrificio, panni sia tempo d'innalzarlo coll'esempio alla coscienza della dignità umana, troppo spesso violata, e alla massima dimenticala da quelli che s'intitolano predicatori di concordia e di moderazione; perché la propria libertà non si fonda senza rispettare l'altrui.

«Perché mi sembrerebbe, esiliandomi volontariamente, d'insulare il mio paese, che non può, senza disonorarsi in faccia all'Europa, rendersi colpevole di tirannia; il re, che

Mazzini non se ne andò, e le persecuzioni dei moderati si fecero più insistenti contro il vecchio patriotta; fu gridato per le vie: Morte a Mazzini! Queste violenze bernesche non produssero altro che remore. Con tutto ciò il loro effetto fu buono sul dittatore e sui demagoghi. Si capì facilmente quali uomini feriva il popolo in Mazzini. L annessione indugiata dalle illusioni di alcuni, e dalle ambizioni di altri, fu invocata dagli stessi repubblicani come il solo mezzo di salvezza. Comprendete voi, in quest'epoca di transizione, lo stato singolare di questo regno? combatteva a Capua, e intanto nella

non può temere un individuo senza riconoscersi debole e mal sicuro nell'affetto dei suoi sudditi; gli uomini del vostro partito che non possono irritarsi della presenza di un uomo dichiarato da essi, ad ogn'istante, solo e abbandonato da tutta la nazione, senza smentirsi.

«Perché il desiderio deriva, non già come voi lo credete dal paese, che pensa, opera, e combatte, sotto le bandiere di Garibaldi ma dal ministero torinese, verso il quale io non ho alcun obbligo, e eh io credo funesto all'unità della patria ma da raggiratori e gazzettieri privi di coscienza, di onore di moralità nazionale, alieni da ogni culto, se togli quello del potere esistente qualunque sia, che disprezzo; ma dal volgo dei creduli oziosi, i quali giurano, senz'altro esame, per la parola dell'onnipotente, e che per conseguenza io compiango perché, arrivando, ebbi una dichiarazione, che non fu ancora di queste provincie, che io era libero sulla terra dei liberi.

«Il massimo dei sacrifizj po l'ho fatto quando interrompendo per amore dell'unità e della concordia civile

«Se gli uomini leali, pari vostri, hanno fede nella mia parola, debbono sforzarsi di convincere, non per me, ma per i miei avversari, che la via d'intolleranza ch'essi seguono è il solo fermento d'anarchia che oggi esiste. - Se poi non credono alla parola d'un uomo che da trent'anni combatte come può per la nazione, che ha insegnato agli accusatori a balbettare il nome d'unità, e che non ha mai mentito ad anima viva, «al Sia di loro; l'ingratitudine degli uomini non è una ragione perché io debba inchinarmi volontariamente alla loro ingiustizia e sancirla..

Napoli 6 Ottobre 1860

22 Ottobre

Jeri era la gran giornata! il popolo votava! e tutto il popolo! Nei quaranta secoli che esso esiste (v'è noto che Bidera ha scritto i Quaranta secoli della Storia di Napoli) questa è la prima volta che lo consultano sui suoi destini. Esso è stato Greco, Romano, soggetto ai Goti e agli Ostrogoti, poi ai Normanni, agli Svevi, agli Angioini, ai re d'Ungheria, agli Spagnuoli, ai Francesi di Championnet, a quelli di Murat, a tutti gli stranieri, a tutte le dinastie possibili, sempre per forza, per diritto di quista d'usurpazione. Oggi lo invitano finalmente a scegliersi un padrone, e non chiamano solamente il nobile, il gentiluomo, il cittadino, il dotto, il facoltoso, ma lo domandano ancora al popolano, al lazzarone. Bisognava vederli ieri cotesti pièscalzi divenuti cittadini, con in mano la scheda d'elettore che essi non sapevano leggere. Riuniti in drappelloni, sventolando cento bandiere, e preceduti dalle bande musicali, essi giravano per la città cantando l'inno di e tratto tratto un caporione gridava: Viva Vittorio Emanuele! Viva il re galantuomo! Viva Garibaldi! Viva l'Italia!

E la folla rispondeva ad ogni grido: Viva!

Io poi ho voluto vedere le elezioni; dirimpetto al palazzo reale s'innalza il portico della Chiesa di S. Francesco di Paola; votavasi quivi. La guardia nazionale era schierata sulla piazza e sotto le colonne. Dava immagine di spettacolo antico quella folla che saliva i gradini di marmo bianco per andare a votare all'aria aperta sul limitare d'un tempio jonico. Sulla facciata della chiesa legge vasi ancora l'iscrizione latina colla quale il re Ferdinando consacra quel pio edilizio a San Francesco di Paola. Più sotto, tra le colonne, leggevansi queste parole italiane: Comizi del popolo. In faccia, il palazzo del re, che serba tuttora i suoi gigli; a manca, la Foresteria, palazzo attuale del prodittatore; su, in alto, il castello Sant'Elmo e i suoi cannoni; a destra, in fondo, il Vesuvio; il tempo era bello, il cielo allegro, il popolo ebbro.

Sotto il portico però lo spettacolo era meno pittoresco. La libertà del voto promessa il dì innanzi era mantenuta; ma il modo della votazione non era troppo regolare. V'era un'urna tra due panieri, l'uno dei quali pieno di Si, l'altro pieno di No; l'elettore sceglieva la risposta alla presenza delle guardie nazionali e dinanzi alla folla.

La risposta negativa era difficile a darsi, e forse anche pericolosa. Nel quartiere di Monte Calvario un uomo, che diceva no, e ostentava il suo voto con jattanza ne fu punito con una stilettata. In un momento di agitazione in cui v'ha pericolo ad esprimere la propria opposizione, non si deve eludere in verun modo il segreto dello squittinio. Il timore è arma infausta e del resto inutile. A Napoli, l'ho detto già, il sentimento dominante è la paura. La quasi totalità dei cittadini si compone d'uomini quieti e timorati. Essi erano già per Ferdinando II perché temevano le bombe di Sant'Elmo e gli Svizzeri; oggi sono per l'Italia, perché temono il ritorno di quelle armi e di quegli uomini che oggi chiamatisi Bavaresi. Sono pochi d'opinione francamente, positivamente annessionista; ma l'annessione è la sola soluzione possibile.

Dovunque il risultamento della votazione è conosciuto l'annessione è stata proclamata, con adesione pressoché unanime. Qui Garibaldi era venuto la mattina a deporre un si pel suo re nell'urna conquistata; dalle sue armi. Poi ei si è recato ali Albergo d'Inghilterra, per pranzarvi con un colonnello suo amico.

Il popolo s'affollava dinanzi all'albergo; il dittatore dovette mostrarsi al balcone e fare un discorso conchiuso col gesto popolare, che consiste nell'alzare l'indice della mano, e significa Italia una. Vittorio Emanuele è dunque proclamato re d'Italia in mercé dell'audacia fortunata e della immutabile lealtà di Garibaldi. Il re entrerà in Napoli dopo aver preso Capua (affare di un giorno o due), e tostoché sarà stato promulgato il plebiscito.

28 Ottobre

Vittorio Emanuele è giunto a Monte Croce, Garibaldi gli è andato incontro. L'abboccamento dei due grandi patrioti si racconta in più modi; scelgo la versione più semplice e più probabile. Erano tutti e due a cavallo, e si cercavano. Appena si videro da lontano Garibaldi esclamò salve re d'Italia! E Vittorio Emanuele, porgendo la mano al suo primo cittadino, rispose semplicemente: Grazie! Quel grazie dice tutto, e non aggiungo altro.

29 Ottobre

Volete sapere quant'è l'amore della Sicilia pel suo liberatore (Garibaldi? leggete il decreto del prodittatore sotto la data del 21 (giorno del plebiscito).

«Considerando che il nome di Giuseppe Garibaldi è destinato a crescere in fama net corso dei secoli.

«Considerando che per un riflesso della venerazione che inspirerà il suo nome, questa venerazione si annetterà a tutti gli oggetti ch'egli avrà posseduti o soltanto toccati:

Udito l'avviso unanime del consiglio che decreta:

Art. 1. La camera da letto occupata dal generale Garibaldi a Palermo, nel padiglione contiguo al Palazzo Reale, sulla Porta Nuova, sarà perpetuamente conservata nello stato in cui trovasi attualmente coi mobili che contiene.

«Art. 2. l presente decreto sarà scolpito in una tavola di marmo fissata all'ingresso della detta camera.

Questa mattina gli Ungheresi del conte Teleki hanno ricevuto le loro bandiere dal generale Garibaldi sulla piazza di San Francesco di Paola. Dopo la benedizione il generale le ha consegnate e in nome dell'Italia riconoscente e in premio del sangue sparso da quei prodi per la sua indipendenza. Anche il Turr ha fatto un discorso in ungherese, nel quale e si è rallegrato degli sforzi fatti

da quella mano di valorosi sostenere là riputazione di bravura della nazione ungherese. I volontari hanno disposto a quel discorso col grido nazionale Eliyen Italia! Eliyen Garibaldi

2 Novembre

Non ho più d'uopo d'occuparmi della guerra ora che che comanda Vittorio Emanuele. Capua s'è arresa; stamane al generale della Rocca, dopo un bombardamento rincominciato ieri alle ore quattro di sera e durato un pezzo nella notte. Un'ora prima del bombardamento, Garibaldi, coi suoi volontari, era sceso da monte Sant'Angelo e aveva addicato l'autorità suprema. Riandando le disposizioni ili Garibaldi si vede com'egli abbia sempre pensato agli altri, e mai a se. Si sa ch'egli ha ricusato la croce dell'Annunziata, ordine rarissimo cui è annesso ili titolo di cugino del re. Dice che cotesta chincaglieria regia non gli piace. Domenica, sulla piazza di San Francesco di Paola, egli ha distribuito all'eletta dei suoi prodi, a' pochi che rimangono dei mille, che lo seguirono da Marsala in poi, una medaglia d'argento offerta dal municipio di Palermo.

7 Novembre

Questa mattina ha avuto luogo l'ingresso solenne di Vittorio Emanuele. Il resultamento del plebiscito che ha decretata l'annessione era noto e pubblicato fino da sabato cioè 312, votanti: 1,302,064 si; 10,312, no.-Si credeva che Garibaldi non interverrebbe alla festa, perché gli attribuivano lo stolto pensiero di tener broncio al re. Ma egli ha provato schiettamente il contrario. L'abbiamo veduto in carrozza al fianco del re. Il re era in grande uniforme; il dittatore aveva il camiciotto rosso e il suo vecchio cappello di feltro. Diluviava, eppure la folla era immensa.

Dopo il Te Deum obbligato nella Cattedrale, v'è stato ricevimento solenne al Palazzo Reale: Garibaldi ha detto qualche parola presentando il plebiscito; poi ha lasciato parlare Conforti e gli altri del governo. Ora egli non pensa che a rientrare nella vita privata, e ritirarsi, povero come prima, nella sua solitudine di Caprera. - Ma se l'Italia sorge ancora l'anno prossimo per compiere a Venezia, e coronare a Roma l'opera magnifica del suo riscatto, noi ritroveremo il vincitore di Francesco II sul campo di battaglia.

Noi lo rivedremo alla testa dei suoi prodi, l'uomo che è entrato in Palermo con mille Italiani, - e in Napoli, solo!

9 Novembre

Garibaldi si è imbarcato testé per Caprera sul Washington, col figlio, e tre amici, lasciando ai suoi compagni d'arme un ordine del giorno, quale addio, che si spera non sarà l'ultimo (i). L'ex-dilatatore è partito

(1) Ordine del giorno di Garibaldi ai suoi volontari.

«Ai miei compagni il' arme.

«Giunti alla penultima tappa della nostra risurrezione, noi dobbiamo considerare il periodo, che sia per finire, e prepararci a compire splendidamente l'opera ammirabile degli eletti uomini di venti generazioni; poiché la Provvidenza ha riservato

portando seco qualche fasto d'allori, un sacco. di fave, un sacco di fagiuoli, e pochi baccalari; più, dicono, 1500 franchi. - Ecco quello che ha reso a quell'uomo onesto la conquista del regno delle due Sicilie!

la fine di quest'opera a questa generazione fortunata.

«Sì, miei giovani,. l'Italia vi deve una impresa che ha meritato gli applausi del mondo.

«Voi avete vinto, o vincerete ancora, perché siete esperti ormai della tattica che fa conseguirò la vittoria.

«Voi non degeneraste da quelli che si precipitarono nel più folto delle falangi macedoni, e ruppero il petto ai superbi vincitori dell'Asia.

«A questa pagina maravigliosa della nostra storia, un'altra aggiungerasseno ancora più gloriosa; e lo schiavo mostrerà finalmente al suo fratello libero un ferro arruolato derivante dagli anelli delle suo catene.

«All'armi, tutti! - tutti! e gli oppressori, gli onnipotenti si disperderanno come la polvere!

«Voi, donne, cacciate lungi da voi i codardi! e voi, fanciulle, non desiderate che una posterità, una razza prode e generosa.

«Vadano altrove i paurosi dottrinari, a trascinare il loro servilismo e le loro miserie.

«Questo popolo è padrone di se. Esso vuole essere il fratello degli altri popoli, ma non abbassarsi dinanzi ai superbi, non strisciare per mendicare la sua libertà. Esso non vuole seguire lo pedate d'uomini dal cuore di fango! No! no! no!

«La Provvidenza ha fatto dono all'Italia di Vittorio Emanuele! Gl'Italiani debbono unirsi tutti a lui, stringersi intorno a lui. Accanto al re galantuomo, ogni rivalità deve cessare, ogni rancore dissiparsi. Di nuovo, io vi ripeto il mio grido: all'armi! tutti! tutti! Se il mese di marzo 1861 non trova un milione d'Italiani armati, povera libertà! povera esistenza dell'Italia! Oh, no: lungi da me un pensiero, più mortale d'un

veleno. Il mese di marzo 1861, e se occorre il mese di febbrajo ci troverà tutti al nostro posto.

«Italiani di Calatafimi, di Palermo, del Volturno, d'Ancona, di Castelfidardo, d'Isernia, e con noi gli uomini tutti di questo paese che non sono né codardi né servili; tutti, tutti serrati attorno al glorioso soldato di Palestro, noi daremo l'ultimo crollo, l'ultimo colpo alla tirannia che rovina.

«Ricevete, giovani volontari|, avanzi onorali di dieci battaglie, una parola d'addio. Ve la mando dal più profondo della uria anima. Oggi io debbo ritirarmi, ma per pochi giorni fora dei combattimento mi ritroverà ancora con voi, accanto ai soldati della. libertà italiana.

«Tornino frattanto alle loro caso quei soli cui chiamano imperiosi doveri di famiglia, ed anche quelli che, gloriosamente mutilati, hanno meritato la riconoscenza della patria. Essi la serviranno pur sempre col consiglio, e con la vista delle nobili. cicatrici che «domano le maschie loro fronti di venti anni. Eccello questi tutti gli altri rimangano per custodire le gloriose bandiere.

«In breve noi ci ritroveremo per marciare insieme alla liberazione dei nostri fratelli tuttora schiavi dello straniero; noi ci ritroveremo in breve per marciare insieme a nuovi trionfi

«Napoli 8 Ottobre 1860

«GARIBALDI»

FINE

INDICE

GARIBALDI O LA CONQUISTA

DELLE DUE SICILIE

Capitolo I. 3

Capitolo II. 63

Capitolo III. 115

Capitolo IV. 181

Capitolo V. 243

Capitolo VI. 310

Capitolo VII. 364






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