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CRONACA DELLA GUERRA D'ITALIA

1861-1862

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PARTE QUINTA - 03

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RIETI

TIPOGRAFIA TRINCHI

1863

Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862 - Parte Quinta - Rieti, 1863 - HTML - 01

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CAPO IX - Sommario Pag. 472 HTML - 03
DOCUMENTI DIPLOMATICI � 580 HTML - 03
CAPO X - Sommario � 594 HTML - 03
CAPO XI - Sommario � 680 HTML - 03


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CAPO IX

SOMMARIO

I. AGITAZIONE PRODOTTA IN ITALIA DALLA QUESTIONE ROMANA — STATO DI QUESTA QUESTIONE — NOTA DEL SIC THOUVENEL, MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI DEL GOVERNO FRANCESE AL SIG. DI LAVALETTE AMBASCIATORE A ROMA — RISPOSTA A QUESTA NOTA — LA PUBBLICAZIONE DI QUESTI DOCUMENTI DIPLOMATICI DA' OCCASIONE A DIMOSTRAZIONI DI GIOIA IN QUASI TUTTE LE CITT� D’ITALIA — DIMOSTRAZIONI IN ROMA IN FAVORE DEL POTERE TEMPORALE, E CONTRODIMOSTRAZIONE LIBERALE — IL GOVERNO ITALIANO VUOL FAR CESSARE QUEST'AGITAZIONE — CIRCOLARE DEL MINISTRO BARON RICASOLI — II. LA QUESTIONE ROMANA AVANTI IL SENATO FRANCESE — RICEVIMENTO DI MONS. CHIGI NUNZIO DEL PAPA PRESSO L'IMPERATOR NAPOLEONE — ABBOZZO DELLA SITUAZIONE POLITICA — STATO DEGLI ANIMI A PARIGI IN FAVOR DELL’ITALIA — TURBOLENZE, E DIMOSTRAZIONI LIBERALI — DISCUSSIONE DEI PARAGRAFI DELL’INDIRIZZO RELATIVO ALLA QUESTIONE ROMANA — DISCORSI DI SEGUR D’AGESSEAU, DEL MARCHESE DI BOISST, DI PIETRI, DI LAROCHEJAQUELIN, DI BONJEAN, DEL CARDINAL DONNET, DEL PRINCIPE NAPOLEONE, DEL CARDINAL MATHIEU, DEI MINISTRI ROTER E BILLAULT — VIVA IMPRESSIONE PRODOTTA IN FRANCIA DAL DISCORSO DEL PRINCIPE NAPOLEONE — IL RE VITTORIO EMANUELE INDIRIZZA AL PRINCIPE UN DISPACCIO TELEGRAFICO RINGRAZIANDOLO A NOME DELL’ITALIA — APPENDICE AL CAPO IX. DOCUMENTI SOTTOPOSTI AL SENATO ED AL CORPO LEGISLATIVO FRANCESI SULLA QUESTIONE ITALIANA.

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I.

Siamo entrati ormai in una fase politica piena di agitazione a causa della questione romana, nuovamente rinvigorita, e pi� fortemente che mai, o per cagione del fallito successo delle proposizioni di accomodamento indirizzate alla corte di Roma dal governo italiano, ed al cui proposito noi abbiam riportati i lunghi dibattimenti del parlamento di Torino, o sia ancora per la vicina riunione delle camere legislative francesi, ossia finalmente per un effetto naturale dell’impazienza dogl'Italiani a veder compiuta una volta la loro nazionale ricostruzione.

A fronte di questa situazione cos� grave, e piena di pericoli per l’Italia, e per il riposo dell’Europa, � nostro dovere di non omettere alcun dettaglio che possa illuminare l'opinione dei nostri lettori. I documenti diplomatici riuniti sotto la denominazione di Libri turchino e giallo sommessi all’esame del senato e del corpo legislativo francese, ci aiuteranno molto al compimento dell’assunto nostro. Leggiamo da principio nell’esposizione della situazion generale dell’impero francese ci� che concerne particolarmente l’Italia.

 L'anno 1861 non fu esente da inquietudine ne da torbidi, ma se si poterono dedurre dei tristi presagi da un insieme di fatti e di circostanze che sembrano effettivamente contenere i germi di gravi complicazioni, i gabinetti sormontarono queste difficolt�, e bisogna rendere omaggio alla saviezza, colla quale essi seppero mantenere il carattere amichevole delle loro relazioni.

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Si � a questo scopo, che il governo dell’Imperatore, per la sua parte, non ha cessato di consacrare i suoi sforzi, e si rallegra nel vedere che la comunione d’interessi stabilita tra i popoli per lo sviluppo della civilt�, tenda ad attenuare ogni giorno pi� l'effetto che la differenza dei principii produceva altre volte sul procedimento generalo degli affari d’Europa.

�L'Italia era stata, soprattutto nei primi mesi dell’anno, l'oggetto principale delle preoccupazioni. Le potenze si mostravano tuttavia inclinate a prendere il principio di non intervento per regola di condotta riguardo alla Penisola, e l'Austria medesima, illuminata sui voti dell’Europa per le dichiarazioni che il governo francese aveva provocato a Varsavia, annunziava l’intenzione di conservare un'attitudine aspettante, fintanto che non sarebbe condotta ad uscirne da un'aggressione dell’Italia. Era di un grande interesse pel gabinetto di Torino di secondare queste disposizioni scongiurando, come poteva, ogni incidente tale da compromettere bruscamente la pace.

�Il governo imperiale non gli fece udire che consigli atti a confermarlo nella resistenza che opponeva alle impazienze dei partiti. E se l'Italia non ritrov� la calma interna che un sistema politico solidamente stabilito pu� solo darle, essa non ha almeno suscitato le perturbazioni, onde l'Europa dapprincipio sembrava minacciata.

�Questi timori trovandosi eliminati, il governo dell’Imperatore era condotto ad occuparsi della posizione eccezionale a necessariamente transitoria, in cui la sospensione delle sue relazioni ufficiali col gabinetto di Torino metteva la Francia nella Penisola. Estraneo agli avvenimenti che avevano preparato l'annessione della parte meridionale d’Italia al Piemonte, il governo dell’Imperatore avea creduto suo dovere di testimoniare che disapprovava pi� particolarmente la invasione dell’Umbria e delle Marcilo, e avea richiamato da Torino il ministro di S. M. Fedele tuttavia al principio del non intervento, che aveva adottato per se medesimo, e che raccomandava a tutte le potenze,

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il governo imperiale non intendeva di reagire colla forza contro fatti, de' quali basta vagli d’avere declinato la responsabilit�. E realmente esso resta convinto, che ogni organamento imposto all’Italia da un'influenza straniera, invece di pacificare gli spiriti non farebbe che agitarli di pi�, e che importa innanzi tutto di lasciare al tempo ed agli avvenimenti la cura d'illuminare la Penisola sulle istituzioni che pi� convengono al suo genio.

 Osservando le cose da questo lato, il governo dell’Imperatore dovea considerare il ristabilimento delle sue relazioni col gabinetto di Torino, come subordinato unicamente agli interessi della Francia ed alle necessit� della sua politica, e non l'avea nascosto alle altre Potenze. Nelle comunicazioni diplomatiche fatte alle medesime, erasi per contrario riservata espressamente un'intera libert� di appreziazione riguardo alla riconoscenza del Re Vittorio Emanuele sotto il suo nuovo titolo.

Il gabinetto Imperiale non avrebbe potuto rimandare indefinitamente la sua risoluzione senza inconvenienti, di cui non avrebbero tardato a risentirsi gl'interessi dei due paesi, e forse anche gli stessi interessi generali. La vicinanza tra la Francia e l'Italia crea fra i due Stati relazioni d'ogni natura. Il nostro commercio colla Penisola � considerevole; i nostri porti del Mediterraneo sono in relazioni quotidiane coi porti italiani. Questi vincoli necessari, che nelle circostanze normali impongono al governo francese numerose faccende, esigevano una vigilanza ed una protezione ancora pi� attiva in congiunture eccezionali. L'annessione al Piemonte di paesi, coi quali noi abbiamo distinte convenzioni, creavaci particolari obbligazioni, poich� noi dovevamo vegliare acciocch� i cangiamenti introdotti nel regime della navigazione e delle dogane non potessero danneggiare n� i nostri cambi, n� la nostra bandiera. Finalmente in mezzo pure alle agitazioni che non avevano cessato nell’Italia meridionale, e di cui i nostri connazionali sparsi in si gran numero su questa parte della Penisola potevano avere a soffrire, era utile che noi fossimo io grado di prestare loro all’uopo un appoggio efficace, e di sostenere ad un bisogno i loro richiami.

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Noi dovevamo inoltre considerare l'influenza che l'interruzione prolungata delle nostre relazioni coll’Italia esercitava gi� nella Penisola. L'incertezza onde restavano circondate le nostre intenzioni, contribuiva a mantenere il malessere che era succeduto all’ardore della lotta. Una pi� lunga astenzione dalla nostra parte sarebbe stata interpretata in guisa da far fallire gli sforzi del governo del Re Vittorio Emanuele per costituire un'amministrazione regolare, e non avrebbe servito che ad aggravare, senza vantaggio per nessuno, le difficolt� contro le quali doveva combattere. Era dunque il caso di riconoscere il Re d’Italia, e il momento di prendere una decisione era giunto.

�Il governo dell’Imperatore aveva pensato che questa circostanza poteva essere favorevole per occuparsi di un interesse che non aveva mai perduto di vista in nessuna occasione. Egli proponevasi, facendo conoscere le sue disposizioni al gabinetto di Torino, d’intavolare discorso sulla situazione della Santa Sede, e negoziare un accomodamento proprio ad assicurare al governo pontificio guarentigie che ci avrebbero permesso di ritirare le nostre truppe da Roma in un tempo determinato.

�Ma la morte dell’eminente uomo di Stato che dirigeva il gabinetto di Torino, creando per l'Italia nuove difficolt�, accrebbe ancora la forza e il carattere ingente delle considerazioni che portavano la Francia a riconoscere il governo italiano. Pi� le congiunture presentavano di gravita, e potevano far nascere speranze contradittorie, pi� i partiti fondavano previsioni e calcoli sulle risoluzioni del governo dell’Imperatore. La dilazione della ricognizione sarebbe stata considerata come un incoraggiamento offerto alla guerra civile, e ben presto!' Italia sarebbe caduta in preda ad un'anarchia pericolosa pel riposo dell’Europa medesima.

�Dall’altra parte se la ricognizione era divenuta pi� urgente, era anche pi� difficile di prima il negoziare col gabinetto di Torino appena ricostituito, l'aggiustamento a cui prima noi avevamo desiderato di subordinarla. Volendo tuttavia soddisfare alla duplice necessit�, di cui dovea tener conto, il governo dell’Imperatore si � deciso

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a separare l'affare di Roma da quello della ricognizione dell’Italia, e a stabilire senza indugio relazioni diplomatiche col governo italiano, mantenendo le nostre truppe a Roma, e riservando cos� tutta intera la questione dell’occupazione.

�Il governo imperiale non avea dubitato per un solo istante che la sua determinazione non fosse apprezzata da tutte le potenze come doveva esserlo. L'Europa vi ha visto di fatto un atto ad una volta necessario ed opportuno comandato dalla posizione della Francia, ed ispirato da una sollecitudine previdente pel mantenimento della pace generale.

�Resta oggid� al governo di S. M. un voto da formolare, ed � che l’ordine si raffermi e consolidi in tutte le parti del regno d'Italia. Non si saprebbero troppo deplorare le sterili manifestazioni che continuarono ad agitare le antiche provincie napoletane. Pi� nocevoli che utili alla bandiera con cui si coprono, esse non hanno altro risultato che di perpetuare il disordine e fare spandere il sangue italiano. In seguito della posizione che il nostro esercito occupa a Roma, il governo dell’Imperatore trovosii nel caso di tracciare su questo proposito istruzioni al comandante in capo delle truppe francesi, e l'ha invitato a prendere le necessarie disposizioni per mettere ostacolo a ci� che il territorio confidato alla nostra guardia serva di punto di rannodamento alle bande che operano nelle vicinanze della frontiera pontificia.

 Nulla sarebbe pi� proprio a ricondurre la calma negli spiriti che la cessazione dello stato d’antagonismo, in cui perdurano il Papato e l'Italia, e la riconciliazione delle due cause, il cui disaccordo divide le opinioni e le coscienze nel mondo intiero. Guidato da questo pensiero, il governo dell’Imperatore avea a cuore d’illuminarsi sulle presenti disposizioni della Corte pontificia. Esso desider� di assicurarsi, se in presenza di un ordine di cose gi� riconosciuto da molte delle Potenze, e che nessuna pensa a turbare, la Santa Sede credeva dover persistere nelle obbiezioni opposte fin qui al regolamento delle sue relazioni col governo italiano. Il gabinetto imperiale se n'� aperto colla Corte di Roma, offerendole un concorso intieramente libero di impegni.

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Esso non seconderebbe del resto che una transazione, la quale racchiudesse pel Sovrano Pontefice tutte le guarentigie desiderabili di sicurezza e d’indipendenza.

Se la Santa Sede entrasse in quest'ordine d’idee, troverebbe il governo di Sua Maest� pronto a cooperare con tutti i suoi sforzi ad un ravvicinamento non meno favorevole agl'interessi del Cattolicismo, che alla pacificazione della Penisola. Ma dobbiamo sgraziatamente constatare che le nostre proposte neppur questa volta ottennero l’accoglienza, che la lealt� delle nostre intenzioni ci autorizzava ad aspettare.�

Lasciamo da banda per ora tutti i documenti diplomatici contenuti nel libro giallo per adunarli tutti sul fine di questo capitolo sotto una comune rubrica (1); e seguiamo l'ordine dei fatti al punto ove sono rimasti nella relazione della questione italiana.

Il Sig. Di Lavalette ambasciatore francese a Roma era stato non solamente incaricato di ottenere dal governo pontificio l’allontanamento del gi� re di Napoli, ma egli aveva ricevuto la pi� importante missione di cercare i mezzi possibili d’accomodamento fra il gabinetto italiano e la corte di Roma. Questo fu lo scopo della seguente nota del Sig. Touvenel all'ambasciatore francese.

Il ministro degli affari esteri al march, di Lavalette ambasciatore dell’Imperatore a Roma.

Parigi 11 gennaio 1862

Sig. Marchese, se credetti attendere i vostri primi rapporti per indirizzarvi delle istruzioni destinate a completare quelle che vi furono date verbalmente prima della vostra partenza, � venuto il momento d’indicarvi nel loro insieme le idee del governo dell’Imperatore sulla situazione rispettiva della Santa Sede e dell’Italia.

(1) vedi l'appendice

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Gl'interessi della Francia si trovano troppo profondamente impegnati dall’antagonismo delle due causo che le loro tradizioni politiche e religiose raccomandano a titolo uguale alle sue simpatie, perch� ella possa accettare indefinitamente la responsabilit� di uno statu quo nocevole tanto all’una che all’altra, e rinunciare alla speranza di aprire l'adito ad un accomodamento.

E' inutile che il governo dell’Imperatore esprima nuovamente i suoi dispiaceri per gli avvenimenti che si sono compiuti in Italia durante l'anno 1860, e che hanno dovuto inspirare al Santo padre un vivo e legittimo dolore. Il corso naturale delle cose umane per� le conduce tosto o tardi a passare dall’ordine dei sentimenti in quello della ragione, ed � sotto questo ultime punto di vista che la politica si trova in ultimo costretta ad esaminarle.

La quistione che si presenta oggi, signor marchese, � quella di sapere se il governo pontificio intende sempre di arrecare al regolamento dei suoi rapporti col nuovo regime stabilito nella Penisola l'inflessibilit�, che � il primo de' suoi doveri, come pure il pi� incontestabile dei suoi diritti in affare di dogma, o se qualunque siasi il suo giudizio sulla trasformazione operatasi in Italia, sia disposto ad accettare le necessita che derivano da questo fatto considerevole.

Riconoscendo il regno d’Italia, il governo dell’imperatore ha agito nella convinzione che l'ipotesi d’una ristorazione del passato non fosse pi� realizzabile, e senza parlare delle potenze che hanno cessato di annettere alla Santa Sede il simbolo della lor fede, le risoluzioni successive del Portogallo, del Belgio e del Brasile hanno certamente lo stesso significato. Tra le monarchie cattoliche, non ve ne sono cos� che tre, le quali siansi astenute dal rannodare relazioni ufficiali colla corte di Torino: queste sono l'Austria, la Spagna e la Baviera, ed � permesso sapporre che la posizione particolare di queste potenze riguardo ai sovrani spodestati di Napoli, di Parma, di Toscana e di Modena non sia stata senza esercitare una grande influenza sulla lor linea di condotta.

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Nessun gabinetto, d’altronde, pensa a reagire colla forza contro l'ordine di cose inaugurato nella Penisola. Apertamente proclamato o tacitamente ammesso il principio di non intervento � divenuto la salvaguardia della pace europea, e la corte di Roma non aspetta certamente da un soccorso straniero i mezzi di riconquistare le provincie ch'essa ha perdute.

Vado pi� lungi: io mi rifiuto a credere ch'essa consentisse giammai a provocare essa stessa in un interesse, il cui success sarebbe per lo meno dubbio, una delle pi� terribili conflagrazioni che avesse sinora registrata la storia. Le lezioni dell’esperienza, unite alle considerazioni le pi� proprie a commuovere la Santa Sede, non le comandano esse d’altronde di rassegnarsi, senza rinunziare ai suoi diritti, a transazioni di fatto che ricondurrebbero la calma nel seno del mondo cattolico, rannoderebbero le tradizioni del Papato, che ha cos� lungamente coperta l'Italia della sua egida, e vi annetterebbero i nuovi destini d’una nazione crudelmente provata e restituita dopo tanti secoli a se stessa?

Non ho pretesa, sig. marchese, di discutere qui un modo di soluzione. Mi basta il dire che il governo dell’Imperatore ha conservato a questo riguardo una piena libert� di giudizio e di azione, e che quanto noi abbiamo da ricercare adesso, � se noi dobbiamo nutrire o abbandonare la speranza di vedere la S. Sede prestarsi, tenendo conto dei fatti compiuti, allo studio d'una combinazione che assicurasse al Sommo Pontefice condizioni permanenti di dignit�, di sicurezza e d’indipendenza necessarie all’esercizio del suo potere. Ammesso quest'ordine d’idee, noi adopreremo i nostri sforzi pi� sinceri e pi� energici a far accettare a Torino il piano di conciliazione, di cui avessimo posto le basi col governo di Sua Santit�.

L'Italia ed il Papato cesserebbero allora di trovarsi in campi nemici; essi ripiglierebbero tosto i loro rapporti naturali, e merc� le obbligazioni d’onore garantite dalla parola della Francia, Roma troverebbe all'occorrenza un appoggio necessario dal lato medesimo dove sembra oggid� minacciarla il pericolo. Un tal risultamelo, signor marchese, ecciterebbe, ne siamo convinti,

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un vivo senso di soddisfazione e di riconoscenza nella intera cattolicit�; ed io credo di adempiere un dovere invitandovi a non trascurare alcuna occasione di inspirarvi del contenuto di questo dispaccio col cardinale Antonelli e collo stesso Santo Padre.

THOUVENEL.

Ma il Sig. di Lavalette non tard� a rispondere per esprimere francamente la propria convinzione, cio� che fosse vana ogni speranza d’accomodamento. Il suo dispaccio seguito da una lettera del cardinale Antonelli non poteva lasciare alcun dubbio su questo proposito. Lo riportiamo:

Il marchese de Lavalette al Ministro degli affari esteri.

Roma 18 Gennaio 1862

Signor Ministro, ho ricevuto il dispaccio che V. E. m'ha Tatto l'onore di scrivermi sotto la data dell’11 corr. Ebbi il giorno successivo l'occasione d’intertenere il cardinale segretario di Stato sulle condizioni che vi si trovavano sviluppate.

Sa V. E. che penetrato delle parole che aveva potuto raccogliere dalla bocca stessa dell’Imperatore, io mi era dedicato da' miei primi abboccamenti col Santo Padre, a farmi presso di lui il fedele e rispettoso interprete dei sentimenti del profondo interesse di cui doveva recargli l'espressione. Senza lasciare illusioni a S. S. sopra una ristorazione del passato, senza obbliare le esigenze d’un presente si strettamente collegato coi nostri proprii interessi, non aveva lasciato sfuggire alcuna occasione per preparare la Santa Sede, in termini generali, ad una transazione che rispondesse al nostro sincero desiderio di riconciliar Roma coll’Italia.

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Io aveva trovato d’altronde nel ricevimento tutto benevolo del quale era stato l'oggetto, il diritto di faro appello alla fiducia di S. S., e di provocare da sua parte l'espressione delle speranze e dei voti, alla cui realizzazione si sarebbe trovato fortunato di poter contribuire il governo dell’Imperatore.

Sa pure V. E. da' miei precedenti rapporti, che il S. Padre ascoltandomi colla pi� affettuosa condiscendenza, aveva costantemente conchiuso con queste parole, che coprivano appena il suo rifiuto: — Aspettiamo gli avvenimenti — e che il cardinale segretario di Stato, pi� esplicito nelle sue parole, si era pronunciato contro ogni transazione che implicasse di fatto l'abbandono iV una parte qualunque del territorio perduto.

Fui dunque pi� afflitto che sorpreso, quando a tutte le considerazioni che ho fatto, inspirandomi alle vedute di V. E., il cardinale segretario di Stato non ha creduto poter rispondero che con una negativa la pi� assoluta.

�Ogni transazione, mi disse il cardinale, � impossibile tra la Santa Sede e coloro che l'hanno spogliata. N� il sovrano Pontefice, n� il Sacro Collegio possono cedere la pi� piccola parte del territorio della Chiesa.�

Ho fatto osservare a S. Em. ch'io lasciava affatto da parte la questione di diritto; che ricordando le sue precedenti affermazioni, io non mi aspettava certamente di vederla transigere con principii da' quali mi aveva dichiarato non potersi dipartire.

Il mio solo desiderio era di portarla sul terreno pratico dei fatti, di offrire al governo pontificio l'occasione di uscire, riservando tutti i suoi diritti;. ' da una situazione cos� disastrosa po' suoi interessi, come minacciosa per la pace del mondo cristiano'. Questo scopo, che io aveva lasciato travedere, sia al S. Padre. sia alla stessa S. Era., era anzitutto quello cui teneva dietro l'Imperatore; in questo senso erano state concepite le mie prime istruzioni, nel medesimo spirito il governo imperiale me le aveva rinnovate. Io non aveva ricevuto l'ordine, aggiungeva io, di comunicarle testualmente al cardinale segretario di Stato;

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esse erano tuttavia troppo conformi ai sentimenti di cui io mi era sovente fatto l'organo, perch� io non mi credessi implicitamente autorizzato a metterle sotto i suoi occhi. Diedi effettivamente lettura al cardinale del dispaccio di V. E.

 Ritrovo in questo dispaccio, mi disse S. Era., l’espressione dell’affettuoso interesse che voi non avete cessato di attestarmi. Non � tuttavia esatto che siavi disaccordo tra il sommo Pontefice e l’Italia. Se il S. Padre � in rottura col gabinetto di Torino, egli non ha che eccellenti rapporti coll’Italia. Italiano egli stesso e primo fra gli Italiani, egli soffre dei patimenti di essa, assiste con dolore alle prove crudeli che colpiscono la Chiesa italiana.

In quanto al patteggiare cogli spogliatori noi nol faremo mai. Io non posso che ripeterlo; ogni transazione su questo terreno � impossibile, qualunque sieno le riserve colle quali si accompagni, di qualunque riguardo di linguaggio la si circondi dal momento che fosse da noi accettata sembrerebbe. che la consacrassimo. Il Sommo Pontefice prima della sua esaltazione come i cardinali alla loro nomina s'impegnano col giuramento a non cedere nulla dei territorio della Chiesa. Il Santo Padre non far� dunque alcuna concessione di questa natura; un conclave non avrebbe il diritto di farne; un nuovo Pontefice non ne potrebbe (are; i suoi successori di secolo in secolo non sarebbero nemmeno liberi di farne. �

D’altronde il tuono assai calmo del cardinale segretario di Stato annunziava una risoluzione tanto pi� irremovibile in quanto che attingeva la sua ragione di essere in un ordine d’idee che sfugge alla discussione. Io mi limitai a far osservare al cardinale Antonelli che il carattere stesso della sua dichiarazione iu' imponeva il dovere di domandargli se potessi considerarla e trasmetterla al governo dell’Imperatore come la risposta definitiva della Santa Sede. Dopo un momento di riflessione S. Em. si offerse di riferirne al Santo Padre, bench� nella sua convinzione questa domanda fosse soverchia.

Era il profondo sentimento di doveri e di obblighi sacri che aveva dettato a S. S. le solenni dichiarazioni di cui le sue encicliche e le sue allocuzioni aveano cos� sovente intertenuto tutto quanto il cattolicismo.

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Il cardinale non aveva dunque fatica a prevedere una risposta che s'impegnava d'altronde a trasmettermi l’indomani stesso sia per iscritto, sia per intermediario d'uno de' suoi prelati. Ho ricevuto effettivamente questa mattina dal cardinale segretario di Stato il biglietto di cui Vostra Eccellenza trover� qui unita la traduzione. Dopo aver preso gli ordini del Santo Padre S. Em. mi disse non aver nulla da aggiungere n� da togliere alle sue dichiarazioni del giorno precedente.

In sostanza, signor ministro, Vostra Eccellenza poneva questa questione della quale io riproduco i termini medesimi: �Dobbiamo nutrire speranza di vedere la Santa Sede prestarsi, tenendo conto de' fatti compiuti, allo studio di una combinazione che assicurerebbe al Sommo Pontefice condizioni permanenti di dignit� di sicurezza e di indipendenza necessarie all’esercizio del suo potere?

Con profondo rammarico io mi veggo obbligato di rispondere negativamente, ma crederei mancare al mio dovere se vi lasciassi una speranza che non ho io stesso.

Firmato LAVALETTE.

Allegato al dispaccio del 18 gennaio. Copia di una lettera di Sua Eminenza il Cardinale Antonelli al marchese Lavallette.

Signore e carissimo marchese, per soddisfare alla promessa che vi ho fatto ieri in occasione della visita onde mi avete onorato al Vaticano, io mi faccio un dovere di dichiararvi che nulla debbo aggiungere n� ridire alla risposta che ebbi a fare alla comunicazione che V. E. mi ha indirizzato nelle forme le pi� cortesi.

Colgo con piacere questa circostanza ecc.

ANTONELLI.

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Mentre che il sig. di Lavalette si sforzava di ritrovare i termini possibili d’una transaziono ardentemente desiderata dal gabinetto delle Tuileries, il governo pontificio, quasi per dare pi� autenticit� e pi� forza al rifiuto ch'egli aveva formulato da prima, pubblicava all’occasione della festa della cattedra di S. Pietro il seguente proclama:

Romani!

Le tante e tante prove d’affetto e d’inalterabile devozione e sudditanza al S. Padre nelle quali coraggiosamente gareggiaste in ogni circostanza, bene addimostrarono in faccia all’universo, che non avete punto degenerato dai principii sacrosanti della cattolica religione. Roma, regina di tutto l'orbe cattolico e depositaria fedelissima della cattolica fede, sdegna le mene de' tristi, le aborre, le detesta, e non si stancher� giammai di profondere il suo oro, e se fia d’uopo il suo sangue ancora per alleviare la gloriosa povert� del vicario di Cristo, e per difendere l'indipendenza della Santa Sede.

Romani! la cattedra del principe degli Apostoli fu sempre il baluardo inespugnabile che difese la vostra dignit�, la vostra gloria, ed essa sola ora vi serba illesi dagli avidi artigli dei vostri nemici. Coraggio adunque. La prossima festa che ricorre ai 18 del corrente, vuol essere quest'anno celebrata con istraordinaria pompa e magnificenza onde dare in quel giorno novella prova del vostro amore di religione e di patria.

Accorrete dunque unanimi in questo fausto d� della cattedra di S. Pietro, ed ivi da voi s'innalzi fervida preghiera, perch� cessata omai la procella sorga un'�ra felice, in cui dall’eccelso Iddio venga glorificato ed esaltato il giusto, e gli empi si convertano e ritornino all’ovile del successore di Pietro.

Festeggiate inoltre questa felice ricorrenza col muto ma eloquente spettacolo di una splendida illuminazione emulo nella sontuosit� a quella del 12 aprile del decorso anno 1861.

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Romani! uniamoci sempre pi�, e gridiamo all’orecchio di chi ci crede ribelli:

Viva il Pontefice, viva il Vicario di Cristo.

Contro questo proclama la popolazione liberale di Roma volle protestare con dimostrazioni in senso italiano. La mattina del 18 Gennaio si videro in moltissimi punti della cittadelle piccole bandiere tricolori attaccate agli edifici, ed anche alle chiese, per mezzo di globi di creta, nei quali era fissata l'asta della bandiera, e i quali venivano lanciati in alto sulle mura dove rimanevano attaccati. La polizia si die subito moto di far toglier� questi emblemi, che ella riguardava come sediziosissimi, e le bisogn� a questo scopo impiegare un gran numero d’agenti muniti di scale, che doveano spesso durar gran pena ad ottener l'effetto, tanto in alto erano giunte le piccole bandiere. Sovra molte di questo bandiere era scritto — Viva Pio nono papa non re, per fare un contraposto alle cartelle dell’altro partito, che portavano scritto: Viva il Papa re.

La sera mentre che i partigiani del governo pontificio celebravano con luminarie la festa della cattedra di S. Pietro, il Comitato nazionale romano fece accendere dei fuochi di bengala su diversi punii della citt�, e perfino nel Corso. Verso un'ora di notte alcuni individui, facendo vista di accendere il sigaro mettevano fuoco ad un piccolo bengala, e Io gittavano al suolo mentre ch'essi continuavano il loro cammino. A questa occasione si produsse un fatto assai curioso. Nel momento che un giovane era in sul fare la sudetta operazione, fu scoperto da una guardia palatina, che lo minacci� cavando un revolver di tasca. Sopravvennero dei gendarmi francesi, ed arrestarono il palatino, che veramente non era in uniforme. Mostr� costui il suo porto $ arme; tuttavia fu menato al corpo di guardia: se non che la mattina appresso, consegnato alla polizia pontificia, fu tosto rimesso in libert�. Si videro in Borgo dei fuochi di bengala accesi da gruppi d’uomini, per mezzo a quali figuravano dei soldati francasi.

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Quando i gendarmi accorsero allo splendore del fuoco, i cittadini fuggirono, ma non fu detto nulla ai militari.

Questa dimostrazione liberale a Roma non fu che il preludio di tutte quelle, di che fu poi teatro!' Italia. S� tosto come la nota del Sig. di Lavalette al Sig. Thouvenel fu conosciuta dal pubblico, fece nascere dei trasporti di gioia in tutte le citt� italiane, poich� si supponeva che a fronte di un rifiuto di conciliazione cos� autenticamente constatato, non resterebbe al governo dell'Imperatore Napoleone alcuna ragione di privar pi� lungo tempo f Italia della sua capitale.

La citt� di Perugia fu la prima che salut� giulivamente le note del sig. Thouvenel e di Lavalette. Il 30 gennaio molti cittadini, fra i quali un gran numero d’emigrati romani, percorrevano le strade, preceduti da bandiere e gridando: Viva ' Italia Viva Roma! Viva Vittorio Emanuele! Viva l’Imperatore! Bentosto la folla ingrossava considerevolmente, e si diresse avendo a capo la musica del battaglione dei cacciatori del Tevere, dalla parte del palazzo del governatore, quindi si rese sotto le finestre del general Masi; e termin� la sua passeggiata con una ovazione e colle grida di Viva l’Imperator Napoleone! avanti la dimora di S. A. la principessa Donna Maria Bonaparte Valentini. La notte vi furono illuminazioni, concerto pubblico, e ballo al palazzo del prefetto Marchese Gualterio. Alcuni giorni appresso; il 4, 5, 6, 7, Como, Bergamo, Cremona, Casalmaggiore, e molte altre citt� secondarie, si pronunciarono nel medesimo senso. Il 9 Febbraio Napoli, Milano, Firenze, queste antiche capitali italiane fecero le loro dimostrazioni in favore di Roma. Lucca, Siena, Pisa, Genova, ed altre che troppo lungo sarebbe a noverare, seguirono l'esempio.

A Milano, la citt� era fin dal mattino decorata di bandiere e parata a festa; il popolo in varie truppe con i concerti di musica a capo percorrevano le strade: numerose soscrizioni circolavano per raccogliere firme ad un programma redatto dalla municipalit� relativamente a Roma per capitale. Quasi tutti portavano al cappello o nella bottoniera delle cartelle col medesimo voto scrittovi in favore di Roma capitale d’Italia, e per la cessazione del poter temporale, avuto sempre rispetto al papa come pontefice.

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Tuttavia, malgrado queste espressioni rispettose per il capo della religione, una porzione della folla s'introdusse nella cattedrale del Duomo, e cagion� un gran disordine nell’esercizio del culto. Il pulpito fu preso d’assalto, e vi fu fatto montare il P. Pantaleo per mezzo d’una scala, il quale vi pronunci� un discorso. Quest'atto poi fu seguito dagli atti di giustizia del governo italiano.

Fra tutte le dimostrazioni di quest'epoca e di questa occasione, questo fatto di disordine fu il solo, che noi possiamo e dobbiamo segnalare. Vero �, che il 6 Febbraio vi ebbe a Firenze una violenta agitazione, ma essa non aveva nulla di comune con la dimostrazione in favor di Roma, la quale avvenne pi� tardi.

Il tumulto che nacque il 6 Febbraio fu cagionato dall'irruenza di un periodico intitolato il Contemporaneo, il quale si permise delle personalit� oltraggianti contro uomini ben affetti alla popolazione. Una lettera di questo giornale legittimista indirizzata al generale Do Sonnaz aveva spinto una folla di giovani sconsigliati ad invadere l'officio del Contemporaneo, e disperderne i caratteri e le stampe, e maltrattare il sig. di Si. Pol, redattore del giornale, il quale dovette la propria salvezza alla assistenza espressa della forza pubblica, accorsa ben a tempo.

Quest'atto condannato da tutta la parte assennata del popolo fiorentino, provoc� il seguente proclama che fu affisso la sera stessa dell’accaduto per la citt�.

Fiorentini

Il riprovevole eccesso, al quale lasciaronsi andare alquanti di voi nella sera scorsa, non � degno della civilt� e temperanza vostra.

Il popolo del 27 aprile, che senza macchiare la sua bandiera, abbatte la tirannia, ponendo la pietra angolare dell’unit� e dell’indipendenza della terra italiana, non dovrebbe lasciarsi trascinare dalla passione a delle facili, e condannevoli vendette.

489

Il rispetto alla Legge � il pi� santo dovere d’un uomo libero, ed io mostrandovi tutta la mia disapprovazione per l'accaduto, e fidente nel Patriottismo vostro, spero non doverlo ad alcuno mai pi� rammentare.

Li 6 febbraio 1862.

Il Prefetto

TORREARSA

Ad onta della pioggia che cadeva abbondante per tutta la giornata del 9 Febbraio, una dimostrazione imponente ebbe luogo a Napoli. Una folla di pi� che 40,000 persone composta delle societ� operaie, dell'associazione della Giovine Italia unitaria, della giovent� delle scuole, dei preti liberali, della societ� garibaldina, e della musica della guardia nazionale, travers� la strada di Toledo, e prendendo per Chiatamonte and� a finire sotto il consolato di Francia, gridando: Viva il Papa, non re! Viva Vittorio Emanuele al Campidoglio! Viva la Francia! Viva l'imperatore! Viva l’armata italiana! Le strade erano assiepate, ma non vi fu disordine.

Finalmente il 13 Febbraio, la citt� di Bologna fece alla sua tolta la dimostrazione, la quale porgiamo descritta dal Corriere dell'Emilia.

I giovani studenti, verso le 11 antimeridiane, uscivano dall’Universit� con bandiera e gridavano: Viva Vittorio Emanuele fa in Campidoglio, Abbasso il Papa-Re. Si recavano da prima alle altre scuole, e cos� tutti riuniti ed accompagnati da molta folla con bandiere, si recarono dal general Cialdini e dal prefetto Magenta che non si fecero vedere. Quella folla cosi riunita and� pure a fare degli urli e dei fischi alla stamperia dell’Eco, dove prudentemente l'autorit� aveva fatto schierare un buon numero di guardie di pubblica sicurezza.

490

La citt� rispose subito alla dimostrazione imbandierando ogni casa, ogni bottega, ed unendo le proprie alle acclamazioni degli studenti. Confessiamo che sebbene noi fossimo avversi a simili dimostrazioni, pure vi scorgemmo molta spontaneit�, e la vedemmo nascere quasi come una contro dimostrazione a quella tentata dai retrogradi. L'ordine o la tranquillit� non furono minimamente turbati, non ostante che non fossero in questi d� mancate le insultanti provocazioni. Serva ci� di lezione ai nostri nemici.

Anche la sera nei teatri si ripeterono gli stessi evviva e gli stessi gridi.

Il governo italiano, i cui sentimenti politici, e le vedute non differivano punto in fondo da quelle espresse dalle dimostrazioni popolari, che abbiamo narrate, non poteva tuttavia lasciar che si perpetuasse uno stato di agitazione pericoloso per la tranquillit� pubblica, e che fu l'oggetto di varie note diplomatiche, indirizzate da diverse corti d’Europa. Cos� gi� dai primi di Febbraio il Baron Ricasoli, presidente del consiglio dei ministri, aveva creduto di dover indirizzare ai prefetti del regno la circolare seguente:

Ai Prefetti del Regno d’Italia

Torino, add� 4 febbraio 1862

Il governo del Re prosegue il compimento dei voti, che la nazione espresse per mezzo de' suoi legittimi rappresentanti, e pone ogni opera ed ogni studio a far risentire in ogni provincia del regno i beneficii dello libere istituzioni, e ad integrare la unit� e la indipendenza d’Italia. Di due specie per� esso incontra ostacoli in questa via: gli uni naturali ed inevitabili, e consistono negli interessi e nelle passioni, che trovavano soddisfazione in quei governi che caddero dinanzi al diritto ed alla volont� della nazione; gli altri derivano da partiti, che professando intenti simili a quelli del governo, pur vorrebbero ad esso sostituirsi nell'azione,

491

che solo spetta ad esso di promuovere, d’iniziare e di moderare perch� sia rispettata ed efficace.

A superare gli ostacoli della prima specie vuolsi nel governo non meno della materiale una morale autorit� grandissima: poich� i nemici della libert� e dell’Italia hanno aiuto fermo, procacciante, istancabile nel principio religioso, da essi abusato, potente per tradizioni secolari e per universali credenze. Ma poich� questi contraddicono manifestamente al diritto ed alla volont� della nazione, cos� sono resi in Italia dalla pubblica opinione impotenti, e cadono di per s� sotto la minaccia della legge. Occorre nonpertanto contro essi vigilanza e cautela, perch� in nome dei principii religiosi non inducano in errore le coscienze ignare o timorose, e non le spingano fino a divenir ribelli; o perch� sia pronta e vigorosa la repressione quando trasmodassero tanto altre.

Preme per� di vigilare egualmente su coloro i quali o in buona fede o per fini di setta, fanno della quistione di Roma uno strumento di agitazione popolare, e riescono a suscitare diffidenze e sospetto verso il governo, o ne attraversano ed impediscono l'opera quando pretendono d’aiutarla. Nell’un caso come nell’altro � grave il nocumento che pu� soffrire la causa nazionale.

Il governo del Re ha solennemente dichiarato per quali vie e con quali mezzi egli intende pervenire a Roma: quelle vie e quei mezzi gli furono additati dal Parlamento nazionale, e soli dalla logica dei fatti e dalla natura delle cose vengono additati come valevoli a compiere gl'intenti nazionali. Egli confida di raggiungere per quelle vie e con quei modi l'intento; ed egli solo pu� decidere del da farsi e del quando; poich� solo egli �, sotto la sua responsabilit�, esecutore della volont� nazionale, e per la cognizione che egli deve avere, e che solo � in grado di avere, della vera condizione delle cose, pu� giudicare dell’opportunit� e della misura dell’azione. Ne la sua dignit�, ne gl'interessi della nazione consentirebbero mai che egli si lasciasse precorrere, n� trascinare.

492

Nella questione romana trattasi soprattutto di ottenere un grande trionfo morale, nel quale la coscienza dei cattolici sinceri, delle genti civili tutte, e della nazione italiana in ispccie, sono interessate. Della temperanza degli Italiani, e del senno da essi anche in questa opera addimostrato gi� si veggono i frutti, ed il governo del Re ha ragione di felicitarsi dei successi ottenuti.

La Chiesa libera e lo Stato libero inaugureranno un novello ordine di cose, di cui gl'Italiani potranno addivenire iniziatori, consentendo con senno e temperanza nel programma di conciliazione fra l’Italia ed il Pontificato, dai Romani espresso in questi ultimi giorni con brevit� e sapienza antica.

Ma intanto che il governo del Re pone ogni diligenza intorno alla questione di Roma, della quale i partiti e le fazioni a diverso intento abusano, gli abbisogna tutta la sua morale autorit�, e tutta la fiducia delle popolazioni. Egli � conscio a se stesso di non averla demeritata; e in presenza della gravit� degli avvenimenti intende che l'opera sua non venga disturbata n� da impeti inconsiderati, n� da manifestazioni clamorose, dallo quali potrebbero trarre argomento i cattolici di mettersi in diffidenza dei veri sentimenti degli Italiani fraintendendoli, o di dubitare della autorit� e dell’efficacia della potest� governativa, la quale � una guarentigia da tutti desiderata e necessaria, a tutti.

Voglia il Sig. prefetto illuminare per modo la pubblica opinione della provincia da esso amministrata, che non abbia a deviare o trasmodare, e valersi di tutta la sua autorit� per impedire che si facciano e si rinnovino quelle manifestazioni, che il governo considera come disdicevoli ad una nazione grande e forte, e costituita in modo da potere per mezzo de' suoi rappresentanti esprimere le suo aspirazioni ed i suoi voleri.

Il ministro RICASOLI

493

Questa non arrest� punto il lavoro di organizzazione dei comitati di provvedimento. Si leggeva infatti nel Diritto del 20 Febbraio 1862 la lettera seguente del general Garibaldi.

Ai Comitati di provvedimento e a tutte le

Associazioni patriottiche italiane

L'adunanza del 9 marzo prossimo pu� riuscire feconda d’ottimi risultati, se vi siano rappresentate tutte le Associazioni liberali italiane. Credo dunque necessario che tutte mandino i loro delegati. Certo come sono che gli atti dell’adunanza saranno degni del senno pratico che distingue gl'Italiani e che le sue conclusioni risponderanno alle aspettazioni legittime dei veri amici della libert� o ai bisogni della patria, io mi astengo da qualunque raccomandazione. Col programma che ci condusse a Palermo e a Napoli e coi sommi principii del plebiscito 21 ottobre 1860 pu� avere glorioso compimento la rivoluzione italiana. Se particolari circostanze non me lo impedissero, anderei io stesso pel 9 marzo a Genova. In quella vece aspetter� di sentire a Caprera un risultato, in cui io possa rallegrarmi come italiano.

Salute e fratellanza.

Caprera, 17 febbraio 1861.

G. GARIBALDI

Un altro giornale intitolato Roma e Venezia pubblicava nello stesso tempo un'altra lettera del general Garibaldi in risposta ai comitati, ai circoli etc.

494

Caprera 15 Febbraio

ALLA GIOVENT�' ITALIANA

�Voi foste mille nel 1860. — Siate un milione nel 1862 — e non vi occupate d’altro — Dei risultati ne ciarleremo insieme —

Vostro G. GARIBALDI

Questi trasporti d’un patriottismo eccessivo, i quali davano a dividere in fondo un sentimento di sfiducia nel governo dato all’Italia dal suffragio universale, avevano per risultato di suscitare, mettendo in apprensione la diplomazia, dogl'imbarazzi alla politica estera dei ministri del re Vittorio Emanuele. Ne dovea far meraviglia, che l'imperatore d’Austria, trovandosi a Venezia negli ultimi giorni di Gennaio in un banchetto in cui egli avea riunito gli ufficiali superiori della sua armata, e varie notabilit� politiche, pronunciasse le parole seguenti: �Non bisogna illudersi, o Signori; lo stato presente delle cose non pu� durar lungamente, poich� quand’anche il re Vittorio Emanuele non volesse la guerra, egli ha d'intorno a se un partito che ve lo precipiter�. Io ho ricevute delle notizie, che non mi lasciano a questo riguardo alcun dubbio sull'avvenire. Noi non attaccheremo, noi saremo attaccati, e ci difenderemo, lo spero; io sar� fra voi�... etc

Non si deve attribuire ad altro, che all’agitazione prodotta dal partito d’azione, il ritardo frapposto dalla Prussia e dalla Russia al riconoscimento del regno d’Italia, che nei primi giorni di Febbraio si presentava come un fatto compiuto. Il gabinetto di Torino aveva infatti conosciuto per mezzo d’un dispaccio del conte Launay, rappresentante di S. M. Vittorio Emanuele a Berlino, che questa questione era stata sommessa al consiglio dei ministri in presenza del re, a fine di prevenir la mozione del deputato Carlowitz, che si proponeva di domandare alle camere il riconoscimento spontaneo dell’Italia.

495

Il consiglio avea risoluto da prima affermativamente la questione, ma una parte del Gabinetto prussiano, nella quale si era posto lo stesso re, fu d’avviso doversi attendere un momento pi� opportuno. Si alleg� in appoggio di questa opinione l'istabilit�, che sembrava presentare ancora il governo italiano a fronte delle dimostrazioni contro il Papato. Questo ritardo d’altronde era stato suggerito dalla Russia, a cui la Prussia aveva domandato consiglio, o che aveva contestata l'opportunit� di questo atto.

II.

Tutti gli occhi in Europa adunque erano rivolti all’Italia fremente d’impazienza, quando le camere legislative francesi vennero ad aprirsi. Tutti gli atti, tutte le parole dell’imperator Napoleone tanto riguardo alla causa italiana, quanto alla corte di Roma furono scopo di mille comenti. Si parl� molto dell’accoglienza fatta al nuovo nunzio del Papa Mons. Chigi, che avea rimpiazzato Monsignor Sacconi, ma si fin� col riconoscere, che le parole dell’Imperatore in questa circostanza non avevano rivelato alcun segreto della sua politica. I nostri lettori potranno giudicarne da loro stessi.

Il nunzio del Papa mons. Chigi fu ricevuto alle Tuileries il 23 genn�io in udienza pubblica, ed indirizz� all’Imperatore il seguente discorso:

Sire,

�lo sento tutto il pregio della confidenza di cui il capo venerato della Chiesa, mio augusto sovrano, volle graziosamente onorarmi, nominandomi Nunzio Apostolico presso V. M. Imperatore di questa nobile e generosa Nazione che fra i tanti titoli che la distinguono, si rivendica quello di Cristianissima.

496

�Rimettendo nelle vostre mani, Sire, il Breve con cui il nostro Santo Padre si degn� accreditarmi appo Vostra Maest�, io la prego a credere che impegner� tutto il mio zelo a mantenere le buone relazioni che per buona ventura esistono tra la Santa Sede ed il vostro Governo.

�Nella speranza, Sire, di essere tanto fortunato da meritarmi egualmente la vostra confidenza, io formo i pi� sinceri voti per il vero bene di V. M., di S. M. l'Imperatrice, del Principe imperiale e della Francia.�

L'Imperatore ha risposto:

�Io vi ringrazio dei sentimenti che voi mi esprimete a nome del Santo Padre, e gi� in occasione del Capo d’anno Sua Santit� aveva graziosamente voluto indirizzare al generale Goyon per me delle paralo che mi hanno profondamente commosso. Siate persuaso che io cercher� sempre di unire i miei doveri di Sovrano colla mia devozione al santo Padre. La vostra nomina presso di me contribuir�, senza dubbio, a rendere pi� intimo quelle buone relazioni tanto essenziali al bene della Religione, alla pace della Cristianit�.�

Monsignor Chigi venne in seguito ricevuto dall’Imperatrice alla quale egli disse:

Madama,

�Onorato per grazia del nostro Santo Padre dell’alta missione di Nunzio Apostolico presso S. M. l'Imperatore, io ho il bene di deporre nelle mani di V. M. imperiale il Breve che Sua Santit� indirizz� a lui in questa occasione.

�Sono particolarmente incaricato dal Santo Padre di rinnovare a V. M., in suo nome, lo assicurazioni della sua affezione tutta paterna, come pure de' suoi voti che non cessa di fare per il bene di V. M. e del Principe imperiale.�

497

L'Imperatrice rispose:

�Monsignore Nunzio, io sono sempre sensibilissima alle �prove di affetto che mi vengono dal Santo Padre, e particolar�mente mi commuovono quello che voi mi recate a suo nome per mio figlio e per me. Ora io vi prego ad essere presso la Santa Sede l'interprete dei miei sentimenti, dell’ossequiosa mia gratitudine, ed a credere alla soddisfazione che mi da la vostra presenza in mezzo a noi.�

All’apertura delle camere, l'Imperatore non fu niente pi� chiaro. Rechiamo il sunto del suo discorso.

�L'anno 1861, malgrado certe inquietudini, vide la pace consolidarsi, e le dicerie, propagate ad arte circa immaginarie pretese, cadere dinanzi alla realt� dei fatti. Le relazioni colle potenze sono intieramente soddisfacenti. Le visite di parecchi sovrani contribuirono a raffermare i legami d’amicizia. Il re di Prussia pot� apprezzare il nostro desiderio di unirci ognor pi� al governo del popolo, onde avanzare con passo calmo e sicuro nella via del progresso.

Abbiamo riconosciuto il Regno l'Italia colla ferma intenzione di contribuire, coi consigli simpatici e disinteressati, a conciliare due cause, il cui antagonismo turba dapertutto gli spiriti e le coscienze.

�La guerra civile che desola l'America venne a compromettere gravemente i nostri interessi commerciali. Tuttavia finch� i diritti dei neutri saranno rispettati, ci limiteremo a far voti per il sollecito termine delle dissensioni.

498

�I nostri stabilimenti nella Cocincina sono consolidati. Non saremmo in lotta con nessuno se la condotta del Governo Messicano non avesse obbligato Francia, Spagna ed Inghilterra a proteggere i connazionali da attentati contro l'umanit� e il diritto delle genti. Liberi da esterne preoccupazioni, abbiamo portato specialmente la nostra attenzione sullo stato delle finanze.�

Qui l'imperatore esamina la situazione finanziaria. Dice i quadri dell’esercito ridotti alla proporzione di ci� che esige in tempo di pace la dignit� della Francia. Accenna alla rinuncia ai crediti straordinari, e come il nuovo sistema stabilir� la ragione finanziaria sopra basi irremovibli. Propone con dispiacere modificazioni intorno a parecchie imposte, convinto per� che l'aumento delle rendite render� temporarie le nuove misure. I deputati dovranno occuparsi fino dal principio della Sessione intorno al progetto dell’unificazione dei debiti.

L'imperatore ricorda che egli sempre prese la iniziativa delle riforme; tuttavia manterr� intatte le basi della costituzione che assicura l'ordine e la prosperit� dello Stato.

Prima d’entrare nella relazione delle discussioni della questione romana avanti al senato francese, crediamo necessario di geitare un'occhiata sulla situazione rispettiva dei gabinetti di Parigi e di Torino. Abbiamo gi� veduto dal dispaccio del Sig. Touvenel all’ambasciatol'di Francia in Roma, quali fossero i rapporti officiali fra il Vaticano e le Tuileries.

Il conte Vimercati parti per Parigi, e questo viaggio si assicurava che avesse relaziono ad affari della pi� alta importanza. Varie lettere di simpatia erano state scambiate fra l'Imperator Napoleone e il re Vittorio Emanuele. Questa corrispondenza si riferita alla situazione generale dell'Italia. Si credeva dunque che il conte Vimercati fosse andato a Parigi per dare delle spiegazioni verbali, e ne avesse in pari tempo riportato al re una lettera autografa dell’Imperatore dei Francesi. N� questa voce fu falsa.

499

�In tale lettera Napoleone III ripeteva i consigli, che egli aveva di gi� dati a pi� riprese. Egli esortava il re a non uscire dalla riserva imposta al suo governo dalle circostanze in cui aversava l'Europa.�

L'Imperatore soggiungeva ancora �che la Francia era decisa a fare tutti i suoi sforzi per il mantenimento della pace, che era per essa un bisogno, come per l'Europa in generale. Per conseguenza S. M. impegnava il re a non dare alcun seguito alle idee, ed ai disegni bellicosi, che gli potessero venir presentati.

S. M. Vittorio Emanuele, il cui carattere ardente avrebbe preferito una nuova campagna a tutte queste discussioni diplomatiche, le quali ancora non avevano prodotto nulla, cedette nondimeno ai consigli del suo augusto alleato.

Quanto alla politica del gabinetto delle Tuileries in riguardo alla questione romana, nulla vi si era cangiato dopo la celebre circolare di Thouvenel, e il generale Randon ministro della guerra aveva pubblicamente assicurato che l'occupazione di Roma per l'armata francese non era vicina al termine, poich� era stato dato ordine di spedirvi una nuova batteria in rimpiazzo d’un altra fuori di servizio. L'occupazione francese a Roma era dunque mantenuta finch� durasse la sospensione indirizzata alla Santa Sede, per trovare i modi di mettersi in accordo col governo italiano. I nostri lettori hanno gi� visto quali fossero le disposizioni della corte di Roma a questo riguardo.

Lo spirito che dominava l'alto clero di Francia era ben lungi dal favorire le vedute del governo dell’Imperatore nel senso delle concessioni. Anzi l'Episcopato spingeva la S. Sede nella via della resistenza assoluta. Questo risultava da uno scritto intitolato: Memorandum dei Vescovi Francesi sulle minaccie, fatte alla S. Sede dal Piemonte, redatto e sottoscritto da Mon. Gerbet, vescovo di Perpignano, una delle celebrit� della polemica clericale.

500

N� questo era tutto: l'episcopato francese era sul punto di forzare la mano al suo governo nell’interesse della corte di Roma, che aveva deciso di adunare un concilio, il cui scopo apparente era la canonizzazione dei Martiri del Giappone, ma nel quale in realt� si dovevano occupare della questione del poter temporale. Si lesse infatti nel Moniteur del 19 Febbraio la nota seguente:

Il governo dell’Imperatore credette di dover domandare a Roma schiarimenti sulla lettera del cardinale Prefetto del concilio che chiama tutti i vescovi della cristianit� alla cerimonia della canonizzazione di parecchi martiri. Questi schiarimenti eran diventati necessari, perch� la lettera di convocazione era stata pubblicata in Francia senza esser stata comunicata anticipatamente al governo.

Il cardinale Antonelli rispose che la lettera indirizzata ai vescovi non era che un invito benevolo senz'alcun carattere obbligatorio e una solennit� puramente religiosa... In questo stato di cose, il governo espresse il pensiero che i vescovi non dovrebbero lasciar la loro diocesi e chieder l'autorizzazione di lasciar l'impero che nel caso in cui gravi interessi diocesani li chiamassero a Roma,

Nello stesso tempo nel parlamento italiano i ministri di S. M. Vittorio Emanuele furono interpellati sul medesimo punto in quanto ai vescovi italiani. Riportiamo l'estratto di queste interpellanze.

Petruccelli. Vorrei pregare l'on. presidente del consiglio a fissarmi una giornata per rispondermi su una domanda che avrei intenzione di muovergli, per sapere quali misure abbia adottato o pensi adottare il governo circa ai vescovi italiani che volessero recarsi in Roma pel prossimo concilio.

Ricasoli. Il governo si � preoccupato delle conseguenze che potrebbero derivare dalla prossima riunione del concilio in Roma, e conobbe come queste potrebbero essere dannose non solo alla religione, ma eziandio alla patria comune.

Il mio collega, on. ministro della giustizia, sta occupandosi delle misure da prendere, e spero che quanto prima sar� in grado d’informarne la Camera.


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Petruccelli. Abbia la compiacenza di fissarmi un giorno.

Ricasoli. Il mio collega potr� farlo al pi� presto possibile.

Petruccelli. Allora mi riservo di ripetere la domanda.

Quest'attitudine presa dal clero francese e dal partito legittimista che lo sosteneva, ebbe suscitalo l’animosit� del partito liberale e democratico in Francia. I provvedimenti presi dal governo dell'Imperatore Napoleone contro la societ� di S. Vincenzo de' Paoli, furono in senato l'occasione di dibattimenti appassionati da parte del partito legittimista o clericale, e ne segu� una viva agitazione in Parigi. Prendendo a pretesto la sospensione del corso del professore Renan al collegio di Francia, a causa delle sue opinioni poco ortodosse in riguardo a dogmi cattolici, una folla considerevole si port� alla strada Vaugirard innanzi all’abitazione del Sig. Renan, mettendo delle grida: abbasso i gesuiti! Viva Renan! Questa dimostrazione si diresse dalla parte del collegio di Francia, quando la colonna Tu presa di fianco da un Plotone di sergenti di citt� vicino all’Odeon. Prima di arrivare alla piazza di S. Sulpizio, un altro plotone di soldati della polizia tagli� di nuovo la colonna, ed arrest� circa 150 persone. La sera una nuova dimostrazione, a cui si dovevano aggiungere i sobborghi, fu prevenuta a tempo dall’autorit�.

Fu in mezzo a questa fermentazione di spiriti, che si produssero al senato francese i dibattimenti dell’indirizzo sulla questione romana, di cui siamo per dare un'esposizione.

Si trattava per l'Italia della discussione dei paragrafi seguenti:

Sire,

Le assicurazioni pacifiche che Vostra Maest� ci da, ci riempiono di soddisfazione e di speranza, giacch� tutte le migliorie che Vostra Maest� desidera vedere realizzarsi, e che devono accrescere il benessere dei popoli, non possono compiersi che coll’aiuto della confidenza pubblica, risultato di una pace lunga e ben consolidata.............................................

502

Vostra Maest� non ha fatto la guerra che per cause in cui l'onore e gl'interessi della Francia erano impegnati, e noi sappiamo che essa non si lascier� mai trascinare ne da ambiziose pretese n� da pregiudizii che sarebbero egualmente contrarii ai nostri interessi e alle idee dell’epoca nostra.

Vostra Maest� ha giudiziosamente operato nel riconoscere il regno d’Italia. La Francia non poteva aver sacrificato tanti uomini e tanto danaro per lasciar quindi compromettere il risultato politico delle sue vittorie. La Francia, cattolica e liberale, vuole il Capo della religione indipendente e venerato, ma favoreggia sempre la vera libert� e il progresso morale e materiale delle popolazioni.

La soddisfazione di questi sentimenti incontra in Italia molti ostacoli, ma noi abbiamo un'assoluta confidenza nelle vostre leali intenzioni. Non lasciatevi scoraggiare, o Sire, ne dai rifiuti irritanti, ne dalle impazienti aspirazioni, e voi arriverete indubbiamente a conciliare le due grandi cause, il cui antagonismo turba dappertutto gli spiriti e le coscienze.�

Fu nella seduta del 30 Febbraio che l'ordine del giorno port� la discussione sul progetto dell’indirizzo.

Sedevano al banco degli oratori del governo: M. Baroche, ministro presidente del Consiglio di Stato; M. Magne e M. Billaut, ministri senza portafoglio; il gen. Allard, Boinvilliers, Boudet, Vuitry e Vuillefroy, presidenti di sessione, commissarii designati per decreto dell’Imperatore.

Larabit legge un discorso ove dichiara di non avere altro scopo che quello di rammentare le antiche e costanti simpatie della Francia per una nazione generosa, che fu la prima delle nazioni amiche, la Polonia.

L'onorevole membro termina dicendo che non chiede l'inserzione d’un emendamento nel progetto d’indirizzo, che non chiede nemmeno alcuna risposta da parte dei ministri sedenti al banco dei commissarii del governo.

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Ci� ch'ei volle fu, che partisse dalla tribuna un appello ai sentimenti generosi di Alessandro II, appello che non domanda in definitiva che l'esecuzione delle stipulazioni favorevoli alla Polonia contenute nei trattato di Vienna, colla promessa di rispettare le sue istituzioni nazionali.

Storm si propone presentare alcune osservazioni sui varii paragrafi del progetto; ma per� non dir� che poche parole sulla politica estera e specialmente sulla questione religiosa, che lascia da sviluppare ad oratori pi� competenti.

I documenti pubblicati dal governo fanno conoscere che la Santa Sede ricus� una combinazione che assicurava al Papa le condizioni di dignit� e d’indipendenza che gli sono necessarie.

Questo rifiuto inspir� alla commissione dell’Indirizzo un rincrescimento, ch'egli divide; ma � persuaso che se il governo francese, senza chiedere al Papa un consenso che sembra non voler dare, regolasse le condizioni proprie a garantirgli una situazione conforme alla sua dignit� e alla sua giustizia, al coperto da aggressioni dentro e fuori, S. S. si sottometterebbe ad un assestamento definitivo che lo torrebbe da una situazione in tollerabile.

L'on. senatore vorrebbe che il governo chiedesse nel tempo stesso ad una potenza vicina di non mettere in campo pretese smodate. Molti hanno veduto di mal'occhio le conquiste del Piemonte nel sud dell’Italia, ma ora � un fatto compiuto che bisogna accettare; per� non si saprebbero ammettere le sue pretese sopra un altro territorio che non gli appartiene e sul quale non ha altro diritto che le sue pretese stesse.

Il Conte s�gur d’Aguesseau comincia dal ringraziare Lambii d’aver fatto risuonare il nome glorioso degl'infelici ed eroici Polacchi; vi si associa, sperando che il Senato far� altretianto.

Passa poi a spiegare i motivi che gli fanno respingere il progetto d’indirizzo, che sono ci� che non vi si trova rapporto alle cose interne, e ci� che vi si trova e non vi si trova rapporto alla pi� importante e delicata questione estera.

504

Quanto alle cose interne egli trova un vizio radicale nel pi� completo silenzio sulla fatale direzione data all’amministrazione dell’impero dal ministro dell’interno. Qui cita due atti; il deplorabile abuso di potere verse una societ� religiosa laicale, eminentemente rispettabile e cara a tutti i cattolici; e la protezione accordata ad una stampa, la cui licenza passa ogni confine.

L'oratore critica questi due atti; dice non voler far l'elogio della Societa di San Vincenzo de' Paoli cui appartenne come membro attivo, cui appartiene come membro onorario, perch� esso si trova nella stessa circolare che l'ha colpita; non voler contestare la legalit� della misura, perch� in ci� non ist� l'abuso di potere.

Quest'abuso, secondo l'oratore, consiste nello avere il ministro, in mancanza di giusti motivi, cercato un pretesto per calunniare i direttori della societ�, il suo consiglio generale e i suoi consigli provinciali; chiede di ci� giustizia all’Imperatore.

Esamina poi il second’atto, cio� la protezione accordata ad una stampa ingiuriosa e irreligiosa. Dice d’essersi assunto da due anni il triste incarico di riprendere gli articoli di molti giornali, che fanno stringere il cuore principalmente nel vedere che i loro autori non solo non hanno rimproveri, ma sono anzi protetti dall’amministrazione.

A dimostrare il suo assunto cita un articolo del Si�cle sopra un'allocuzione del Papa del settembre scorso, e un altro dell’Opinion nationale contro le comunit� religiose, non escluse le petites soeurs dei Poveri.

Aggiunge che ci� basta per dimostrare che v'ha un piano organizzato per eccitare all’odio e al disprezzo di guanto concerne la religione cattolica; vede oltraggi, calunnie, ingiurie dovunque; e l'amministrazione invece di ammonire questi giornali, aver preso il direttore politico di uno di questi giornali per candidato del governo al Corpo legislativo.

Il barone di Richemond: � una supposizione gratuita e malevola.

505

S�gur d’Aguesseau: Se s. ir� cos� lo noteranno i ministri senza portafoglio; intanto io chiedo al ministro dell’interno se ci� � servire l'Imperatore, il quale nel suo discorso di Bordeaux diceva: Voglio conquistare alla religione, alla morale questa parte s� numerosa della popolazione che conosce appena i precetti di Cristo? Non credete voi che questa funesta protezione non crolli la piramide si gloriosamente rimessa sulla baso?

Se questi fatti son certi, la commissione avrebbe dovuto esprimere il suo avviso intorno a questa direzione data agli spiriti. Ma questi fatti da chi non sono conosciuti? Non ci attristammo tutti nel vedere l'amministrazione dell’Impero (bisogna avere il coraggio di dirlo) confidata a mani s� compromittenti e s� imprudenti? (Interruzioni e rumori). All’Imperatore si deve dire il vero; chi lo dir� se non il Senato? Finch� si � in tempo, si deve impedire che il conto Persigny non diventi il Polignac dell’impero (Interruzione in sensi diversi).

Molte voci. All’ordine!

Walewski. Domando che l'oratore sia chiamato all’ordine. Questi sono attacchi personali.

 Gen. Nassau. Si! all’ordine!

Walewski. E impossibile tollerare che un membro del Senato diriga un tal atto d’accusa contro un ministro dell’Imperatore.

Sigur d’Aguesseau. Io chiedo di non essere interrotto; il diritto di chiamarmi all'ordine spetta al solo presidente. Credo che sia nel mio diritto criticare gli atti di un ministro.

Presidente. Avete diritto di caratterizzare e criticar gli atti di un ministro, ma non dovete far uso come avete fatto d’espressioni offensive.

S�gur d’Aguesseau. Mi sommetto con rispetto alle osservazioni del presidente, ma non posso comprendere ove sia l'offesa nelle mie parole. Ho scelto il paragone nel servitore pi� devoto; non ho criticato che l'eccesso della devozione. In ci� nulla di offensivo; protesto non aver avuto intenzione d'offendere; volli solo dare forza al mio pensiero. Non conosco uomo pi� fedele e devolo che il conte di Persigny; gli � perci� che l'attacco pi� vivamente e mi rincrescerebbe che nei resoconti della seduta vi fossero le mie parole, senza queste spiegazioni che or do.

506

Presidente. Vi saranno inserite coll’impressione che hanno prodotta sui vostri colleghi.

Sigur d’Aguesseau. Ne ho appena veduto due o tre reclamare ed interrompermi. Or passo alla seconda parte della mia discussione, cio� alla quistione pi� palpitante di quanto agitano la politica europea, alla quistione romana. Disapprovo il paragrafo relativo all’Italia e a Roma per ci� che vi si trova e per ci� che non vi si trova. Comincio da ci� che vi si trova.

Il Piemonte � tacciato di precipitazione e pretese smodate. Ci� � ben poca cosa se si considera quanto si trova nei documenti diplomatici, se si considera che si giunge persino a chieder la testa di chi si odia. S�, si vuole decapitare il cattolicismo quando si vuole aver Soma per capitale del nuovo Regno d’Italia.

Come � qualificata la condotta del Papa? Di resistenza e d’immobilita. Quando si dice questo? Nel momento che gli si propone di transigere con chi l’ha spogliato, con chi vuole spogliarlo del resto. Da chi gli vien fatta? Da chi aveva promesso proteggerlo contro lo spogliatore. Chi in tali condizioni avrebbe fatto altrimenti?

L'on. Senatore, respingendo la parola immobilit�, applicata alla condotta del governo pontificio, sostiene che la sua politica ha sempre smentita questa qualifica. A sostenere il suo assunto cita le riforme inaugurate da Pio IX, Io difende dagli abusi, che gli sono rimproverati ne1 suoi Stati. Parla poi della secolarizzazione del governo, e dice che la maggior parte dei funzionarii non appartengono al clero. Cita in appoggio un rapporto del signor Rayneval, che si lamenta non sia conosciuto dal Senato e dal Corpo Legislativo. E con questo documento alla mano, che, a suo credere, risponde a tutti gli appunti fatti al governo pontificio, chiede come si possa avere il coraggio di lasciare nell’indirizzo le parole — resistenza e immobilit�. — Esse costituiscono un rimprovero amaro, tanto pi� amaro in quanto che sarebbero rivolte al Santo Padre nel momento in cui la sovranit� pontificia � abbattuta da' colpi raddoppiati di odj infernali. Il Senato non deve aggiungere il suo contingente a tanti assalti. Fate scomparire nell’indirizzo queste parole e lasciate figurare in esso i vostri rammarichi per le pretese del Piemonte.

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La grand’opera del Piemonte, lodata dall’Indirizzo � l'unificazione d’Italia. Ma per compierla bisogna distruggere gli Stati esistenti in Italia e quello particolarmente del Papa. Non cessa per� l'indirizzo di chiamare giusta la causa del Papa, ma se � tale, sar� giusta la grande opera del Piemonte? disdice al Senato di chiamar grande questa unificazione dell’Italia che � un idea di Mazzini.

Duole infine all’oratore di veder dichiarare nella nota di Thouvenel, che tutti i fatti che si sono compiuti in Italia non sono pi� suscettibili di cangiamento, e che ogni restaurazione del passato � una ipotesi non realizzabile. Eppure questi avvenimenti deplorabili che si compirono in Italia dopo il trattato di Villafranca, erano menzionati nel dispaccio francese relativo al riconoscimento del regno d'Italia come avvenimenti, pei quali la Francia non accordava garanzia di sorta, e su cui riserbava tutta la sua libert� di appreziazione. A che vi conduce dunque questa libert� d’esame? A considerare come definitivi i fatti compiti. L'oratore, passando a parlare delle Due Sicilie, crede di vedere col� la triste conseguenza di un cattivo regime, i cui pericoli sono stati pi� di una volta segnalati dall’Europa.

Si pu� gemere sulla situazione di Napoli, ma non � la nostra bandiera. Al contrario, l'approvazione generale con cui il ministro degli affari esteri ricopre fatti compiuti in Italia, giova agli atti che cominciarono la spogliazione del Papa. Rammentatevi le circostanze in cui furono compiuti.

Una voce sparsa in Europa parlava della complicit� del governo francese. Allora il ministro degli affari esteri fu autorizzato a rivolgere a tutti gli agenti diplomatici una circolare iu data 18 ottobre 1860, la quale dava alla presenza di Cialdini e di Farini a Ciamboli il suo vero significato e la sua reale importanza.

Data lettura di quella circolare, l'oratore aggiunge:

Cosi il governo declinava allora la responsabilit� di tutti i fatti compiuti. Come spiega oggi il ministro degli esteri cotesta opinione? Con una dichiarazione di possesso definitiva a pro del Piemonte.

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Fortunatamente l'Imperatore non fa di ci� parola nel suo discorso. Se mi si oppone che l'approvazione imperiale dovette essere data alla corrispondenza ministeriale, io rammenter� che, all’epoca dell’arrivo di Garibaldi nel regno delle Due Sicilie, la corrispondenza diplomatica di Thouvenel fu contraddetta dal contegno ulteriore del governo; il sig. Thouvenel fu allora battuto dal conte di Persigny, egli pu� essere oggi battuto dal Senato.

Qui l’oratore parla della trista impressione che si risent� al vedere invaso uno Stato garantito dalla presenza della bandiera francese a Roma. Egli dice esservi in ci� una quistione d’onore ed essere necessaria una riparazione. Egli sostiene che le cose debbono rimettersi nello stato in cui erano prima dell’invasione delle armi piemontesi. Che se gli Austriaci abbandonarono le Romagne, si curino essi come vogliono dell’onore della loro bandiera; quanto ai Francesi, essi non possono in ci� transigere.

Mi si dir�, soggiunge l'oratore, che io sono reazionario; ma Io sono ancor pi� coloro che vorrebbero ristabilire a Roma ci� che vi era nel 1849. Non evvi a questo mondo che reazioni e rivoluzioni. Solamente, ce ne ha di buone, come ce ne ha di cattive.

Nel 1849 siamo andati a Roma a reagire contro la demagogia italiana, e quella reazione era bella e nobile. Era una pagina di pi� da aggiungere alle gesta Dei per Francos; lascieremo noi aggiungere a quella pagina le Gesta diaboli per Sardos?

L'oratore dice pure che il 2 dicembre, l'Impero, le guerre di Crimea, di Siria e del Messico, non sono altro che ammirabili reazioni, come la giustizia � la reazione del diritto contro la frode: essere questa la reazione che bisogna segnalare all’Imperatore, per seguir quindi quella nobile politica che fu inaugurata dalla nostra spedizione in Italia.

Egli rammenta il proclama dell’Imperatore e la circolare del ministro dell’istruzione pubblica, che annunziavano alla Francia il pensiero imperiale, nell’epoca della spedizione in Italia: e quel pensiero era di liberare l'Italia dal giogo dell’Austria e di rispettare l’istituzione contro la quale si romperanno, secondo l'Imperatore, gli sforzi della rivoluzione e dei belligeranti.

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Del resto, soggiunge l'oratore, se il sig. Thouvenel vuol escludere la forza per ristabilire il Santo Padre nella sua sovranit� temporale quale esisteva prima dell’invasione piemontese, la forza non � punto necessaria per ottenere questo scopo: essa non � pi� necessaria che nol fosse per tracciare il perimetro attuale della nostra occupazione, e ci� pu� farsi facilmente, senza compromettere i piani finanziari del sig. Fould.

L'oratore rammenta che una semplice circolare del ministro degli affari esteri indic� al comandante delle forze militari francesi a Roma i punti che esso doveva occupare e garantire contro l'invasione del Piemonte. Ebbene, aggiunge egli, l’onorevole ministro degli affari esteri faccia ancora una circolare.

Thouvenel. Io non firmer� mai una circolare in questo senso.

S�gur d’Aguesseau. Io non mi permetter� in questo caso di appreziare la condotta del ministro degli affari esteri. (Ru mori)

Voci diverse. Non vi sono ministri sui banchi dei Senatori.

S�gur d'Aguesseau. Vi sono per� senatori che parlano come ministri.

Presidente. Non evv� qui ministro degli affari esteri. Rivolgetevi ai ministri oratori del governo.

S�gur d’Aguesseau si rivolge ai ministri oratori e loro domanda.

Credete voi che se l'Imperatore lo volesse, sarebbe molto difficile il decidere che il perimetro della nostra occupazione si estender� fino ai limiti che avevano gli Stati della Santa Sede prima dell’invasione del Piemonte?

Egli dice non essere per questo necessario delle forze pi� imponenti; doversi ristabilire la cosa come per lo passato, guarentire seriamente le neutralit� degli Stati pontificii, lasciare organizzarsi una forza pontificia sufficiente e quindi sgombrare il territorio.

Questa � la soluzione che si preparava colla formazione di un'armata pontificia, quando fu violato il diritto delle genti piombando su quell'armata appena riunita. Questa soluzione sarebbesi ottenuta se l'armata pontificia non fosse stata schiacciata. Vittorio Emanuele avrebbe potuto essere Re dell’Italia del nord; ma il Piemonte voleva tutto lo stivale; ecco le pretese che il progetto d’indirizzo qualifica solamente come smoderate!

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L'oratore conclude col domandare il rinvio del progetto d’indirizzo alla Commissione, affinch� vi introduca un passo pi� degno di essa e del Senato.

(S. A. I. il principe Napoleone entra nella sala e va a sedersi).

Presidente. La parola � al sig. presidente del consiglio di Stato.

S. E. Baroche dice che egli non risponder� per ora alle discussioni riguardanti la stampa, la Societ� di S. Vincenzo de' Paoli e gli affari esteri; ciascuno di questi punti trover� il suo posto nella discussione dei paragrafi speciali. Egli per� dichiara di non poter lasciare senza risposta gli attacchi cos� duramente fatti contro un membro del Senato quantunque assente, il conte di Persigny. Si pu� criticare tutti gli atti del governo, dice il sig. Baroche, criticarli anche con severit�; ma se il sig. s�gur ha voluto dare ad una certa stampa un esempio di moderazione, egli ci costringe a rammentare che, in ninna assemblea, quando i ministri fossero risponsabili come ministri, un membro del gabinetto fu trattato nella sua personalit� cos� duramente come noi abbiamo teste udito.

Quando non vi fosse che quella devozione a cui il sig. s�gur ha reso omaggio, quella devozione la quale non aspetti, per rivelarsi, il giorno della prosperit�....

Voci. Benissimo! Benissimo!

Baroche. Quella devozione gli darebbe diritto, se non al vostro rispetto, ai vostri riguardi. Ma quando voi avete posto a lato del suo nome quello di un ministro, il cui zelo precipit� il suo signore ncll'abisso, voi avete pronunziate parole le pi� offensive pel paese. Lasciate le personalit�, giudicate gli atti; vi indirizzate a ministri assenti o presenti, ma che non possono rispondere come ministri. Protestiamo nel modo pi� energico.

Ancora una parola. Il sig. l'Aguesseau accus� il governo di proteggere una certa stampa. Quando si discuter� la quistione sulla stampa, sar� detto tutto e vedremo da qual parte � la licenza.

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S�gur d’Aguesseau ripete nulla avere inteso dire di offensivo pel sig. di Persigny, paragonandolo al servitore il pi� devoto di un altro regno. La devozione non impedisce l'errore; pi� il ministro � devoto e pi� l'onorevole membro teme di trovarlo cieco. E d’altronde come attaccare gli atti di un ministro senza lasciarsi andare a qualche personalit�? L'oratore sostiene eh' era nella necessit� di attaccarsi al ministro dell’interno; se i suoi sentimenti mutarono di �impetto al sig. di Persigny, egli � che lo ba visto egli stesso per entrare in una via funesta (Rumori)

Egli dir�, giacch� il sig. Baroche ve lo costringe, che in un luogo pubblico, davanti a duecento persone, il sig. de Persigny esprimeva l'anno scorso la sua ammirazione pel discorso del principe Napoleone, che qualificava di magnifico programma politico napoleonico. Se l'oratore non ha parlato di questo fatto nel suo discorso, egli � che seppe che poscia il conte di Persigny aveva espresso a riguardo del discorso stesso un linguaggio diverso. Ci� mi era bastato, dice terminando l'oratore, per indurmi a tacere; ma provocato a parlare, io non poteva trattenermi dal far osservare che la devozione � pericolosa ne' suoi errori.

Il Barone di Burgoin legge un discorso, in cui prende a dimostrare che la situazione generale dell’Europa non giustifica le apprensioni di guerra che si sono inconsideratamente prodotte e che, associandosi all'insufficienza dell’ultimo raccolto e alla crisi americana, hanno scosso deplorevolmente la situazione finanziera e commerciale. Spera per� che distruggendo le preoccupazioni mal fondate, si concorrer� allo scopo cui accennano le parole imperiali: riassicurare le classi laboriose nell’avvenire e rendere la sua attivit� al lavoro.

L'oratore nulla vede di minaccioso nell’orizzonte politico. Furono interpretate le parole dell’Imperatore d’Austria a Venezia come il preludio di un attacco. Ma si dichiar� tosto che nelle parole dell'Imperatore, n� in quelle di Benedeck non vi era pensiero di aggressione. Da questo lato non � dunque a temersi la guerra. Il governo dal suo canto � saggio e ascolta con troppa confidenza la nostra voce, perch'ei voglia attaccare l'Austria, e questa alla sua volta protest� che non prenderebbe l'offensiva.

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D'altronde le due potenze sanno, se scoppiasse un conflitto, quali conseguenze potrebbe avere per quella che ne avrebbe preso l'iniziativa, non meno che per l'Europa.

Dal 1815 v'ha una serie di guerre parziali, locali; questi conflitti minacciavano di estendersi, particolarmente nel 1848. Cos� per� non avvenne. Quale fu l'egida che protesse l'Europa contro il flagello di una guerra generale? I governi delle tre grandi nazioni, la Francia, l'Inghilterra e l'Alemagna, rimasero fortemente uniti, e quest'accordo imped� alle collisioni di allargarsi.

Queste tre potenze infatti formano la base essenziale dello edifizio europeo. Quando altri paesi, quali la Spagna, l'Italia, gli Stati del Nord, si trovano in lotta, certamente l'Europa ne rimane commossa; ma quando � tra la Francia, l'Inghilterra o l'Alemagna che sorge il conflitto, allora esso trascina l'Europa intiera e si prolunga, come accadde nella guerra dei sette anni.

L'incidente che incorse tra l'Inghilterra e l'America si acchet� in forza del buon accordo delle suddette tre potenze.

Segnalando le tendenze ambiziose che si attribuiscono ai diversi paesi, all’Italia l'impadronirsi di Roma e di Venezia, alla Russia di andare a Costantinopoli, alla Francia di ricuperare le sponde del Reno, all’Inghilterra di fondare una Sicilia indipendente dal resto dell’Italia, l'oratore fa osservare che supponendo questi movimenti reali di ambizione, non deve credersi che sia agevole di soddisfarli. E i popoli sono costretti di obbedire ai principi di giustizia, di buon senso, di opportunit� finanziaria nel tempo stesso che devono tener conto degli ostacoli che possono loro opporre le nazioni rivali.

L'onorevole senatore si estende pi� particolarmente sulla situazione dell’Alemagna ed esamina in particolare la vertenza tra questa potenza e la Danimarca.

Ma la Francia comunque contenta dello sviluppo della marina tedesca non dimentic� la gratitudine che deve alla Danimarca per la sua fedelt� nei nostri giorni di sventura, essa difender� i suoi giusti interessi e l'Inghilterra che non desidera veder sorgere una nuova marina, si studier� di impedire un conflitto fra i due paesi.

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In quanto alla Confederazione germanica, alcuni vorrebbero la creazione di un impero unitario, alla cui testa fosse la Prussia, ma l'ultimo re di Prussia e il re attuale hanno saviamente respinto questo disegno. Questi diversi progetti che agitano l'Alemagna, consistono in teorie senza pericoli, secondo l'oratore, a meno che non siano aggravate da un'estera ingerenza.

Per quanto concerne specialmente l'Ungheria, l’oratore crede poter affermare che le turbolenze sono acchetate: le buono intenzioni dell’imperatore furono riconosciute e il rifiuto di pagar l'imposta � cessato. Riconobbero le popolazioni ungheresi che Io stato d’agitazione era contrario ai loro interessi, che una esistenza separata non era possibile e che gli sbocchi dell’industria e del commercio non potevano farsi che dall’Alemagna, che dall’Austria.

L'onorevole senatore ricorda ch'ei volle fare questo quadro per calmare le inquietudini, per mostrare che una guerra generale e durevole non � possibile coi numerosi mezzi di incivilimento che sono altrettanti legami per l'Europa, e termina dicendo che la Francia, colma di gloria e di trionfi, domanda di godere in pace la posizione che le fa un governo illuminato o progressivo.

Il Cardinale Mathieu chiede spiegazioni sugli atti diplomatici prodotti all’appoggio della situazione dell’Impero — Dichiara infondata l'accusa fatta dal ministro degli esteri al vescovo di Poitiers di avere, in un discorso pubblico, pronunziato nel giorno di S. Pietro, fatto delle allusioni offensive all’Imperatore. Si rimproverano, dice S. Eminenza, alcuni prelati francesi di non mostrare il medesimo buon senso e la medesima moderazione della grande maggioranza dei loro colleghi. Una tale accusa � gravo, allorquando si dirige contro qualunque cittadino, ma � ancora pi� grave quando colpisce uomini, ai quali la loro missione e il loro carattere impongono obblighi pi� stretti, cio� di venerare il principe e farlo venerare.

Il cardinale parla in seguito dei dispacci scambiatisi tra il marchese Lavalette e il cardinale Antonelli; dice che il dispaccio dell’ambasciatore francese � esatto in quello che riguarda il riliuto del governo romano e i principii generali sui quali si appoggia;

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ma che il cardinale Antonelli non si � limitato ad emettere principii generali, discese ai particolari, e diede ragioni indipendenti dalle generalit�, ragioni che dimostravano quanto sarebbe stato imprudente pel Sommo Pontefice di trattare col Piemonte. Dice trattarsi qui di un accordo; ma per procedere ad un accordo ci vogliono delle guarentigie per la libert� della Chiesa e l'indipendenza del Papa. — Pu� offrirne il Piemonte?

Non si guarentisce la libert� della Chiesa esiliando il card. Riario Sforza dalla sua diocesi, uomo abbastanza conosciuto per i suoi benefizi il cardinale de Angelis arcivescovo di Fermo e tanti altri prelati degli Stati napoletani, delle Marche e dell’Umbria. Il cardinale conchiude, dicendo essere un accordo impossibile poich� non vien fatto al governo Piemontese di consentire sufficienti garanzie per assicurare la libert� della Chiesa.

L'illustre prelato parla in ultimo del clero, dei suoi bisogni e della sua povert�.

Combatte l'idea, che trovasi nel progetto d’indirizzo, che le liberalit� fatte a profitto delle congregazioni religiose possano aver qualche influenza sulla sua miseria.

Seduta del 21 febbraio

Il Conte S�gur d’Aguesseau fa alcune osservazioni a proposito dell’incidente provocato dallo sue parole dette contro i ministri nella seduta precedente, e dichiara di non aver mai inteso di attaccare le persone; ma quanto agli atti, egli dice che non ritratterebbe mai la qualificazione che ad essi ha data.

La Gu�rronni�re risponde a ci� che aveva detto il signor d’Aguesseau intorno all’opuscolo pubblicato sulla questione italiana e dichiara di non aver fatto altro, in quell'opuscolo, che dimostrare coi documenti alla mano, come la politica francese non meritasse il rimprovero di doppiezza che le si faceva e come questa politica abbia servito bene gl'interessi della Francia o della religione.

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Egli sostiene ci� non meritare punto la qualificazione di libello inflitta dal sig. d’Aguesseau, ed essere suo dovere respingerla tanto pi� che il sig. d’Aguesseau so ne era servito per un biasimo contro il sig. Persigny.

L'oratore dice di essere egli solo risponsabile di quello scritto sulla questione italiana e doversi perci� riputare assurdo uno dei numerosi attacchi di cui fu oggetto il sig. Persigny nella precedente seduta.

Dopo qualche replica del sig. D’Aguesseau a cui risponde nuovamente il sig. La Gu�ronni�re, il processo verbale � adottato.

Pietri legge un discorso nel quale egli dice che non bisogna punto rimettersi alla saggezza dell’Imperatore in ogni cosa, ma che gli amici sinceri del governo hanno il dovere di dire francamente la loro opinione per respingere tutte le eventualit� che vengono apposte perfidamente alla dinastia napoleonica.

L'onorevole membro prende quindi a trattare la discussione dei fatti e dei principii stranamente disconosciuti, secondo lui, nella seduta precedente. Egli prende a determinare lo stato dello spirito pubblico in Francia o la classificazione dei partiti, dicendo che da un lato sonosi aggruppati i partigiani del passato, reazionarii, mentre dall’altro si riunirono gli uomini devoti alla causa del progresso, sostenitori della democrazia personificata sul trono dall’imperatore Napoleone III. I primi hanno bens� aiutato lo stabilimento dell’Impero, ma era una tattica per far supporre che essi soli avessero elevato l’Imperatore, mentre, altero della origine sua popolare, il nuovo governo non aveva che uno scopo, consacrarsi a tutti. L'impero crasi fatto senza di loro, sarebbesi fatto contro di loro.

Finch� l’Impero, dice il sig. Pietri, non pens� che al ristabilimento dell’ordine, gli uomini del passato non ebbero alcun pretesto per attaccarlo, ma quando il nuovo governo ebbe a praticare il rispetto delle nazionalit�, quando la guerra della Crimea fece vedere che si era ripudiato il principio della �pace ad ogni costo� e del �ciascuno in casa sua,� si videro gli uomini del passato cambiar sistema; e mentre vedevano con dispiacere quella guerra, esaltavano segreti rancori.

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La guerra d’Italia fece loro gettar la maschera, essi l'accusarono come inutile, perch� essa tendeva a liberare la Niobe delle nazioni, a spegnere a due passi dalla Francia un vulcano rivoluzionario.

Vinta l'Austria, i territorii di diverse monarchie italiane apportarono i loro territori! come un'alluvione all’unita dell’Italia. Non erano mancati gli avvertimenti della Francia alle famiglie regnanti; e se inseguito agli avvenimenti della guerra, ne risult� un ingrandimento senza che la Francia fosse chiamata ad approvarlo, puossi egli dire che facesse mestieri che essa rivolgesse le sue armi contro i suoi alleati, in favore dei vinti di Solferino?

I partiti i quali pretendono, che l’unit� italiana cagioner� lo sconvolgimento degli Stati della S. Sede, dovrebbero sapere, non esservi potenza cosi forto, se ne trovasse pure una abbastanza ingiusta, per impedire ad una nazione di giungere a' suoi destini quando essa � matura per la saggezza e la libert�.

Quanto agli uomini nuovi, essi comprendono che l'Imperatore, personificazione della Francia democratica, deve assumere la difesa della causa dei popoli e guidarli verso le vive sorgenti della democrazia e della libert�.

Con ci�, la via del governo imperiale � tracciata: all’esterno, difesa della causa dei popoli; all’interno, dare al popolo tanta libert� quanta uguaglianza ricevette, e disciplinare le forze della nazione. Ci� si compie per gradi; la costituzione � perfettibile ed � stato solennemente dichiarato che la libert� sarebbe il coronamento dell’edificio imperiale.

Se l'Impero non ha ancora portati i suoi frutti, la colpa non � dell’Imperatore n� della Costituzione, ma piuttosto di coloro che difendono l'Impero coi mezzi medesimi dei governi scaduti e di coloro che mancano di pazienza e di riflessione. Trent'anni di un reggime parlamentare solo apparente, deputati eletti da un pugno di elettori, ecco, tra le altre cose, ci� che gli antichi reggimi avevano dato al paese.

S. E. IL CARD. DONNET

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L'Imperatore dovette chiamare ne' suoi consigli servitori delle antiche monarchie per giovarsi dei loro lumi. Alcuni di essi compresero il nuovo governo; altri al contrario seminarono la zizzania e tornarono alle antiche idee; una terza categoria cre� difficolt� al governo, rappresentando la democrazia come uno spauracchio.

Il governo deve ora rivolgersi agli uomini che vogliono il progresso della democrazia.

L'oratore va quindi cercando quali siano i mezzi, per l'Impero, di vincere gli ostacoli segnalati. Secondo lui, il governo, fedele all’origine sua nazionale deve infrangere ogni pastoia opposta alla libert� della stampa. Le leggi eccezionali non hanno mai salvato i governi.

Le elezioni devono esser libere, alla sola condizione che la legge costituzionale sia immune da ogni attacco. Una pressione esercitata sul suffragio universale non potrebbe che separare l'Imperatore dalla Francia. L'Imperatore oggi regna, regna e governa, egli � responsabile dinanzi al paese e sa non esistere tra la Francia e lui alcuna muraglia chinese.

Si illumini dunque il suffragio universale o non si violenti. Sia liberata la stampa dal sistema degli avvertimenti preventivi. Il reggime attuale non � la libert�, e quantunque applicato con moderazione, debbe avere un termine. Gli scrittori scoraggiati tacciono quando dovrebbero parlare, e parlano quando dovrebbero tacere.

Se la stampa si allontana da' suoi doveri, sar� facile trattenerla colle penalit� del diritto comune.

L'oratore passa agli affari esteri e dice che Io Impero � la pace, ma una pace che deve proteggere la nostra dignit� e permetterci di esprimere altamente le nostro simpatie pei popoli.

Cos� intesa, egli dice, la paco non poteva lasciarci insensibili alla sventura d'Italia. Questa causa non trov� contro di se che prelati collegati coi malcontenti di tutti i reggimi.

Il cardinale Donnet domanda la parola:

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L'Imperatore dovette chiamare ne' suoi consigli servitori delle antiche monarchie per giovarsi dei loro lumi. Alcuni di

Pietri. La Chiesa avrebbe dimenticato che ora � pi� lautamente dotata, che gode libert� d’insegnamento, che tutti gli ordini religiosi possono aumentarsi in Francia? Perch� dunque questi lamenti? I partiti religiosi sarebbero insaziabili come gli altri?

Se il Papa avesse tenuto conto degli avvertimenti dati dall’Imperatore, capo d’una nazione cattolica, forse il papato si troverebbe in armonia colla causa italiana. Ora la questione romana bo stancato tutti, lo statu quo non pu� pi� prorogarsi, Roma s'� fatta centro di tutte le macchinazioni del regno di Napoli, la nostra devozione � disconosciuta, le coscienze turbate, gli stessi interessi spirituali compromessi. Noi pure siamo cattolici, lo siamo forse con maggior convinzione di molti di coloro che speculano su questo titolo (rumori, interruzioni). Egli � perci� che speriamo che molti prelati, ritornati a sensi pi� giusti, ci aiuteranno a troncare la questione romana colla ragione, non colla spada.

Nulla di pi� doloroso che il rifiuto assoluto della Corte di Roma, che fa capo al cielo per una questione terrena. Bisogna salvar Roma che vuol perdersi. Che le si facciano nuove proposte; se sono respinte, la Francia e l'Italia procedano senza di essa alla grand’opera di conciliazione tra l'indipendenza nazionale e la religione. Non v'ha tempo a perdere; sono convocati a Roma tutti i vescovi per un concilio ecumenico.

Il cardinale Gousset. Per una cerimonia religiosa e non altro.

Pietri. Se le popolazioni esasperate d’Italia vedessero nell'ostinazione della Santa Sede un male incurabile, ove sarebbe il rimedio? Pensate che in Italia, anche dai pi� illuminati, si crede che il loro paese non possa esser libero col potere temporale. Quest'opinione � generale in Italia; ponendovi ostacoli, essa pu� essere trascinata alla rivoluzione, allo scisma.

Pensate a questo pericolo, pensate che una soluzione pronta e pacifica della quistione romana ci permetterebbe di ridurre di cento mila uomini la nostra armata, di cento milioni il nostro bilancio.

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I miei detti parranno arditi, ma a coloro soltanto che non conoscono le aspirazioni della Francia. In sostanza, giudizio e risoluzione, rispetto alla religione, alla giustizia, alla libert�....

Cosi si aggiorneranno le tempeste!

Barone de Vincent. Una parola sola sul discorso di Pietri. Egli parl� della stampa liberale e d’oltramontani. Se per non essere oltramontani bisogna intendere la libert� come la Presse e il Si�cle, io sono oltramontano perch� ho opinioni religiose sincere, perch� non credo all’unit� d’Italia. Io voglio il Papa a Roma nella pienezza del suo potere temporale e spirituale.

L'oratore passando ad esame i documenti diplomatici nega che Roma sia la vera capitale d’Italia, come ha detto Ricasoli, perch� essa non lo � stata mai, essendo l'unit� italiana una novit�, un sogno.

Si sforza quindi a provare che l’unit� italiana non pu� realizzarsi; e ci� lo fa col riandarne la storia dai tempi antichissimi fino ai tempi nostri, e dal non essere com'egli dice, mai stata unita, ne deduce che nol possa essere per l'avvenire.

Respinge poi i rimproveri fatti al Papato in nome dell’unit� italiana, contesta le colpe attribuite al Papa, le quali in ogni caso non avrebbero mai dato diritto di spogliarlo de' suoi Stati.

Passa in seguito a spiegare il carattere della sovranit� pontificia, e dice che il Papa prima di tutto � vescovo di Roma, e dovr� sempre esserlo ovunque si trovi, e che deve render conto dell’integrit� del suo territorio al suo successore che non conosce e non conoscer� mai.

Insistendo sulla necessit� del potere temporale del Papa per assicurargli l'indipendenza della sua autorit� pastorale, conchiudo contro l'unit� italiana che non � mai esistita e non pu� esistere.

Il Presidente. La discussione generale � chiusa; ora si passer� alla discussione de' paragrafi.

Il Segretario legge il primo paragrafo gi� da noi pubblicato, il quale viene adottato senz'osservazioni.

M. se de la Rochejaquelein. Intesi il sig. Pietri encomiare la stampa liberale; essa non merita i nostri elogi; � una stampa anarchica ed io qui la combatto.

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Il governo ha molti rimproveri a farsi. In una circolare il ministro dell’interno diceva di avere un'alta mano sulla stampa e che non abbandonerebbe una autorit� discrezionaria. Ricorda l'onorevole senatore di avere un tempo difeso la libert� della stampa, ma poscia vide volentieri velare la statua della libert�. Il nuovo reggime invece del meglio condusse al peggio. Desidera egli che la libert� della stampa dipenda dai tribunali che offrono maggiori guarentigie anzich� dall'amministrazione che mostrasi molto passionata. l’ha ne' tribunali pi� equit�, pi� moderazione.

Ieri il sig, d’Aguesseau fece qualche citazione, bisognerebbe farne mille, o piuttosto � inutile di qui riprodurlo. Il Senato sa bene che la stampa � in una via detestabile. Io non citer� nomi, ma fatti. Qualche mese fa ebbe luogo un banchetto della stampa democratica, presieduta da tre uomini conosciuti, in cui fu portato un toast a Garibaldi, ma in cui si ricus� di portar quello all’Imperatore. Non era un banchetto particolare ma un banchetto politico offerto al presidente della Camera dei deputati di Torino. L'onorevole senatore legge parecchie frasi di questo toast; vi � detto specialmente che qualunque siano i dissensi degli assistenti sugli uomini e sulle cose, essi scompariscono quando trattasi �di una delle pi� rare aspirazioni della democrazia.�

Si conosce, soggiunge l’oratore, in quest'uomo la pi� pura aspirazione della democrazia. Egli pubblicava test� un proclama in cui ha detto che �i preti di Roma e quelli che li tollerano e li proteggono, spariranno quanto prima.�

Ecco ci� che tollera e che sostiene il governo.

L'obbiettivo � sempre la Francia, l'Imperatore e l'occupazione di Roma. In ottobre scorso scriveva pure �che il giorno non era lontano in cui il prete di Roma, complice della tirannia, cercherebbe un rifugio sopra un'altra terra.�

Ecco gli uomini, i grandi iniziatori della democrazia, a cui � permesso in Francia, a Parigi, sotto la tolleranza della polizia, di portare un toast pubblico, quando � noto che questo toast dell’Imperatore � stato ricusato.

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L'oratore biasima pure le parole del toast portato al sig. Rattazzi. E egli possibile di scusare le parole pronunciate nel banchetto da uomini che, certamente senza saperlo, sono rivoluzionarii per conto altrui? Il sig. Pietri diceva alcuni anni sono, al sig. H�vin, di cui qui trattasi, una parola che dipinge mirabilmente i suoi amici politici �Voi vi credete rivoluzionarii, lo siete senza saperlo, e non fate che un ponte per gli altri.� La rivoluzione vi � gi� passata, ed essa vi passerebbe ancora.

Ecco, dico l’oratore, gli uomini con cui abbiamo a fare ed ai quali voi volete confidare il Papa dandogli Garibaldi per capo delle sue guardie. Io chiedo: come si lascieranno ignorare tutte queste cose all’Imperatore, il quale non fa atto che non sia contrasegnato dal sigillo della ragione e del cattolicismo. (Benissimo)

Non bisogna che il governo abbia la responsabilit� della stampa quand’essa si permette di simili cose. Che significano queste ingiurie, queste espressioni di clericali, di oltramontani che si indirizzano a noi? In Francia sovente non si ha il coraggio della propria opinione. L'Imperatore ce lo disse e l’onore del Senato ci impone di dir tutto. L'onorevole membro cita un articolo dell’Opinion Nationale in cui l'armata di occupazione a Roma � trattata d’armata straniera, assolutamente come l’armata austriaca della Venezia; lo stesso giornale dichiara che tra il Papato e l'Italia ogni compromesso � impossibile che bisogna venire alle soluzioni radicali, che la teocrazia cade e la democrazia sorge.

Signori, prosegue l'oratore, il gran Federico diceva: �S'io fossi re di Francia, non si trarrebbe un colpo di cannone in Europa senza il mio permesso�. Ebbene! oggi una parola di Garibaldi basta per mettere in fuoco l'Europa. Che si fa contro un simile stato di cose? Il governo conserva la responsabilit� che si � assunto?

L'oratore passa a parlare di altri fatti, e, accennando alla esecuzione del Locatelli, dice che tutti i giornali rivoluzionarii si son dati la parola per qualificarlo innocente, facendo passar per reo un certo Castrucci. Per avere schiarimenti a questo riguardo, dice di essersi rivolto al Duca di Gramont e Goyon, e che entrambi gli dichiararono che quanto dicevano i giornali

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non era vero, ma che nessun giornale democratico volle inserire una sua lettera per chiarire il fatto.

L'oratore accusala scuola che sta oggi alla testa della democrazia di prendere maschera della religione per meglio ingannare il popolo e versare la corruzione nelle anime colla politica. Questa scuola nega che qualunque potere umano viene da Dio.

Di modo che l'Imperatore che si dice sovrano, prima per la grazia di Dio, poi per la volont� del popolo, l'Imperatore �, secondo la scuola democratica, fuori del vero. A udire la democrazia, il principio ereditario nei sovrani ha finito il suo tempo. Eppure la nostra Costituzione � monarchica ed ereditaria. I democratici dicono che il potere attuale � d’origine puramente rivoluzionaria.

In quanto a me non esito punto a sostenere che l’elezione dell’Imperatore fu la sanzione la pi� luminosa del principio di eredit�. (Bene)

In fatti l'Imperatore ha provato che divideva questo sentimento. Ha forse egli preso il nome di Luigi Napoleone I? No, si nom� Napoleone III, si � considerato il terzo rampollo della dinastia.

L'oratore si sorprende come sotto un governo monarchico si possano tollerare nei giornali articoli che fanno l'apologia del regicidio. Allorquando in tutte le osterie, in tutti i caff� voi vedete questi detestabili giornali predicare il regicidio, attaccare il Pontefice con ingiurie, con odiose istorie ad arte fabbricate, come volete voi che le popolazioni non deteriorino di giorno in giorno sotto il punto di vista morale?

L'oratore agita un'altra questione, quella degli incoraggiamenti dati dagli unici del ministro alla stampa estera.

Vi sono delle favole fabbricate a Parigi con una impronta quasi ufficiale che vanno ad ingannare l'Italia, per ritornare poscia in Francia. Per Esempio il giornale l’Italie ultimamente ci informava che durante l'ultima malattia del Principe Napoleone, l'imperatore andava spesso al palazzo Reale e recava al Principe dei documenti per ajutarlo a preparare per la discussione al Senato un discorso annunziato da tutte le parti. Ci� � mostruoso, ed io credo che il principe Napoleone non parler� in questa discussione.

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Il governo, dice l'oratore, � compromesso colla sua influenza sulla stampa, e ne fa, a suo avviso, un uso assai cattivo. Dove arriveremo noi con un sistema di grossolane ingiurie contro il potere pontificio nei giornali democratici e anche in quei che hanno la protezione del governo? Noi creeremo un paese senza fede

L'oratore conclude il suo ragionamento chiedendo che per riparare il male, si rimetta nelle mani dei magistrati la cura di procedere contro quelli che attaccano i principii che sono in opposizione alla costituzione

Seduta del 22 Febbrajo

L'ordine del giorno porta la discussione del progetto d’Indirizzo.

Baroche Magne e Billault siedono al banco dei ministri e sono presenti i commissarii del governo..

Il Presidente osserva al Senato che non converrebbe prolungare nelle sedute ulteriori emozioni simili a quelle che si sono prodotte nelle due sedute trascorse (approvazione).

Dobbiamo discutere questioni gi� troppo difficili senza che discussioni troppo animate vengano ad aggiungervi nuove complicazioni.

La parola � data a Baroche, presidente del consiglio di Stato.

Baroche riassumendo il discorso di ieri di La Rochejaquelein nota che esso tenderebbe a sopprimere il diritto di avvertimento accordato al governo sopra i giornali, lasciando solo a' tribunali la censura della stampa. Ricordo che non v'ha pi� censura preventiva, che l'azione dei tribunali continua ad essere libera, e che non vi ha di cangiato altro che la giurisdizione, passando ai tribunali correzionali ci� che prima era di competenza delle corti reali. L'azione dei Tribunali � mantenuta non solo in teoria, ma anche in pratica: anche ora v'ha un processo contro l'Union.


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L'innovazione consiste in questo che dopo due avvertimenti un giornale pu� essere sospeso per un certo tempo, ed anche soppresso per misura di sicurezza generale, ma in pratica il governo ha fatto uso moderatissimo del diritto d’avvertimento.

Se le conclusioni di La Rochejaquelein tendono a far rinunziare il governo al diritto di avvertimento, l'oratore dichiara che il governo non � disposto a farlo.

Perch�, die' egli, vi rinunzierebbe? Gli rimproverate di non averne usato abbastanza. � questa una ragione per togliergli il diritto di usarne in avvenire? Voi dite che la stampa non fu mai pi� licenziosa; ci� non � vero, ma se lo fosse, dovrebbe il governo, per rimediarvi, rinunziare al diritto pi� efficace di cui lo arma la legge?

Non nego l'efficacia dei procedimenti giudiziarii, ma tutti sanno che non vanno scevri da certi inconvenienti. Chi non rammenta la ristorazione e 'I governo di luglio? I procedimenti giudiziarii erano s� numerosi, che la magistratura, non dir� che ne fosse stanca; ma ne era certamente commossa.

Fu ben altro quando i reati di stampa furono deferiti al giur�. Gli anni di carcere e lo ammende inflitte sommavano a secoli e a milioni.

Perci� la repressione giudiziaria � un mezzo che bisogua conservare, ma non deve esso escludere le misure amministrative.

Larochejaquelein si prov� a dimostrare che il governo non aveva usato abbastanza n� l'uno n� l'altro di questi mezzi.

Che mi si permetta qui una riflessione. Dopo il decreto del 24 novembre 1860 il Senato e il Corpo legislativo sono invitati ogni anno a chiedere ai ministri senza portafoglio, tanto sulle quistioni interne come estere, tutti gli schiarimenti che desiderano.

D'Aguesseau si � lamentato che il nostro intervento nelle vostre discussioni non fosse pi� frequente. Non son io che devo decidere se noi siamo utili o no; ma voglio constatare che noi soli abbiamo l'onore di essere gli organi officiali del governo, o soli per conseguenza possiamo obbligarlo.

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Rientro ora nella questione che esaminava. Col decreto 24 novembre 1860 i grandi corpi dello Stato ebbero il diritto di porsi al corrente di tutti gli affari interni ed esteri. Al momento in cui si apre questa tribuna, che si tratta la questione Italiana, la questione romana, si poteva e si doveva imporre alla stampa la calma e il silenzio degli anni precedenti?

Lascio il riflettervi all’alta ragione di quest'assemblea, ed io dico che il governo doveva usare la repressione giudiziaria e amministrativa con moderazione.

E vero che si pretende dimostrare che il governo ha mancato a' suoi doveri tollerando eccessi. � facile, scegliendole, trovare nei giornali certe idee che non vi si vorrebbero vedere; ma quegli stessi che le hanno rilevate, sarebbero poi s� severi se si trattasse di sospendere o far cessare un giornale?

Che ciascuno si metta nella condizione del ministro dell’interno, con un cumulo di giornali, gli uni non pi� moderati degli altri, e colf obbligo di tenere la bilancia in bilico; e che si chieda cosa succederebbe se mostrasse la severit� richiesta dall’onorevole Larochejaquelein. Si supponga che ne derivassero uno o due avvertimenti ogni giorno; non sarebbe pi� la moderazione che si rimprovererebbe al ministro, ma la severit�, l'abuso di un potere discrezionario, e allora quest'arma s� utile si spunterebbe; l'avvertimento perderebbe la sua forza e la sua autorit� morale. Pi� un potere � discrezionario, eccezionale, pi� se ne deve usare con moderazione nell'interesso dello Stato.

Pi� spesso che si � potuto si � pure ricorso al potere giudiziario, ma non tutto ci� che � biasimevole forma materia di processo o d’avvertimento. Non sono per difendere quanto hanno biasimato D’Aguesseau e Larochejaquelein, anzi io dico che negli articoli da essi citati ve n'ha di quelli che non vorremmo aver trovati ne in una n� in altra categoria. Ma qui non ist� la questione; si tratta di sapere se richiedevano una repressione.

Una parola prima sull’articolo del Si�cle del 14 ottobre 1861, ove in occasione dell’allocuzione pontificia � scritta la frase �Non v'ha memoria negli annali della stampa di tante ingiurie vomitate, di tante fila rimescolate, di tanta bava perduta....

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�D'Aguesseau, vedendo il titolo dell’articolo Allocuzione pontificia, ha creduto che queste parole si riferissero ad essa, � un errore. L'articolo comincia coll’esame dell’Allocuzione pontificia, ma le espressioni citate non riguardano che certi libelli venuti da Roma, perch� dopo le prime linee, dice: �Quando il capo parla cosi, che diranno i discepoli, e che dire di questi libelli venuti da Roma?..,

Toccher� ora d’un altro articolo, del paragone fatto in occasione della congregazione delle Petites Soeurs des Pauvres. Questo paragone non ha tutta la crudit� che vi d� il sig. d’Aguesseau. � un p� grossolano, se volete, ma non credo necessario per una espressione sconveniente processare od avvertire un giornale.

Parlo ora del banchetto citato da Larochejaquelein, offerto ad uno dei pi� illustri rappresentanti della causa italiana. Divido a questo riguardo il suo rincrescimento; ma in Francia, bisogna riconoscerlo, non siamo ancor giunti a quel grado di rispetto e di deferenza pel sovrano che si ha in un paese vicino, e dove ogni adunanza simile a quella che ci occupa, si apre con un evviva alla regina. Non sono le violenze dei partiti che ci porranno in questa condizione. Ora che avvenne? Ho preso informazioni; il fatto allegato dall’onorevole senatore non � vero, non � vero che fosse respinta la proposizione d'un toast all’Imperatore

Larochejaquelein Domando la parola.

Il principe Napoleone Domandola parola.

Baroche. Ci� non � vero. Si era pensato che i toast agli Italiani, a Rattazzi a Garibaldi, dovessero farsi dai Francesi mentre l'espressione della riconoscenza dell’Italia sarebbe stata meglio in bocca d’un italiano, di Rattazzi stesso; o se � vero che non vi fu toast all’Imperatore, � pur vero che gli fu reso un tributo di riconoscenza da Rattazzi nella risposta al toast indirizzatogli, ove � detto che l'Italia non dimenticher� mai quanto deve all’augusto Imperatore e alla Francia,

Si era pur detto fuori di questo ricinto, che fosse stato tolto dalla sala del banchetto il busto di S. M.; il fatto � falso; anzi questo busto fu sul banchetto circondato di ghirlande.

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Che doveva farsi? Proibire un banchetto offerto ad uomo ricevuto con onore da S. M. e dai grandi funzionarii dell’Impero? E questo fatto cos� spiegato era tale da farci porre in istato di accusa?

Si parla pure del direttore di un giornale; non dir� che una sola parola. L'oggetto della discussione non paro dover essere elevato all’altezza di un dibattimento avanti il Senato.

Il governo aveva pensato non esservi inconveniente per offrire il titolo di candidato del governo pel consiglio generale della Manica al direttore di uno dei pi� importanti giornali di Francia. Questa persona nol volle e il governo si rimase neutrale.

Vien quindi l’affare Locatelli. Questa notizia recata in Francia dai giornali italiani e tedeschi vi fece gran senso. Grazie al Cielo, Locatelli era colpevole e il governo pontificio non aveva a deplorare un errore giudiziario e la morte di un innocente.

Ma se le riforme consigliate da lungo tempo dalla Francia fossero state eseguite a Roma, il governo pontificio sarebbe stato preservato contro accuse di questo genere dalla pubblicit� delle discussioni giudiziarie. L'oratore d� lettura degli estratti pubblicati da diversi giornali da cui risulta pienamente la colpabilit� di Locatelli.

Vengo, continua l'oratore, agli articoli che ha pubblicato un giornale sulla catastrofe del 21 gennaio 1793. Il governo deplora questi articoli in cui si rappresentavano fatti a carico di un re di Francia. Il governo dell’Imperatore va superbo di porsi sotto il patronato della rivoluziono dei 1789 o de' suoi atti, ha persino la pretesa leggittima di essere la personificazione di questa grande epoca, ma stimmatizza energicamente le memorie e gli eccessi del 1793.

L'oratore dice che giornali clericali accesero pe' primi la discussione con tale un'asprezza che motiv� la comparsa in un giornale di un articolo dei pi� deplorabili. Si poteva tradurre il giornalista avanti i tribunali sopra una tale quistione? Si procedette allora a un avvertimento. E il governo pens� e pensa tuttavia che di simili discussioni faceva prima di tutti giustizia la ragione e la coscienza pubblica non che il buon senso delle masse. La stampa del governo mantenne il silenzio e fece benissimo.

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La Rochejaquelein fece un rimprovero alla stampa che disse

stampa del governo. Questi giornali appartengono ad azionisti e il governo non ha giornali. Il governo dall'imperatore, forte della sua popolarit�, della base su cui riposa, dell’appoggio che trova nel paese, non sussidia alcun giornale.

L'oratore viene qui citando parecchi articoli in cui riboccano gli attacchi al governo, poich� colle parole di rivoluzione e di rivoluzionarii questi giornali intendono di parlare del governo.

In fondo di tutte queste discussioni appassionate vi ha una sola quistione ed � la quistione romana. E questo il lievito della discordia donde emanano tutte le esagerazioni dei partiti. Noi speriamo ancora essere ancora possibile una transazione e che quando avr� luogo la conciliazione, le coso ritorneranno nell’ordine normale.

L'oratore contesta al sig. de la Rochejaquelein che la stampa abbia prodotto nel paese tanto male morale. Il paragrafo i. dell'indirizzo risponde a queste asserzioni: il Senato, in questo paragrafo, si compiace della calma e della rassegnazione e dell’affezione che mostrano per l'Imperatore le popolazioni. Gli eminenti prelati che siedono nel Senato non potrebbero dire diversamente. Le popolazioni sono fidenti nell’Imperatore e non si lasciano abbindolare da tutte lo insinuazioni che vengono dalle bettole e da qualunque altro luogo.

Io mi riassumo, dice il sig. Baroche, in due parole. No, il male non � tanto grande, come lo fate; ma pi� fosse grande, meno bisognerebbe che il governo pensasse a disarmarsi.

S. A. il principe Napoleone. Io non avevo intenzione di prender la parola sul paragrafo dell’Indirizzo relativo agli affari dell’interno; ma il discorso dell’on. marchese de la Rochejaquelein mi obbliga a salire su questa tribuna. Il discorso test� pronunziato dall’onor. Baroche render� del resto il mio compito facile; egli ha soltanto esaminato la quistione sollevata dal march, de la Rochejaquelein al punto di vista giudiziaria e governativa. Quanto a me, io mi propongo non solo di difendere il Governo, ma anche e soprattutto la societ� moderna.

Ringrazier� dapprima il march, de la Rochejaquelein della sua franchezza.

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� tempo infatti che i veli cadano, che i cuori si aprano e che le opinioni si sviluppino apertamente. Il march, de la Rochejaquelein ha posto il programma della controrivoluzione all’occasione dell’impiego che fa il governo della legislazione sulla stampa; io tengo a mia volta di difendere la rivoluzione.

Non v'ha forse che un punto sul quale io sarei d’accordo col marchese de la Rochejaquelein, un punto che ha fatto l’oggetto delle conclusioni del suo. discorso, ed � che 'bisogna dare alla stampa una libert� maggiore; noi per� differiamo essenzialmente sui principii. A' miei occhi, Io stabilimento dell’Impero non ha la sua ragione d’essere se non nell’applicazione benintesa dei principii della rivoluzione.

Io non seguir� il march, de la Rochejaquelein nelle citazioni che egli credette dover fare; non vi abbiam visto dopo tutto, se non insulti reciprocamente rimandati. Io voglio, se mi � permesso di cos� esprimermi, sollevare la discussione all’altezza di una quistione di principio e non discendere alle quistioni di dettaglio.

La � pertanto una citazione, una che io desidero di fare.

Il march, di la Rochejaquelein, nel suo desiderio d'attaccare il governo, non si � contentato di citare giornali francesi; egli � andato, mi si permetta il dirlo, a raccogliere sino le dicerie dei giornali esteri, ed ha reso il ministro dell’interno quasi indirettamente risponsabile d’articoli inserti nel giornale l'Italie.

Io non mi servir� di simili armi; non andr� a cercare nei giornali esteri gl'insulti ch'essi possono contenere contro la mia persona; io sdegno gl'insulti, e il mio onorevole amico, il conte di Persigny, mi render� quest'attestato che in nessuna circostanza ho invocata la severit� del governo sui giornali che mi hanno attaccato. Io mi sforzo d’avere il temperamento della libert�, perch� amo la libert�. Voi la volete, voi, a profitto delle vostre passioni, e pi� non volete saperne quando sperate che le severit� serviranno meglio i vostri rancori. Ecco ci� che avete detto.

11 march, de la Rochejaquelein. Io?

S. A. I. il principe Napoleone. Si: tal � almeno il fondo del vostro discorso; giacch� voi rimproverate al governo di fare un cattivo uso delle leggi, perch� egli non colpisce, secondo voi,

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con assai vigore i vostri avversarii. Io pure, io sono sensibile alle ingiurie, ma, rispetto alla libert�, io non domander� mai n� arma contro i miei avversarii, ne privilegi per i miei amici. (Benissimo})

Ritorno alla citazione

Qui l'oratore d� lettura d’un articolo d’un giornale pubblicato a Verona sotto la censura dell’Austria, ov'esso scopre il pensiero tutto quanto della controrivoluzione. In quest'articolo, che � il vero programma dell’Austria, si pu� vedere come questa potenza intende prepararsi alla lotta, che essa parla di esterminare tutti i suoi nemici, che il regno d’Italia vi � condannato, e che il nostro gran governo, inviluppato nello stesso disprezzo, vi � designato ironicamente sotto il nome di governo del 2 dicembre.

Il conte di Bourqueney. Non esiste alcuna censura in Austria. La stampa vi � pi� libera che in Francia.

S. A. I. il principe Napoleone. No! la stampa a Verona non � libera, e posso fornirne la prova. Io dir�, e prego il sig. Bourqueney di constatare il fatto; io dir� che il redattore che ha scritto queste linee abita una delle casematte di Verona, allato del governatore, giacch� � un italiano indegno di questo nome, e si dovette mettere una sentinella alla sua porta per difenderlo contro i suoi concittadini indignati.

A fronte di questa protezione ufficiale, quando l’Imperatore d’Austria era presente a Verona, direte voi che quest'articolo non compromette sino ad un cerio punto l'Austria? Noi non dobbiamo farla qui da diplomatici; dobbiamo nettamente, francamente dire la nostra opinione. Or benel io sostengo che il governo austriaco � risponsabile in un certo modo d’un simile attacco.

Ci� che mi sorprende nelle parole dei sigg. s�gur d’Aguesseau e di la Rochejaquelein si � la persistenza degli attacchi, con cui essi bersagliano il mio onorevole amico, il ministro dell’interno

Deggio dirlo, io non sono sempre dell’avviso del conte di Persigny. Amo pi� che lui la libert�, o a meglio dire, io l'amo pi� che me; ho per� in essa pi� fiducia che lui e pi� vivamente che lui forse io invoco con tutti i miei voti il coronamento dell’edilizio. Ma sapete voi perch'egli � cos� vivamente attaccato? Perch� egli � il cortigiano della sventura, ed ha sacrificato il suo sangue,

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la sua libert� per la causa che passava allora per un'utopia tra molti di coloro che mi ascoltano; egli ha avuto l’istinto, il sentimento dell’idea del napoleonismo liberale e dei principii democratici che ne fanno la gloria.

Una voce. Benissimo!

S. A. I. il principe Napoleone. Le spiegazioni date dal presidente del consiglio intorno al banchetto democratico, rendono le mie osservazioni inutili a questo riguardo; tuttavia voglio rammentare al Senato una frase del resoconto ufficiale, frase che trovasi al principio del discorso del signor Rattazzi.

Ringraziando quelli che gli offrivano il banchetto, egli diceva anzitutto: �Il mio primo pensiero si porta verso l'Imperatore dei Francesi, degno capo della vostra illustre nazione.�

S. A. I. fa pure osservare che se il brindisi all’Imperatore fu portato dal sig. Rattazzi, egli � che era pi� conveniente che quel brindisi si trovasse nella bocca di un Italiano, e prosegue cos�. Il sig. de la Rochejaquelein avrebbe dovuto ricordarsi che il busto dell’Imperatore si trovava nella sala del banchetto. Ma sapete voi dove il busto dell’Imperatore � insultato infrattanto? Nell'esercito del Papa. {Rumori)

S. A, I. rammenta pure le scene occorse tra il gen. Goyon e mons. M�rode; dice che il generale francese, se non fosse stata la riverenza per l'abito sacerdotale, non avrebbe forse avuto abbastanza impero su di se medesimo per non rispondere con spiacevoli estremi alle espressioni, con cui mons. Merode parlava del governo imperiale, e che appunto col� bisogna cercare l'odio pel nome di Napoleone e per la Francia, anzich� nella stampa democratica.

Passando alla quistione d’eredit�, dice, che il sig. Larochejaquelein ha fatto una confusione tra l'eredit� giusta che ha per iscopo di dare, maggiore stabilit� alle istituzioni del paese, ed un'altra eredit� che S. A. I. difende ed � quella che fu fatta per applicare i grandi principii della Rivoluzione, e non quella eredita del diritto divino, quale la comprendono gli uomini che Larochejaquelein am� fino al 1852, epoca in cui egli entr� nel Senato.

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A questo proposito S. A. I. rammenta le parole pronunciate da Napoleone I quando nel 1804 accettava l'impero ereditario e rispondeva al Senato che gli arrecava il Senatus-consulto, dicendo:

� Tutto ci� che pu� contribuire al bene della patria � essenzialmente collegato alla mia felicit�.

� Accetto il titolo che voi credete utile alla gloria della nazione.

Spero che la Francia non si pentir� mai degli onori di cui circonda la mia famiglia.

� In tutti i casi, il mio spirito non sar� pi� colla mia posterit� il giorno in cui essa cessasse di meritare l'amore e la fiducia della grande nazione.

Ecco signori, dice S. A. I. �come Napoleone intendeva l'eredit� nella sua famiglia (Movimento)

S. A. I. cita pure i termini di varii proclami in cui Napoleone diceva; i suoi diritti, i suoi interessi e la sua gloria non esser altro che i diritti, gl'interessi e la gloria del popolo francese, quindi continua cos�:

Sapete voi tra quali gridi Napoleone travers� la Francia dal golfo Juan fino alle Tuileries. Abbasso gli emigrarti Abbasso i nobili! Abbasso i traditori (Traitres). La maggior parte dei membri del Senato credono di udire le parole: Abbasso i preti! Una viva esplosione di mormorii interrompe l'oratore.)

Parlano varii oratori legittimisti ed il presidente fa osservar al principe che egli richiama tristi rimembranze.

S. A. I. dice che ci� che viene qualificato come triste rimembranza � una gloria del paese.

Succedono varie recriminazioni; in seguito il principe Napoleone riprende la discussione e dice che, nel parlare della rivotazione, egli intende ci� che essa ha di buono e di utile, e cita pure le parole pronunziate da Napoleone III al Senato medesimo, nel 1856:

L'erede non � gi� il rampollo d’una famiglia, ma bens� dell’intero paese, ed il capo della famiglia regnante � il primo cittadino del paese� (Approvazioni)

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S. A. I. prosegue, dicendo che l'impero � la gloria all'esterno, la distruzione dei trattati del 1815 nel limite delle forze e dei mezzi della Francia, l’unit� dell’Italia, che i Francesi hanno contribuito a liberare, assodata e costituita. All’interno, esso � l'ordine ed un complesso di libert� saggie e serie, tra le quali la libert� della stampa; � un istruzione popolare senza limiti. Senza le congregazioni religiose e senza tutte quelle istituzioni che vorrebbero imporre il bigottismo del Medio Evo (Viva interruzione.

Dopo alcune repliche di oratori clericali S. A. I., torna a dire che il sig. Larochejaquelein vorrebbe l'alleanza col l'Austria, la distruzione dell’unit� d’Italia, la soppressione di tutti i giornali liberali. Questo sistema, dice S. A. I. � il terrore bianco appoggiato alle bajonette straniere. (Rumorosa agitazione) 'S. A. I. dice di nulla temere pel gran governo del suo paese, perch� esso � radicato nel cuore del popolo, e finch� esso rappresenter� il principio della nazionalit�, finch� non vi sar� scissione tra esso od il popolo, potr� sfidare tutti gli sforzi de' suoi nemici.

Succede una disputa Ira Larochejaquelein ed il principe, dopo di che questi rettifica l'equivoco occorso sulla parola traitres che cos� egli ba detto e non pr�tres. Finalmente S. A. I. termina il suo discorso citando una frase di Thiers, il quale emise l'opinione che qualunque volta una libert� nasce in Europa, � un nuovo alleato guadagnato dalla Francia. E cosi l'oratore si dichiara sempre e dovunque partigiano della rivoluzione. Bisogna, dice egli, tenerla per quanto � possibile tra lo mani de' moderati, ma quand’anche dovesse cadere sotto la direzione dei radicali, il Thiers sarebbe ancora rivoluzionario.

Una lunga agitazione succede al discorso del principe; la seduta � sospesa per qualche tempo; quindi il sig. Larochejaquelein risponde al principe Napoleone per difendersi dall’accusa di portar in Senato la controrivoluzione e di parteggiare per l'Austria. Il sig. d’Aguesseau domanda anch'egli la parola; molte voci domandano la chiusura, e finalmente il presidente d� la parola al sig. Billault, affinch� il Senato ascolti il linguaggio della moderazione. Succedono segni di approvazione da tutte le parti.

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Billault ministro: Intende che il senato desideri la chiusura della discussione. Ma il governo non pu� tacere, perch� non pu� convenirgli che il paese possa sconoscere la sua moderazione. (Approvazione)

Il governo � uscito dalla rivoluzione; ma esso ne � ad un tempo il propagatore, il direttore ed il moderatore. (Benissimo) Quando la Francia si � gettata nelle braccia dell’Imperatore, il domani della rivoluzione, sua intenzione fu eh' esso facesse rientrare nei limiti ci� che non avrebbe dovuto uscirne, e rimettesse sulla sua base la piramide che strane utopie volevano rizzare sovra il vertice.

Quando l'imperatore venne a prendere lo scettro che ricordava tante tradizioni d’ordine, di forza, di gloria, Io fece per continuare queste tradizioni e fu secondato dalla religione. Esso incontr� molti ostacoli, molte difficolt�, molti disinganni; ma la grand’anima non comprometter� perci� il fino che deve raggiungere, gl'interessi che deve proteggere.

Attribuir� molto all’ingratitudine, all’oblio, all’ingiustizia: ma la religione � una delle basi della societ�, ed esso non lo dimenticher� (Nuova e viva adesione).

Quando venne trov� l'agitazione, le lotte, le dispute di partito e disse, bisognano la pace e la tranquillit� che sono le condizioni dell’ordine, della forza, della gloria. (Benissimo)

Quindi con la legge del 1852 impose silenzio ai perturbatori, e tanto ai pregiudizii del passato che alle follie dell'avvenire (Movimento e bene). Rester� fedele ai principii che l'hanno condotto al potere e sapr� farli trionfare. Non ignora quanta pazienza e fermezza occorrono e rispinger� qualunque tendenza arrischiata e compromettente.

Terminando l’oratore domanda al Senato di respingere le agitazioni d’un altra epoca e le personalit�, di passare alle cose serie per le quali l'Imperatore domanda il suo concorso.

(La chiusura!)

Segur d’Aguesseau domanda con insistenza la parola per un fatto personale.

Il Presidente consulta il Senato che pronuncia la chiusura sull'incidente.

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Il card. Donnet dice di non aver chiesto la parola che per ringraziare la commissione, a nome del clero, degli attestati l'interesse che gli ha dato, e per fare alcune osservazioni sulla situazione delle congregazioni religiose; ma che dopo aver sentito il collega rappresentare i prelati come in lega coi malcontenti e coi vinti d’ogni regime, mentre il basso clero simpatizzava di pi� colla dinastia napoleonica, aveva pensato a dire qualche parola di pi� sui rapporti dei vescovi coi loro onorevoli e modesti cooperatori.

Quindi in un discorso assai moderato fa vedere il buon accordo che passa, a suo giudizio, tra l’alto e basso clero, e lamenta gli attacchi e le diffidenze delle quali il clero � divenuto l'oggetto in questi ultimi tempi. Conchiude esprimendo il voto che tali irritazioni abbiano un termine, e che tutte le intenzioni essendo le stesse, tendano tutte allo stesso scopo, cio� alla pacificazione della Chiesa e della Francia coll'osservanza delle leggi eterne che presiedono ad ogni civilizzazione, che regolano ogni societ� bene ordinata.

Billault, ministro, rispondendo al cardinale Donnet, dice che le congregazioni religiose d’uomini e donne sono poste sotto le leggi del paese. Un gran numero di esse sono autorizzate dal governo, altre semplicemente tollerate. Un cattolico non potrebbe negare il bene che esse fanno, ma un politico non potrebbe disconoscere gl'inconvenienti che la loro estensione considerevole pu� cagionare.

Il cardinale Donnet, dice il sig. Billault, lagnavasi che da qualche tempo le congregazioni religiose fossero oggetto della diffidenza e dj misure vessatorie. Bisogna osservare per� che la circolare del ministro dei culti, relativa alle vocazioni religiose, era provocata da un certo numero di fatti riprovevoli.

Se il clero avesse portato, nella quistione delle vocazioni religiose, lo spirito conciliante e moderato del card. Donnet, non sarebbe stata necessaria. Ma, pur troppo, il clero sacrific� pi� volte gli interessi della societ� civile alla preoccupazione esclusiva del sentimento religioso, e certamente il governo non potrebbe a questo riguardo dipartirsi dal suo diritto di sorveglianza senza gravi inconvenienti per la pace pubblica (Benissimo!)

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Non si pu� adunque muovere lagnanza alcuna per gli ostacoli messi dal governo allo sviluppo delle congregazioni religiose. Del resto, il quadro statistico di queste congregazioni risponder� perentoriamente alle preoccupazioni del card. Donnet.

Sonovi oggi in Francia 23 comunit� d’uomini autorizzate e 49 non autorizzate. Quanto alle comunit� di donne, ne esistono 3,075 autorizzate, dal 1851 in poi il governo ba motivo di credere che se ne stabilirono da 80 a 100 ogni anno.

Il ministro espone pure i doni e legati ripartiti fra il clero secolare ed il clero regolare. Dal 1856 al 1860, i doni e legati alle diocesi, vescovati, e seminarii, fabbriche, parrocchie, salirono a 13, 375, 951, fr., e quelli delle congregazioni religiose a 6, 519,000, senza contare i doni fatti a queste ultime senza l'autorizzazione del governo.

Il ministro oratore dice che l’attivo delle congregazioni religiose � sconosciuto e che certamente deve superare di molto la cifra officiale e riconosciuta della carit�; osserva per� che il governo, ben lungi dal procedere con rigore contro questo stato di cose, ha piuttosto lasciato dormire le leggi severe che vi si potevano applicare, finch� la tranquillit� dello Stato ed il rispetto ai grandi principii della nostra societ� non l'hanno obbligato a ricorrervi.

Il sig. Billault passa quindi a rispondere al card. Mathieu, il quale aveva domandato come si avesse potuto denunziare al Sommo Pontefice le parole d’un vescovo, quando queste parole erano state negate dal vescovo stesso, e fa osservare al Senato che, senza parlare particolarmente del vescovo di Poitiers, certi membri del clero hanno tenuto contro la politica dell’Imperatore un linguaggio troppo aspro e violento.

Il governo tuttavia non ricorse subito, a questo proposito, all'applicazione delle leggi, ma quando gli parve che le parole di un prelato venissero a far traboccare la bilancia, esso prefer� di rivolgersi al Sommo Pontefice, per chiedergli se egli considerasse i nostri soldati che lo difendono al Vaticano, come carcerieri. L'Imperatore desider� che la parola papale dichiarasse, che essa giudicava come lui gli attacchi di cui si tratta.

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Il ministro si estende a parlare del discorso tenuto dal vescovo di Poitiers il giorno della festa di S. Pietro, discorso in cui il prelato non parl� che di S. Pietro e della persecuzione di Erode. Egli fa osservare, che, avuto riguardo a tutte le circostanze e segnatamente all’indole del vescovo di Poitiers, quel discorso fu riguardato come un apologo allusivo alle coso presenti.

Il ministro rammenta pure che il medesimo prelato, quando si tratt� delle preghiere per la festa dell’Imperatore, scrivendo ai curati della sua diocesi aggiungeva negligentemente alla fine della sua lettera:

�Profitto di questa occasione per ricordarvi che la solennit� nazionale del 15 Agosto dovr� essere celebrata conformemente alle istruzioni degli anni precedenti.� (Mormorii Oh! ohi)

Lo stesso prelato, dice l'oratore, � quegli che dichiar� essere il mantenimento del dominio temporale del S. Padre un articolo di fede (Nuovi mormorii).

Ecco perch� il governo ha desiderato che le parole del vescovo di Poitiers fossero deferite al Papa, e perch� il dispaccio dell’onorevole mio amico il Sig. Thouvenel � stato scritto. Del resto, io colgo quest'occasione per rendere al clero episcopale e pastorale il pi� splendido attestato, ma lo supplico pure a non lasciarsi trascinare da alcuni spiriti irrequieti e violenti, affinch� non si possano attribuire a tutti le violenze di qualcuno.

Quanto alla quarta quistione, posta dal vescovo di Besancon e relativa ad un complemento dato o no al dispaccio ufficiale, essa trover� pi� naturalmente il suo posto nella discussione sulla questione d’Italia.

Avvi in tuttoci� un fatto deplorabile, che non si riferisce per� a tutto l'episcopato. Il governo � lieto di chiedere ai membri di esso il loro parere, e di circondarsi dei loro lumi; ma non evvi bisogno di violenza ed il governo la soffrir� tanto meno, che essa non � mai un argomento e non pu� far altro che compromettere le migliori cause. (Approvazione)

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Il cardinale Mathieu confuta tuttoci� che dice il ministro dell’interno in ordine al dispaccio Lavalette. In secondo luogo si occupa dei rimproveri dal ministro diretti contro alcuni vescovi accusati di violento eccitamento. Il ministro ebbe torto di non indicare chi essi sieno e di lasciare indeterminata l'accusa su tutto l'episcopato. In quanto al vescovo di Poitiers, lamenta che non siansi prese, per istabilire la sua colpabilit�, le pi� minute precauzioni. Nell’omelia incriminata ei prese per testo: �Erode stese la mano per affliggere alcuni membri della Chiesa.� Non trattasi del vecchio Erode, l'istigatore del massacro degl'innocenti, neppure di suo figlio Erode Antipa, il decollatore di S. Giovanni Battista, si tratta del terzo Erode, Erode Agrippa. Non vengasi dunque a cercare un paragone del presente con una immagine lontana. Questo discorso fu pronunziato a Bordeaux nel 1854; ora quello che non era colpa nel 1854 lo sarebbe divenuto nel 1861? L'oratore passa quindi a provare l'irregolarit� dell’inchiesta che fu promossa contro il suddetto vescovo. Esso non fu sentito dal giudice istruttore, esso non venne chiamato a dare spiegazioni. � vero che l'inchiesta non ebbe altro seguito, ma non cessa di regnare un'incertezza sulla sua colpabilit�.

Parlando delle comunit� religiose, l'eminente prelato constata, in quale proporzione relativa le liberalit� private sono fat te ai presbiteri da una parte e alle comunit� dall’ultra. Non vede troppo in che i doni fatti ai secondi diminuiscono quelli che si possono fare al clero. Non si da al clero per lui, ma perch� pos sa fare il bene.

Il gen. Gemeau constata la gravit� della questione romana Per trovarne la soluzione bisogna osare di dire ci� che si pensa; �gli l'oser�, se non altro per far nascere in altri idee pi� sicure o pi� felici. Gli pare che la redazione del � del progetto d'indirizzo contenga un vero pericolo. Esso non mostra come sia possibile giungere ad un risultato definitivo, ed esprime un sentimento negativo che rimpiange ad un tempo le pretese immoderate e le resistenze.

539

Al di fuori l'espressione sar� tradotta dalla passione mettendo nell’ombra le pretese, e non biasimando che il Santo Padre: bisogna escludere questa interpretazione.

Secondo l'oratore, il S. Padre non pu� essere biasimato perch� non manc� alla neutralit� quando fu spodestato di una parte de' suoi Stati: non si pu� biasimarlo, perch� malgrado dei fatti compiuti non vuole o non pu� dare ci� che gli si prende, sopprattutto mentre dopo questo sacrifizio si mostra disposti a prendergli il rimanente. Pi� ragionevole sarebbe rimpiangere la condotta di coloro che avversano il Papato e contro i quali il Pontefice non pu� opporre che la calma e la fiducia.

L'oratore ricorda che dopo la pace di Parigi, l'Imperatore non aveva che alleati, non si vedevano uomini di partito. Perch� e quando l'orizzonte si � esso offuscato? Dopo la campagna d’Italia, e perch� l'Imperatore voleva e vuole sempre il mantenimento del potere temporale, e non vorr� mai il contrario. Fu in forza di questa volont� che egli trattenne la sua armata quando dopo Solferino vide in Italia levarsi un potere nuovo, che non conosce ne i diritti n� i doveri delle nazioni; vide che si andava all'invasione degli Stati Pontificii e firm� la pace di Villafranca.

Ma questo potere, malgrado la volont� imperiale, continu� il suo cammino e non si ferm� che alle porte di Roma dinanzi alle bajonette francesi. � da ci� che viene il turbamento delle coscienze.

Dimenticher� ora il Senato, prosegue l'oratore che la Francia e l'Europa lo ascoltano e non dir� una parola per far rientrare in pace le coscienze? Bisogna riunirsi intorno al trono per dare all’imperatore tutta la forza di cui ha bisogno per assicurare la paco del mondo. Non sarebbe opportuno di opporre un voto formale alle pretese di coloro che non hanno seguiti i patti di Villafranca e di Zurigo? � da credere che il Corpo legislativo emetter� un voto analogo. I due grandi corpi dello Stato parleranno e il genio dell’Imperatore far� il resto. (Approvazione)

La calma rientrer� nelle coscienze e azioni di grazie saranno indirizzate al benefattore dell’umanit�.

540

L'onorevole senatore, cercando quali ostacoli potrebbe incontrare la politica ch'egli consiglia, si domanda chi potrebbe mostrarsi malcontento dell’esecuzione dei trattati conchiusi in Italia. Forse l'Inghilterra? Ma essa ha provato teste come sa fare rispettare i trattati e la sua dignit� nazionale.

Ebbene la dimenticanza delle stipulazioni dei trattati conchiusi intorno all’Italia, � un fatto unico nel mondo. L'Inghilterra non dovrebb'essere malcontenta che si eseguissero.

Lo sarebbe il Piemonte che vuol fare dell’Italia un sol regno. Ma si pu� sperare ancora che riconosca l'impossibilit� de' suoi disegni, perch� Venezia inchiude la guerra coll’Austria, Roma la grande questione del Papato, e da Napoli non si potr� mai sradicare l'amore nel giovine re.

Ma quando il Piemonte riuscisse a realizzare il suo sogno, non sarebbe che l'opera d’un momento condannata a perire alla prima commozione politica.

La confederazione avrebbe altro avvenire. Si � riconosciuto, � vero, il regno d’Italia; la parola dell’Imperatore � sacra, esso deve esistere, ma non � detto in quai limiti. Napoleone I fu pure re d’Italia senz'aver Roma e Venezia, e colf esistenza d’un regno napolitano.

La confederazione parrebbe l'abbandono della causa dei malcontenti, che forse non fu estranea alla guerra d'Italia; ma malcontenti sono dovunque, e saranno sempre.

L'onorevole senatore crede che l'Italia unita diverrebbe il quartier generale dell’agitazione rivoluzionaria.

Una sola voce, conchiude l’oratore, pu� scongiurare questi pericoli Che questa voce si faccia sentire, e che appoggiata sui grandi corpi dello Stato, reclami l'esecuzione dei trattati di Villafranca e di Zurigo e il nome di Napoleone sar� benedetto da tutte le nazioni.

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Bonjean dichiara che come membro della commissione del l'indirizzo si associa senza riserva alla redazione del paragrafo in discussione. Confidenza nella politica dell’imperatore, rincrescimento che tale politica incontri la resistenza degli uni, la impazienza degli altri, tale doveva essere il linguaggio del Senato.

Dopo ci� presenta alcune considerazioni sulla quistione italiana, e dice che la Francia ha tutto l'interesse a vederla finita. La Francia vuole che nella transazione tra l’Italia e il Papa sia garantita alla Santa Sede sicurezza, dignit� e indipendenza; vuole che il Papa non sia suddito d’alcun principe, desidera che Roma resti la residenza inviolabile del Papato.

Questi tre punti, prosegue l'oratore, sono fuori di discussione. Siamo discordi sui mezzi di riuscire a questo scopo. Gli uni vorrebbero la piena ristorazione del potere temporale; per gli altri il potere temporale non ha pi� ragione di essere e bisogna sopprimerlo.

Altri infine vorrebbero conservato il potere temporale modificato secondo le leggittime aspirazioni delle Societ� moderne.

In sostanza altri ammettono, altri negano la necessit� del potere temporale, tutti mi sembrano troppo esclusivi e dimentichi che in tale quistione vi sono coscienze da tranquillare e da illuminare.

Con questa convinzione mi propongo esaminare la questione dal punto di vista teologico; citer� le opinioni delle autorit� ecclesiastiche sul potere temporale. Se mi inganner�, i cardinali nostri colleghi mi rimetteranno in istrada.

Comincio dal porre due quistioni. Il potere temporale � pi� utile che dannoso all’indipendenza della Santa Sede e allo sviluppo del cattolicismo?

Il potere temporale nelle antiche sue formo � in armonia colle giuste esigenze della societ� moderna?

Credo che un cattolico sincero abbia diritto di discutere queste quistioni, checch� ne dica il vescovo di Poitiers, perch� qui non si tratta n� di dogma, n� di fede, ne anche di disciplina ecclesiastica. Il card, di Besancon ha detto formalmente che il potere temporale non era d’Istituzione divina.

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In un discorso dell’anno scorso il pres. Barthe, per dimostrare che il potere temporale era necessario alla Santa Sede, ha citato un passo di Mazzini che dice: Distruggiamo prima il potere temporale; il potere spirituale non sar� pi� nulla. Io citer� l'opinione dei Dottori e dei Santi, che dicono formalmente che il potere temporale � pi� dannoso che utile alla Santa Sede.

Tra le molte testimonianze che potrei citare preferisco quelle che si riferiscono precisamente a circostanze analoghe a quelle in cui si trova ora il Papato.

La prima � quella del pi� grand’uomo di Chiesa e di Stato del XII secolo, di quell'uomo che predic� la seconda crociata e che declinando l'onoro della tiara per so, diresse i Papi coi suoi consigli... dico S. Bernardo.

Il Papa Eugenio III cacciato da Roma da Arnaldo da Brescia, consult� San Bernardo sopra quello che doveva fare e per quanto dovesse applicarsi a conquistare il perduto potere temporale.

San Bernardo gli rispose con un trattato in tre parti, che portano le dato del 1149, 1150 e 1151.

L'oratore cita le parole di S. Bernardo, le quali tendono a condannare l'ambizione di dominare e qualunque sorte di regno temporale, come pure quello, che nel medesimo senso Santa Caterina da Siena rivolgeva a Gregorio XI, ultimo papa di Avignone, quando egli si apprestava a riconquistar Roma. Egli dimostra l'analogia che ovvi tra il linguaggio tenuto da S. Bernardo e da S. Caterina e quello che tiene la diplomazia francese alla corte di Roma quando le domanda la pace affinch� l'Italia non sia precipitata negli eccessi demagogici.

L'oratore mostrasi convinto che l'indipendenza del Papato non � punto collegata al possesso del potere temporale. Egli accenna pure ai primi otto secoli della Chiesa in cui non appare traccia di potere temporale e dimostra che anche in seguito, fino al 1346, epoca in cui Carlo IV rinunzi� ad ogni sovranit� su Roma e sull’Italia, i Papi quantunque possessori di vasti territorii provenuti dalle donazioni di Pipino e di Carlomagno, non erano sovrani, ma vassalli e feudatarii dell’Impero.

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L'oratore fa risaltare quanto di grande fece la chiesa nella epoca in cui avevano ancora i Papi un potere temporale, e dice che i grandi nomi di S. Leone, di Gregorio il Grande, di Gregorio VII sono una solenne smentita per coloro, i quali dicono che caduto il potere temporale cadrebbe anche il potere spirituale. Egli passa quindi a parlare dell’epoca del potere temporale e ne accenna i gravi inconvenienti che derivarono perci� alla Chiesa ed all’Italia, accenna le peripezie a cui and� soggetto il Papato negli ultimi tempi a cagione del potere temporale, e conchiude col dire che si pu� essere cattolici ed avversi al potere temporale, che la perdita di questo potere non nuocer� punto alla religione, e finalmente, che ammesse queste idee, bisogna studiare come si possa conciliare la S. Sede col Regno d’Italia.

La seduta � sospesa per alcuni minuti, dopodich� il sig. Bonjean prende a trattare della conciliazione tra il Papa ed il Regno d’Italia e dice che essa non � punto impossibile. Bisogna, secondo lui, assicurare al Papato, sicurezza, dignit�, indipendenza; il Papa non debb'essere suddito di alcun principe italiano o straniero; Roma deve restare la residenza inviolabile del Papa.

Quanto alla parte che spetta all’Italia, l'oratore dichiara assurdo o ridicolo il progetto con cui un celebre opuscolo voleva far di Roma una specie di museo-monastero. Egli accenna pure alla contraddizione che presenta il Papato protetto in Roma da truppe estere che, malgrado il rispetto e la devozione figliale dell’Imperatore verso il Papa, pure tendono, per la forza medesima delle cose, a menomare l'indipendenza del Papato medesimo.

L'oratore si applica pure a dimostrare la profonda incompatibilit� che esiste tra i doveri di Papa e quelli di principe italiano e cita l'esempio stesso di Pio IX che fu costretto nel 1848 a condannare la guerra contro l’Austria. Egli opina, col P. Ventura, che il mezzo di conciliare una cosa coll’altra, sia che il Papa regni e non governi, e che abbia sotto di se un'autorit� laica incaricata delle cose terrestri. L'oratore non respingerebbe punto l'idea di un'alta sovranit� nel Papa, la quale lascerebbe ai popoli le loro libert�. Egli cita le parole che il P. Ventura diceva nel 1848,

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�Se la chiesa non cammina coi popoli i popoli non si fermeranno per questo; essi cammineranno senza la chiesa, fuori della Chiesa, contro la chiesa.�

A questo proposito, l'oratore esprime il timore, che il rifiuto di ogni sorta di concessioni per parte del Papato non abbia a tornar funesto al Papato medesimo ed alla Chiesa.

M. de Gabriac. La frase del discorso dell’Imperatore relativa al potere temporale presenta un doppio senso. Trattasi di abbandonare definitivamente le provincia ora sottratte al dominio del Papa, o trattasi della citt� di Roma? L'abbandono di Roma sarebbe la pi� fatale di queste due ipotesi. Spera che l'Imperatore vi si opporr� recisamente. La perdita di Roma sarebbe per la cattolicit� una sventura, di cui non si possono calcolare le conseguenze. La chiesa libera in libero Stato non � che una vana teoria. E un mezzo di ostilit� usato dai piemontesi contro le istituzioni cattoliche. Essi esiliarono, perseguitarono le congregazioni religiose di ogni maniera ed � con esse solo che il Papa pu� compire il suo primo dovere, che � quello di propagare la fede e di vivificarla. Se si disciolgono, il Papato si trover� senza ausiliari contro il paganesimo e l'incredulit�.

Il Papa cacciato da Roma sarebbe il solo vescovo senza vescovato, il solo sovrano senza indipendenza. Quale funesta impressione non produrrebbe lo spettacolo del Papa in esiglio? Si esalterebbe il partito mazziniano che minaccia i troni e tende a ricondurci agli eccessi del 93. Abbandonar Roma sarebbe procedervi a gran passi. Per queste ragioni egli voter� contro il paragrafo in discorso.

Visconte de la Guerroni�re. Crede la questione romana sia mal posata. Essa � posta tra la rivoluzione e la controrivoluzione, non come un punto di controversia politica, diplomatica e religiosa, ma come un punto di antagonismo tra la societ� antica e la moderna, tra il passato ed il presente. A quelli che vogliono li mantenimento del potere temporale si dice: voi siete dei reazionarii; a quelli che inclinano di accettare delle trasformazioni imposte dalle circostanze e dal progresso delle idee si dice: voi siete dei rivoluzionarii. E fra queste intolleranze opposte che si agita la politica cos� saggia e cos� moderata dell’Imperatore.

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V'ha qui un errore e un pericolo. La colpa non appartiene solo ai nemici del Papato, ma anche ai suoi amici ciechi e ostinati.

V ha una scuola che pretende respingere in nome della religione il progresso, e tutte le conquiste dell’incivilimento. Il clero non ha n� incoraggiato, n� approvato queste esagerazioni; esso le ha qualche volta subite deplorandole.

In questa patriottica assemblea non v'ha ne rivoluzione, n� controrivoluzione. l’ha l'impero liberale, nazionale, quale il principe Napoleone ha cos� bene spiegato nel suo discorso. Noi lo abbiamo applaudito. Accetto la situazione quale � definita dal progetto d’indirizzo tra le pretese immoderate e i rifiuti ostinati, e ci� ch'essa ci impone, dove ci conduce e a che pu� riuscire. Secondo l'oratore � impossibile, nell’interesse dell’Italia e della Francia, di consegnar Roma all’unit� italiana. Vede per� necessario, nonostante gli ostacoli, di coltivare il principio di una transazione che tenendo conto dei fatti compiti, metta il sovrano spirituale all’infuori d’ogni discussione e di ogni contestazione.

L'oratore ricorda quale fosse prima del 1815 la situazione fatta alla Sardegna dai trattati. Essa era posta sotto la sorveglianza delle grandi potenze.

Quando scoppi� la guerra, qual'era ancora il sentimento europeo a riguardo del Piemonte? La Francia sola gli stendeva la mano per sostenerlo e la sua spada per difenderlo. Tutto � ora mutato: le potenze che rimanevano ieri nella neutralit�, sono oggi piene di benevolenza verso il gabinetto di Torino. L'Austria stessa dopo avere valorosamente combattuto, comprende che deve accettare gli avvenimenti. Si pu� dunque dire che l'indipendenza italiana � ammessa ormai dall’Europa come una delle condizioni del suo equilibrio politico.

L'oratore passa a parlare della situazione interna dell'Italia, e vuol provare che essa � tutt'altro che soddisfacente. Secondo lui, Napoli fu piuttosto conquistato che annesso. Vittorio Emanuele non fu condotto a Napoli dal genio che ispirava il magnanimo Carlo Alberto. Egli vi fu trascinato dalla rivoluzione. Ma Napoli non � che una tappa; Roma era la meta.

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Sino adesso il movimento era rimasto politico, contenuto da Cavour e dal suo successore Ricasoli; ma questo movimento sfugge agli uomini politici. Le teste si esaltano, i comitati si organizzano, e lo stesso Garibaldi pu� essere superato. Ecco la situazione interna. Volli accennarla perch� questa causa non � soltanto italiana, ma � la causa della Francia, dell’Europa.

Non bisogna lasciarla compromettere, ma giova salvarla a qualunque costo. Ora si presenta un'altra quistione. Il movimento italiano che tende a Roma, � realmente di un interesse italiano? Credete voi che occupata Roma il movimento italiano sia soddisfatto? Gli mancher� ancora Venezia che soffre e reclama la sua indipendenza, Venezia che il giorno in cui sar� libera, recher� all’Italia come la dote della sua indipendenza, la sovranit� dell’Adriatico.

Potrassi moderare uno slancio cos� legittimo? La guerra sar� dunque il risultato di questo trionfo. � ci� possibile? Dov'� l'armata italiana. l’ha una armata piemontese cui devesi rendere omaggio, che � valorosa e disciplinata, che saprebbe combattere e morire per la difesa dell’Italia, ma poco numerosa per attaccare con successo 200,000 austriaci fortificati nel quadrilatero. E allora l'Italia soccomber� o ci chiamer� in suo aiuto. Se interveniamo, � la guerra coll’Europa.

La Venezia non � certamente destinata a rimanere nella situazione in cui si trova, ma precorrere l'ora sarebbe un errore irreparabile.

Verr� giorno in cui l'Austria comprender� che essa pu� entrare nella via di transazione e accettare dei compensi onorevoli. Si � del resto ben certi che il sentimento che reclama una Roma italiana sia un sentimento politico? Questo desiderio non � piuttosto il risultato della effervescenza popolare? Se vivesse Cavour � probabile che questo grande spirito gi� avrebbe trovato il mezzo di scongiurare questo pericolo, poich� Roma era piuttosto un mezzo per la sua abilit�, che uno scopo della sua politica.

Roma divisa dal Tebro, o la Chiesa libera in libero Stato, � una combinazione mista o impraticabile. L'invasione di Roma � una soluzione radicale. Il giorno in cui Vittorio Emanuele entrasse al Vaticano da una parte, il papa ne uscirebbe dall’altra.

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L'Italia senza Papato sarebbe un Italia nuova che comincia la sua storia. Un papa errante, esule, sarebbe per l'Italia un rammarico, un rimorso, e una perenne minaccia. Sarebbe una transizione rapida verso l'anarchia perch� un trono non potrebbe trovare la sua solidit� sulla cattedra di S Pietro.

Sarebbe la dittatura, ch� gi� i dittatori sono pronti intorno a Vittorio Emanuele; essi si fanno i suoi cortigiani per divenire i suoi signori; egli ne sarebbe la prima vittima perch� conviene rendere omaggio al suo carattere; si potr� ingannare ma non si lascer� mai umiliare.

Ecco, secondo l'oratore, l'Italia senza Papato, ecco l'Italia con Roma per capitale. Egli crede avere stabilito che l’interesse stesso dell’Italia impone alla Francia la necessit� di una forte resistenza alla corrente che spinge l'Italia verso Roma. Egli cerca di stabilire il compito della Francia, riandando la storia della stessa, la cui grandezza ispir� a pi� riprese le inquietudini e le diffidenze dell’Europa.

L'Austria e la Russia giocano la parte principale in questo momento. L'Imperatore Napoleone I. l'aveva compreso. Aveva stretto un alleanza di famiglia colla casa degli Asburgo che sperava veder convertita in alleanza politica. I fatti provarono che si era ingannato. L'Austria era l'anima d'ogni coalizione militare contro di noi. La Russia ci minacciava in Germania e sul Reno, essa era per l'Europa occidentale un pericolo permanente.

Si pu� dire che le due grandi guerre che hanno illustrato il regno di Napoleone III, furono ispirate da questa situazione generale, pi� che dalle circostanze necessarie che le hanno motivate.

Gli effetti dell’una e dell’altra hanno raddrizzato il corso della politica, finite a tempo a Sebastopoli e a Solferino. L'eloquenza e la persuasiva del principe Napoleone, qui presente, non furono estranee per determinare l’Imperatore Francesco Giuseppe ad accettare le condizioni di pace, ch'erano il trionfo della nostra moderazione.

Principe Napoleone: Domando il permesso di dir subito alcune parole. A Solferino non feci ch'eseguir gli ordini del mio sovrano, eseguire le sue istruzioni. Non devo dir qui la mia opinione, n� quali fossero queste istruzioni.

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Ho fatto il mio dovere meglio che ho potuto, l'Imperatore ne fu soddisfatto. La Guerroni�re mi pone in una falsa posizione. Non ho fatto che eseguire gli ordini ricevuti. Nulla ha che far qui il mio modo di vedere personale.

La Guerroni�re. A Villafranca come a Sebastopoli la politica che io caratterizzo � liberale, ma non rivoluzionaria.

L'anno scorso si riunivano tre sovrani sotto un'idea che ricordava giorni assai nefasti. Ma questi sovrani non tardarono a conoscere che quest'idea non era pi� che una chimera e che diveniva assai pericoloso il seguirla. Ebbene questo risultato � dovuto alla politica moderata della Francia.

Questa appreziazione retrospettiva era necessaria per far comprendere la politica francese e tutta la sua azione diplomatica.

L'onorevole Senatore ricordando il programma tracciato dell’Imperatore, accenna alle difficolt� che presentava la costituzione della federazione italiana; Essa doveva lottare contro tre ostacoli. Torino che era davanti questa combinazione. = Roma che era indietro; — e Venezia che non era ancora italiana. Il trattato di Zurigo � ammirabile, ma i principii che stabiliva erano di difficile attuazione — Era troppo tardi per la federazione dopo Solferino, troppo presto prima della liberazione di Venezia.

L'onorevole membro, insistendo sullo slancio col quale l'Italia fu allora trascinata verso noi, vuole constatare un fatto; ed � la resistenza della politica francese a quella del Piemonte, resistenza passiva, � vero, ma molto chiara e precisa; i fatti principali che caratterizzano questa politica sono quattro;— l'annessione dei ducati; — l’attacco contro la monarchia napoletana — l'invasione degli Stati pontifici — e la riconoscenza del regno italiano.

La Francia si oppose all’annessione della Toscana, e in un dispaccio Thouvenel chiese il ristabilimento del granducato.

Il 9 luglio 1860 la Sicilia � invasa, e tosto il ministro degli esteri scrive al nostro rappresentante a Londra onde provocare un accordo tra la Francia e l'Inghilterra per promuoverne una riconciliazione tra Napoli e Torino.

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L'onorevole senatore parlando della politica tenuta dalla Francia in seguito all’invasione degli Stati pontificii, ricorda che il gabinetto delle Tuileries non esit� un momento a rompere le relazioni colla corte di Torino; ed era cosa grave il rompere le relazioni con un re che fu nostro alleato, e che combatt� accanto a noi.

L'oratore lamenta l'antagonismo che separa il Papato dall’Italia, dice che il punto essenziale � che Roma resti nella sua situazione indipendente, che Roma resti al Papa affinch� il regno italiano non prenda quel carattere, quella forma assoluta che porterebbe la perturbazione nel seno della societ� francese ed europea.

Se ci� accadesse, darebbe un colpo terribile ai principii conservatori ed un impulso irresistibile all’elemento rivoluzionario.

(Benissimo)

L'oratore cita il concordato concluso da Napoleone primo Console colla S. Sede, per dimostrare che lo Stato e la religione devono camminare nell’accordo dello loro forze e nella libert� delle loro dottrine pel trionfo della verit� e della giustizia.

(Benissimo)

� assurdo il subordinare lo Stato alla Chiesa o la Chiesa allo Stato; l'impero che si applica a sviluppare tutta la verit� della democrazia non si prester� mai a siffatta soluzione. L'imperatore ha detto che non voleva n� reazione, n� rivoluzione. Sia questa la nostra politica. Noi non possiamo lasciar disfare l’opera di Magenta e di Solferino, n� sgombrar Roma in seguito ad una intimazione dei clubs, che il gabinetto di Torino non s'incaricherebbe mai di significarci (Benissimo).

Noi siamo a Roma per le ragioni che vi ci condussero nel 1849, e che vi ci mantennero sino al presento; la nostra occupazione, ne convengo, � un fatto accidentale, rincrescevole; ma, dopo tutto, essa non � che una delle forme della protezione secolare che esercita la Francia. Essa pu� passare, ma � una cosa immutabile che non passer�, � il diritto che esercitiamo; e se la nostra spada venisse a ritirarsi, l'ombra sola della nostra spada proteggerebbe ancora il Papa nella citt� eterna.

550

Io so che i nostri consigli sono stati male apprezzati, male compresi. Il poter temporale del Papa ha bisogno di subire profonde modificazioni e noi dobbiamo vincere grandi ostacoli. Or bene, noi ne abbiamo maggior onore a superarli.

Ma non � tutto il restare a Roma, bisogna domandarci perch� vi restiamo. Non � certamente solo per tenere la bilancia eguale tra le pretese immoderate e i rifiuti estremi. Spieghiamoci dunque nettamento sopra ci� che vogliamo rimanendo a Roma; giacch� il mezzo di restarvi meno lungamente si � di sapere esattamente lo scopo cui teniam dietro.

Dapprima, in ci� che riguarda i rifiuti estremi della corte di Roma, bisogna distinguere quelli che s'indirizzano a Torino, e quelli che s" indirizzano alla Francia.

A Torino, le proposte sono sempre le stesse; si tratta di chiedere al Papa di prender il suo posto.

La Rochejaquelein. Nulla di ci�.

La Guerroni�re. Ora, quando in una transazione l'una delle parti vuol prender tutto, non v'ha probabilit� ch'essa sia accettata dall’altra.

La Rochejaquelein. Questa sarebbe una transazione facile.

La Guerroni�re. Riguardo alla Francia, la situazione � lungi dall’essere la stessa. Noi abbiamo infatti proposto successivamente la confederazione italiana colla presidenza d’onore pel Santo Padre, il vicariato e la guarentigia delle Legazioni per parte della Francia; tutto � stato ricusato.

Oh! se si trattasse d’un alleato ordinario che avesse disconosciuti i nostri buoni uffici, noi potremmo disinteressarci nel dibattimento. Ma non bisogna dimenticare che si tratta d’un sovrano che � in pari tempo il Capo della Chiesa, e non dobbiamo ritirarci da lui, anche quando il nostro intervento fosse disconosciuto. (Benissimo!)

Ora, perch� questa protezione si mantenga, perch� sia efficace, essa deve allontanarsi tanto dalle pretese immoderate di Torino quanto dalla resistenza assoluta di Roma.

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Noi dobbiam dire a Roma di consentire a concessioni di territorio che consacreranno la sua sovranit� territoriale, e di applicare al suo governo interno riforme che lo spirito del secolo ha rese indispensabili; noi dobbiam dire a Torino: voi non avrete Roma, non avrete il patrimonio di S. Pietro.

La Francia non custodisce un bene, la cui possessione � disputata. La sua gloriosa spada non fa la parte del sequestro sopra una propriet� contenziosa. La spada della Francia copre no principio di civilizzazione.

Ecco la doppia missione imposta alla Francia: bisogna per� eh' essa sia libera da ogni incertezza. E cos� necessario all’Italia come alla Francia che non vi sia alcun equivoco. L'influenza del governo francese � cosi grande ch'essa finisce sempre colf imporsi.

Se si potesse credere un solo istante che essa potesse divenir favorevole all’unit� italiana, il paese si convertirebbe forse a quest'idea. L'unit� ha fatto da qualche tempo progressi immensi; essa � maravigliosamente servita da grandi talenti, essa ha collegato quasi tutta quanta la stampa. Quest'influenza della stampa, che io vorrei vedere al contrario nella misura di una saggia libert�, quest'influenza agisce oggid�, in questa quistione, in un senso assolutamente contrario alla politica del governo francese. Credete voi che sia bene il suscitare speranze che non potremo un giorno realizzare? Val meglio prevenire questi errori che dovere un giorno imporli.

Sappiasi cos� a Torino come a Roma quali sono le viste della Francia; sappiasi bene che noi non abbandoneremo n� Roma, n� il patrimonio di S. Pietro, e che siamo decisi a far rispettare il principio di nonintervento; e quando la volont� della Francia sar� ben conosciuta, voi vedrete gli ostacoli appianarsi, le resistenze sparire, e ci� che sembra oggi tanto difficile divenir facile.

Signori, io mi riepilogo, e la mia conclusione � facile. Noi dobbiamo restare a Roma sino a che il re d'Italia e il Papa siano stati ridotti dalla forza delle cose ad un equo accomodamento. N� credo di aggiunger troppo dicendo che se Cavour non fosse stato olio all’Italia, quest'accomodamento sarebbe forse conchiuso oggid�, e che sarebbe dipeso dal governo pontificio d’ottener la guarentigia dell’attual suo territorio colla malleveria della Francia.

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Perch� mai quello ch'era possibile sei mesi fa non sarebbe pi� possibile oggi? Bisogna persistere in questo piano. Noi parliamo da una parto ad un popolo che ci deve la sua libert�, dall’altra ad un pontefice a cui abbiam prodigate le nostre prove di devozione e di rispetto. Presto o tardi saremo intesi! Abbiamo per noi la verit� e il buon diritto. Ed una tal causa, quando � sostenuta dalla nostra mano, la nostra spada che la copre e Dio che la difende, non pu� un giorno non trionfare!

Abbiamo la perseveranza che logora gli ostacoli, e la volont� che li domina, ed aspettiamo con fiducia l'ora in cui l'Italia e il Papato ci presenteranno lo spettacolo dell’alleanza della libert� e della religione, che e stata la prima ispirazione de1 cuore di Pio IX, che � il voto ardente dell’Imperatore, e che sar� l'opera immortale della Francia (benissimo!) (benissimo!).

Bonjean dice che contrariamente all’opinione espressa dall’onorevole preopinante, egli resta convinto che il suo sistema, lungi dallo spingere alla distruzione del potere temporale, offre il miglior mezzo di salvarlo.

Il Presidente. Domani, continuazione della discussione sulla quistione romana.

Principe Napoleone. Ieri un oratore termin� il suo discorso colla frase seguente: �Nel contatto degli uni cogli altri si guadagna sempre qualcosa, e si sar� certo visto con ammirazione con quale unanimit� e spontaneit� il Senato intero levossi ieri, allorch� si pot� credere che alzavasi la bandiera del ramo cadetto di fronte al ramo primogenito.�

Non mi trovavo in questo ricinto allorch� questa frase fu proferita; e l'appresi solo dal Moniteur. Rispondo per l'unico riguardo che ho pel Senato che ud� quelle parole e pel paese che le legger�.

L'anno passato, quando si formularono simili insinuazioni, ho risposto come dovevo.

Oggi, davanti al Senato e davanti al paese, poich� mi si presenta l'occasione, ripeto di nuovo che tutto ci� che io voglio, � di difender sempre e con convinzione in questa tribuna e davanti il paese l’impero costituzionale e liberale.

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Mio cugino dice in qualche parte delle sue opero che il governo di Napoleone, pi� che qualunque altro, poteva sopportare la libert� per la ragione unica che la libert� avrebbe consolidato il suo trono, mentre al contrario questa stessa libert� rovescia i troni che non hanno solide basi.

Ho io forse bisogno di aggiungere che questa libert� deve esercitarsi nell’ordine dell’eredit� stabilita dalle nostre costiturioni? (Benissimo, benissimo). Che altri lo possano dimenticare, non mi sorprende affatto. Quanto a me, che me ne ricordavo allorch� Luigi Napoleone, condannato era in prigione od in esilio, me ne ricorder� tanto pi� oggi, in quanto che i miei doveri mi legano all’Imperatore e a suo figlio, e che questi doveri si accordano con una devozione di vecchia data ed un affetto che non potr� mai alterarsi (nuova e vivissima approvazione).

In quanto alle insinuazioni di questa fatta, dirette contro la mia persona, sono determinatissimo d’ora in avanti a non rispondervi che col disprezzo (benissimo, benissimo da tutte le parli).

La Guerroni�re Quando l’indirizzo condanna la resistenza del pontefice, dico che questo linguaggio non pu� essere che l'effetto d’un malinteso.

Non sono ancora due anni che furono invase le Marche e l'Umbria, violando il diritto delle genti. Il Papa doveva sancire questa spogliazione?

Il Papa non ci chiedo intervento armato, ma spera nella Provvidenza. Il non possumus non � senza gloria ne senza vantaggi per l'Impero e per la societ� tutta quanta. Il trionfo della forza non pu� essere che momentaneo; quello dell’equit� permanente.

Se biasimiamo il governo sardo, dobbiamo biasimare egualmente quello che non ha mai violato le neutralit�, che non mai fece male a persona?

La nostr'armata protegge a Roma un gran principio, la baso d’ogni ordine sociale, che � l'indipendenza del Capo delia cattolicit�.

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I difensori del papato sono dichiarati i nemici della libert� e dell’indipendenza dei popoli. La storia e i fatti smentiscono queste asserzioni. La occupazione di Roma favorisce ad un tempo i veri interessi dell’Italia e quelli del Papato. Senz'essa l'Italia sarebbe presto o Austriaca o Mazziniana. Essa dev'essere approvata da quanti vogliono una Italia libera, cattolica, senza disordini interni e senza togliere le antiche istituzioni liberali alle antiche citt�.,

Che l'Italia dunque comprenda che i contradittori son meno suoi nemici che coloro che l'adulano. Quanto a Roma, non deve obbliare che non � citt� esclusivamente italiana, ma che pel suo passato e pel suo avvenire, appartiene al cattolicismo.

L'oratore stabilendo ci� che considera come i veri principi nella questione, crede dover definire nettamente il carattere del potere spirituale e del potere temporale, e dice che quest'ultimo � una necessit�. Cita all’appoggio Napoleone I.

La Francia, prosegue!' oratore, difende a Roma la pace del mondo, i nostri soldati impediscono l'incendio dell’Europa.

Rassicuriamo dunque il mondo cattolico con espressioni pi� franche nel nostro Indirizzo. L'anno scorso sessanta voci di minoranza hanno protestato contro la debolezza dell’espressione pretese ingiuste; � impossibile che quest'anno vi basti quella di pretese smodate. Fo voti che la redazione si modifichi e che si tolgano le parole che parlano della resistenza e immobilit� del Papato.

Non posso negare che i redattori dell’indirizzo non abbiano fatto i maggiori sforzi per tener la bilancia eguale tra due cause contrarie; essi hanno pesato ogni sillaba. Ma perch� cercar di conciliare due cose inconciliabili? Simili transazioni non passano mai dalle parole ai fatti senza produrre i maggiori disinganni. Domando dunque che il paragrafo sia rinviato alla commissione per modificarne la redazione.

Il principe Napoleone comincia con lodare il discorso di Bonjean. Ma questa vasta e sapiente lezione a che riesce? che il Papa deve regnare a Roma senza governare. Non � una soluzione nuova, � una delle trasformazioni de) vicariato imbastardito e degenerato.


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Questa idea ha dovuto germogliare nel cervello degli uomini di Stato, ma quando convenne formolarla in trattato, la penna cadde dalla mano dei diplomatici. Non si possono dare il governo di fatto al re d’Italia, al Papa le apparenze del potere. Non vi sono gli elementi di una seria soluzione. Del resto, essa gi� cadde innanzi al rifiuto della corte di Roma di esaminarla, e cadde innanzi all’opposizione di Roma a qualunque modificazione del suo potere temporale. Questa soluzione non potrebbe essere applicata che alla condizione che le due parti consentissero ad accettarla.

In cospetto del rifiuto della corto di Roma che rimane a fare? Il richiamo delle truppe francesi da Roma. Si rimprover� alla mia soluzione di essere l'espressione di una idea radicale. Accetto in questo senso il biasimo. La Guerroni�re nel suo discorso conchiude con dire che nulla v'�a fare, se non che rimanere nello statu quo e aspettare. Non � codesta una soluzione, ma una dichiarazione d’impotenza. Che si dovrebbe aspettare che gli spiriti siansi maggiormente esacerbati, che l'agitazione cresca in Italia in Francia, in tutta l'Europa? Ci� che abbisogna � di rendere Ij calma agli spiriti, e per ci� bisogna risolvere questa quistione romana. Essa fa molto male, e se I " imperatore vi porr� fine l'agitazione cesser�. Il partito clericale eccita gli spiriti col manto della Religione. Potrei citare le parole di alcuni vescovi che tentano seminare la discordia, ma questa agitazione non � profonda, � superficiale.

Se l'Imperatore applicasse la soluzione che noi chiediamo, la pace sarebbe ristabilita negli spiriti e sarebbe il maggior servizio che si renderebbe alla Francia ed all’Europa.

Imiter� la riserva usata nell’indirizzo, e mi limiter� a dire, senza impegnare in nulla l'avvenire, che il nome di Venezia non deve essere oggi pronunziato. Pigliando le mosse dalle condizioni politiche dell’anno scorso, l'oratore dice che non potrebbe mai abbastanza approvare l'Imperatore d’avere riconosciuto il regno d’Italia nelle sue attuali condizioni, comprendenti tutta la penisola, salvo Roma e Venezia. Egli non voleva lasciare ai nemici dell’Italia il tempo di profittare di questo fatale avvenimento. Il generale Gemeau parl� di certi rimpasti dell’Italia.

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L'Italia non � un pezzo di caouchouc che si distende o si ristringe secondo le circostanze.

Quando si riconobbe l'Italia, si riconobbe colle attuali sue circoscrizioni, vale a dire tutta la Penisola tranne Roma e Venezia. Del resto, o signori, le nostre reciproche convinzioni sono fatte; io non pretendo mutare le vostre e voi non avete diritto di modificare le mie. In fatti non vi sono che due politiche, conviene scegliere fra esse, e non se ne pu� formare una terza. Si disse che conviene aver pazienza. Cos� passeranno anni e secoli senza che siasi fatto nulla, perch� la Corte di Roma, quando nulla teme, nulla cede.

L'oratore accenna al tentativo ultimamente fatto dall’Imperatore per una conciliazione. La risposta del cardinale Antonelli � perentoria, definitiva, non solo pel presente ma per l'avvenire. Che non si parli dunque di concessioni; Roma non vuol farne alcuna.

Quali ne sono ora le conseguenze? Sono facili a dirsi. Roma pel suo potere temporale si serve dei nostri soldati e intende di nulla cedere a' nostri consigli. La Corte di Roma conosce benissimo che ha bisogno dello straniero per essere reintegrata ne' suoi possedimenti temporali. Essa spera che, mantenendo lo statu quo, verr� un tempo in cui un'armata straniera battendo l'Italia, potr� restituirle i suoi Stati. Non bisogna farsi illusioni; � l'aspettativa dell’austriaco che mantiene la Corte di Roma ne' suoi rifiuti. Essa oppone durezza, rifiuti ostinati a chi la sostiene, e moderazione e umilt� quando � sotto i colpi della necessit�. Prova ne sia il trattato di Tolentino. Si abusa dei sentimenti cattolici della Francia e dell’Imperatore per porci in una crudele situazione, e per accendere fra noi la face della discordia.

L'oratore dichiara che ha diffidato egli stesso delle sue appreziazioni, e che ha temuto di lasciarsi trascinare dai suoi proprii sentimenti: ha perci� carcerato i suoi argomenti solo nelle secreto confidenze della diplomazia, lavoro di cui si occupa da lungo tempo, e pel quale ha cominciato da lontano per presentare un quadro completo; egli risale alle lettere scritte dagli inviati di Francia prima del 1789 al ramo primogenito dei Borboni; cos� non parler� alle passioni, ma alla ragione.

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S. A. I, passa in rassegna una serie di dispacci tendenti a far conoscere come deplorabile il governo dei Papi. Fin dal 1669 il duca di Ch�lons scriveva a Luigi XIV, di aver trovato la corte di Roma molto al di sotto di ci� che ne aspettava, e si pu�, diceva questo duca, prevedere il fino di questo governo dal punto di vista temporale, se quella corte non cambia di strada. Aggiunge S. A. I. che questa antica data fa vedere che il governo di cui si tratta non � cattivo per volont� ma per necessit�. Viene addotto in seguito un dispaccio di Albemarle ('1765) costatante l'imprevidenza del governo in fatto di approvvigionamenti.

Alcuni anni pi� tardi il cardinale di Bernis scriveva che il pi� gran sacrifizio (1771] che potesse fare pel servizio del re, era di andare a risiedere a Roma, dove tutto, diceva, era mistero, gelosia e sospetto come nei chiostri e nei monasteri. E nello stesso anno il duca d’Aiguillon, ministro, rispondeva al cardinale in un senso analogo, aggiungendo che il re non credeva di sua dignit� corrompere col denaro i depositarii dei secreti politici di un governo estero.

Il 30 gennaio 1779 lo stesso cardinale parlava d’intrighi, di venalit� e di disordini nel Tribunale della Dataria, e si lagnava di vedere in Corto maggior propensione per le potenze nemiche, che per le amiche del governo romano, aggiungendo in termini generali che i mali ereditati erano incurabili.

Insiste il principe Napoleone sull’importanza delle parole del cardinale che nel 1782 scriveva: �La situazione � sempre pi� critica, e temo che il regno di Pio VI costi a questo Pontefice molte lagrime�.

In altra lettera il Bernis rimpiangeva (31 dicembre 1782) l'avvilimento in cui cadeva il Santo Padre, espressione che S. A. I. protesta non avrebbe per nulla personalmente adoperata. In risposta a quel dispaccio, Vergennes dando la sua adesione al quadro delineatogli, trovava le sue riflessioni molto degne di riflessione.

Altre lettere del cardinale aggravano sempre pi� quella pittura.

Scende di poi l’oratore a documenti pi� recanti emanati da Napoleone I.

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Ortoli agente francese a Roma dichiara che tutti, meno i nemici della Francia e gli ecclesiastici, sono malcontenti di vedere differito lo stabilimento del regime costituzionale. Il 13 febbraio 1810 un rapporto di Cadore sulla questione del governo temporale a Roma impegna l'imperatore a non imitare Carlomagno ed a ricevere le lezioni dell’esperienza, dipingendo i pericoli del sacerdozio unito al potere civile con una unione stata sempre fatale, dicevasi, ai popoli della penisola ed al riposo delle altre nazioni. Vi si attribuisce lo scisma della Germania e dell’Inghilterra a questa unione. Le parole del rapporto sono anche pi� vive, e facendo omaggio alle virt� del Pontefice allora regnante si considera per� come obbidiente all’antico spirito della Corte di Roma, segnalando il male come congenito alla natura dell’istituzione.

L'oratore trova pure in un passaggio di quel rapporto la prova di ci� che diceva il cardinale di Bernis, cio� che dalla Francia irreligiosa il Papato aveva sempre ottenuto grandi riguardi.

L'oratore, continuando la lettura del rapporto, vi trova pure la prova d’un fatto da lui allegato nel suo discorso dell’anno passato, che cio� Pio VII fosse venuto a Parigi ad incoronare Napoleone I principalmente per ottenere certi vantaggi temporali. Tale asserzione � confermata dal rapporto del duca di Cadore; difatti la restituzione delle Romagne e l'estensione del potere temporale ne furono le condizioni; Roma divent� nemica de' Francesi e tutte le domande del governo imperiale erano imperturbabilmente respinte.

Il rapporto conchiude constatando, che l'Imperatore Napoleone I trovavasi nell’alternativa di non pi� riconoscere il potere spirituale o di annientare il potere temporale. La scelta non poteva essere dubbia, giacch� se il primo caso ripugnava a chi aveva rialzato in Francia la religione cattolica, il secondo non era punto in opposizione coi principii essenziali della religione.

I.'oratore d� lettura di un passo in cui vico detto che Napoli era stata attaccata e conquistata immediatamente, ma che la resistenza si manifest� col brigantaggio e coll’assassinio.

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S. A. I. continua la lettura, senza arrestarsi a far confronti coi fatti attuali, e nota un altro passo in cui � detto che Roma non pensa che a lagnarsi dell’occupazione d’Ancona. Il documento dice che tale contegno della corte di Roma fa presentire i pi� grandi pericoli, e che non vi si pu� ovviare senz'abolire la confusione dei due poteri. S. A. legge pure un dispaccio, 23 luglio 1810, diretto da Ortoli a Cadore, in cui si tratta della agitazione mantenuta dalla corte di Roma colla propagazione di fatti miracolosi.

S. A. I. cita pure le parole dette da Napoleone I ai deputati delle provincie romane, e desidera che Napoleone III ne pronunci oggi di somiglianti.

Egli termina colla lettura di una circolare diretta ai vescovi 13 luglio 1810, e fa notare come Napoleone I; in mezzo alle sue lotte gigantesche contro l'Europa, non perdesse mai di vista i principii della separazione dello spirituale e del temporale.

S. A. I. passa a parlare della restaurazione e d� lettura al Senato di varii documenti dal novembre 1814 fino al 1822, i quali tutti si pronunciano contro la corte di Roma.

Egli cita pure il fatto che, all’epoca del viaggio di un re di Prussia a Napoli, si dovettero scaglionare 9000 Austriaci sul suo passaggio negli Stati Romani, per timore che si attentasse alla sua sicurezza.

Accanto a tali disordini, dice S. A., si vede gi� germogliare l'idea dell’unit� italiana e l'odio contro l'Austria.

S. A. I. cita poi il sig. Leval Montmorency, ambasciatore a Roma nel 1823, il barone di Dumas e Chateaubriand, i quali constatavano la trista situazione delle popolazioni italiane e fa' cevano presentire che tutto era pronto per una rivoluzione, se un sovrano stabilisse in Italia il reggime costituzionale.

L'oratore cita ancora Lamartine in suo appoggio, e quindi osserva aver egli voluto con tutte queste citazioni stabilire tre cose, cio�: colle citazioni anteriori al 1790, che il governo degli Stati Romani � stato sempre giudicato dannoso; con quella dell'epoca imperiale, che l'Imperatore Napoleone considerava come un male la riunione del potere temporale e dello spirituale nelle stesse mani; finalmente, con quelle tolte agli archivi diplomatici della Restaurazione, che l'idea d’unit�,

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lungi dall’essere una idea dei nostri giorni, un portato di qualche ambizione personale, germogliava in tutte le teste ed animava tutti i cuori patriottici di quell’epoca.

L'oratore dimostra che tale stato di cose a Roma non pu� durare, che non � possibile alcun miglioramento e che bisogna assolutamente uscirne. Egli rammenta i consigli dati dalla Repubblica alla Corte romana fin dal 1849, cita la lettera del presidente della Repubblica a Edgardo Ney e continua cos�:

Questa lettera stabilisce condizioni chiare e precise e non si pu� che rendere omaggio ai saggi consigli del presidente della Repubblica, Luigi Napoleone; se tali consigli fossero stati allora seguiti, non ci troveremmo ora avvolti in tante difficolt�.

Dal 1850 al 1860, la Francia fa la parte dr Cassandra e d� sempre consigli che vengono respinti. All’indomani di Villafranca l’Imperatore scrive ancora al S. Padre per dargli consigli saggi e disinteressati. Si dir� che essi erano diversi dai primi; ma la politica non � immutabile, o piuttosto se lo scopo da ottenersi rimane lo stesso, variano i mezzi per giungervi.

L'oratore prosegue ad enumerare i tentativi del governo imperiale per indurre la S. Sede ad una transazione e constata che tutti questi sforzi trovano sempre un ostacolo insormontabile nelle ripulse di Roma.

L'oratore giunge quindi a parlare dell’unit� italiana con Roma per capitale. Egli dice non potervi essere unit� italiana, senza Roma per capitale. Anche i pi� saggi ed i pi� moderati, egli dice, credono che la situazione attuale sia insostenibile. Del resto, l'Italia d� in ci� prova di una grande moderazione. Senza dubbio vi furono abusi isolati, delitti; ma io mi stupisco che, dopo avvenimenti ed eccitazioni come si ebbero in Italia, non sia accaduto di peggio: me ne appello agli stessi miei avversarii politici; essi riconosceranno che la popolazione d’Italia � rimasta calma e moderata.

L'oratore risponde all’argomento che si adduce dicendo che Roma non appartiene ai Romani, ma � una specie di propriet� spettante a tutta la cattolicit�. Egli trova assurdo che vogliasi riguardar Roma come un fidecommesso che i Papi si trasmettono l'uno all’altro.

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Gli Stati della Chiesa furono costituiti dai trattati di Vienna e non evvi alcuna stipulazione di quei trattati, che non sia stata firmata da potenze acattoliche, dall’Inghilterra protestante, dalla Prussia protestante, dalla Svezia protestante, dalla Russia scismatica.

Roma, dice S. A. non � posta in un diritto eccezionale; il governo temporale dei Papi non ha altro carattere che quello degli altri governi. La popolazione di Roma ha gli stessi diritti che le popolazioni di Milano, di Parigi, di Brusselles. L'unit� d’Italia � un'idea antica: tutti i grandi Italiani vi si attaccarono fin dal tredicesimo secolo. (Approvazione sui diverti banchi.)

Lo stesso generale Bonaparte, in un proclama del 1797, prometteva agli Italiani l'unit�, se essi sapessero formar battaglioni agguerriti.

Pi� tardi, dopo aver percorso l'immensa carriera da Tolone a Sant'Elena, l'imperatore prigioniero, in mezzo alle sue riflessioni filosofiche, predice l'unit� italiana. Egli parla della necessit� di riunire tutti gli abitanti della Penisola sotto un solo governo che renderebbe un gran servizio all’Europa, stabilendo sulla terra un contrapeso tra la Francia e l’Austria, sul mare tra la Francia e l'Inghilterra.

Richiamo ora, soggiunge l'oratore, una memoria storica: Nel 1814 i patrioti italiani sognarono un movimento nazionale per liberare l'Italia dal giogo dell’Austria.

Ed un uomo che sedette in questo recinto, il conte Rossi....

La Rochejaquelein: Essi l'hanno assassinato!

Il Principe Napoleone. Il conte Rossi, nobile patriota, entr� nella comunanza di questi sforzi. Questi onorevoli Italiani fecero appello al gigante ch'era incatenato alle loro porte, invocarono i suoi consigli. Napoleone era all’isola d’Elba; egli accolse quelle aperture. Eh, mio Dio! era quello forse un sogno.

Napoleone, assuefatto a maneggiare immense organizzazioni militari, pensava egli forse a mettersi alla testa di alcuni poveri esaltati che volevano liberare il loro paese?

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Napoleone non esit� forse, e ci� che vi ha di certo si � ch'egli disse parole commoventi, che portano talmente il suo sigillo che non si potrebbe dubitare della loro autenticit�.

�Io fui grande sul trono di Francia, rispondeva Napoleone, per la forza delle armi; il carattere distintivo del mio regno fu la gloria delle conquiste. A Roma, io sar� l'uomo della pace.

�Io far� una sola nazione di tanti elementi sparsi; aprir� delle vie, dei canali; dar� degli sbocchi al commercio italiano. Le Leggi saranno fatte per gl'Italiani. A Napoli, a Venezia, alla Spezia si apriranno grandi cantieri marittimi che daranno una nuova potenza a questo grande paese!

�Io far� di Roma un porto di mare. Vi sar� l� un gran popolo di 30 milioni d’uomini. Non pi� guerre, non pi� conquiste! Avr� una breve armata sulla cui bandiera saranno scritte queste parole: Malheur � qui y touche, e nessuno vi toccher�! Io era Cesare in Francia e sar� Camillo a Roma.

�Roma eguaglier� Parigi!�

Cos� parlava Napoleone il 1. � ottobre 1811; ma io non ho fatto che una digressione, e ritorno al mio argomento, l'unit� italiana. Quest'idea dell’unit� italiana domina, forse malgrado lui, gi� gli atti dello stesso Napoleone III.

Partendo per l'Italia, l'Imperatore non gi� in un documento diplomatico questa volta, ma in un proclama all’armata e al popolo, in cui versava tutto il suo cuore, l'Imperatore diceva che bisognava che l'Italia fosse libera sino all’Adriatico. I Italia doveva esser resa a se stessa, gl'Italiani dovevano divenire un popolo amico.

Siffatte espressioni son'esse abbastanza nette? L'Imperatore volea l'Italia a se stessa, egli proclamava la sua unit�. Or bene! Che trovereste voi di sorprendente che questo voto fosse oggi compiuto, che noi restituissimo all’unit� italiana questa piccola particella che ancor le manca, Roma e il suo territorio? Oh! Io so che mi si sta per dire: E Venezia? Venezia mancher� ancora all’unit� italiana. Io non accetto l'obbiezione.

Notatelo bene! Le nostre truppe non sono a Venezia!

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Se le nostre truppe fossero a Venezia, a Mantova, a Verona, noi domanderemmo colla stessa energia che queste possessioni fossero restituite all’unit� italiana. Sventuratamente, esse non vi sono, e perci� non v'ha luogo d’occuparsi di tal quistione. Ma la nostra bandiera � a Roma; la citt� e il territorio sono sotto la nostra salvaguardia. Non evvi, da parte nostra, alcunch� di strano a chiedere che cessi una volta questo fatto anormale.

Signori, se nel proclama dell’Imperatore che or ora vi ho letto, la parola di unit� non � formalmente espressa, si pu� dire ch'essa stava nel suo cuore, e che le � sfuggita dalla penna, ma che l'idea v'� tutta.

Leggete un altro proclama, quello che fece l'Imperatore dopo la battaglia di Magenta, alla sua entrata in Milano.

Egli promette agl’Italiani che non vi sar� alcun ostacolo alla manifestazione dei leggittimi lor voti, e gli impegna a profittare della fortuna che a loro si presenta. Gli spinge ad unirsi in uno so'o scopo, la liberazione del loro paese. Egli dice loro: �Oggi non siate che soldati; domani voi sarete i cittadini liberi d'un gran paese.�

L'idea dell’unit� pu� esser ella pi� nettamente espressa?

Se gli abitanti di Roma, col fucile da una mano, e questo proclama dall’altra, si fossero recati nel 1859 sui campi di battaglia della Lombardia, non avrebbero eglino ubbidito alla voce d’un gran sovrano? Quando, pi� tardi, gl'Italiani, con questo proclama da una mano e nell'altra la lor tessera di voto in favor dell’Italia una e di Vittorio Emanuele, corsero alle urne del suffragio universale, non seguirono essi i consigli di Napoleone III entrante vittorioso a Milano?

E oggid� qual'� la situazione?

Roma sta nelle nostre mani; noi siamo gli arbitri della questione romana. Dalla condotta che terr� la Francia in quistione siffatta dipende il pi� o il meno di calma dell’Italia.

Se noi restiamo a Roma, quest'agitazione prender� proporzioni pericolose. Chi l'arrester�? Chi distrugger� l'unit� italiana? Non v'ha per far ci� che gli austriaci o noi. Quanto al farvi l’affronto che voi poteste aver l'idea d’un intervento austriaco io neppure vi penser�, perch� so rispettare i miei avversarii.

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Noi qui siamo tutti Francesi, n� havvi un solo de' miei contradittori, di quelli che combattono con pi� energia le opinioni radicate nel mio cuore, il qual pensi un solo istante di abbandonar l'Italia alle armi dell'Austria.

La Rochejaquelein. No, ci� � impossibile.

Il principe Napoleone. Ma infino questa situazione � impossibile, fa duopo finirla. Essa � intollerabile per l’Italia, per la Francia, per l'Europa. E mestieri calmare le agitazioni. Volete vederle scomparire? Sgombrate Roma. Senza di questo, voi non calmerete l’agitazione italiana. Lo stato quo sarebbe un'irritazione permanente, una perpetua emozione.

In presenza di questa effervescenza generale, avete voi riflettuto alla posizione dei nostri bravi soldati a Roma in un giorno forse poco lontano? Farete voi dei nostri soldati i gendarmi di un potere condannato... (rumori) condannato dalla storia?

No, no.

Per risolvere questa situazione la quale � impossibile che possa durare pi� a lungo il principe Napoleone dice: secondo me, eeco quello che dovrebbe fare il governo:

Dovrebbe prima di tutto stipulare nettamente tutto ci� che � necessario per assicurare al Papa l'onore, la dignit�, l’indipendenza spirituale.

Ci� fatto, sar� d’uopo che il governo dell’Imperatore notifichi a Roma quello che crede poter fare per la indipendenza spirituale del S. Padre, e, le coscienze in tal guisa rassicurate, che le nostre truppe sgombrino Roma.

Il Papa allora rester� in presenza del suo popolo; e nel caso in cui le passioni suscitassero nella citt� eterna torbidi compromettenti per la sicurezza del S. Padre, diamogli l'assicurazione che, se lo chiede, dei soldati italiani sapranno difenderlo.

La Rochejaquelein. Certo una guardia capitanata da Garibaldi. (Bis�)

Il princ. Napoleone. Se il Papa sar� solo in presenza dei Romani, decider�. Se lascia Roma, sar� senza dubbio una sventura, sar� la causa di un gran turbamento per le coscienze; ma ho fiducia che sar� un turbamento provvisorio.

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Ci� che chiedo � che l'Imperatore si decida; ne � ben tempo. La questione � matura; fu dibattuta, � mestieri giudicarla.

Ho piena fiducia che la quistione italiana si risolver� nel senso dell’unit�, che la soluzione non potr� essere sotto Napoleone IH diversa da quella che lo fu sotto Napoleone I, cio� la separazione dello spirituale dal temporale, e che l’ombra ed il genio del grande Imperatore ispireranno le decisioni del suo successore.

Il march. De Buissy dice che la politica di evacuazione piacerebbe certo in alcune regioni, ma sarebbe una politica poco felice, e non si deve consigliarla al governo.

Il pugnale vi potrebbe entrare appena ne esce la spada.

Lasciaremo Roma, ma chi ci surroga? — La rivoluzione; ma la rivoluzione porterebbe seco inevitabilmente la guerra.

De Royer. Spetta al governo di rispondere ai principii esposti dal principe Napoleone; ma la commissione sente il bisogno di entrare in alcuni particolari del modo col quale fu concepito il paragrafo del progetto d’indirizzo.

Dopo alcune osservazioni dei Cardinali Mathieu e Donnet prende la parola il

Signor de Royer, membro della commissione: Signori, dopo i passati dibattimenti il Senato � giustamente impaziente di sentire la parola del governo rispondere con piena autorit� allo studio storico s� assoluto e inesorabile del principe Napoleone. La parte di chi parla in nome della vostra commissione � pi� ristretta e pi� semplice. Vi spiego il pensiero pi� schietto e pi� completo della commissione.

Il paragrafo del progetto d’indirizzo � un insieme; esso � il riassunto esatto, fedele, sincero d’un appreziazione attenta e coscienziosa dei documenti posti sotto gli occhi della commissione dal governo dell’Imperatore. Un insieme � indiviso. Lasciarne una parte per riferirsi esclusivamente ad un'altra, non � avere la nostra opinione.

Il paragrafo dell’indirizzo dell’anno scorso fu il punto di partenza nel paragrafo attuale. Noi persistiamo nelle nostre convinzioni, come l'Imperatore persiste nella sua politica.

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L'oratore, dopo aver letto il paragrafo dell’Indirizzo dell’anno scorso, aggiunge: Ecco i principii cui si riferisce l'indirizzo del 1862. Ma v'ha un nuovo fatto che non si poteva dimenticare, il riconoscimento del regno d’Italia. Ci� pu� forse indebolire la vostra fiducia nel governo dell’Imperatore? No, essa non fu mai pi� opportuna, mai meglio giustificata. Ecco quello che volle attestare l'indirizzo.

Nel discorso imperiale � detto che la Francia riconobbe il regno d’Italia, conservando la speranza di conciliare due cause, il cui antagonismo allarma profondamente le coscienze.

Ma a ci� vi sono due ostacoli; le pretese smodate dell'una delle parti; la resistenza inflessibile dell’altra.

L'indirizzo biasima le prime, perch� il movimento italiano vuol giungere a Roma, prima che le due cause in lotta siano conciliate, prima che sia assicurata l'indipendenza della Santa Sede. L'unit� � fatta provvisoriamente senza Roma e Venezia. Per Venezia bisogna arrestarsi in faccia ad esigenze internazionali, e per Roma in faccia all’interesse cattolico, che � pure una grand’esigenza internazionale.

L'indirizzo accenna pure la resistenza inflessibile dell’altra parte. Interpellata colle lettere dell’11 gennaio al march. Lavalette, s'essa rimaneva inflessibile, o se accettava la necessit� della situazione, rispose che il Papa, salendo sul treno e i cardinali prima della loro nomina, s'impegnano con giuramento a nulla cedere del patrimonio di S. Pietro.

Forse che nei termini assoluti di questa risposta non vi si vede uno di quei rifiuti estremi di cui parla l'indirizzo, e che la commissione non biasima, ma solo ne mostra rincrescimento?

Quanto al giuramento � questo il caso d’invocarlo? si dimentica che Pio VI ha firmato il trattato di Tolentino ed abbandonato Avignone alla Francia?

Questo giuramento data da Pio V, e da Innocenzo XI, ed esso fu imposto, non per motivi politici ma per mettere un termine alle cessioni di porzioni di territorio alle famiglie dei Papi, non per impedire cessioni come quella del trattato di Tolentino.

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Sotto Leone X nel 1515 Parma e Piacenza furono cedute nel modo stesso; solo per salvare la dignit� del Papa fu convenuto, ch'egli non rimetterebbe direttamente queste citt�, ma che ne ritirerebbe le sue guarnigioni, che scioglierebbe le popolazioni dal loro giuramento, e permetterebbe cosi di ricevere le truppe francesi. Perch� ora si risponde con uno di quei rifiuti estremi per cui manifesta il suo rincrescimento il progetto di indirizzo?

Ecco come si giustificano i termini di pretese smodate e di rifiuti estremi. Essi furono posti nell’indirizzo per agevolare all’Imperatore lo scopo a cui tende. Qual � questo scopo? La conciliazione di sentimenti estremi, la conciliazione fra l'indipendenza e la dignit� del Papa. Questo doppio scopo risulta da tutti i dispacci.

La Commissione doveva forse proporre una soluzione? Noi essa doveva rinnovare le sue proteste dell’anno scorso, e, per far ci�, doveva provocare le spiegazioni categoriche, complete dei commissari del governo; � ci� che ha fatto.

Gli avversarii del progetto si pongon da diversi punti di vista; gli uni combattono le parole rivolte al Piemonte, gli altri quelle rivolte alla Santa Sede; questi vogliono la continuazione dell’occupazione di Roma, quelli ne domandano l'evacuazione completa.

Evacuar Roma sarebbe incontrare in ci� che l'Imperatore volle evitare, sarebbe consegnare il Papa alla rivoluzione, e nessuno in Francia il vorrebbe; sarebbe un compromettere nel tempo stesso l'indipendenza italiana.

Il Papa, signori, usc� due volte di Roma in circostanze memorande, e due volte vi rientr�. Vedemmo un'epoca gloriosa per la nostra storia, in cui fu astretto a lasciar Roma; vennero i giorni dei nostri rovesci, e vi rientr�. Nel 1818 n'era uscito di nuovo, ma la Francia vel ricondusse o l'Imperatore volle manlenervelo.

Imitiamo la gloria, non gli errori del passato. L'opera dell’Imperatore � la conciliazione di due interessi che si erano creduti inconciliabili, figli vuole l’Italia libera, ed a' suoi fianchi il Papato indipendente, migliorato da certe riforme e coperto dai benefizii che esso avr� procurato all’Italia.

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Il conte Bourqueney, membro della commissione:

Si chiese il mantenimento del paragrafo in discussione, ma dopo la redazione di questo paragrafo le circostanze sono rimaste le medesime?

L'espressione severa, a mio avviso, giusta, colla quale si qualificano le pretensioni immoderate del nuovo regno Italiano, giunger� a proposito, in piena crisi ministeriale, in presenza di un ministero rovesciato, di un ministero da costituirsi quando la rivoluzione � una minaccia per quello che se ne va e quello che arriva?

Quanto a Roma, la sua situazione � sempre la stessa?

I rifiuti estremi non si trovano essi in faccia a soluzioni estreme, soluzioni che vi furono sviluppate test� da un eloquente oratore?

Io chiedo se noi possiamo esprimere il nostro malcontento per il rifiuto di Roma di entrare in trattative sulle nostre ultime proposizioni, senza essere edificati perentoriamente su questo punto, cio� che la sovranit� del Papa sul territorio di S, Pietro resti e rester� sempre fuori di tutte le soluzioni. (Viva approvazione).

L'onorevole oratore non crede che stabilendo nettamente la quistione si crei un imbarazzo per l'Imperatore. Nei negoziati difficili nulla assicura pi� il successo di un accordo leale sin dal principio, non gi� su ci� che si tratta di ottenere, ma su ci� che � interdetto di chiedere (Applausi).

L'oratore finisce dichiarando che il voto pre o contro dipender� dalle spiegazioni pi� o meno precise che verranno date dal governo. (Applausi)

Billault. Il governo comprende che in una quistione che tocca cos� davvicino le coscienze, gli spiriti siano profondamente preoccupati. Ma nello stesso tempo il governo non comprenderebbe che per giudicare il presente e per apprezzare l'avvenire, gli uomini gravi, gli statisti non sentissero che il passato impegna il presente e domina l’avvenire.

Osserver� primieramente che le grandi potenze hanno riconosciuto che in presenza di sentimenti diversi, d’influenze contraddittorie, ogni negoziato sarebbe inutile. Riconobbero egualmente l'impossibilit� di ricorrere alla forza.

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Tale era il punto di partenza nei primi mesi dell’anno scorso. Una parola adesso di quanto sopravvenne dopo.

Veggo sovente fuori di questo recinto calunniare le intenzioni del governo e apporgli intenzioni che non ha mai avuto. Uu governo forte non cangia mai principii e non si lascia sviare dai clamori al di fuori. Chiedo che si giudichi la politica del governo dai fatti. Esso aveva risoluto di aspettare, ogni cosa rimanendo intatta, vale a dire l'indipendenza dell’Italia da una parte, e la dignit� della S. Sede dall’altra. Che fece nelle tre grandi circostanze? La prima si posa in cospetto de' nostri obblighi col S. Padre. L'imperatore aveva detto che il Papa aspetterebbe con tutta sicurezza l'esito della crisi a Roma e che vi rimarrebbe sostenuto dalla mano della Francia. Questa precisa dichiarazione � sempre nello intenzioni dell’Imperatore. Ecco il primo fatto che si present� in questa situazione, due potenze cattoliche comunicarono le loro preoccupazioni al governo francese proponendogli di trovare d’accordo una soluzione. Il governo prese in considerazione questa offerta, e checch� siasi detto in contrario, essa non offendeva la sua dignit�, la sua grandezza.

Debbo soggiungere che nelle sue relazioni con noi l'Austria adopera una perfetta lealt�, e le parole di uno scrittore straniero citato a questa tribuna non potrebbero riverberare sul governo austriaco. L'Imperatore, pi� volte attaccato dai fogli austriaci, ebbe dal governo austriaco le pi� splendide riparazioni. La proposta delle potenze fu dunque presa in serio esame. Abbiam fatto osservare che ci era impossibile di consacrare la creazione di una specie di diritto cattolico internazionale, che nei trattati non si poteva discutere di potere temporale, e che se un congresso dovesse riunirsi per esaminare la quistione, tutte le potenze, anche quelle non cattoliche, avevano diritto di sedervi. Quindi facemmo appello al principio del nonintervento, che, applicato all’Italia, � la garantia della pace dell’Europa. Finalmente pregammo le due potenze a considerare se le loro memorie, se i legami che le univano a famiglie sovrane sbandeggiate da suolo italiano, non le trascinassero, loro malgrado, ad idee che potessero offendere i nostri principii.

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Fatte queste riserve, ci unimmo colle potenze in un punto, cio� che il sentimento del governo dell’imperatore era il mantenimento della situazione attuale del papato, e che non poteva associarsi ad alcuna combinazione che non garantisse l'indipendenza della S. Sede. Le potenze riconobbero la forza dei nostri argomenti, e l'Austria rimettendosi alla saviezza della Francia, si mostr� pronta ad associarsi alla medesima per mantenere dei principii che erano l'egida dell’incivilimento.

Il secondo episodio � il riconoscimento del regno d’Italia. Esso fu determinato da esigenze di primo ordine: censurammo parecchi atti del Piemonte, ma notevoli interessi ci spinsero a sposare un partito. Non parlo d'interessi materiali. La situazione dell’Italia che poteva essere compromessa dalla demagogia, a cui il governo monarchico resiste con tanta pena, il vuoto che lasciava Cavour, gl'imbarazzi che si suscitavano contro il nuovo regno, ci spinsero a riconoscerlo.

Ma il governo si spiegava francamente. Esso non approvava ci� che si era fatto, non dava incoraggiamento ad alcuna impresa contraria al diritto europeo, e nel caso che l'aggressione procedesse dall’Italia, non prometteva ne appoggio, ne concorso. La quistione di Roma era riservata. L'Italia comprese questa situazione e accett� con riconoscenza.

Ecco una terza circostanza: il governo italiano cercava una combinazione per sottrarsi a suoi imbarazzi; desiderava che Roma divenisse la capitale dell’Italia, per liberare la parola del suo re, soddisfare i voti delle sue assemblee. Sperava che il piano proposto risolvesse questa quistione, ma non riander� questa cosa di cui vi sono noti i termini. Il governo non ne ebbe che indiretta comunicazione.

Il governo rifiut� di farsi intermediario di una proposta che non riguardava n� opportuna, n� accettevole. (Benissimo) In conseguenza, o signori, il passato domina e spiega il presente.

I. Imperatore non ha abbandonato alcuno dei principii che ha difeso sinora: vuol sempre l'indipendenza dell’Italia e della Santa Sede.

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So bene che la soluzione del problema � difficile e in questo momento impossibile. Dunque vedremo ci� che consiglia la politica.

Non bisogna dissimularsi che la situazione � irta di pericoli. A Roma, due giorni sono, v'ebbe in presenza de' nostri soldati una manifestazione silenziosa, ma notevole. l’ha una crisi da cui possono scaturire deplorabili conseguenze. In Italia v'ha un sordo lavorio sovversivo che pu� scoppiare do un momento all’altro in commozione terribile. Vi sono ancora degli esaltati che credono l'Italia possa fare da se. Ignorano che nulla possono senza l'aiuto della Francia. L'armati piemontese, certamente valorosa, lo ha provato, ma ingrossata da gente senza organizzazione, come potrebbe resistere alla tattica di una grande armata?

Conosciamo i pericoli che minacciano l'Italia; una spedizione insensata, che potrebbe trovare un eco negli spiriti esaltati di Francia porrebbe l'incendio all’Europa. Come si eviteranno questi pericoli? In questa dilicata quistione noi non volemmo cominciare da Torino, ma usando i debiti riguardi ci rivolgemmo al S. Padie. Non abbiamo seguito un sistema, ma dicemmo alta Corte di Roma; le cose non possono cos� durare. I pericoli pi� grandi minacciano il trono pontificio. Noi siamo liberi da impegni. Che volete che noi facciamo? Abbiamo ricevuto un assoluto rifiuto. Siamo dunque in presenza di una negativa assoluta e in presenza di un Re che per bocca de' suoi ministri e delle sue assemblee s'impegn� a dar Roma per capitale. Che fare?

Vi sono tre partiti: reazione violenta per restituire alla S. Sede i territorii che le furono tolti; evacuazione di Roma lasciando il papato a tutti gli eventi che possono nascere da una tal crisi; attitudine consistente a non isgomentarsi n� delle cieche resistenze, n� delle pretese immoderate, ed attendere dalla ragione pubblica, dal tempo, dalla Provvidenza una soluzione che verr� indubitatamente.

Dimostra l'oratore che non � possibile il primo partito pei noti principii del non intervento, e crede inutile far conoscere come non si possa applicare quello dello sgombro di Roma,

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perch� sarebbe lo stesso che abbandonare i principii professati dalla Francia, mentire al passato e produrre avvenimenti che potrebbero trascinare l'Europa ad un intervento forzato in Italia.

Siccome il principe Napoleone sostenendo la tesi dello sgombro di Roma diceva che tale sarebbe pure l'idea dell’Imperatore, Billault dice essere i ministri senza portafoglio che portano il pensiero dell’Imperatore ed averne egli stesso ricevuto oggi la missione speciale. Del resto, egli dice, non occorre rammentare tutti gli antecedenti, i quali provano che le due politiche non si rassomigliano punto.

L'onorevole oratore disse che l'unit� italiana � sempre stata nel pensiero dell’Imperatore. Certamente l'Imperatore non vuole si distrugga ci� che si � fatto in Italia nel senso dell'unit�, ma � impossibile il sostenere che da principio egli abbia voluto l'unit� italiana, quale alcuni la concepiscono oggi. L'Imperatore non voleva che la liberazione dell’Italia, egli voleva la Confederazione sotto la Presidenza del S. Padre: egli diceva in un proclama datato da Valeggio: Una Confederazione riunir� nel medesimo fascio tutti i figli di una stessa famiglia.�

Dunque l'Imperatore, portando il suo vessillo in Italia, non era per sollevare questo pericoloso problema dell’unit� italiana, ma per liberare i popoli, per mantenere i sovrani, per togliere l'Italia al giogo dell’Austria.

L'Imperatore non ottenne il suo scopo, di che egli rammaricavasi al ritorno dalle sue vittorie, ma se l'Imperatore non � stato compreso dai popoli e neppure dai sovrani, non dipese da lui il vincere le difficolt� che si opposero a' suoi desiderii; bisogna che questa guerra d’Italia non serbi le apparenze d’un'impresa, le cui conseguenze non fossero state calcolate; bisogna che la storia proclami il pensiero che l'ha ispirata: riunire i popoli della penisola italiana in un'unit� di libert� e di affrancamento pi� facile ad effettuarsi che l'unit� attuale. (Benissimo! benissimo!)

Ritorno ora al discorso dell’illustre oratore che prese la parola nell'ultima seduta; egli diceva:

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�Che dovrebbe dunque fare il mio governo? Stipulare anzitutto ci� che si richiede per l'indipendenza spirituale del S. Padre, per l'onor suo, per la sua indipendenza finanziaria e di qualunque altra natura... Ci� fatto, e queste basi non ho da indicarlo a questa tribuna, gli uomini di Stato debbono ricercarle nel loro gabinetto....�

10 dico non essere indifferente il conoscere tali basi, perch� questo � anzi il punto essenziale della discussione. Queste basi, bisogna dirle, e quel che posso affermare, � che esse non saranno quelle del Barone Ricasoli. Non ho da spiegarmi a questo proposito.

Il ministro cita pure le parole del principe quando diceva che soldati italiani saprebbero difenderlo nel caso che sorgessero tentativi energici e soggiunge: Sono essi soldati italiani che difenderanno il S. Padre e la sua situazione, oppure questi soldati rappresenteranno il governo di Vittorio Emanuele? Bisogna saperlo, perch�' bisogna portare la responsabilit� non pure della propria parola, ma ancora dei proprii atti. (Benissimo!)

Ecco dunque, frattanto, il Papa collocato di fronte al suo popolo. Nello stato di effervescenza in cui trovansi Roma e l'Italia, l'insurrezione � certa. Per un governo che sa prevedere l'avvenire, la tiara non � protetta a Roma che dalla bandiera francese; il governo temporale del Papa non pu� durare; se noi sgombriamo Roma, questo governo cado e la sua situazione spirituale � in pari tempo trascinata via.

Il Papa allora lascier� Roma. I illustre oratore dice bens� che sarebbe ci� una grande sventura, ma che l'unit� d’Italia no uscir� trionfante; quanto a me per� ne dubito. Posto che noi sgombriamo Roma senza le debite precauzioni, la rivoluziono scoppier� co' suoi ardimenti, ma colle sue violenze, colle sue virt� forse, ma co' suoi delitti.

Io suppongo ancora che il Papa e i cardinali fuggano da Roma senza che sia loro fatto alcun male; ma se i malvagi che si mischiano a tutti i movimenti popolari venissero a colpire i prelati della Corte romana,

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se le loro mani non si arrestassero nemmeno davanti a S. Santit�, credete voi che la Francia e l'Imperatore non ne avrebbero la responsabilit�? k Bravo! Applausi)

Possiamo noi dimenticare che da dieci anni d'ingratitudine, � vero, ma di grandezza pel sovrano della Francia, la corte romana non � protetta che dalla nostra bandiera?

Supponete d'altronde che il Papato sia in esiglio; credete voi che esso non susciterebbe delle turbolenze? Voi avreste acceso per un secolo forse la face della discordia. (Benissimo)

Ammetto, tuttavia, che il Papa in esiglio sia impotente, che non abbia l'intenzione di turbare l'Europa. Forsech� le potenze cattoliche le quali ci proposero di proteggere il S. Padre, avranno abjurate le loro convinzioni?

Noi siamo a doma in violazione del principio di non intervento: con qual diritto diremmo noi alle altre potenze: Noi non proteggiamo pi� il papato, ma vi proibiamo di proteggerlo. (Benissimo! applausi ripetuti)

Il governo imperiale non crede cos� facile una soluzione; esso desidera delle modificazioni, non vuol nulla precipitare. Esso dice ai partiti: Bisogna transigere; � necessario, quand'anche si dovesse aspettare.

Vediamo, d’altronde, se la transazione sia impossibile. Quanto al Piemonte, esso � certamente assai impegnato; tuttavia � saggio e dichiara formalmente che nulla vuol fare se non d’accordo colla Francia ed accetta tutti i negoziati che saranno condotti sotto la sua influenza.

Se gli uomini di Stato trovassero una combinazione ragionevole, io non esito a credere che il governo italiano l'accetterebbe dall’Imperatore. I popoli hanno riconoscenza a quelli a cui debbono la loro libert�. Ma il grande ostacolo � a Roma. Tutte le nostre corrispondenze ci mostrano il governo d'una tenacit� invincibile. Non parlo del S. Padre e della sua infallibilit� in materia di domina; parlo del suo governo temporale e della sua fallibilit� evidente. Questo miscuglio d'infallibilit� nel domina e di fallibilit� nelle cose temporali d� agli uomini di Stato del governo di Roma una rigidit� difficile a spiegarsi; ma saranno essi sempre sordi alle lezioni dell’esperienza?

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L'oratore rammenta l’offerta fatta da principio alla corte di Roma di dare un governo laico alle Legazioni stanche di cinquant'anni di occupazione straniera, quindi l'offerta che nel corso degli avvenimenti si fece, di abbandonare quella porzione di territorio ed aver il restante garantito; in seguito la terza offerta del Vicariato, e finalmente quella di garantire l'indipendenza della S. Sede, mentre una lista civile somministrata da tutte le potenze cattoliche assicurerebbe al padre dei fedeli una situazione conforme alla sua dignit�, e constata che a tutte queste offerte si rispose sempre negativamente.

Il ministro Billault deplora questa resistenza ostinata e cieca ad offerte generose, leali, disinteressate, e cos� pratiche fatte dal governo francese, e ricorda pure come fin dal 1830, tutti i ministri francesi a Roma, quantunque portassero dei nomi illustri e non ostili alle idee religiose, constatarono quest'immobilit� assoluta che conviene alle cose della religione, non gi� a quelle della terra che non sono punto immutabili.

Il ministro cita il dispaccio, 22 luglio 1847, del sig. Rossi al sig. Guizot, il quale diceva che fra vent'anni forse non sarebbevi pi� un uomo, non un prete, non una donna che non fosse animata dal sentimento nazionale,� ed esser per conseguenza necessario di dare soddisfazione a questo sentimento. Egli potrebbe citare venti brani della corrispondenza del sig. Rayneval il quale faceva tristi profezie e tra gli altri, in un dispaccio del 14 maggio 1856, concludeva essere la catastrofe inevitabile ed il potere temporale condannato.

Quando si rammenteranno tali cose agli uomini di Stato della corto di Roma, credete voi che gli avvisi saranno sempre disconosciuti? Il venerabile Pio VI, e dopo di lui il venerabile Pio VII, cedettero dinanzi alle necessit� politiche, porzioni del territorio, senzach� la loro coscienza siasi sollevata.

Che avvenne dal principio del movimento? A Roma, si cominci� con una completa inerzia, pi� tardi si gett� una certa agitazione nelle coscienze, poscia il Santo Padre domand� di custodirsi in mezzo alle sue proprie forze combinate colle truppe napolitano, con quest'armata che dovea vergognosamente qualche tempo dopo volger le spalle dinanzi alle truppe della rivoluzione.

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Finalmente egli volle protegger se stesso colla propria armata. Si sa come vi sia riuscito, e come allora si siano viste realizzarsi le predizioni del sig. Rayneval.

Nel settembre 1860, il Santo Padre lancia nel mondo cattolico un'enciclica per reclamare il soccorso armato delle potenze, ma questo soccorso manca. Quindi egli si rassegna e aspetta.

Aspettare; ci� � bene quando si tratta degli affari spirituali; le cose di religione possono aspettare; la religione � eterna: Patiens, quia aeternus! Ma aspettare � una cattiva cosa per gli affari del temporale; la � una grande imprudenza, perch� in queste sorte di affari nulla v'ha d'immutabile: il temporale deve difendersi coi mezzi di questo mondo. (Approvazione)

I0 dico adunque che di fronte a tutta questa situazione, noi non possiamo rinunciare alla speranza di veder cedere il governo pontificio.

Oggi il Senato � chiamato a far conoscere il suo pensiero, ma � necessario che l'espressione di questo pensiero appiani, lungi dall'accrescerle, le difficolt� delle nostre negoziazioni.

Al disotto della regione elevata, ove trovasi il Santo Padre, sta la regione del governo temporale, e, bisogna ben dirlo, la regione, il mezzo ove trovasi questo governo, non ha simpatia per la Francia.

La nostra influenza ha bisogno d’esservi fortificata e sostenuta. I rapporti di tutti i nostri ambasciatori ci hanno fatto conoscere questa Roma sotterranea, i suoi raggiri, � suoi imbarazzi, le difficolt� che possiamo incontrarvi.

Il ministro cita un dispaccio dell’ambasciatore di Francia a Gaeta relativo all’effetto prodotto in questa citt� dall’annunzio del prossimo intervento francese, nel 1849: �Questa notizia non vi cagionava gran gioia. Si subiva un concorso che non erasi sollecitato, e si sarebbe preferito, in mancanza della Francia, di chiedere soccorsi a Napoli e all’Austria.�

� certo, soggiunge l’On. oratore, che ci� che chiamasi la Camarilla non ora allora in buone disposizioni riguardo alla Francia; un secondo dispaccio del 1841 mostrava il partito clericale ed ultra che contava nel suo seno la maggioranza dei cardinali e dei prelati.

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Certamente il Santo Padre si libra al di sopra di queste regioni, egli per� subisce, suo malgrado le influenze di quei che l’attorniano, le idee di questo mezzo il cui cattivo volere � sempre esistito. Ebbene I jn presenza di questi sentimenti, il vostro dovere non � egli tracciato?

Non si deve poter dire a Roma che i grandi corpi dello Stato, in Francia, sono divisi. Ci� sarebbe pericoloso e avrebbe per risultato il mantenimento dello statu quo.

Gli � che lo statu quo � cos� facile e cos� comodo, gli � s� dolce il riposarsi, in mezzo al pericolo, quando qualcuno veglia vicino a voi!

Dinanzi all’unione dei grandi poteri in Francia si creder� senza dubbio esser bene il cedere a consigli che sono dati non solo per tutelare i grandi interessi cattolici, ma per mantenere il governo della Santa Sede.

La Francia trover� forse dell’ingratitudine in ricompensa del suo attaccamento. Questo � ci� che scriveva il signor Rayneval nel 1849: a Noi versiamo il nostro sangue: non ce ne si sapr� alcun grado.� Ci� non doveva scoraggiarci. Noi sappiamo pure che abbiamo molti ostacoli da vincere. L'illustre oratore il cui discorso m'ha diggi� qui occupato, diceva l'altro giorno che colla corte di Roma, non si otterrebbe mai nulla, se non si mostrasse una vera risoluzione.

Io non andr� sin l�, constater� nullameno che nella corrispondenza diplomatica, ho trovato la prova della necessit� d’esser un po' vivi per ottener qualche cosa.

Vi ho trovato, specialmente nella parola d’un cardinale romano, finissimo, intelligentissimo, ottimo apprezzatore della politica del suo governo, un passo degno della nostra attenzione.

Esso � riportato in un dispaccio del marchese di Saint Aulatro del 20 dicembre 1832, e fa conoscere l'opinione del cardinal Bernetti, allora ministro dirigente a Roma. La secolarizzazione � inevitabile; essa verr�, un po' pi� presto, un po' pi� tardi; ma non mai il Papa la pronunzier� di buona volont�.

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Egli non decreter� mai di sua spontaneit� una misura che per i cardinali sarebbe la rovina e l’umiliazione. Piuttosto che dare una tal prova di debolezza, il Papa amer� meglio di resistere sempre.

In altri termini la politica del cardinale Bernetti, parlando di necessit� inevitabili, non era di offrire, ma d’accettare, di subire.

Non bisogna andar sin l�, non bisogna fare alla Santa Sede questa situazione; ma presentiamoci forti, uniti. 1 assenso d’un gran corpo come il Senato, di cui si conoscono i sentimenti, sar� un fatto considerevole. Quando si comprender� che il Senato, come l'Imperatore, vede pi� chiaro che il potere temporale a Roma e supplica il Santo Padre di transigere, ci� avr� un'immensa importanza.

Si � detto che bisogna troncare la quistione, ma l'Imperatore sa ci� ch'egli vuole, egli non vuole che la reazione inviluppi le provincie pontificie; egli nemmeno vuole che lo sgombro di Boma abbandoni il Santo Padre alla rivoluzione. (Viva approvazione ]

Egli vuole transigere tra duo principii; vuole che l'Italia, la qual gli deve tutto, che il Santo Padre che gli deve molto, e che la Chiesa cattolica comprendano questa situazione. Egli vuole che i fatti agiscano sulla ragione di tutti, in guisa da condurre l'Italia, la Francia, l'Europa a comprendere tutte le necessit�. Fa d’uopo che la ragione faccia la sua strada. (Benissimo! Benissimo!)

La calma, la saggezza dell’Imperatore finiranno col vincerla, siatene convinti. Non esitate a dire ci� che pensate, e non prendete per una mancanza di rispetto l’espressione netta dei vostri sentimenti.

L'oratore ricorda che non � la prima volta che un gran paese parla nettamente al Santo Padre, conservandogli sempre un profondo rispetto. Luigi XIV non parl� egli con fermezza alla Santa Sede, e prima di lui S. Luigi, colla sua profonda piet� non gli fece intendere la voce della ragione?

Non confondete, dice S. E., la libert� col rispetto, non adulate i principi, quali che siano, se volete sostenerli e render loro servizio. (Approvazione)


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L'Imperatore tien con fermezza la bandiera della conciliazione, e fa mestieri di maggior fermezza per questa lunga pazienza che per soluzioni affrettate (Benissimo! benissimo!)

Non vi dividete; nulla v'ha di irrispettoso in questo linguaggio che tenete, in questo linguaggio che riguarda cos� da vicino la pace del mondo. Non divisione, non separazione! Votate questo paragrafo nel suo complesso, votatelo ad unanimit�, e siate sicuri che questa votazione agir� efficacemente sulle difficolt� temporali.

Questo discorso fece una grandissima impressione.

Quindi fu adottato l'indirizzo.

Il governo francese non volendo lasciare il Senato sotto la forte impressione delle parole del principe imperiale, fece dichiararvi dal ministro Billault, che la politica espressa dal principe, come la conclusione immediata ch'egli accennava, non erano conformi alle vedute del governo dell’Imperatore; tuttavia mentre il discorso del ministro fu stampato solamente nel Moniteur des communes, quello del Principe fu sparso in 200 mila esemplari, e distribuito nei dipartimenti.

S. M. Vittorio Emanuele s'affrett� di ringraziare per telegrafo il suo illustre genero del discorso ch'egli aveva pronunciato. Il re ringraziava il principe a nome di tutta la nazione italiana, e gli dava sicurezza che il suo discorso aveva contribuito potentemente ad accrescere le simpatie, che per tante ragioni l'Italia nutriva verso la Francia.

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APPENDICE AL CAPO IX

DOCUMENTI DIPLOMATICI

sottoposti al Senato, e al corpo legislativo Francese (1)

Il ministro degli affari esteri al sig. duca di Gramont ambasciatore dell’Imperatore a Roma.

Parigi l'8 Giugno 1801

Signor Duca, gli ambasciatori d'Austria e di Spagna mi hanno indirizzato le communicazioni, di cui troverete qui unita la copia, e che concepite in termini presso che identici, hanno per oggetto di chiamare la sollecitudine del governo dell’Imperatore sulla critica situazione della Santa Sede, e di offrirle il concorso dell’Austria e della Spagna per pensare ai mezzi di mettere il Papato al coperto da nuove perturbazioni e di assicurare la sua indipendenza.

Come voi non mancherete di notarlo, sig. Duca, queste due Note non si spiegano d'altra parte ne sulle condizioni che nell'opinione dei gabinetti di Vienna e di Madrid sarebbero necessarie per guarentire la sua indipendenza, n� sui mezzi che converrebbe usare per raggiungere l'intento indicato.

(1) Non abbiamo aggiunto alla presente appendice le due note dei Signori Thouvenel e De Lavalette, che fanno parte del presente capitolo, come la lettera del Cardinale Antonelli.

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Il governo di Sua Maest�, prima di rispondere alle negoziazioni che se gli erano offerte, ha dovuto rendersi un conto pi� esatto della situazione e delle conseguenze che potrebbero derivare dal concerto a cui era invitato. Ora a suo parere non vi sono che due ipotesi ammissibili:

La prima consisterebbe a non tenere verun conto degli avvenimenti compiuti, cio� che le potenze cattoliche regolassero tra di loro gli affari di Roma, fuori dell’Italia e senza sua partecipazione. Ma che altro � un tal sistema se non se l'intervento militare con tutti i suoi pericoli, col pericolo quasi certo della pace generale, insomma con tutte le complicazioni, la cui gravit� e durata sono egualmente incalcolabili? Il governo dell’Imperatore non potrebbe, per ci� che lo riguarda, dar la mano ad un componimento che aprirebbe la via a siffatte eventualit�.

Nella seconda ipotesi, la sola ai nostri occhi che si presenti con un carattere veramente pratico, si ammetterebbe la partecipazione dell’Italia, si entrerebbe in negoziati col governo che oggid� la rappresenta, e lo Potenze cattoliche riunirebbero i loro sforsi comuni per condurre lo stabilimento e la consolidazione di un ordine di cose che potrebbe dare alla sicurezza e all’indipendenza della Santa Sede le guarentigie di cui ha bisogno, e che non sono meno desiderate dal governo di Sua Maest�, che dai gabinetti di Vienna e di Madrid.

Si � con tale intento, Signor Duca, che io ho indirizzato al signor principe di Metternich e a S. E. il Signor Mon la risposta di cui vi unisco qui copia. Voi vi compiacerete di ispirarvi delle stesse considerazioni, nel caso che vi si desse l'occazione di spiegarvi intorno alla doppia comunicazione che ci fu indirizzata da parte dell’Austria e della Spagna.

Firm. THOUVENEL

582

A questo dispaccio vanno annessi il dispaccio dell’ambasciatore di Spagna e quello dell’ambasciatore d’Austria al sig. Thouvenel, ambedue colla data del 28 di Maggio 1861, e la risposta del sig. Thouvenel, in data del 6 di giugno, a questo dispaccio. Questi tre documenti sono conosciuti. Ecco ora la risposta del duca di Gramont alla nota precedente del sig. Thouvenel.

Il duca di Gramont

al signor Ministro degli affari esteri.

Roma, il 22 giugno 1861

Sig. Ministro. Ho comunicato a Sua Eminenza il Cardinale Segretario di Stato il dispaccio di V. E. al signor conte di Rayneval per annunziargli che Sua Maest�, accogliendo la dimanda che il re Vittorio Emanuele gli aveva fatto in una lettera autografa, aveva risoluto di riconoscere questo Sovrano come Re d'Italia.

La Corte di Roma era gi� da qualche giorno informata di questa importante risoluzione e delle riserve che accompagnano il riconoscimento del nuovo regno. Ho la soddisfazione di annunziare a Vostra Eccellenza che essa � stata apprezzata al Vaticano con uno spirito di moderazione e di giustizia, a cui sono lieto di poter rendere testimonianza.

Non si potea sperare che il primo Ministro di Sua Santit� accogliesse la comunicazione che io era incaricato di fargli, senza entrare in una discussione retrospettiva degli avvenimenti compiuti per rilevarne l'illegalit�. Ma io credo di riprodurre esattamente il pensiero che mi venne espresso dal Cardinale Segretario di Stato, dicendo che la Corte di Roma, bench� dolente che politiche considerazioni abbiano imposto al governo dell’Imperatore il riconoscimento del regno d’Italia, apprezza per� con pari saggezza e moderazione le difficolt� e i pericoli che questa risoluzione ha per iscopo di scongiurare, e conserva una vera gratitudine per le dichiarazioni che l’accompagnano, e soprattutto pel mantenimento della protezione efficace, da cui essa � la prima a far dipendere oggid� la sua esistenza.

583

Sua Eminenza, che avea ricevuto d’altra parte la comunicazione delle Note indirizzate a Vostra Eccellenza dagli ambasciatori d’Austria e di Spagna, pareva mediocremente soddisfatta dell’incertezza della loro redazione e delle proposizioni vaghe che vi si trovavano formolate. Il Cardinale avea notato nella Nota spagnuola un disegno di guarentigia collettiva delle Potenze pel territorio attualmente posseduto dalla Santa Sede. Ora, non solamente, diceva egli, la Santa Sede era risoluta di non aderire a guarentigie parziali del suo territorio, ma si vedrebbe ancora costretta nel caso che si stabilisse un accordo in tal genere tra le Potenze cattoliche, di protestare contro la differenza che questo atto tenderebbe a stabilire tra il territorio guarentito e il territorio non guarentito.

Firmato: GRAMONT.

 Ministro degli affari esteri

al signor marchese di Cadore, incaricato d’affari di Francia

a Roma

Parigi, il 6 luglio 1861

Signore, ho letto con una soddisfazione, che mi compiaccio di qui esprimervi, la relazione in cui il signor Duca di Gramont ai ha reso conto dell’abboccamento, che aveva avuto col Cardinale Antonelli intorno al riconoscimento del titolo di Re d’Italia. Il Segretario di Stato di S. S. accolse la communicazione dell'ambasciatore di S. M. in termini, che ai nostri occhi hanno tanto maggior pregio, in quanto che il Papa stesso si � compiaciuto d’incaricare il Duca di Gramont di portare in suo nome all’Imperatore parole d’amicizia e di gratitudine. Questo disposizioni attestano la saggezza, con cui la Corte di Roma, davanti alla gravit� degli avvenimenti, comincia oggid� ad apprezzare le difficolt� della nostra politica.

584

Ma se rendiamo omaggio a questi sentimenti, abbiamo per� il dolore di constatare una volta di pi�, che lo stesso buon senso e la stessa moderazione sono sgraziatamente lungi dall’inspirare alcuni Prelati posti alla testa del Clero francese e che la loro stessa posizione sembrerebbe dover preservare da certi trascinamenti (entrainements) contrarii al carattere, di cui sono rivestiti. Il vescovo di Poitiers ne diede un nuovo esempio in un sermone da lui pronunziato teste il giorno della festa di S. Pietro.

Mi giova credere che il Sovrano Pontefice, inspirandosi a considerazioni, che naturalmente suggeriscono i principii di rispetto e d’autorit�, di cui esso � il primo custode, non vedr� con indifferenza somiglianti assalti diretti da un vescovo contro la persona d'un augusto sovrano. Non abbiamo noi soprattutto il diritto di maravigliarci in veder questo prelato evocando le memorie della persecuzione del principe degli apostoli sotto il terzo Erode, andar cercando fin nel soccorso materiale, che noi prestiamo al Santo Padre, un testo di accuse contro Sua Maest�? Ma noi ce ne appelliamo al Papa stesso; forsech� il venerabile successore di S. Pietro si crede prigioniero all’ombra della nostra bandiera, e pensa che facendo la guardia alle porte della sua capitale i soldati di Napoleone III opprimono la sua libert�?

Attacchi s� ingiusti, eccitazioni cos� appassionate uscito dalla bocca di un vescovo sono d’una natura troppo seria, perch� non sia dovere del governo di S. M. di pensare al mezzo di porvi un termine nel duplice interesse della sua dignit� e della pubblica pace, di cui � responsabile. Per ci� che mi riguarda, io considero come uno do' miei doveri pi� stretti d'invitarvi a spiegarvi francamente su questo punto, domandando al cardinale segretario di Stato se l'Imperatore, agli occhi del Papa, � considerato come un persecutore o come un protettore della Santa Sede.

Vi compiacerete, o signore, di parlare a S. Eminenza il cardinale segretario di Stato nel senso delle osservazioni che vi ho indicate, e gli lascierete copia di questo dispaccio.

Firmato: THOUVENEL.

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La corrispondenza diplomatica relativa agli affari d'Italia comincia col dispaccio del sig. Thouvenel in data del 15 di giugno al sig. conte di Rayneval, incaricato d’affari di Francia a Torino, con cui annunzia il riconoscimento del Regno d’Italia. I nostri lettori conoscono gi� cos� questo dispaccio come la risposta del barone Ricasoli in data del 21 di giugno. Noi riprodurremo gli altri dispacci, seguendo l'ordine adottato nel libro giallo.

Il Ministro degli affari esteri

agli agenti diplomatici dell’Imperatore.

Parigi, il 18 giugno 1861

Signore... Il governo dell’Imperatore � stato condotto ad adottare relativamente all’Italia una determinazione, di cui io credo necessario di ben precisare con voi i motivi ed il valore.

Non ho nulla ad apprendervi sulle ragioni che aveano provocato l'interruzione delle nostre relazioni col gabinetto di Torino. Gli avvenimenti che si sono succeduti indi in poi, non potevano recare alcun mutamento ai nostri giudizi. Tuttavia la

nostra attitudine dava luogo a conghietture cos� nocive alla conservazione dell’ordine in Italia, come al ristabilimento della confidenza nel mantenimento della pace. Abbench� le eventualit� che si temevano pel cominciamento di quest'anno fossero state prevenute, in grazia dell’accordo delle Potenze e della fermezza spiegata in questi ultimi tempi dall’eminente ministro che dirigeva il gabinetto di Torino, l'Europa stessa si risentiva di questo stato di cose, che non era estraneo alle incertezze della situazione generale.

Gi� da qualche tempo avanti la morte s� dolorosa del sig. Cavour, noi ci avevamo fatto una domanda che si presentava al nostro spirito con un carattere d'urgenza ognor pi� manifesto: noi avevamo domandato a noi stessi se potevamo ancor lungamente differire il riannodamento delle relazioni diplomatiche con un paese, a cui tanti interessi ci uniscono. Noi non eravamo legati a questo riguardo da alcun impegno colle altre potenze.

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Anzi noi ci demmo la cura di riservarci su tal punto una completa libert� di azione, e avevamo segnatamente fatto conoscere tutto intiero il nostro pensiero alle grandi Corti del continente in seguito all’abboccamento di Varsavia. Il governo dell’Imperatore poteva dunque secondare liberamente le serie considerazioni che gli consigliavano di riconoscere il governo italiano.

Noi ci proponevamo tuttavia di subordinare il nostro riconoscimento alla questione romana, cio� di apporvi condizioni che ci permettessero di ritirare le nostre truppe da Roma in un avvenire pi� o men prossimo, senza dover temere nuove perturbasioni. Noi intendevamo di far dipendere la nostra risoluzione definitiva dalle guarentigie di sicurezza, che ci sarebbero offerte pel territorio lasciato al governo Pontificio, ed eravamo disposti ad entrare in trattative col gabinetto di Torino per ottenere preventivamente da lui un aggiustamento che rispondesse, in ci� che riguarda la posizione della Santa Sede, alla sollecitudine che il governo di S. M. non ha cessato di dimostrarle.

Ma la morte del sig. Cavour, lasciando nella Penisola un vuoto cos� favorevole alle agitazioni dei partiti, appena compresse dal suo ultimo successo parlamentare, crea una situazione la cui gravit� � stata compresa in tutta l'Europa. Davanti a simili conghietture, il governo del Re Vittorio Emanuele correva pericolo di vedersi furare le mosse, e l'anarchia che ne sarebbe il risultato, potrebbe avere per la pace le pi� funeste conseguenze. Un tale stato di cose, anche quando non avesse per effetto immediato il provocare la guerra, lasciando libero il corso a quelli che dichiararono in tante occasioni di voler prenderne l'iniziativa, diverrebbe necessariamente una sorgente di difficolt� e di complicazioni estremamente incaglianti per le Potenze e tali da dividerle profondamente.

Noi crediamo di seguire una via pi� conforme agl'interessi dell’Europa, come a quelli dell’Italia e della Francia, contribuendo, per quanto � da noi, ad imprimere un'altra direzione agli avvenimenti; e volendo soddisfare alla doppia necessit� che s'impone alle nostre provincie,

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il governo dell’Imperatore si � deciso di separare la questione di Roma da quella del riconoscimento del Re d’Italia, affine di ristabilire immediatamente le nostre relazioni col gabinetto di Torino. Io l'informo della risoluzione di Sua Maest� per la comunicazione qui unita; ma in pari tempo le fo conoscere che le truppe francesi continueranno ad occupar Roma. In questa comunicazione del resto io non ho mancato, limitando il valore della nostra determinazione, di stabilire bene che essa non suppone in alcun modo l'approvazione di una politica, di cui in altro tempo abbiamo biasimato gli atti. Non si appartiene che all’avvenire il giudicare sull’ordinamento pi� atto a fissare i destini della Penisola.

Ma lasciando al tempo la cura di preparare e di far accettare soluzioni che non potrebbero riunire le condizioni della stabilit� e della durata, se esse non sono il risultato delle riflessioni, dell’esperienza e del libero giudizio degli Italiani stessi; egli importa di scongiurare, o di attenuare, almen quanto � possibile, i pericoli della situazione presente e di recare il pi� efficace appoggio alla politica della pace, che le Potenze si sforzano di far prevalere. A motivo della posizione della Francia, tanto i nostri doveri quanto i nostri interessi sono pi� particolarmente indicati in questa crisi, e si � questo pensiero che determinaci governo dell’Imperatore a riconoscere fin d’ora il Re d’Italia.

Firmato THOUVENEL

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Il Ministro degli affari esteri

al signor conte di Rayneval a Torino

Parigi 26 giugno 1861

Signore, essendosi sparsa la voce che il governo dell’Imperatore cercava di ottenere la cessione dell’Isola di Sardegna, ho creduto di dover invitare il nostro console a Cagliari a pigliare tutte le occasioni per ismentire questa asserzione. l’invio qui unito, per copia, il dispaccio che scrissi su questo argomento �l sig. Gorsse, e di cui potrete fare l'uso che giudicherete conveniente.

Firmato THOUVENEL

Annesso al dispaccio del 26 giugno a Torino

al signor Console di Francia a Cagliari

Parigi, 44 giugno 1861.

Signore, avrete notato la voce che si � da poco sparsa un'intenzione che avrebbe il governo dell’Imperatore di ottenere la cessione della Sardegna, e che si giunse persino a pretendere che agenti francesi scorrevano l'Isola per preparare le popolazioni all’annessione del loro paese alla Francia. Noi dobbiamo dunque altamente smentire cos� strane asserzioni che tendono a spargere sospetti sulla nostra lealt�; e vi prego di pigliare dal vostro lato tutte le occasioni che vi si presenteranno per impedire che esse sieno pi� lungamente propagate nella vostra residenza. Queste voci, essendo state riferite dai corrispondenti di giornali di Londra, procurate di spiegarvi in modo chiarissimo, non s� tosto ne avrete l'occasione opportuna, tanto, col vostro collega d’Inghilterra, quanto colle autorit� locali.

Firmato THOUVENEL.

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Il Ministro degli affari esteri

agli agenti diplomatici dell’Imperatore

Parigi 4 luglio 1861

Signore, il gabinetto di Torino ha risposto, come sapete, al dispaccio, con cui gli annunziavamo che il governo dell’Imperatore era disposto a riconoscere il Re d’Italia. Le spiegazioni, in cui il barone Ricasoli credette di dover entrare, non potendo alterare il senso delle dichiarazioni che siamo decisi a prendere per regola della nostra condotta, nulla pi� ostava che il governo di Sua Maest� facesse pubblica la sua determinazione. Questa fu quindi pubblicata nel Moniteur del 26 giugno, e con ci� pigli� un carattere definitivo.

Noi crediamo poterci rallegrare del giudizio che se ne fece ia Europa. I gabinetti come la pubblica opinione l’hanno generalmente considerata come favorevole alla conservazione della pace; e in tal modo venne specialmente considerata a Berlino. Non abbiamo avuto che da lodarci de' sensi di moderazione, con cui il governo russo si � espresso. Anche il linguaggio del gabinetto di Vienna fu soddisfacente. Non potevamo darci a credere di farlo partecipare alle nostre opinioni sullo stato di cose in Italia; ma esso rese piena giustizia, e con essolui il governo Pontificio, alle dichiarazioni con cui abbiamo accompagnato a Torino il riconoscimento del re Vittorio Emanuele, come altres� al mantenimento delle nostre truppe a Roma. Quindi la risoluzione del governo dell’Imperatore ha trovato dappertutto, secondo la differenza delle posizioni e dei principii, l'accoglienza che avevamo desiderato, anche col� dove non potevamo aspettare che essa fosse considerata al punto di vista in cui ci siamo posti.

Firmato: THOUVENEL.

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Il Ministro digli Affari esteri

al signor conte de Rayneval a Torino

Parigi, il 22 luglio 1861.

Signore, voi conoscete le mene che, secondo il gabinetto di Torino, si organizzerebbero a Roma collo scopo di sostenere e propagare i disordini di cui le provincie meridionali dell’Italia sono il teatro. Ho trasmesso al marchese de Cadore le informazioni datemi dal conte di Gropello. Ma se noi giudichiamo conforme al nostro dovere di opporci a dimostrazioni preparate all’ombra della nostra bandiera, noi consideriamo che non siamo meno tenuti a far notar al governo italiano l'emozione cagionata dalle misure dl'rigore attribuite ai comandanti delle provincie meridionali. Il barone Ricasoli ha un sentimento troppo alto delle obbligazioni che assunse accettando la direzione del governo italiano, e comprende troppo bene quanto importi il rispettare la coscienza pubblica, per non ammettere con noi che egli � urgente di pensare a mezzi atti a svincolare la responsabilit� del gabinetto che presiede, dalle accuse di cui sarebbe l'oggetto, se le violenze che sono rimproverate ai comandanti delle truppe italiane da essi commesse sugli abitanti innocenti, fossero lasciate impunite.

Firm. THOUVENEL.

Il conte di Rayneval

Al Ministro degli affari esteri

Torino, 25 luglio 1861.

Signor Ministro, ricevuto il dispaccio che Vostra Eccellenza m'ha indirizzato sotto il num. 28, mi recai dal barone Ricasoli, e, dopo avergli fatto conoscere confidenzialmente, che Vostra Eccellenza avea test� inviato al sig. de Cadore istruzioni relative alle mene, di cui Roma, era, dicesi, il focolare, gli comunicai le osservazioni che il governo dell’Imperatore

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credeva suo dovere di presentare al gabinetto di Torino, a proposito degli atti di crudelt� attribuiti a taluni dei comandanti delle truppe italiane nelle provincia meridionali. Il presidente del Consiglio, pregandomi di ringraziare assai Vostra Eccellenza degli ordini che aveva mandato alla legazione dell’Imperatore a Roma, si fece premura di rispondermi riguardo alle violenze feroci, di cui i generali italiani erano accusati; che nella sua convinzione non eravene un solo tra essi che fosse capace di averle ordinato; che il fatto dei contadini fucilati, perch� erano stati trovati portatori di qualche tozzo di pane, era evidentemente tratto dalla Storia di Napoli del Colletta per essere imputato all’esercito italiano, laddove quella storia lo rinfacciava al generale Manhes incaricato nel 1810, di reprimere il brigantaggio nelle Calabrie; che tuttavia il gabinetto aveva prescritto al generale Cialdini di dare subito spiegazioni riguardo alle atrocit� che si diceva essere state commesse dalle truppe poste sotto i suoi ordini; che il Governo del Re finalmente avendo in orrore eccessi non meno inumani che barbari, che si raccontavano, li punirebbe rigorosamente nel �aso che veramente avessero avuto luogo.


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CAPO X

SOMMARIO

I. DIMISSIONE IN MASSA DEL MINISTERO RICASOLI — IL COM. URBANO RATTAZZI � NOMINATO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO — COMPOSIZIONE DEL NUOVO GABINETTO — APPELLO ALLA CONCILIAZIONE — GARIBALDI � INVITATO A RECARSI IN TORINO — L'EX-DITTATORE PROMETTE IL SUO APPOGGIO AL NUOVO MINISTERO — ADUNANZE DELLA SOCIET� DETTA DI PROVVEDIMENTO TENETE A GENOVA — GIUDIZI DELLA STAMPA ITALIANA SU QUESTE ASSEMBLEE — L'AGITAZIONE PRODOTTA DA QUESTE IN TUTTI GLI SPIRITI SI ESTENDE FINO NEL PARLAMENTO — IL GENERALE GARIBALDI � INCARICATO DI RECASSI A FONDARE NELLE PRINCIPALI CITT�' D’ITALIA LE SCUOLE DEL TIRO NAZIONALE — II. LA QUESTIONE ROMANA PROSEGUE SEMPRE AD AGITARE GLI SPIRITI A PARIGI, CAGIONANDOVI NUOVE TURBOLENZE — DISCUSSIONE DEL PARAGRAFO DELL’INDIRIZZO RELATIVO ALLA QUESTIONE ITALIANA NEL CORPO LEGISLATIVO DI FRANCIA — DISCORSI DI GIULIO FAVRE, DEL BARON DAVID, DI KELLER, E DEL MINISTRO BILLAUT — LETTERA AUTOGRAFA DELL'IMPERATORE NAPOLEONE AL RE VITTORIO EMANUELE — III. L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA M. DE LAVALETTE DOPO AVER PRESENTATO OFFlCIALMBNTR LE SUE CREDENZIALI, DOMANDA UN CONGEDO PER RECARSI A RENDER CONTO VERBALMENTE A PARIGI DELLO STATO DELLA QUESTIONE ROMANA

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— ARRESTO DI RENAZZI, VENANZI ED ALTRI ACCUSATI DI FAR PARTE DEL COMITATO NAZIONALE ROMANO — IL PAPA IN UN DISCORSO CHE TIENE NELLA OCCASIONE CHE SI RECA ALLA CHIESA DELLA MINERVA PER LA FESTA DELL’ANNONZIAZIONE IL 25 MARZO, PARLA DELLA QUESTIONE DEL POTER TEMPORALE — TESTO DI QUESTO DISCORSO.

CAPO X.

I.

La situazione politica del Governo italiano diveniva, come noi l'avevamo accennato ai nostri lettori in un precedente Capitolo, di giorno in giorno pi� difficile in guisa da rendere inevitabile la caduta dell’attual ministero. Se il Gabinetto Ricasoli non aveva ancora interamente perduto la fiducia e l'appoggio della Camera, questa fiducia e quest'appoggio era ben lungi dall’esser pieno e sincero; ed il Presidente del Consiglio trovandosi a fronte d'una maggioranza indecisa e tentennante, piuttosto che muovere i lamentio recriminazioni, prefer� di abbandonar nobilmente il suo posto a colui che aveva pi� fondata speranza di arrivare al componi mento di un ministero completo e pi� simpatico al paese. Infatti quando il Barone Ricasoli rispondendo alle interpellanze del deputato Giovanni Lanza espose al parlamento i motivi delle dimissioni che tanto egli che i suoi colleghi avevano rimesse nelle mani del Re, e che questi aveva accettate, le sue parole furono accolte con vivissimi applausi che partivano indistintamente da tutti i banchi della Camera.

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Il giorno 2 Marzo a sette ore di sera il Re Vittorio Emanuele chiam� presso di se il Com. Urbano Rattazzi presidente della Camera dei deputati, e gli diede l’incarico di formare un nuovo Gabinetto; ci�nostante sua Maest� ond’essere pi� sicura d’andar d’accordo col Parlamento, avrebbe preferito che dal Ministero Ricasoli fosse stata proposta prima di offrir le dimissioni al Parlamento la questione ed il voto solenne di fiducia.

Si narr� in tal circostanza, che il Re dovendosi recare a Milano in quella stessa sera, e prima che il nuovo Ministero fosse stato formato, domandasse al Baron Ricasoli, da quale degli antichi ministri avrebbe potuto farsi accompagnare col�, e che essendo stato nominato dal Presidente del Consiglio il ministro Cordova, il Re dopo aver riflettuto un istante, decise di differire la sua gita a Milano dopo la completa formazione del nuovo ministero; poi rivolto al Baron Ricasoli nell'atto che questi chiedeva di ritirarsi dalla sua presenza, gli disse — Io penso che ciononostante noi rimarremo sempre amici — alle quali parole l’ex ministro cos� rispose — Sire, la mia amicizia per la Maest� Vostra non pu� che aumentare in ragione del bene che Voi farete all’Italia e del vigore che porrete nel fare osservare le leggi.

La dimissione in massa del ministero fu attribuita a' varii motivi, dei quali i principali erano l'ostilit� del Peruzzi contro Cordova, le spiacevoli parole pronunciate dal Cordova a carico dei popoli della Toscana nella discussione sul tipo delle monete, e lo scacco sofferto dal Bastogi innanzi al Senato e pel quale era stato gi� costretto ad offrir la propria dimissione. Finalmente l'appoggio che aveva dato il Barone Ricasoli ai Comitati di provvedimento sperando di ottenere il concorso della sinistra, aveva provocato il malcontento delle Potenze e particolarmente del Governo Francese in modo che assicuravasi, aver dichiarato l'Imperator Napoleone in una lettera al Re Vittorio Emanuele, che egli non prenderebbe risoluzione alcuna intorno alla questione Romana, finattanto che fosse rimasto al potere il Ministero Ricasoli.

596

Tali motivi erano pi� che sufficienti a far cadere quel ministero, ma oltre di questi la crisi che lo travagliava durava da troppo lungo tempo, ne poteva pi� permettergli di ricominciare una esistenza normale; tanto pi� che se eragli riuscito di conservare il potere cos� lungamente, ci� doveva alle galvaniche scosse di cui gli era benigna di tanto in tanto la maggioranza della Camera.

Il nuovo Ministero chiamato dal Re a governar lo stato, e presieduto dal Com. Urbano Rattazzi, sembrava offrire al paese solide garanzie d’ordine e di progresso, perch� se da una parte era appoggiato dalle simpatie del Re e di Garibaldi, dall’altra non gli venivan meno quelle delle Potenze, e specialmente della Francia. Questi sono i nomi dei Ministri che componevano il nuovo Gabinetto;

Presidenza del consiglio ed affari esteri — commendatore Urbano Rattazzi dep.

Interno interim Rattazzi. Guerra — generale Petitti, dep. Marina — conte Persano, viceammiraglio, dep. Finanze — Quintino Sella, dep. Lavori pubblici — Agostino Depretis, dep. Grazia e giustizia — commendatore Filippo Cordova, deputato.

Agricoltura e commercio — marchese Gioacchino Pepoli, deputato.

Istruzione pubblica — commendatore Mancini, dep. Ministro senza portafoglio — Nazzari, senatore del regno.

I nuovi ministri prestarono il 1 Marzo alle 11 il giuramento nelle mani di S. M. il re, all’infuori del marchese Pepoli, il quale era assente da Torino.

Una riunione della sinistra, che ebbe luogo il & Marzo, fu certamente una delle pi� importanti di tutte quelle che precedettero la costituzione del primo Parlamento italiano. � evidente, in fatti, che la persistenza del ministero caduto a conservare il potere, quando non aveva per appoggio che un simulacro di maggioranza, obbligava l’opposizione di sinistra a un esame delle vere cause che avevano rovesciato l'antico ministero e fatto sorgere il nuovo.

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Ci� che si chiama opposizione di sinistra, nei governi parlamentari, fa un officio, presso a poco simile a quello della Camera alta, Senato o Camera dei pari; soltanto questo ufficio � posto all’altra estremit� del bilico costituzionale.

In Italia specialmente questa situazione � tanto meglio delineata e il paragone tanto pi� giusto, che se tutti non sono d’accordo sui mezzi, l’immensa maggioranza, l’unanimit�, dovremmo dire, della nazione, concorre allo stesso scopo.

Questa riunione della sinistra aveva dunque per iscopo di esaminare quale dovea essere il contegno da prendersi dinanzi al nuovo ministero; e, diciamolo in tutta verit� i membri della sinistra, senza dimenticare un solo momento, n� i principii che difendevano, ne la loro dignit� politica, decisero ad una immensa maggioranza tra loro di astenersi da ogni atto di opposizione al nuovo ministero, finch� esso avesse agito; e che se per una tattica qualunque, una parte dell’antica maggioranza cercasse di provocare qualche voto di sfiducia contro il gabinetto Rattazzi, la sinistra non vi si associerebbe.

Un'altra questione che forse ispiratori esterni avrebbero vola to rendere grave, occup� la riunione. Trattavasi di sapere se la sinistra riconoscesse o negasse che la caduta d'un ministero, il quale sembrava avere lino ad un certo punto una certa maggioranza, fosse un atto conforme ai principii del governo costituzionale. Dopo una seria discussione, la riunione decide che quanto era avvenuto era perfettamente costituzionale, e che se la quistione fosse pubblicamente sollevata alla Camera, la sinistra dovrebbe sostenere la completa regolarit� di ci� che era avvenuto.

L'attitudine che prendeva cos� la sinistra della Camera era la pi� degna e la pi� conveniente che avrebbero potuto desiderare i pi� ardenti amici del nuovo ministero.

Quest'attitudine della sinistra parlamentare era stata determinata dall’appello alla conciliazione fatta dal capo del nuovo Gabinetto d’accordo col Re, il quale nulla pi� desiderava che di profittare del cambiamento del Ministero per ravvicinare i diversi partiti nell'interesse della patria.

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Per concorrere a quest'opera di politica concordia era stato chiamato da Caprera ed invitato a recarsi in Torino il general Garibaldi. Giuntovi infatti il giorno 4 ebbe con Rattazzi un lungo colloquio, in seguito del quale promise il suo leale e sincero appoggio al nuovo ministero. E per prima prova del suo buon volere il capo del Gabinetto lo preg� di vegliare, onde le riunioni dei Comitati di Provvedimento, che dovevano aver luogo il giorno 9, non abusassero soverchiamente del suo nome, e della libert� illimitata d’associazione proclamata ultimamente dal Barone Ricasoli. Garibaldi promise di seguire le intenzioni del Ministero, e di secondare con ogni sua possa le mire del governo.

Onde i lettori possano formarsi un retto giudizio degli elementi e del programma del nuovo Gabinetto, noi porremo sotto gli occhi dei medesimi gli estratti dei pi� rilevanti giornali su tal soggetto.

Si leggeva nell’Opinione:

Il ministero � adunque costituito, ma non completo.

Soddisfa esso la nazione? Corrisponde all’aspettazione dei paese?

Ne dubitiamo.

L'onorevole Rattazzi ha voluto formare un ministero geografico. Ci� � evidente, e noi non gliene diamo carico, potendo parer ancor conveniente che sino a tanto che l'unificazione amministrativa non sia compiuta in ogni parte, tutte le grandi Provincie italiane siano rappresentate nel gabinetto.

De' ministri si contano cinque piemontesi, un emiliano, un napoletano, un siciliano. Si era detto che sarebbe stato nominato un ministro senza portafoglio, il sig. Nazari, con che si sarebbero raggiunti due intenti, l'uno di aver un senatore nel gabinetto, l’altro che vi fosse rappresentata anche la Lombardia.

Ma n� il Senato poteva esser pago di questo tributo di ossequio, n� le Lombardia contenta di questa dimostrazione.

La Lombardia � indifferente che vi sia o no un suo concittadino. Quando l'onorevole Jacini � uscito dal gabinetto, la Lombardia non ha mostrato il menomo malumore, anzi non ha tolto al ministero Cavour la sua fiducia, ne la sua simpatia.

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Ma non vi troviamo una nobile provincia. Dov'� la Toscana? Questa generosa Toscana che ha avuto tanta e s� larga ed onorevole parte ne' nuovi destini d’Italia, che ieri ancora aveva tre principali ministri nel gabinetto italiano non vi � pi� rappresentata.

Avrebbe torto chi dall’assenza dell’elemento toscano, volesse dedurre che il nuovo gabinetto esprime una reazione contro quell’elemento. L'onorevole Rattazzi non � ne per carattere ne per indole tratto ad una politica s� meschina. � anzi noto aver egli cercato a suo collega qualche toscano, e corse voce che il portafoglio di grazia e giustizia fosse stato offerto al senatore Poggi.

Ma il non aver trovato un toscano che accettasse l'invito, � un fatto che non pu� passar inosservato, � un fatto che attesta come la Toscana non sia favorevole al gabinetto Rattazzi e si senta profondamente offesa dal modo col quale � stata prodotta e risoluta la crisi.

L'inconveniente che gi� si osservava nel ministero precedente ricompare nel nuovo gabinetto.

Il sig. Rattazzi ritiene i due pi� importanti portafogli, degli affari esteri e dell’interno. Ammettiamo che egli ricerchi e desideri di affidar ad altre mani quello dell’interno; ma frattanto il male non si � potuto riparare, e gravi difficolt� debbono aver impedito che egli trovasse un collega per l'interno.

Si leggeva nella Gazzetta del popolo,

L'opinione pubblica generalmente ha fatto buon viso al nuovo Ministero, che dee quindi mettersi all’opera con piena convinzione di poter fare il bene.

Esso per altro non deve lusingarsi di non avere grandi oitacoli da superare, e i primi gli saran forse creati da una parte di quei membri dell’antica maggioranza, che in sostanza negando a Ricasoli un appoggio esplicito e valido, furono cagione ch'egli dovesse pensare a ritirarsi.

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La maggioranza antica � ampiamente rappresentata nello attuale gabinetto; lo sarebbe ancora di pi� se avesse voluto. E noi stessi siamo dolenti di non vedere un portafoglio in mano anche a Farini.

Ma per Rattazzi era condizione di vita o di morte riuscir subito a comporre il ministero.

Egli non era in facolt� di aspettare, o infatti perch� la sera stessa in cui fu chiamato dal Re non present� il ministero bell’e fatto, i suoi avversari cominciarono a menarne trionfo.

Rattazzi in una parola � stato condannato a far presto, alvo a ritoccare col tempo le mende che aver pu� l'opera sua.

Del resto, se nemmeno questa nuova prova valesse a riunire in un fascio forte e compatto le frazioni parlamentari del gran partito nazionale, incomberebbe al nuovo gabinetto un grande, sebbene doloroso dovere.

No, ne il governo, n� il Parlamento debbono lasciarsi perire di marasmo, di quel marasmo di cui pur troppo gi� vedevasi lo squallido spettacolo.

Il nuovo gabinetto a peggio andare dovrebbe ricorrere allo sperimento pericoloso, ma in certi casi inevitabile, delle elezioni generali.

Davanti alla scissura dei partiti l'appello alla Nazione sarebbe l'unico rimedio possibile.

Spetta alla maggioranza di evitare questa estrema necessita.

N� ci� diciamo certamente nell’intento d’impaurire taluno col fantasma della non rielezione.

Ben sappiamo che ogni deputato � superiore a qualsiasi considerazione di questa natura, o che solo l'interesse della patria � presente alla mente, al cuore d’un rappresentante del popolo.

�Ma appunto in nome di questo supremo interesse della Nazione, noi scongiuriamo ogni frazione del gran partito nazionale di unirsi, di lasciare in disparte ogni quistione personale, ogni pettegolezzo.

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Si leggeva nel Diritto.

�Il sig. Rattazzi non pu� lusingarsi di aver creato un gabinetto di coalizione, come taluno pretende. Esso non racchiudo infatti alcun importante elemento dell’antica maggioranza, e l'adesione del deputato che presiedevate riunioni della sinistra, viste le condizioni nelle quali � avvenuta, non basta a raccogliere quella sinistra intorno al nuovo ministero.

�Il sig. Rattazzi, che cangiando dopo poche ore il portafoglio nelle mani del Cordova, ha mostrato di essere persuaso della giustizia delle cause che rendono questo uomo inviso al partito liberale di ogni graduazione, avrebbe dovuto essere pi� logico e rompere francamente ogni legame con esso.

�Non lo fece; e forse nol pot� fare. Della sua concessione non rimane perci� che la parte che rivela la debolezza del concedente, il fondamento che hanno le antipatie dell’opposizione, la rivelazione di nuove difficolt� che attorniano il presidente del consiglio, e un brutto presentimento per l'avvenire.

Si leggeva nella Monarchia Nazionale.

�La Perseveranza vorrebbe far credere che il nuovo ministero appartiene quasi esclusivamente al centro sinistro. Questo non � punto vero. Nel nuovo ministero figurano gli onorevoli Sella, Persano, Mancini, Petitti, i quali tutti appartengono alla maggioranza. Del centro sinistro sarebbero solo gli onorevoli Rattazzi e Pepoli. Ma qui � da notarsi che il centro sinistro, nel voto importante degli undici dicembre, si confuse con la maggioranza, e che, dopo quel voto, i suoi pi� autorevoli membri presero ad intervenire alle riunioni della maggioranza. Poscia la maggioranza s'and� sfasciando a poco a poco, per modo che da ultimo una parte si era chiarita recisamente avversa al gabinetto e decisa a rovesciarlo senza indugio; un'altra, anche sfavorevole, ma desiderosa di ritardare ancora la crisi; una terza infine risoluta di sostenere a qualunque costo il ministero.

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�In questo stato di cose il gabinetto dava le sue dimissioni. Non restava allora che formare un ministero di conciliazione. Intorno a questo si sarebbe poi raccolta una forte maggioranza, se il nuovo gabinetto sapesse guadagnarsi coi suoi atti il generale suffragio. Questo fu, crediamo, il concetto politico, dal quale prese le mosse il Rattazzi nell’adempiere al mandato affidatogli dalla Corona. Avvertasi ai nomi dei nuovi ministri, e si vedr� essere sommamente ingiusto il dire che il nuovo ministero esprima un sentimento di esclusivit�; mentre esso rappresenta agli occhi di tutti una generosa conciliazione.

�Un altro giornale vuole giudicare il nuovo gabinetto dal suo programma. A noi pare pi� giusto il dire che s'aspetti almeno a giudicarlo dai suoi atti. Il programma nazionale � uno solo: ordinarsi costituirsi e prepararsi. Ossia per parlare pi� esplicitamente. unificare l'amministrazione, riordinare la finanza, armare con vigoro, coltivare abilmente le alleanze e le amicizie, indirizzandole sempre alla costituzione stabile e definitiva d’Italia. Questo � il programma, cos� della nazione, come del nuovo gabinetto.

�Il dissenso tra le varie parti in Italia non � tanto nel fine quanto nei mezzi. Per esempio il programma del barone Ricasoli era il nostro. DifTatti noi abbiamo aderito al di lui gabinetto appena venne costituito, e l'abbiamo sostenuto per qualche tempo confidando di vedere alle parole succedere atti corrispondenti. Ma sventuratamente avvenne il contrario. Il ministro Ricasoli venne meno alle sue parole, e si mostr� inferiore al suo ufficio. La stampa indipendente cominci� allora ad ammonirlo. Ma ogni avvertimento torn� indarno. Il Ricasoli si ostin� ne' suoi errori, e perdette s� stesso e i suoi colleghi.

�Anche la maggioranza del Parlamento dapprima pose la sua fiducia nel ministero Ricasoli, ma poscia gliela ritir�, quando vide che non amministrava abbastanza, e che non governava con forza avvegnach� si lasciasse soppraffare dai partiti, che non provvedeva sufficientemente ai preparativi militari, alla finanza, alla pubblica sicurezza, e che da ultimo nella quistione di Roma aveva mostrato ottime intenzioni, ma poco accorgimento politico.

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�Qual � adunque il c�mpito del nuovo ministero? Evitare gli errori nei quali incorse il ministero che si ritira. Ma, a questo fine, egli deve prima di tutto esaminare e studiare ben bene la situazione ereditata dal ministero caduto, e poscia farne esatta e fedele esposizione al Parlamento, affinch� il paese conosca compiutamente il vero stato delle cose, e le responsabilit� siano date a chi spetta, e per ultimo indicare sommariamente le sue vedute negli argomenti di maggior rilievo. Cos� ognuno potr� farsi una esatta idea dell'ufficio che spetta al ministero attuale, e potr� chiedergli conto, con cognizione di causa, de' suoi atti futuri.

�Gli equivoci debbono essere finiti per tutti. Un'amministrazione si � ritirata, e un'altra si � formata. Ognuno deve prendere il posto che gli spetta in faccia al nuovo stato di cose. Chi assunse la grande responsabilit� di governare il paese nelle presenti condizioni, ha diritto di essere secondato e sorretto nei suoi primi passi, salvo a combatterlo in seguito ove una serie di alti lo chiarisse inetto od infedele al proprio programma. A questa norma di condotta si conformer�, crediamo, il Parlamento. Il quale avendo mostrato la massima esitazione prima di provocare una crisi rispetto al barone Ricasoli, sebbene parecchi mesi d’esperienza a ci� consigliassero, ha implicitamente riconosciuto doversi tenere gli stessi modi con qualunque gabinetto che nelle presenti circostanze fosse per succedere a quello del Ricasoli.

Il gabinetto Rattazzi presenta serie garanzie di ordine, di progresso e di libert�. Autorevoli uomini lo compongono. La sola Opinione non vede nel nuovo ministero uomini che abbiano presa larga parte al moto nazionale. Ma qualsiasi uomo di buona fede trover� nel presidente del nuovo ministero lo statista che fu tanta parte in quel gabinetto Cavour-Rattazzi, il quale doveva trasformare le provincie subalpine nel grande regno d'Italia, e negli altri ministri o degli intimi amici del conte di Cavour, od uomini che o coll’ingegno o con la mano diedero distinta opera al risorgimento italiano.�

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A fine di provare che il capo del nuovo Gabinetto rappresentava perfettamente la politica del Conte di Cavour, la stampa italiana pubblicava di quei giorni alcune lettere indirizzate dall’illustre ministro defonto al Conte Rattazzi suo collega nel ministero all’epoca del Congresso di Parigi del 1856 nel quale furono gittate le basi dell’indipendenza dell’Italia. No riporteremo una delle pi� interessanti.

Parigi, li aprile 1856.

Caro collega.

Ieri essendo a pranzo. dal principe Napoleone col conte Clarendon, ebbi con questi due personaggi una lunga conversa zione. Entrambi mi dissero, aver tenuto il giorno prima lunghi discorsi coll’Imperatore sulle cose d’Italia, nei quali gli avevano dichiarato cl. e la condotta dell’Austria collocava il Piemonte in una condizione talmente difficile, che era una necessita l'aiutarlo ad uscirne. Lord Clarendon disse schiettamente che il Piemonte poteva essere condotto a dichiarare la guerra all’Austria, e che in questo caso sarebbe stata una necessit� l'assumere le suo parti. L'imperatore parve assai colpito, rimase sopra pensiero, e manifest� la volont� di conferire meco. Io spero di poterlo fare capace dell’impossibilit� assoluta di rimanere nella condizione che ci vien fatta dalla condotta ostinata e provocante dell’Austria. Conoscendo le sue simpatie per l'Italia e per noi, e la necessit� di agire, lo far� colla risoluzione e la fermezza che tanto lo distinguono. Se il governo inglese professa i sentimenti di lord Clarendon, l'appoggio della Gran Bretagna non ci far� difetto. Questo ministro, incontrando Buol dall’Imperatore, gli disse: Voi gettate il guanto all’Europa liberale; pensate che potr� essere raccolto, e che vi sono potenze che quantunque abbiano firmata la pace, sono pronte e vogliose di ricominciare la guerra� Discorrendo meco dei mezzi di agire moralmente ed anche materialmente sull’Austria, gli dissi: mandate alla Spezia i vostri soldati sopra legni da guerra, e lasciate ivi una vostra flotta.

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Mi rispose tosto: l'idea � ottima. Il principe Napoleone fa quanto pu� per noi. Dimostra apertamente la sua antipatia per l'Austria; al pranzo di jeri tutti i plenipotenziarii erano invitati, meno i tedeschi. Richiesto del motivo di quest'esclusione, rispose: parce que je ne les aime pas, et que je n'ai aucun motif de cacher mon antipathie (1)

Il Congresso si raduna quest'oggi, e forse ancora mercoled�. Gioved� partir� per Londra, ove mi fermer� il meno possibile. Ma dovr� forse nel mio ritorno fermarmi por veder l'Imperatore.

Mi creda

Suo Affezionatissimo Amico

C. CAVOUR

Ecco poi in quali termini s'espresse il Com. Rattazzi, allorquando si present� al Parlamento italiano, come Presidente del Consiglio dei Ministri nella seduta del 7 Marzo;

Rattazzi presidente del Consiglio. Debbo annunziare alla Camera come io sia in questo banco. Il barone Ricasoli aveva rassegnato, per s� e pe' suoi colleghi, le dimissioni nelle mani del Re.

Il Re preg� di sospendere; ma essi insistettero. Allora incaricava me della formazione del nuovo gabin�tto. Io accettai l'incarico; e il gabinetto venne composto come ora si trova. (Nomina tutti i ministri, compreso Poggi ministro senza portafoglio). Mentre vi do questo annunzio esporr� il programma che noi seguiremo sia per l'interno, sia per l'estero.

I nostri precedenti sono abbastanza noti. La Camera e il paese, che li conoscono, sanno gi� a qual sistema ci atterremo.

(1) Perch� io non li amo e non ho alcuna ragione di celare la mia antipatia.

 

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Nell’assumere questo incarico, comprendemmo tutta la responsabilit� che pesava su noi; imperocch� si tratta della unificazione e dell’interno ordinamento del regno. L'opera � ardua e difficile, dovendosi unificare provincie che da secoli sono fra loro divise.

Non si perderanno di vista lo provincie italiane che ancora da noi sono separate; e si far� il tutto per istabilire l’unit� e l'indipendenza della patria.

Se avessimo consultato le sole nostre forze avremmo esitato, trovandoci noi in momenti difficili e gravi. Ma appunto per questo pi� imperioso sorgeva in noi il dovere di operare e di accettare l'incarico offertoci. E nell’accettare, trovammo energia nell’affetto allo Statuto, nella devozione alla monarchia e nella nostra coscienza, pronta sempre a sacrifizi per il paese.

Gravi sono i momenti; ma le forze nostre saranno sempre rivolte alla meta prefissa.

Quanto alle relazioni esterne, noi faremo in modo di non rimanere isolati dalle altre potenze. La politica dell’isolamento fatale sempre, � funestissima nei tempi eccezionali in cui viviamo; essa renderebbe impossibile il componimento dell’opera nostra.

Se il vecchio Piemonte compi� fatti tanto meravigliosi, ci� fu merc� l'accorgimento con cui si tenne in amichevoli relazioni con tutto le potenze, merc� l’energia con cui prese parte ai grandi atti della politica europea. Se tanto fece il piccolo Piemonte, che non potr� fare oggi l’Italia che ha ragione di essere collocata fra le grandi nazioni?

Nostro scopo principale sar� quello di rendere salde le alleanze colle grandi potenze, di fomentare pi� strette relazioni colle potenze illuminate, di non lasciar svolgersi nessun grave avvenimento, senza che il nostro Stato prenda rispetto ad esso quella posizione che meglio corrisponda a' suoi interessi.

Fra le alleanze pi� caro sono quelle colla Francia e coll'Inghilterra. Non dimenticheremo che al sangue sparso dai figli della Francia dobbiamo in ispecie il trionfo del nostro risorgimento; non dimenticheremo che alla Francia ci legano comunanze di razze, d’interessi.

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Non dimenticheremo infine che l'Inghilterra ci fu sempre larga di morale concorso.

Ma non dimenticheremo nemmeno che le alleanze non debbono mantenersi a scapito della nostra dignit�, della nostra indipendenza.

Le alleanze, o signori, non potranno riescire efficaci, se non quando questa dignit� e questa indipendenza saranno tutelate.

Noi lo rammenteremo, o signori. Di ci� potete essere sicuri.

Quanto alle potenze che non hanno sinora riconosciuto il nuovo ordine di cose, noi ci adopreremo ad affrettare questo atto, assumendo quel contegno politico che meglio valga a cattivarci la loro fiducia, mantenendo l'ordine e la tranquilla nel paese, dichiarando i nostri diritti, ma senza compromettere la pace del mondo.

L'atto del riconoscimento per parte di tali potenze, noi lo conseguiremo. Quest'atto sar� di vantaggio comune per le relazioni commerciali e politiche.

Quanto a Roma, il nostro programma sta nella deliberazione del Parlamento. Io non ho che a ricordare i voti emessi da questa Camera. Noi ci atterremo strettamente a questi voti: noi non ce ne scosteremo in modo alcuno.

Pel conseguimento di Roma, noi abbisogniamo di mezzi morali e di mezzi diplomatici. Un grandissimo progresso si � fatto nell'opinione. Molte coscienze, spaventate dapprima, sonosi ormai rassicurate.

Mi � grato il constatare che questo cambiamento fu grande nella vicina Francia. Basta tenere d’occhio l'andamento dello spirito pubblico di quella generosa nazione per convincersene. Se raffrontiamo le discussioni snll’Indirizzo fatto nelle Camere francesi l'anno scorso con quelle di quest'anno, avremo un'altra prova di questo fatto. Grande dev'essere la nostra riconoscenza verso il principe Napoleone, la cui parola autorevole ha cotanto influito a nostro favore nel Senato di Francia.

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Questa, o signori, sar� la nostra divisa colla Francia. — La Francia ha grande interesse a che la soluzione della quistione romana segua al pi� presto possibile. Ma, lo ripeto, noi noi� potremo andare a Roma senza il concorso della Francia.

Ma tutte queste quistioni collegansi all'interno.

Quando saremo costituiti, ordinati, attendendo tranquillamente ad unificare e coordinare le nostre leggi, la nostra voce sar� meglio ascoltata nei Gabinetti.

Nella grand’opera dell’unificazione e dell’ordinamento interno, � nostro intendimento di valerci di tutte le capacit� che aderiscano al principio dell’unit� e dell’indipendenza d'Italia sotto la Casa di Savoia.

Questo stesso spirito di conciliazione mi guid� nella formazione del Gabinetto. Non ebbi difficolt� a rivolgermi a tutto le capacit�, a stendere la mano a tutti gli eletti ingegni.

Quando si � di accordo sui due grandi principii dell'indipendenza nazionale e dello stabilimento dell’ordinamento interno, qualsiasi grave dissenso � rimosso.

Si avr� pure di mira di distribuire gl'impieghi nelle provincie, nella misura dei pesi che esse portano.

Deve scomparire ogni divisione: siamo tutti Italiani; non saprassi pi� a quale provincia apparteniamo. Non si cercher� pi� se un impiegato � napoletano o toscano; si dir� che � italiano, appunto come ora avviene nell’esercito, ove non e' � differenza di provincie, ma dove tutti sono classificati come soldati italiani.

Vengo all’ordinamento interno. Lo dico senza reticenze. io sono fautore del discentramento amministrativo, salva sempre l'unit� politica. Fui detto accentratore; ma io devo respinger l'accusa. La mia legge del 1859 prova che io non voglio accentramento. Confrontate questa legge colle altre passate, e vedrete quanto errino coloro che credono questa legge sia contraria al discentramento e all’autonomia delle provincie.

Vengo alle finanze. Nostra legge inalterabile � questa: economia la pi� severa. Si far� di tutto per sostenere il credito dello Stato.

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Faremo economia, e saremo i primi a raccomandarla alla Commissione del bilancio. Quanto al bilancio del 1863, e' impegniamo di presentarlo in tempo debito; come pure e' impegniamo di non presentare crediti supplementari, senza che questi siano giustificati da assoluta necessit�.

Le leggi di finanza che furono presentate faranno il loro corso: quelle poi che erano in via di studio saranno continuate. Si presenter� pure un quadro della situazione del Tesoro a della cassa.

Quanto all’esercito, si proceder� all’armamento della nazione, a norma delle leggi sull'armamento. Tutte le forze del paese saranno ordinate. � questo l'unico mezzo per essere rispettati. Il Governo, che trascura l’armamento, minaccerebbe se stesso.

Quanto ai lavori pubblici, dico che si continueranno quelli incominciati. Si eseguiranno particolarmente i lavori decretati nelle provincie meridionali e in Sardegna.

Si dar� alla marina il maggior sviluppo possibile. Sar� presentato il piano organico della marina militare.

Si aiuteranno l'agricoltura e il commercio con istituti di credito.

All'istruzione pubblica si dar� sviluppo colla diffusione specialmente dell’insegnamento elementare.

L'oratore confessa che l'opera � ardua; ma spera di riuscire confidando nella coscienza e nella conciliazione di tutti gli elementi. (Applausi dalla sinistra).

Lonza Far� alcuna osservazione al nuovo programma ministeriale; per� non voglio entrare nell’interno della quistione. Si discuteranno un'altra volta il programma e i precedenti del nuovo gabinetto. Devesi aspettare che la quistione sia maturata. Ora un giudizio sarebbe precipitato.

Un punto sfiorato appena dal presidente del Consiglio dimanda una spiegazione: � quello che riguarda la caduta del Gabinetto, la quale avvenne proprio in modo extraparlamentare.

Qualche cosa d’insolito ha prodotto la dimissione del ministero Ricasoli, contro il quale non fa emesso alcun voto di sfiducia.

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Qualche cosa d’insolito, ripeto, port� la dimissione del gabinetto Ricasoli. Forse questa avvenne per dissenzioni insorte nel seno del Gabinetto; il che si pu� credere, dal momento che un membro del Gabinetto antico si trova nel nuovo ministero. Forse la dimissione fu provocata da cause estrinseche; i giornali per� fanno molte supposizioni: onde la necessit� di spiegazioni in proposito, o per parie del presidente del Consiglio o del barone Ricasoli.

Queste spiegazioni faranno calmare le inquietitudini.

Ricasoli. Signori, non escir� dai fatti puramente parlamentari. La dimissione del Ministero da me presieduto giunse forse improvvisa; ma le cause che la produssero non sono ignote.

Si ricorder� la seduta dell’11 dicembre. Io chiesi un voto netto e senza equivoci. Dopo lunga discussione, si proposero due ordini del giorno.

La Camera adott� quello accettato dal Governo.

Cercai prove di quel voto di fiducia, ma non le trovai. Si venne al voto del 25 febbraio: quel voto fu solenne; ma anche quel voto fu poscia notevolmente diminuito di valore. La fiducia intrinseca non corrispondeva all’estrinseca. Si bisbigliava da tutte parti, e dicevasi che il Ministero non era omogeneo.

Nel seno del Gabinetto non vi furono che due discrepanze: una si pales� quando, presentandosi i nuovi codici, si voleva torre la pena di morte, l’altra sorse all’occasione che si tratt� del corso legalo delle monete d’oro.

Queste discrepanze per� non erano tali da dissolvere il Ministero.

Il Ministero era incompleto. Si dava voto di fiducia, perch� il Ministero si completasse; ma il Parlamento si lagnava....

M'accorsi che bisognava uscire da quella posizione, ch� io in una posizione equivoca non posso stare. Continuando nella esitanza, nulla si sarebbe fatto. Diedi allora le dimissioni al Be. Il Re suggeriva di consultar prima il Parlamento, ma io credetti insistere nella dimissione, ch� il Parlamento non avrebbe potuto togliere l'equivoco. (Lunghi e fragorosi applausi.)

Rattazzi. Le dichiarazioni del barone Ricasoli provano sempre pi� l'onest� e la lealt� del suo carattere.


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Il presidente del consiglio con pi� concise parole svolse l’identico programma da lui presentato alla Camera; quindi il senatore di Revel chiese spiegazioni tanto al presidente del consiglio quanto ai senatori che facevano parte del caduto gabinetto, sulla dimissione data dal passato ministero, appunto mentre il parlamento aveva brevissima vacanza.

Il presidente del consiglio dichiara che il fornire tale spiegazione non spettava a lui. Il senatore Menabrea ripete allora i concetti contenuti nelle parole del baron Ricasoli al parlamento aggiungendo qualche elogio alla passata amministrazione, e confermando non esservi fra i suoi membri stato dissidio che in due secondarie occorrenze. Allora il senatore Della Rovere pure conferm� ci� che dal barone Ricasoli era stato esposto alla Camera, aggiungendo per� che la passata amministrazione aveva creduto dover dare la sua dimissione, pendenti le vacanze parlamentari, per non esporsi a ricevere dalla Camera un voto di sfiducia, il quale rendesse impossibile alla Corona di nuovamente incaricare il presidente del consiglio dimissionario della formazione d’un nuovo gabinetto.

Il nuovo Presidente del Consiglio nell'atto di prender possesso del Ministero degli affari Esteri indirizz� ai suoi agenti diplomatici una circolare, della quale noi crediamo dover riportare i passi pi� importanti.

L'Italia costituita nelle sue condizioni attuali, riconosciuta come un fatto compiuto da qualcuna delle grandi potenze, pu� ora pretendere d’essere riconosciuta dalle altre, e prendere cosi la parte nel concerto europeo che appartiene senza dubbio nello interesse dell’equilibrio politico e del progresso morale ed economico alla madre patria della civilt� moderna.

�Il modo onde le popolazioni italiane, che erano abbandonate a loro stesse dopo la pace di Villafranca, si sono riunite intorno alla dinastia di Savoja, ha mostrato all’opinione pubblica in Europa che l'opera eretta dai trattati del 1815 in Italia era fondata su cattive basi, e che, dopo le scosse che l'hanno distrutta, devesi per l'avvenire astenersi da impossibili restaurazioni.

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�La pace di Zurigo pareva offrire agli uomini pi� ragione voli dell’Italia la soluzione pi� atta alle condizioni della penisola; ma il popolo nella confidenza del suo avvenire e dei suoi pericoli si prevalse della libert� e della propria iniziativa, che gli fu accordata, per protestare solennemente mediante votazioni reiterate contro forme di Stato che il senso nazionale non ha pi� voluto comprendere.

 Questa protesta � sopraggiunta, in onta ai tentativi che la potenza da cui part� l’idea d’una confederazione italiana ha impresi in modo amichevole per prepararle un'accoglienza favorevole presso le popolazioni e i principi.

�Nulla accadde di poi che potesse recare in dubbio la costanza degl'Italiani. Al contrario essi fecero prova della loro costanza e del loro desiderio d’essere uniti ed indivisibili, respingendo quel progetto di legge senza fargli l'onore d’un dibattimento parlamentare, quantunque proveniente da ministri altamente rispettati, e tendente a dividere la penisola in un numero di distretti, i cui termini sembravano coincidere coi limiti degli antichi Stati. E quando l'Italia si vide privata del grande uomo di Stato che essa pianger� sempre, i voti unanimi del popolo e del principe hanno chiamato l'uomo che combatt� pi� energicamente quel progetto, cio� il capo illustre dell’antico gabinetto, il cui primo c�mpito fu di abolire le luogotenenze generali. Tutti gli sforzi dei principi spodestati, per provocare un movimento che potesse indicare che la loro memoria non era ancor dimenticata, rimasero senz'effetto in onta ai soccorsi ch'essi trovarono, grazie all’influenza potente e organizzata e finora, sgraziatamente, ostile alla ricostituzione dell’Italia.

�Il brigantaggio, l'arma dei partiti irreparabilmente perduti, pot� inquietare alcune delle provincie meridionali, ove la conformazione del terreno sembra favorevole ai partigiani, ma non pot� per un sol giorno stabilire neppur l'ombra d’un governo; ne un impiegato, n� un ufficiale italiano. n� un solo uomo di qualche fama os� addossarsi la responsabilit� del brigantaggio.

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�Alcuni gabinetti d’Europa possono nutrire ancora qualche simpatia per la disgrazia delle dinastie caduto; ma non ve ne sar� alcuno che voglia, di fronte a tali fatti, ristabilire un ordine di cose a cui la Provvidenza chiuse il ritorno con tanti evidenti segni.

La questione di Roma occupa egualmente in alto grado gli animi dei consiglieri della Corona.

Il Re ha ricevuto dal Parlamento cos� come dalla nazione il mandato di ristabilire la nazione nella sua integrit�, e di trasferire la sede del governo nella citt� eterna, alla quale sola appartiene il titolo di capitale dell’Italia.

�Questo mandato non potrebbe esser rifiutato: la soluzione d’una tale quistione si collega alla conservazione dell’opera compiuta in Italia in seguito all’ultima guerra. I nostri alleati, che tanto contribuirono a questo successo, hanno interesse che anche da questa parte si compiano i destini d'Italia.

�Il governo non nasconde a so stesso che fra i cattolici vi sono molti che sono opposti al suo punto di vista.

�Ma essi dimenticano che il potere temporale non esiste che per la protezione che gli si accorda, e che ogni protezione � una dipendenza. L'indipendenza del sovrano pontefice, sbarazzato del potere temporale, avr� una guarentigia imperitura nel fatto che la sua libert� sar� un bisogno continuo di tutti i popoli cattolici come di tutte le potenze che lo proteggono.

�Essa ha un'altra guarentigia egualmente incrollabile Dell’interesse dell’Italia di conservare sovra il suo suolo la sede di questo potere sublime, che � al tempo stesso quella delle sue glorie e delle sue forze.

Il nostro sistema, che assicura su una vasta base la cooperazione del popolo sul quale l'autorit� religiosa esercita l'influenza pi� efficace, impedir� sempre che questa autorit� cessi d'essere indipendente. La sua indipendenza d’altra parte trae una sicurezza negativa dal principio che serve di base alla nostra costituzione, e secondo il quale il governo � al tutto incompetente in materia di religione.

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�La resistenza che Roma fa ai voti del popolo italiano non consiste in oggi nel desiderio di rassicurare la coscienza dei cattolici contro pericoli immaginare, ma di servire gl'interessi d'un partito che, straniero alla religione, cerca a questa Corte l'appoggio che le manca sul terreno politico. Da ci� risulta un altro motivo perch� questa questione sia risoluta nel nostro senso.

�Il governo reale far� tutto per raggiungere questo scopo d’accordo coll’alto alleato le cui armi proteggono il Santo Padre.

�Egli � pronto a guarentire d'accordo coi governi interessati questa preziosa libert� necessaria per l'esercizio del potere spirituale, e a regolare le relazioni della Corte romana coi popoli e i governi cattolici. Nel modo stesso e coi medesimi accordi e sotto le stesse guarentigie, egli assicurer� una dotazione perpetua sufficiente e convenevole alla dignit� del sovrano Pontefice e del Sacro Collegio, e necessaria alla conservazione delle autorit� o istituzioni della Chiesa cattolica. La libert� che abbisogna al Papa, per assicurare l'esercizio delle sue alte funzioni, ei non la troverebbe in altro luogo a cos� alto grado che nella citt� madre ur1 mondo cattolico, sotto l'egida di un governo che pi� che ogni altro � in grado di mantenergliela intatta.

�Quanto a"a questione veneta, il governo si sente abbastanza forte da impedire che questa quistione venga pregiudicata da atti che potessero turbare l'integrit� de' suoi impegni. Tuttavia non bisogna tacersi intorno ai pericoli di veder turbati a ogni momento l'ordine e la libert� del nuovo regno, per il fatto della presenza dello straniero in quelle parti cos� importanti dell’Italia. La comunanza dell’origine, del linguaggio, dei dolori, delle speranze e della gloria che lega a noi le popolazioni della Venezia, i voti espressi nel 1818, le promesse che le furon fatte nel 1859, i volontari ch'essa ci ha mandati, i suoi emigrati sparsi ora in tutte le nostre citt� e nel nostro esercito, tutto ci� rafferma i vincoli di simpatia e di solidariet� tra i Veneziani e fa Penisola in modo che giammai l'Italia libera potr� restare indifferente alle sofferenze di quel paese.

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�E a mano a mano che la nazione acquista forza, � a temere che un giorno essa rompa le catene della pazienza e cerchi di guarire del dolore che i mali d’una si nobil parte del suo corpo le cagionano. Il diritto dell’Austria sulla Venezia � distrutto dal fatto indubitabile ch'essa non pu� mantenerla che colla forza; e la forza pu�, � vero, differire la crisi, ma non impedirla. Le potenze che hanno croato un tale stato di cose, hanno il mandato d'aver cura della soluzione pacifica di questa grande quistione. Il governo reale avea il diritto di mostrar loro i pericoli che possono nascere da un ritardo troppo prolungato, e che non potrebbero esser rimossi prima che l'Italia rigenerata non abbia, mediante una revisione fondamentale dei trattati del 1815, ricuperate le sue frontiere naturali.�

. Costituito il nuovo Gabinetto, il Re Vittorio Emanuele che aveva differito il suo viaggio, per attender la fine della crisi ministeriale, part� immediatamente per Milano, dove la sua presenza era stimata necessaria a calmare le impazienze, sollevate dal partito d’azione contro la politica del governo italiano. Infatti la presenza del Re vi produsse un effetto favorevolissimo, e l'accoglienza entusiastica che gli fu fatta dai Milanesi ne fu splendida prova. Eccone il racconto:

Il giorno � poco dopo le ore dieci antim., il tuonare delle artiglierie dal bastione di Porta di Venezia annunciava l'arrivo a Milano di S. M. il re Vittorio Emanuele.

Alla stazione di Porta Nuova veniva accolto dal Prefetto di Milano, conte Pasolini, dal sindaco cavalier Antonio Beretta, e dai membri della Giunta Municipale.

Su tutta la linea percorsa da S. M., dalla stazione, pel Corso di Porta Venezia, e Corsia del Duomo, fino al Palazzo reale, stavano schierate in doppia fila la Guardia Nazionale, comandata dal generale Plochi�, e la guarnigione comandata dal generale Raccagni.

Tutta la citt� era adorna di bandiere, e la popolazione accalcata per le vie acclamava l'augusto ed amato Monarca nel suo passaggio colle grida di: Viva il Re d'Italia.

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Giunsero con S. M. da Torino S. E. il generale Della Bocca primo aiutante di campo; il cav. D’Angrogna, luogotenente generale e gran Cacciatore; il generale Petitti, ministro della guerra; il conte ammiraglio Persano, ministro della marina; e i maggiori generali, aiutanti di campo, cav. Solaroli, cav. Morozzo, cav. De-Cigala, conte San-Front, cav. Signoris.

Al corteggio reale s'aggiunsero il conte Popoli, ministro d’agricoltura e commercio, venuto da Bologna, il marchese Pallavicino, il conte Casati, il marchese Corsini, il conte Savoiroux, il conte Castiglione, il marchese Trotti e il cav. Adami, medico della regia persona.

Tutte le autorit� civili e militari, i senatori e deputati, la magistratura, la Giunta Municipale, il Prefetto di Milano e l'ufficialit� superiore furono ammessi a presentare i loro omaggi all'augusto sovrano, il quale si compiacque con le sue parola manifestare i sentimenti generosi che sempre lo inspirano per il raggiungimento dei maggiori destini dell’Italia, e i sentimenti della sua simpatia per le popolazioni di quella parte del Regno.

Alle oro 6 v'ebbe gran pranzo a Corte, al quale intervennero parecchi senatori, i deputati della citt� di Milano, monsignor proposto della Cattedrale, il Sindaco e alcuni membri della Giunta Municipale, le principali Autorit� civili, militari, giudiziarie, e il Comando della Guardia nazionale.

Alla sera S. M. onor� della sua presenza il ballo della Societ� del Giardino, che riusc� assai splendido, pel concorso che, crediamo non fu mai cos� numeroso. — Le vaste ed elegantissime sale non bastavano a capire la folla delle signore, dei signori, e degli ufficiali. S. M. vi si rec� circa allo 9, e part� alle 11 e mezzo; erano del suo seguito il generale Petitti, ministro della guerra, e l'ammiraglio Persano ministro della marina — Lo danze brillantissime si prolungarono fino ad ora tarda.

Mentre per� il Re Vittorio Emanuele calmava colla sua presenza nella Lombardia le aspirazioni smodate del patriottismo italiano, in un opposta regione del suo regno si ridestava la fiamma delle agitazioni popolari. Doveva riunirsi in Genova il giorno 9 Marzo quel Comitato detto di Provvedimento, che il Barone Ricasoli nel famoso discorso che precedette la sua dimissione,

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aveva considerato come uno dei mezzi pi� atti a ridestar lo spirito pubblico, e come punto d’appoggio, utilissimo ad un Governo parlamentare. Erano attesi da tutti i risultati di questa riunione, la quale per raggiungere il suo scopo avrebbe dovuto rassomigliare ai meetings dell’Inghilterra, dove da coloro che li compongono vengono accettate e respinte delle proposizioni che ciononostante rimangono in seguito come una semplice espressione dell’opinione d’un numero pi� o meno grande d’individui, che non hanno adotto la pretesa di rappresentar quella degli altri concittadini. Dalla lettura dei verbali delle sedute del Comitato di Provvedimento di Genova giudicheranno i lettori se lo stesso spirito dei meetings inglesi animasse quest'assemblea.

Genova 9 Marzo

La radunanza dell’Assemblea delle Associazioni liberali democratiche italiane nel teatro Paganini sotto la presidenza del generale Garibaldi, dest� un grande entusiasmo nel nostro popolo e gi� prima delle 11 la via Caffaro era stipata da numerosa folla accorsa a salutare l'illustre Generale, il quale giunse in vettura seguito dai principali fra i suoi commilitoni e da alcuni deputati dell’opposizione. Il Generale fu oggetto di caldissime e ripetute ovazioni, cosi nell’attraversare la folla accalcata lungo la strada, come al suo comparire nel luogo della riunione. Il teatro era tutto illuminato; sulle panche della platea sedevano i rappresentanti dello varie associazioni; stavano dietro a loro verso la porta d’ingresso, numerosi cittadini, ed i palchi erano pure occupati da buon numero d’invitati. Il tavolo della Presidenza, i tavoli dei segretarii e due banchi per le Commissioni erano collocati sul proscenio.

Distribuito il Progetto di Regolamento per l'Unione delle Associazioni democratiche italiane preparato dalla Commissiona eletta il 15 decembre 1861, e avendo preso posto i membri del Comitato, il Generale si lev� in piedi, e in mezzo ad un silenzio profondo pronunci� le seguenti parole:

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Io mi sento veramente fortunato — e credo che ognuno che assiste a questa Assemblea deve sentire la stessa fortuna, deve sentire la stessa soddisfazione che � quella di vedere qui riuniti i rappresentanti di un popolo libero, di un popolo che ha avuto la felicit� di vedere la sua condotta approvata dalla intera umanit�, di cui ha coraggiosamente abbracciato i principii.

�Si, io sono fortunato di trovarmi qui in mezzo ai rappresentanti dell’intero popolo italiano — abbench� le attuali circostanze non permettessero ad alcune provincie di essere rappresentate, pure abbiamo tra noi anche i rappresentanti di fratelli che abbiamo giurato di redimere (applausi prolungati.)

�Oggi il principale oggetto per cui il Comitato Centrale delle Associazioni di Provvedimento ha convocato l’Assemblea, � stato per coordinare in un solo centro tutte le Associazioni liberali. — Scopo santo che deve portarci a conseguire l’adempimento dei destini del nostro paese.

�Sono attorniato da uomini che conoscono la storia assai meglio di me, ma non fa bisogno di conoscere profondamente la storia per sapere che sono sempre state le dissenzioni fra gli Italiani la causa principale, unica dei mali della nostra patria.

�Mi permetterete quindi che faccia un plauso alla nobile idea che ha avuto il Comitato Centrale di riunire quest'assemblea per intenderci, per coordinarci.

�L'idea di riunire in uno tutti gli elementi liberali del paese, di fare una Societ� sola delle Societ� liberali tutte, credo debba meritare l’approvazione di tutti i rappresentanti che si trovano in quest'assemblea.

� Riunirsi e coordinare insieme tutte le nostre forzo � la mia opinione. —Io sono di opinione di tutto raggranellare — formare il fascio Romano, (Applausi)

�.... fascio davanti a cui s'inchineranno tutte le prepotenze.... (Applausi prolungati)

�Mi pare di avere emesso il mio concetto per ci� che riguarda il nostro paese — ho emesso od emetto ancora sottoponendolo alla vostra determinazione che il concetto d� riunire in una tutte le forze popolari si estendesse anche ad altri popoli, andasse anche oltre la penisola. (Bene, bravo, bene)

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Vorrei che gl'Italiani porgessero la mano agli schiavi del mondo intero!! (Applausi prolungatissimi).

a Resta a scegliere una denominazione che possa rendere il concetto che ho emesso.� (Bene, bravo)

Il Generale dichiar� quindi aperta la seduta.

Campanella membro del Comitato prese la parola per dire, che le parole del Generale annunzieranno all’Europa come la concordia regni nel campo della Democrazia. Mostr� come l'Assemblea � destinata a gettare le fondamenta di quelle formidabili falangi popolari che operarono i portenti del 1818, e meravigliarono ai nostri giorni colla marcia dalla Villa di Quarto a Gaeta.

A capo delle falangi deve essere il gran Capitano.

Ringrazier� i rappresentanti del numeroso concorso. Dice che fu carit� cittadina la sollecitudine a rispondere all'appello del Comitato distruggendo la speranza dei nemici i quali sperarono coll’Assemblea del 15 avere reso impossibile ogni altra riunione.

Continua a mostrare come non fosse supponibile che il Capitano del Popolo non si mettesse a capo della Democrazia. Gli uomini della Democrazia sono fermi e non cederanno mai (bene bravo), ma sanno altres� accordare alla concordia. Noi tutti vogliamo l'attuazione del Plebiscito, noi tutti vogliamo Italia Una con Vittorio Emanuele Re costituzionale.

A raggiungere questo scopo dobbiamo armarci. Non vogliamo porci in lotta col governo, vogliamo rafforzarlo quando sinceramente ed attivamente voglia l'unit�.

Egli termin� col dire che dobbiamo, nei limiti dello Statuto organizzarci ed armarci e mostrare al mondo che l'Europa non avr� pace finch� l'Italia non abbia la sua capitale. (Applausi)

Avendo egli poscia proposto che la formazione dell’ufficio di Presidenza, per ovviare ad ogni ritardo, fosse deferita al Presidente, la proposta venne approvata, ed il Generale si alz� e nomin�:

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Vice-Pres. — Dolfi, Mordini, Crispi, Montanelli, Carbonelli, Campanella, Brofferio.

Segretarii — Saffi, Guastalla, Corte, Savi, Sacchi, Cadolini, Asproni e Pianciani.

Questo nomine vennero accolte da applausi generali.

Fu data quindi lettura del processo verbale della seduta del 15 scorso dicembre e della relazione del Comitato dimissionario; furono fatte alcune osservazioni e proposti ordini del giorno da alcuni rappresentanti. Il sig. Sineo, accennando all’articolo del Regolamento che riguarda l'ammissione di Deputati noll'Associazione, dimostra essere conveniente, ad evitare gli equivoci, che invece di dire Deputati dell’opposizione democratico-parlamentare, si dica invece: quei membri del Parlamento che faranno adesione al programma dell’Associazione.

L'osservazione del sig. Sineo, formolata poscia in un emendamento all’art. 9 del Regolamento, venne approvata.

Il generale Garibaldi prese pure la parola sul primo articolo per proporre, che tutte le Associazioni abbiano un nome unico, e che quella di Genova prenda nome di associazione centrale. Egli propone quindi che l'Associazione Italiana prenda il nome di Associazione Emancipatrice Italiana.

La proposta del Generale fu accolta da unanimi applausi.

Parlarono i sigg. Montanelli, De-Boni, Saffi, Asproni, Brofferio, Cadolini ed altri. Il sig. Crispi, parlando incidentemente dell’armamento, osserv� non entrar questo nel potere dei privati cittadini, ma essere devoluto al governo ed al comandante delle forze di terra e di mare.

Sulla discussione generale relativa al progetto di Regolamento, nessuno domand� la parola e si pass� quindi alla discussione dei 18 articoli componenti il progetto di Regolamento, i quali, con poche modificazioni e con qualche articolo addizionale, vennero tutti approvati.

La discussione procedette calma ed ordinata, nessun inconveniente venne a turbarla.

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Il generale Garibaldi all’uscire dalla Assemblea fu di nuovo salutato da applausi entusiastici, fra cui si udirono frequenti i nomi di Roma e Venezia, ed il popolo, staccati i cavalli della sua vettura, volle ricondurlo all’Albergo delle Quattro Nazioni.

Non essendosi jeri esaurito l'intero ordine del giorno, l'Assemblea � di nuovo convocata per oggi.

L'Associazione emancipatrice nella sua seduta dello stesso giorno procedette alla elezione del Consiglio. Garibaldi fu per acclamazione nominato presidente.

Olivieri propose fosse proclamato Mazzini benemerito della Associazione.

Garibaldi appoggi� la proposta aggiungendo di proclamarlo benemerito dell’intera Italia.

Mordini, membro della Commissione, pel richiamo dell’esule; riferisce che il ministro Rattazzi ultimamente rispose che non erano finiti tutti gli incombenti per aderire a questo voto.

Campanella dice che per ottenere l'intento si far� un ultimo tentativo, adoperando l'influenza del generalo Garibaldi. Ma se anche questa speranza andasse fallita, non si tarderebbe a portare questa quistione in piazza.

Quindi venne formolata la proposta nel seguente ordine del giorno che fu per acclamazione votato dall’Assemblea.

L'Associazione emancipatrice incarica il generale Garibaldi di chiedere il richiamo di Giuseppe Mazzini.

Continuazione del resoconto della Seconda seduta dell’Assemblea tenutasi al Teatro Paganini il giorno 10 Marzo.

Haug, generale tedesco, prende la parola in nome delle Signore dell’Holstein che mandano una spada in dono a Garibaldi. Legge un brano della lettera inviata dalle dette Signore, che � applauditissimo.

Garibaldi esprime la sua gratitudine alle Signore dello Holstein e fa l'elogio del generale Haug il quale fu suo compagno nella giornata del 30 aprile a Roma.

Haug presenta la spada, che � una spada romana e da un lato porta il motto defende patriam, dall’altro protege justum, ed in capo la croce.

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Montanelli propone un saluto alla democrazia germanica, un saluto che distingua il soldato austriaco dal tedesco libero pensatore dicendo che appunto da questa citt� donde Balilla lanciava il sasso contro l'Austriaco deve partire questo saluto.

Besana propone in questo senso un indirizzo che viene approvato.

L'art. 7 dell’ordine del giorno porta la discussione sulla petizione pel voto universale.

Montanelli dice che il suffragio universale � implicato nella vita medesima dell’Associazione emancipatrice. Lo stesso dicasi dell’Italia di cui l'unit� venne fondata dal plebiscito.

Guerrazzi pronuncia un discorso in favore del suffragio universale. Dice che il consenso dei popoli fu sempre l'origine di ogni potere. Parlando dei plebisciti di Toscana, d’Emilia e di Napoli, fa notare l'abnegazione di queste provincie per formare un solo paese. Chiede il suffragio universale per l'elezione dei deputati.

Grillenzoni dice che lo Statuto non fu fatto da una Costituente ma largito da un principe, che questo principe pu� farvi delle aggiunte, e propone che si domandi al Re l’aggiunta del suffragio universale.

Crispi dice che pei 17 milioni d’Italiani lo Statuto non fu largizione di principe, ma conquista di popolo, patto d’unione liberamente accettato. Per� egli osserva, lo Statuto � intangibile, le riforme debbono esser fatte dai tre poteri riuniti. Esorta quindi l'Assemblea a tenersi nei limiti della discussione.

Parlano in favore del suffragio universale Sineo ed Asproni, il quale ultimo finisce col domandare uno stipendio pei deputati al Parlamento nazionale.

Montanelli propone il seguente ordine del giorno:

�L'Assemblea dichiara che i rappresentanti del popolo debbano essere eletti a suffragio universale.�

Gettiamo, egli dice, quest'ordine del giorno nella pubblica opinione; essa far� il resto.

Astengo opina che si debba fare anche, a questo proposito, una petizione al governo per metterlo nella necessit� di dire la sua opinione.

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Crispi (vicepresidente) mette ai voti la proposta Montanelli, dicendo che, accettata questa, verr� esclusa naturalmente la proposta Astengo.

La proposta Montanelli � approvata.

Faldi protesta contro Crispi perch� non ha spiegato il modo di questa votazione.

Succedono poi vociferazioni diverse in modo che la cosa minaccia di prendere un carattere di personalit�, ma finalmente si alza Garibaldi e dicendo che dinanzi alla maest� dell’Assemblea ogni quistione di persone deve sparire, rimette prontamente l'ordine turbato.

Poich� l'articolo 8 dell’ordine del giorno fu reso inutile dalla proposta fatta dal deputato Cairoli al Parlamento, relativamente al diritto di cittadinanza della emigrazione veneta e romana, si passa all'articolo 9. cio�: Lettura delle proposte pervenute al Comitato centrale, ec.

Pianciani svolge una mozione tendente a sciogliere i Comitati di provvedimento, perch� non sorti dal voto popolare, e a fonderli nelle altre Associazioni.

Altri leggono una mozione tendente alle rielezioni del Comitato centrale di provvedimento.

Queste mozioni danno luogo ad una viva discussione, a proposito della quale Garibaldi inculca nuovamente la necessit� della concordia. Pi� tenderemo ad essa, egli dice, pi� assicureremo l'unit� della patria. Io sono per l'unit� di denominazione, poich� per uomini vulcanici come noi siamo in Italia, anche le parole hanno la loro importanza. Unit� di parole ed unit� di propositi; in tal guisa soltanto vinceremo i nostri nemici. [ Applausi generali).

Negro propone un emendamento nel senso che i Comitati si facciano promotori di Associazioni emancipatrici nei luoghi ove essi risiedono ed in esse si fondano.

Un rappresentante sorge a parlare dell’aiuto che l'Associazione dovr� dare all’educazione delle classi artigiane. � vivamente appoggiato da Garibaldi che pronuncia caldissimo parole in favore della classe operaia.

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I membri del Comitato centralo scaduto propongono un rendimento di grazie all'impresario Sanguineti che accord� il locale, gii arredi, ecc. Si fa l'elogio del patriottismo di Sanguineti e si conchiude col voto che la nuova adunanza generale possa tenersi in Campidoglio.

La proposta � accettata all’unanimit�.

Si propone un saluto a Genova, proposta che viene accettata con plauso unanime di Viva Genova, viva la citt� italiana.

Garibaldi annunzia la chiusura di questa seduta, ringraziando � rappresentanti per l'opera da loro prestata in questi due giorni. La condotta vostra, egli dice, mi prova che siete veri discendenti di quei valorosi che quando fermamente vollero, conquistarono il mondo alla civilt�. Tenetevi uniti, amatevi. Addio.

La seduta � sciolta alle 4.

I principali giornali di Torino si mostrarono inquieti di queste discussioni. Diamo alcuni brani dei loro articoli incominciando dall’Italie, la quale cos� si esprimeva:

�La situazione attuale del nostro paese � grave. La coscienza di questa situazione dovrebbe, secondo noi, far tacere ogni considerazione personale. Bisogna, in questo momento, rimuovere dal cuore ogni predilezione intellettuale, e non pensare che alla causa che noi tutti serviamo, ed al paese chs deve andare innanzi ad ogni altra cosi.

Certamente, le nostre affezioni, i nostri trasporti, le nostre credenze possono attaccarsi a questo od a quel nome. Ma un nome solo oggi deve dominare gli slanci del nostro cuore e le aspirazioni dell’animo nostro.

In questo momento, ogni scissura sarebbe fatale al paese.

Uniamo dunque i nostri sforzi per fargli traversare la crisi che lo minaccia; siamo oggi veramente cittadini, e domani, in tempi pi� calmi, ciascuno sar� libero di dare sfogo alle sue idee personali.

Noi non veniamo a far atto di adesione al gabinetto attuale, n� a ripudiare le nostre affezioni pel gabinetto che si � ritirato. no, noi veniamo, al momento del pericolo, a stringerci pi� che mai intorno alla bandiera che porta il nome d’Italia, e vogliamo anzitutto impedire che si porti offesa al reggime costituzionale, da qualunque parte venga l'attacco.

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L'Opinione diceva alla sua volta:

Il richiamo dell’esule, ossia la chiamata del signor Giuseppe Mazzini in Italia ed il suffragio universale applicato alle elezioni politiche furono i due argomenti principali delle discussioni.

La relazione del signor Mordini intorno all’affare del signor Mazzini ci svela i negoziati col Barone Ricasoli per ottenere l'intento.

Ci duole che quei negoziati siano proseguiti tant'oltre che il barone Ricasoli pareva gi� deciso a cedere alle istanze.

Noi abbiamo dichiarato ci� che pensiamo di questa faccenda. Non sappiamo se in tante amnistie promulgate non sia compreso anche il Mazzini. Non comprendiamo per� quest'insistenza, mentre il signor Mazzini ha dichiarato che non vuol rientrare in Italia.

Secondo noi la questione � pi� politica che legale. Ma a Genova non vi fu che il signor Crispi che os� addentrarsi nella quistione, e fu accolto da segni evidenti di disapprovazione. Veramente non � in quell'adunanza ed in mezzo a quelle tribunizie declamazioni che potevasi sperare una discussione calma. Le passioni eccitate che vi si manifestarono, ci ricordano i pi� tristi giorni del 1848.

Quanto al suffragio universale, quei signori hanno dimenticato una cosa sola; che l'estensione del diritto elettorale deve essere preceduta dalla diffusione dell’istruzione. L'ignoranza non � mai stata una guida sicura per le elezioni n� pel governo.

L'Assemblea di Genova � secondo noi un avvenimento che deve preoccupare il governo e far� sfavorevole impressione anche all’estero.

Il 1848 ha lasciato reminiscenze dolorose, e tutto ci� che sembra volervici ricondurre dev'essere strenuamente combattuto, se vogliamo conseguire l'indipendenza e l'unit� nazionale. Parte l’40

Quali idee, quali pensieri, quali principii prevalsero nell'assemblea, ce lo provano i discorsi e gli evviva.

Molte acclamazioni vi si fecero: un sol grido non vi si � sentito quello di VIVA IL RE!

Raccomandiamo questo fatto al governo ed al paese.�

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Io non so, miei cari ministri, esclamava dal suo canto la Gazzetta del Popolo, se abbiate proprio fatto l'inventario dell’eredit� abbandonatavi — Ma in verit� se vi foste fermati a questi tre soli bozzetti — dei Comitati di provvedimento che consentiti dal Barone Ricasoli invescano ora in una rete tutto il paese — delle finanze sperperate per Io scialacquo dei pubblici impieghi a tanta gente sbucata da terra e portata nuova a posti creati per lei — se aveste guardato al calendario che segnava il termine dell’inverno e quindi il riapparir delle foglie (e le foglie per noi son briganti; se aveste, dico, esaminato bene quest'inventario, e con tutto ci� ne aveste coraggiosamente assunta l'eredit�, per Dio, avreste fatto atto di tal coraggio da ben meritare del paese.

Ma ora siamo coi gruppi al pettine — proprio il d� dopo che l'altro Gabinetto ha fatto in fretta il suo fagotto.

Patti chiari; signori Ministri.

Hanno avuto il coraggio di accettare?

Ebbene — abbiano il coraggio di proclamare altamente, e di farlo sentire con tutta la forza che fa rispettati i Governi, che nello Stato non si vogliono Stati, che un solo � il Potere, un solo il governo, un solo il Re, uno solo il Tempio della Nazione.

E coraggio, che coi Governi forti sta la Nazione.

La Gazzetta di Milano esprime vasi in questo soggetto nei seguenti energici termini.

Milano 13 marzo

La saggezza e la moderazione degli Italiani sono passati in proverbio. Noi non possiamo difenderci da un sentimento di compiacenza e di orgoglio, ogni qualvolta vediamo i fogli stranieri apprezzare altamente questi pregi del movimento italiano che lo rendono superiore a quanti altri conta la storia. Di quando in quando per� sembra quasi che noi vogliamo smentire i nostri lodatori, o per dir meglio che alcuni pochi vogliano con le loro intemperanze compromettere la riputazione del paese. Perci� le sedute dell’assemblea dei Comitati di Provvedimento riunitisi a Genova, producono in tutti una dolorosa sensazione.

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Non s'intende la ragione di quella vivacit� di apostrofare, di quella violenza tribunizia, di quelle minacce inconsulte.

Noi siamo stati sempre tra i primi a credere misura giusta ed anche saggia il richiamo di Giuseppe Mazzini; ma non � lecito imporlo al Parlamento con una specie l'intimidazione. Un oratore ebbe l'audacia di dire: �e se ci sar� un ministro cos� insolente da rifiutarsi, noi andremo in piazza. �Il popolo italiano � troppo saggio per seguire consigli s� pazzi, si sdegna anzi sentirli pronunciare, domandando se pu� esservi una legge che permetta queste eccitazioni alla sommossa. Noi non vogliamo citare Io altre esorbitanze che si pronunciarono da qualche giorno; ma � bene che la stampa italiana sia prima a condannarle con unanimit�, perch� all’estero si sappia che ivi non era il senno italiano, non i veri rappresentanti del paese. Sgraziatamente vi era Garibaldi, del cui nome si valgono sempre gli agitatori; vi ora Garibaldi che � sempre il primo a parlare di conciliazione, a predicar la concordia, a darne l'esempio, che questa volta medesima s'era deciso di presiedere l'assemblea al solo fine di raddolcire gli animi; e l'opera invero ch'egli fece fu opera di conciliazione. In generale le parole di Garibaldi furono anche questa volta piene di quel raro buon senso, di quell'amor della patria e della concordia che fanno di lui l'eroe popolare. Si vuol rendere giustizia anche al signor Crispi che fra le grida e i fremiti volle e seppe far intendere la parola della ragione.

Era impossibile che in presenza di tali manifestazioni dell’opinione pubblica il Parlamento Italiano se ne rimanesse tranquillo. Difatti nella seduta del giorno 13 Marzo il Senatore 0ldofredi annunciava agli uffizii della Presidenza del Senato la propria intenzione di domandare schiarimenti intorno alle sedute del Comitato di provvedimento al Capo del ministero. Noi riproduciamo il testo di queste interpellanze colla risposta che loro fece il Commendatore Urbano Rattazzi nella seduta del seguente giorno 14.


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Oldofredi. I fatti avvenuti negli ultimi giorni in Genova; i discorsi ivi tenuti hanno prodotto un'agitazione che � necessario sia dissipata.

Il programma dei comitati di provvedimento � noto: far ci� che il governo non pu�, o non sa, o non vuol fare; a fianco della rappresentanza nazionale erigere quasi un secondo Parlamento; affidare l’esecuzione delle deliberazioni quasi ad un secondo governo sorto a fianco delle autorit� legalmente costituite.

In sulle prime io era titubante, credendo che questo programma esprimesse soltanto opinioni o sentimenti individuali; ma i discorsi tenuti a Genova, gli applausi frenetici con cui furono accolte le parole pi� esagerate, la elezione dell’oratore a membro del comitato esecutivo, mi persuasero non esser quelle opinioni individuali, ma bens� le idee di un partito che all'ombra delle leggi nostre e dello Statuto lavora a scalzare l'autorit� del governo. (Legge uno squarcio del discorso dell’avvocato Campanella).

Io non voglio menomate le franchigie costituzionali. Ma come si pot� regolar l'esercizio del diritto della libera stampa, cos� potr� farsi dell’esercizio del diritto di associazione. Un governo per quanto sia liberale non pu� lasciarsi esautorare; esso ha il diritto, anzi il dovere di difendersi.

All’onorevole presidente del consiglio rivolgo in conseguenza le seguenti domande: 1. Se furono realmente pronunciati discorsi quali furono riferiti dai giornali; 2. Quali misure abbia preso il governo per tutelare in quei giorni l'ordine pubblico in Genova; 3. Quali misure voglia proporre il governo rispetto all’esercizio del diritto di associazione.

Rattazzi (presidente del consiglio). � un fatto che si manifest� una qualche commozione nell’opinione pubblica, e non so trovare parole che bastino a biasimare quei discorsi, che tendono a proclamare il diritto di insurrezione. Credo per� che i discorsi accennati esprimano opinioni individuali, e far� osservare al Senato, che altri oratori sorsero a disapprovarli. Questo dico per ristabilire la verit�, e per non aggravare l'importanza di fatti che io ripeto essere stati degni di biasimo.

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Venendo ora alla prima domanda, risponder�, che fu pronunciato un discorso nel senso indicato dal giornale teste citato, ma aggiunger�, che i diversi giornali non riferirono esattamente ci� che si fece in quell'adunanza, anzi a seconda del diverso partito al quale appartenevano, piegarono o da una parte p dall’altra. Dir� di pi�, che, la prima impressione cattiva venne dai dispacci telegrafici che non furono sempre esatti.

In quanto alla seconda domanda dir�, che quando ebbe luogo quella riunione, il ministero era da pochi giorni a capo dell’amministrazione, ed il Senato sicuramente non ignora quali dichiarazioni fossero state fatte dal ministero precedente, e qual voto avesse pronunciato la Camera su questo argomento, riconoscendo il diritto di riunione, riservato al governo di invigilare perch� l'. ordine non fosse turbato. Alle autorit� politiche di Genova furono date istruzioni in conformit� a quelle dichiarazioni e a quel voto. Del resto, la tranquillit� pubblica non fu punto turbata. E se fosse il caso, le autorit� giudiziarie provve deranno a norma delle leggi.

Vengo alla terza domanda. Dir� innanzi tutto alcune parole considerando storicamente la giurisprudenza governativa rispetto al diritto di associazione dal 1848 in poi. Dopo la promulgazione dello Statuto sorse presto il dubbio se per l'articolo 32 fosse assicurato il diritto di associazione, oppure soltanto quello di riunione. Quell'articolo parla soltanto del diritto di radunarsi. Fino agli ultimi tempi si credette assicurato soltanto il diritto di riunione, ed in quanto a quello di associazione fu considerato come uno di quei diritti naturali l'esercizio de' quali � lecito linch� non va a ferire un altro diritto; libero sempre al governo di intervenire. Cos� anche senza una legge speciale non vi era pericolo.

Ma negli ultimi tempi la giurisprudenza fu variata dalle dichiarazioni del ministero e dal voto della Camera. Sia il diritto di riunione, sia quello di associazione, furono riconosciuti. Sono dunque necessarii nuovi provvedimenti. Il diritto di associazione vien dichiarato guarentito dall’art. 32 dello statuto; � dunque il caso di fare una legge che ne regoli l'esercizio.

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Non intendo di impedire il diritto di associazione, ma soltanto di regolarne l'esercizio, come avviene del diritto della libert� di stampa e della libert� individuale.

Credo poi opportuna una legge, sia nell’interesse del diritto stesso, sia nell'interesse dello nostre istituzioni. Nell'interesse del diritto stesso, perch� i suoi eccessi potrebbero comprometterne l'esistenza e perch� � utile che siano determinati i limiti della sorveglianza governativa. Ned'interesse delle nostre istituzioni, per i pericoli che possono sorgere dall’esistenza di assemblee rivali al Parlamento e perch� la libert� illimitata di associazione pu� giovare ai partigiani delle cadute dinastie, ai fautori del dominio temporale ecc. Occorre quindi una legge, non per prevenire il diritto di associazione, ma per impedire che l'esercizio di questo diritto sia rivolto contro le leggi dello Stato e l'ordine sociale.

Intanto noi sorveglieremo le societ� esistenti e quando ne fosse il caso ne denuncieremo gli atti alle autorit� giudiziarie e nello stesso tempo studieremo una legge da presentarsi all’approvazione del Parlamento. (Bene)

Oldofredi. Ringraziando il ministro delle spiegazioni date, propone il seguente ordino del giorno:

�Il Senato prendendo atto delle dichiarazioni del ministero colle quali s'impegna di presentare al Parlamento una legge che regoli l'esercizio del diritto d’associazione, passa all'ordine del giorno. �

Linati vorrebbe che prima di prendere una deliberazione si aspettasse l'esito delle discussioni che avranno luogo nella Camera elettiva (rumori). In ogni caso propone l'ordine del giorno puro e semplice.

Montanari protesta contro le parole del sen. Linati che ledono l'iniziativa del Senato.

Presidente propone che sia chiusa la discussione su questo incidente. (Bene)

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Galvagno si dichiara soddisfatto in genere delle dichiarazioni del presidente del consiglio, ma non pu� ammettere che le dichiarazioni del governo ed il voto della Camera elettiva abbiano modificata la giurisprudenza. Crede che la quistione sia rimasta intatta. Quando sar� presentato il progetto di legge promesso, il Senato decider� se convenga accettarlo ovvero continuare nello stato presente.

Rattazzi (presidente del consiglio). Io ho esposto le opinioni che esistono in questo momento, senza pronunciarmi piuttosto per l'una che per l'altra. Ma � un fatto che ora un dubbio esiste e che � necessario di toglierlo. Se il governo scioglie le riunioni va contro al voto della Camera; rispettando quel voto, � disarmato.

Presidente. Il sen. Ricci presenta il seguente ordine del giorno:

�Il Senato soddisfatto delle dichiarazioni fatte dal presidente del consiglio, passa all’ordine del giorno. �

Ricci. Il presidente del consiglio non s'impegn� assolutamente a presentare un progetto di legge; disse che avrebbe studiato la questiono. L'ordine del giorno proposto dal sen. Oldofredi definisce la quistione; il mio la lascia sospesa.

Giulini. Credo che il mio amico Oldofredi non avr� difficolt� ad aggiungere la parola soddisfatto. Quanto al rimanente, il presidente del consiglio disse che credeva opportuna una legge, ne mi pare che egli abbia lasciato indefinita la quistione.

Oldofredi accetta l'aggiunta proposta dal senatore Giulini.

Rattazzi. Io non soglio prender impegni che poi non mantenga.

Per maggior esattezza desidererei si dicesse: studiare e presentare, o meglio ancora si sopprimesse l'ultimo membro dell’'ordine del giorno che non � necessario, essendo detto prima che I Senato prende atto ecc.

Oldofredi consente semprech� si prenda atto delle dichiarazioni fatte, ed in conseguenza vien posto ai voti l'ordine del giorno cos� modificato:

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�Il Senato soddisfatto delle spiegazioni date dal ministero e prendendo atto delle dichiarazioni fatte dal medesimo passa all'ordine del giorno.�

Approvato alla quasi unanimit�.

Il Senato continua quindi la discussione del progetto di leggo per la tassa di registro.

Non � meraviglia pertanto che il governo francese desideroso della prosperit� dell’Italia s'affrettasse a segnalare i pericoli cui poteva dar luogo la riunione dei comitati di Provvedimento. Il Ministro Thouvenel ne fece soggetto d’una nota al Governo italiano, il quale non doveva tardare ad accorgersi della giustezza delle osservazioni che in quella gli venivano indirizzate, poich� il disordine da essa prodotto cominci� a scoppiare nel seno stesso del parlamento in occasione delle interpellanze del deputato Gallenga. I nostri lettori se ne assicureranno leggendo il seguente estratto dei dibattimenti parlamentari di quei giorni.

Seduta del 17 marzo.

Presidenza MINGHETTI vicepresidente.

La seduta si apre al tocco e 1|2.

Le gallerie pubbliche sono affollatissime, come pure quella del corpo diplomatico.

� all’ordine del giorno l’interpellanza di Gallenga sul programma e sul completamento del ministero, e quella di Boggio sulle associazioni.

Gallenga. Io sono tanto indisposto che forse non potr� continuare la mia interpellanza. A quest'uopo ho scritto il mio discorso, perch� al caso altri ne possa continuare la lettura. Ho anche scelto di scriverlo perch� non mi possano sfuggire parole che dieno argomento a richiami.

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Credo che il presidente del consiglio non possa essere contento della sua situazione, perch� equivoca. Egli non ha maggioranza; dico questo perch� egli non conosce chi sia per lui o contro di lui.,.

Io far� a Rattazzi alcune domande da cui mi aspetto risposte, dietro le quali io presenter� un ordine del giorno. Dopo di esse anche si conoscer� la vera opposizione, e spero che cadranno le maschere.

Macchi e un altro La parola.

Presidente. Prego Gallenga a moderare le sue espressioni.

Gallenga. La prima domanda � questa: come avviene che egli non ha potuto completare il suo ministero, e come e quando intende completarlo?

Un ministero a cui manca il ministro o per l'interno o per estero non � un ministero.

Il presidente del consiglio ha detto che il portafoglio di grazia e giustizia � tanto serio che non solo un ministro, ma vi occorrerebbero quattro ministri. Io non ammetto troppo facilmente questa spiegazione. Si pu� supplire a quest'affluenza d’affari coll’accrescere il numero de' segretaria

I governi provvisorii hanno in ogni tempo fatto uso ed abuso di ministri senza portafoglio.

E passato per l'Italia il tempo de' ministri geografici. Non si chieda la fede di nascita per chi si chiama al portafoglio; sieno pure d’una stessa citt� poco importa.

Il presidente del consiglio che ha detto che a quel ministero di grazia e giustizia non basterebbero quattro uomini, egli trova di potersi adattare con due portafogli. Ma egli si appoggia sui precedenti. Cos� fu sotto il Ministero Cavour, cos� sotto quello Ricasoli.

A che giovava al barone Ricasoli questo cumulo se non trovava chi lo sollevasse di uno dei portafogli? Egli ha insistito perch� vi uniste con lui, gli suggeriste un uomo. Gli fu dato un voto di fiducia, ma io non l’ho dato. A me parve che quel voto fosse una derisione al ministero e al parlamento, e per questo non lo diedi.

Ora baster� a sostenere il suo ministero l’accennare al passato?

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Dice Rattazzi: Date il tempo e completeremo il ministero. Questo diceva puro il barone Ricasoli. Credo di far punto, e di dire al presidente del consiglio: Compie oggi la quindicina che voi prestaste giuramento; io vi dico: o voi vi completate, o voi vi dimettete entro il mese di marzo (rumori, ilarit�); o voi vi completate, e vi dar� il mio voto di fiducia, o non vi completate, e dovete dimettervi.

Un ministero italiano non pu� avere che una sola politica. Guai a quel ministero italiano che non avesse un solo programma e una sola politica. Esaminiamo i precedenti di Rattazzi. Nei tempi remoti abbiamo il ministero di Novara, nei presenti noi abbiamo il suo viaggio a Parigi e la pubblicazione delle lettere del conte di Cavour. Volesse il cielo che Rattazzi avesse fin da prima fatto conoscere le sue vedute, che allora noi ci saremmo regolati!

La quistione nazionale si restringe, secondo Rattazzi, io questi termini: Andremo a Roma quando la Francia lo vorr�; andremo a Venezia quando l'Italia lo potr�.

In Francia vi � un uomo che ha una politica che egli stesso non conosce quale sia. Rattazzi ci promette unificazione politica e discentramento amministrativo; ci promette anche economia. Volete prova d’economia: ecco un ministro senza portafoglio; prova d’imparzialit�: si destituisce il prefetto di Perugia.

Egli ha fatto adesione a tutte le leggi, a tutti gli ordini del giorno votati. Fra queste leggi ci� quella del 4 agosto 1861 presentata da Garibaldi. Io non la votai, perch� non la trovai attuabile. Questa legge porta l'armamento di 220 battaglioni di guardia nazionale mobile; domando se intenda di eseguirla subito.

Vengo alle associazioni. Domando se sia permesso ai cittadini di armarsi, come hanno intrapreso le associazioni popolari.

Io era presente all’adunanza del 9 stante a Genova, dove era presente Garibaldi e alcuni deputati. Sembr� ad alcuno che vi sieno state pronunciate parole che hanno allarmato il paese. Rattazzi, rispondendo in senato ad una interpellanza in proposito parve mostrare di propendere a presentare un progetto di legge io proposito. Domando qual concetto generale lo regolerebbe.

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In quest'ordinanza Mordini ha detto: �Il barone Ricasoli ci affid� che sarebbe stato lieto di veder tolto il bando a Mazzini; egli chiese alcun tempo per riuscire a quell'intento. Cambiato il ministero, Rattazzi estern� il suo desiderio che Mazzini fosse restituito alla patria, ed ha detto che parlerebbe col barone Ricasoli per la quistione politica, e col ministro di grazia e giustizia per la quistione legale.� Credo che il Parlamento abbia dovere di conoscere quali sono le intenzioni del ministro in proposito.

Conchiudo ripetendo le mie domande.

1.� Come avviene che Rattazzi non ha completato il suo ministero, e come e quando lo completer�?

2.� Quali sono i provvedimenti ch'egli intende di prendere riguardo all’armamento?

3.� Quale facolt� d’armarsi e d’organarsi crede abbiano i cittadini?

4.� Quali sono le basi per un solo progetto di legge sullo associazioni?

5.� Che risposta abbia dato o intenda di dare a Garibaldi intorno al rimpatrio di Mazzini?

Boggio. Mentre io faccio le mie riserve dichiaro che io dissento da quello che ha detto il presidente del consiglio in senato sul punto che il voto del 25 febbraio abbia pregiudicato la quistione delle associazioni. Ora finch� non sia presentata una legge, quale sar� la condizione delle associazioni?

L'oratore crede che anche senza la nuova legge, che il governo intende presentare, egli pu� tuttavia sciogliere le societ� che possono perturbare la tranquillit� dello Stato.

Conchiude dicendo interpretare il voto della Camera rinunciando alla parola.

Presidente d� la parola ad Ondes Reggio per la questiono pregiudiziale.

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Ondes Reggio dice che non sa che cosa Gallenga voglia che si approvi o si disapprovi nel ministero.

Qui non si pu� fare, dice l'oratore, una quistione di persone. Non si deve riguardare che a' principii politici (Bene!!! Bravo!!!) Io non posso mai supporre che si faccia questione di persone, dove si tratta di principio. (bene, bravo) Io propongo l'ordine del giorno puro e semplice. (Applausi)

Boncompagni. Trovo conveniente per la Camera e pel ministero che non si proceda oltre nella discussione.

Rattazzi. Devo rispondere a Gallenga. La Camera ha il programma del ministero davanti a se. La Camera debbe nettamente dichiarare come l’intende, con un ordine del giorno. Se coll'ordine del giorno puro e semplice intende di lasciare le cose come sono, io lo respingo; non voglio equivoci. Se poi la Camera intende l'ordine del giorno puro e semplice. nel senso che essa non crede meritevoli di considerazione le interpellanze di Gallenga, intendendo la Camera di approvare il programma del ministero e di appoggiare l’esecuzione, allora io accetto l'ordine del giorno puro e semplice, altrimenti no. (Bene, bravo, applausi)

Ondes. Voglio che l'ordine del giorno puro e semplice abbia il senso espresso dal presidente del consiglio.

Voci. Ai voti, ai voti.

Gallenga. La camera � sovrana di decidere come le pare, un'interpellanza suppone una risposta. Questa non fu data.

Ondes. La parola.

Gallenga. Io chiedo una risposta che mi si deve perch� fa votata l'interpellanza. Voci. No! No!

Rattazzi vuol parlare.

Voci. Non risponda.

Valerio. Altro � la domanda di Gallenga, altro � la quistione pregiudiziale. Credo che si debba accordare la parola sulla quistione pregiudiziale.

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Boggio. Credo che non si debbano ripetere equivoci. Boncompagni ha accettato la quistione pregiudiziale posta da Ondes; ma l'ha egli accettata nel senso espresso da Ondes e dal presidente del consiglio.

Boncompagni. Aderisco al significato dato da Ondes al suo ordine del giorno.

Rattazzi. Insisto perch� sia tolto ogni equivoco. Per ci� chiedo che la camera si pronunzi pel programma del ministero.

Boncompagni. Io non intendo di fare alcuna censura al programma del ministero.

Crispi. Noi pe' primi ci siamo proposti di aspettare gli atti del ministero per giudicarlo.

Il governo deve avere la forza e l’influenza necessaria. Mi oppongo alla quistione pregiudiziale. Ma se viene accettata, io e i miei amici intendiamo di lasciare impregiudicata la quistione.

Petruccelli. L'ordine del giorno puro e semplice � un voto di fiducia. Gallenga ha fatte domande a cui credo debba rispondere il ministero.

Minervini. Il ministero precedente ha data la propria dimissione, n� se ne sa la ragione; bisogna saperla. I ministri io li giudico dagli atti. (Mormorio).

Presidente. Ella deve. parlare sulla chiusura.

Minervini (Rumori) Ecco la ragione: il ministero ha fatto il suo programma, non ebbe tempo per eseguirlo, domando che aspettiamo gli atti per giudicarlo.

Presidente chiama reiteratamente all’ordine.

Minervini ripete le sue ragioni.

Rattazzi. Dichiari la camera se devo rispondere alle domande di Gallenga.

Bixio. Chiedo la parola per pregare Rattazzi a non parlare.

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Rattazzi, presidente del consiglio. Risponder� in modo da non sollevare discussioni inopportune; accerto la camera che niuno pi� del ministero � alieno dal voler eccitare discussioni, che siano fuori di luogo, perch�, mentre si fanno discussioni, gli affari non procedono; mentre noi siamo qui continuamente in dubbio se vi sia o non vi sia la maggioranza, intanto non si possono prendere quei temperamenti che sono richiesti dal servizio e dalla salute del paese.

La prima interrogazione che mi muoveva il deputato GalIenga si � come io mi sia presentato alla camera senza che il ministero fosse compiuto, e quali siano le mie intenzioni sulla composizione intera del gabinetto.

Io ho gi� avuto l'onoro in altra circostanza, l'altro giorno, di rispondere all’onorevole Gallenga, che essendosi dovuto formare il ministero in pochissimo tempo, in quarantott'ore, poich� le circostanze stringevano, e non si poteva indugiare lungamente, non � a maravigliarsi se non fu possibile trovare un ministro dell’interno immediatamente.

Sa l'onorevole Gallenga che la carica di ministro degli interni, egli ne conveniva d’altronde, � la pi� grave, la pi� difficile, poich� riassume in s� l'intera amministrazione di tutto lo Stato. Non � dunque a meravigliare se non fu possibile di trovare in poche ore anche un ministro dell’interno.

Ma aggiunger� che io stesso conosceva l'assoluta necessit� che fosse fra non molto il ministero interamente composto. Ed io prendo impegno dinanzi alla camera, non dico fra un mese, forse anche prima, che il ministero sar� tra breve completato; e quando non si possa completare, certamente io so quello che a me spetterebbe di fare. (Bene! Bravo!)

Per� osservo intanto all’onorevole Gallenga che allora saranno tolte molte difficolt� al ministero di potersi interamente completare, quando sar� certo che la maggioranza gli d� il suo appoggio; finch� rimane dubbio se la maggioranza lo appoggia o no, io domando all’onorevole Gallenga, domando a tutti voi se sia possibile di trovare alcuno il quale voglia far parte di un'amministrazione che si trovi continuamente esposta al pericolo d’essere combattuta in questa assemblea. (Bene!)

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Ora dunque io prego la Camera di voler dare il suo appoggio al ministero, e prendo l’impegno che quando quest'appoggio sia franco e sincero, il ministero sar� tra non molto interamente costituito.

Io non entro a rispondere quanto al ministro senza portafogli, che non vi sia stato mai esempio d’un ministro senza portafogli, poich� come lo stesso onorevole Gallenga osservava, vi fu nel tempo del ministero del Conte di Cavour, il signor Niutta, ch'era anche aggiunto per il ministero di grazia e giustizia.

Voci. Corsi.

Rattazzi, pres. del consiglio. Vi fu anche il ministro Corsi, ma ora parlo precisamente del sig. Niutta; ed osservo all’onorevole Gallenga che non entr� nel ministero il presidente Niutta unicamente per la considerazione geografica di cui egli faceva cenno, poich� nel gabinetto d’allora v'era un altro ministro il quale apparteneva pura alle provincie napolitane. (Segni di dissenso del deputato Gallenga)

Prego l'onorevole Gallenga di prestar fede a quanto io gli dico, e se egli richiamer� alla mente i tempi d’allora, vedr� che v'era il signor De Sanctis, ministro della pubblica istruzione, che apparteneva pur anche alle provincie napolitane a cui apparteneva il senatore Niutta (� vero). Allora la camera non fece alcuna osservazione sovra questo fatto, non veggo perch� ora possa menarne doglianza.

Egli disse (e qui amo appunto supplire ad un difetto del mio programma), egli disse: come va che voi avete fatto entrare nel ministero due individui per un portafoglio, del quale non vi siete nemmanco occupato nel vostro programma?

Ma, Signori, io non ho parlato nel mio programma della legislazione civile perch� credevo perfettamente inutile che si venisse anche qui a ripetere che era ferma e decisa intenzione del governo di mandare a compimento la legislazione civile e penale, di unificare tutte le parti del regno sotto la stessa e medesima legislazione tanto civile quanto criminale. Io non lo dissi perch� credeva perfettamente inutile che si venisse a fare questa dichiarazione; poich� questo � un atto desiderato da tutti,

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ed a cui tutti i ministeri prestarono l'opera loro e fecero tutti gli sforzi per mandarlo ad effetto.

Or dunque se questa si deve compiere, l'onorevole deputato Gallenga vorr� essere meco d’accordo e nell’ammettere, che trattandosi specialmente di un'opera cos� vasta e grave quale � quella della unificazione dei codici, certo l'opera di due ministri non pu� dirsi opera totalmente inutile.

Vengo all’altra interpellanza. (Segni d’attenzione)

Qui dovrei rispondere a certi frizzi che l'onorevole Gallenga diresse contro di me. Ma siccome ho detto che non voleva uscire dagli stretti limiti delle sue interpellanze, io non m'intratterr� sovra di essi, persuaso che la camera mi render� giustizia, e il paese sapr� tenermene conto. (Bravo)

Dir� per altro posciacch� si tocc� di Novara (udite!) che la sconfitta di Novara pu� dirsi quella che ha forse contribuito maggiormente a svolgere l'idea della nostra unit�, e a far s� che oggid� noi possiamo, dalle varie provincie d'Italia, essere raccolti in quest'assemblea.

Se per caso allora la casa di Savoia avesse fallito alla sua missione, se non avesse fatto l'ultimo esperimento delle sue armi, io non so quali oggid� sarebbero le sorti di questa povera Italia. (Bene!)

Quindi, ben lungi che di questo possa farmene censura, credo dovermene dar vanto. Della sconfitta credo che io non possa essere contabile, perch� quando entrai al ministero, l'opera dell’armamento era interamente compiuta, e se di qualche cosa sono risponsabile si � di avere avuto il coraggio nel bivio o di far credere che vi fosse un tradimento dal canto della dinastia di Savoia, oppure che si volesse fino all’ultimo condurre e spingere l'opera del nazionale riscatto, di opinare che a costo anche di rimanere soccombenti, tuttavia l'onore della casa di Savoia doveva sortirne illeso.

Mi si parla di Villafranca. Io credo, signori, di aver reso un grandissimo servizio in quelle circostanze in cui mi assunsi il difficilissimo carico di reggere la cosa pubblica.

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Io vi prego di richiamare alla mente vostra quanto erano trista le contingenze in quei tempi, quale e quanta fosse la difficolt� di provvedere all’interesse pubblico. E se vi fu qualcuno che ebbe il coraggio in quelle contingenze di non abbandonare il paese, certo io credo che per questo non gli si debba fare un rimprovero; non avr� meritato del paese, ma almeno penso avere diritto di non essere rimproverato. (Applausi)

E nel tempo che io fui al ministero, amo dirlo, posciacch� so che la calunnia viene anche ben spesso a lacerarmi per questo lato; nel tempo che fui al ministero tutti i miei sforzi furono ognora diretti a far s� che il principio della unit� italiana trionfasse. Qui seggono molti uomini che appartengono alle provincia che non erano allora riunite; io fui con essi in relazione e li prego a dire a testimonianza innanzi la camera, se in me non abbiano sempre trovato l'appoggio il pi� franco, il pi� sincero, il pi� deciso, per far s� che il principio dell'unit� nazionale trionfasse: se mai in qualsiasi occorrenza io abbia titubato sopra questo argomento. (Bene) Or dunque e l'aver accettato il ministero nei momenti delle prove di Villafranca, e il modo col quale io credo di aver retto, pendente quel tempo dolorosissimo, il governo, penso non sieno fatti che possano essere attribuiti a colpa e a rimprovero. (Applausi)

Lascio, signori, il resto e vengo pi� direttamente alle interpellanze.

Mi perdoni la Camera se ho creduto dir alcune parole per ribattere censure che in verit� non mi attendeva. (Bene)

Mi domand� l'onorevole Gallenga quali erano le mie intenzioni sull’armamento; se io credeva di dare esecuzione intiera alla legge del 4 agosto 1861; mi domand� quali erano gli ordini del giorno ai quali io aveva fatta allusione nel mio programma. Ora, quanto alla legge del 4 agosto 1861, qualunque abbia potuto essere il giudizio del deputato Gallenga su questa legge, l'abbia egli approvata o disapprovata; dal momento che il Parlamento la sanzion�, dal momento che ha il carattere di legge, a cui non rimane pi� che eseguirla, perci� rispondo chiaramente e nettamente che intendo di eseguirla.

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Intendo di eseguirla secondo il vero suo spirito, e crederei che qualunque ministero il quale non si desse pensiero a dar esecuzione ad una legge cosi grave ed importante quale si � quella che � diretta a provvedere per l'armamento nazionale, qualunque ministero che non adempisse a questo dovere sarebbe altamente colpevole; dovrebbe essere tradotto come traditore della patria dinanzi al Parlamento. (Bene! Bravo!) Ora io dico nettamente che eseguir� la legge e l'ordine del giorno.

L'onorevole deputato Gallenga, il quale ha sempre preso parte alle discussioni parlamentari, sa che nella tornata degli 11 aprile dell’anno scorso, si � relativamente all’esercito meridionale votato un ordine del giorno, che non � ancora stato fin qui eseguito per circostanze imprevedute.

Io credo che al ministero, a cui deve premere di eseguire tutte le deliberazioni della camera, incomba pur anche l'obbligo di eseguire in questa parte ci� che fu in quella contingenza dalla camera approvato; non credo che vi siano altri ordini del giorno relativi al nostro armamento; ma quando esistano, saranno senza dubbio eseguiti.

Vengo al terzo punto, cio� quale sia l'intenzione del ministero circa all’articolo 4 dello statuto della societ� d’Associazione emancipatrice; nel quale articolo, al dire del deputato Gallenga, si obbligano gli associati ad organizzarsi e ad armarsi. (Noi No!) Riferisco le parole del deputato Gallenga.

Gallenga. Ho letto il programma della societ�, che dice: �Il concorso delle armi cittadine a promuovere l'unit� e la libert� d’Italia.�

Rattazzi. Sia pure. Ora quanto a questo, sar� esplicito. Credo anzi di avere gi� data implicitamente un'anticipata risposta col mio programma: quando ho parlato dell’armamento ho detto che il governo intendeva di conservare esso l'iniziativa e la direzione dell’armamento. Ora, ci� che ho detto allora, lo ripeto oggi: il governo non permetter� giammai che nessuna societ� nello stato faccia concorrenza al governo armandosi ed organizzandosi ad esercito. (Bene, bravo! al centro e dalla destra)

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Or dunque, non credo che occorrano su questo maggiori spiegazioni; il governo crede d’aver egli solo il diritto d’armarsi, egli solo ha il diritto di farlo, ha intenzione di armare il paese, e credo appunto che, mettendosi egli efficacemente a questa opera, scompariranno pi� facilmente quelle velleit� di alcuni che intendono di organizzarsi e di armarsi da essi.

Saffi. Se non esistono

Rattazzi. Se non esistono, tanto meglio.

Quale sia lo scopo della legge sulle associazioni in ci� non ho che a dare la stessa e medesima risposta che ho gi� data in senato, poich� � impossibile oggid�, nell’intervallo solamente trascorso tra la tornata del senato e la tornata di oggid�, che il ministero abbia potuto occuparsi per determinare i varii principii, le varie basi che possono adottarsi relativamente a questo progetto di legge.

Ho promesso che avrei studiata la legge che sarebbe a farsi e che l'avrei presentata al parlamento, e nella condizione attuale io non posso dare una risposta pi� ampia.

Se l'onorevole Gallenga o altri desiderassero di avere pi� ampie spiegazioni sopra l’una o sopra l’altra idea, la quale potesse riferirsi a questo progetto di legge, io sarei in caso di rispondergli: �no, no;� ma se egli viene unicamente a dire quali possano essere le intenzioni del governo intorno alle basi di questo schema di legge, certo io non sono ancora in grado di dargli appagante risposta.

Infine, quanto all’ultima interrogazione quale risposta io abbia data o voglia dare al generale Garibaldi sopra l’amnistia o richiamo di Giuseppe Mazzini; quanto a questo io dir� al deputato Gallenga che dopo l’adunanza di Genova io ho avuto il piacere di vedere il Generale Garibaldi, e il generale Garibaldi non mi ha detto alcuna parola intorno a questo argomento; perci� io a mia volta non sono nella condizione di dargli alcuna risposta di quanto sar� per dirsi o per farsi. (Applausi)

Se la Camera vuole che io dica la mia opinione.... (Rumori a destra, segni negativi a sinistra) io non ho alcuna difficolt�; ma se si desidera di sapere quale risposta ho dato, io dico che non ne ho dato nessuna perch� non fu fatta nessuna domanda. (Si ride: Voci Basta,)

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Parmi d’avere data diretta risposta alle varie interrogazioni che mi furono mosse dal deputato Gallenga; s'egli � pago ne sar� maggiormente soddisfatto; ma s'egli non n'� pago spero che ne sar� paga la maggioranza della Camera, e che perci� ella vorr� approvare l'ordine del giorno colla spiegazione che gli ho data. Lo ripeto, perch� non conviene che vi sieno equivoci, colla spiegazione che approvando quest'ordine del giorno la Camera intende di approvare il programma che fu presentato dal ministero e di dargli il suo appoggio, affinch� il ministero lo possa mandare a compimento. Il ministero ha detto che egli non intende di essere giudicato fuorch� dai suoi atti; su questo siamo tutti d’accordo. Sarebbe ridicolo che il ministero venisse a chiedere un'approvazione di fatti che ancora non esistono; il ministero ba bisogno per compiere il suo programma di essere sicuro che la camera esprima il suo voto ed io spero che vorr� esprimerlo favorevolmente. (Bene, segni numerosi d’approvazione)

Massari ricorda che fu presentata una domanda di votazione per appello nominale, e che Bottero... (L'oratore viene interrotto fra i rumori)

Presidente prega che si lasci parlare Massari.

Massari. Prego quelli che hanno chiesto la votazione per appello a ritirare la domanda.

Plutino. No, vogliamo un governo forte.

(Il rumore � al colmo); il presidente si copre fra gli applausi delle gallerie. La sala offre uno spettacolo incredibile. Il tumulto dura per 40 minuti. Quindi rientra il presidente e ricomincia la seduta.

Presidente II ministro delle finanze ba la parola.

Sella presenta il progetto di legge sulla corte dei conti ritornato dal senato, chiedendo che venga passato alla commissione che lo ha prima esaminato.

Lanza chiede che venga invece mandato agli uffici.

Il presidente riassume nuovamente tutta la seguita discussione, conchiudendo che si proceder� alla votazione per appello nominale sull’ordine del giorno puro e semplice nel senso che esso significhi appoggio al programma del ministero. Coloro che vorranno dar questo appoggio diranno si; quelli che vogliono il contrario diranno no.

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Presidente proclama il risultato della votazione, quale �:

Presenti 293 = Favorevoli 210 = Contrarii 80 = s'astennero 3.

Questa proclamazione � accolta fra applausi generali e prolungati.

Ad onta di queste vivissime discussioni parlamentari il Governo italiano incaric� il Generale Garibaldi di andare a presiedere l'istituzione dei tiri nazionali in diverse parti d’Italia. Noi seguiremo pi� tardi l'ex dittatore nel suo viaggio.


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II.

Le agitazioni popolari destatesi nelle diverse parti della penisola avevano trovato un eco nel seno stesso della capitale della Francia. Narrammo gi� le turbolenze scoppiate a Parigi nella circostanza, che fu ordinata dal Governo la chiusura del Corso del Professore Renan all’Universit� di Francia. La scuola militare e politecnica, non che gli studenti della facolt� di dritto e di medicina erano in egual modo e grandemente esaltati. Fu necessario spiegare un apparato imponente di forza pubblica e di polizia per impedire che quei moti si facessero pi� serii.

M. Thouvenel ministro degli affari esteri ricevette il giorno 11 Marzo un rilevante numero di visite dei membri del corpo diplomatico, inquieti a cagion di quei moti, e si sforz� di provar loro che quegl'incidenti politici, quantunque avessero dato causa a buon numero di arresti, ci� nondimeno non presentavano alcuna gravit�, ed erano il solito risultato dell’antagonismo, che sempre esiste fra il partito rivoluzionario, le societ� segrete ed il Governo.

In mezzo a queste agitazioni ebbe luogo la discussione del paragrafo dell’Indirizzo del Corpo legislativo, relativo alla questione romana, e della quale noi non riprodurremo che i principali discorsi, di Giulio Favre, del Baron David, di Keller, di Koenigsvarter, e l’interessante complessiva risposta del ministro Billault.

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Nella seduta del giorno 11 Marzo Giulio Favre s'espresse nei termini seguenti:

Il sig. Giulio Favre ha la parola.

Signori, die' egli, l'emendamento che noi abbiamo deposto riproduce le idee, i principii e le conclusioni di quanto ho sviluppato l'anno scorso. Questa ragione m'impone una grande sobriet� nelle spiegazioni che vi prego d’ascoltare. Esse non devono riportarsi che ai fatti novelli, all’atteggiamento, ed alla politica attuale del governo.

Questo atteggiamento e questa politica io male la definirei dicendo sia lo statu quo e l’immobilit�: giacch� il governo non sa o non vuol dire se detto atteggiamento e detta politica continueranno.

La sua politica mi par essere adunque, fino a prova contraria, equivoca ed incerta. Ora, l'incertezza pesa gravemente sulla situazione del paese, autorizza tutte le supposizioni, incoraggia pericolose mene.

E quello che mi fa intepretare bene questa posizione si � la conversione inattesa d’alcuni dei nostri colleghi che l’anno scorso attaccavano il governo con un estrema vivacit�. Dicevan essi fieramente al governo: per chi siete voi? Siete i difensori od i nemici della Santa Sede? Se ne siete i difensori, aiutatela a riconquistare i suoi perduti dominii; e se colla presenza vostra continuate a sancire la spogliazione, il vostro protettorato non � che una tirannia. E la guardia d’onore, od un'agonia di cui contate i minuti? Siete a Roma soltanto per impedire ch'altri vi venga.

Ho quindi inteso gli stessi uomini ringraziare il governo della sua sollecitudine, impegnarlo a perseverare. Senza dubbio essi vorrebbero di pi�, ma sono felici di non aver di meno. Essi raccomandaron� al governo di preservare e di star in riserva, espressioni molto significative.

Preservare chi? � importante il ricercarlo. Se questo non s'applica che alla potenza smantellata, umiliata dalla fortuna la quale pi� non ha che un lembo di terra, la modestia � del poter temporale. In quanto alla parola stare in riserva, � un po' pi� chiara.

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Vuolsi stare in riserva pel caso in cui una grande confusione europea intervenisse per seguito di un avvenimento facile a prevedersi.

Havvi cost� una speranza che non voglio lasciare ai miei avversari, perch� � una minaccia per la tranquillit� del paese ed eziandio d’Europa. In quanto al governo, se il suo atteggiamento � lo stesso, il suo linguaggio � pi� riservato.

Egli sembra meno fervoroso, meno deciso in un senso, un po' scoraggiato a proposito dei negoziati colla Santa Sede. Si sente sbucciare non so qual germe di fermezza per una soluzione che � desiderata da molti spiriti serii. Ma egli vuole ancora preservare e stare in riserva. Egli preserva il Papa ed altres� mantiene delle riserve a suo riguardo, soltanto intende le riserve a modo suo. Non fa d’uopo essere molto sottile per indovinare gli avvenimenti a cui s'attacca.

Dopo codeste civetterie indirizzate ai partigiani d’un prossimo scioglimento, egli rientra nell’atteggiamento che preferisce. Dice che al tempo soltanto appartiene di sciogliere la difficolt�. Potrei cos� riepilogare quello che il governo pensa: la sua previdenza � l'imprevisto.

L'onorevole membro cita qui un passo del discorso del signor Billault pronunciato in Senato, passo in cui si trova l’espressione di sosta volontaria; poi l’oratore aggiunge: i Dopo aver constatato il punto di partenza che era una sosta volontaria,� vediamo qual sia il punto d’arrivo. Bisogna risolutamente attendere, dice l’organo del governo, che la Provvidenza spiani la situazione. L'appello alla Provvidenza � una gran parola certamente; ma questa parola non racchiude forse l’assenza completa d’ogni idea? Senza dubbio gli uomini sono assai deboli in faccia a quella potenza sovrana che li domina, ma dessa diede loro la libert� d’usarne o no, per attendere in una specie di orientale fatalismo.

Un tale linguaggio altronde, una tale politica lasciano troppi interessi in sofferenza perch� i rappresentanti del paese non preghino il governo d’uscire da una situazione che l'espone a molte accuse, segnatamente a quella di duplicit�.

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Io constato infatti che la politica del governo � doppia, ed � una conseguenza fatale di codesta spedizione di Roma, la quale sembra aver condannato quelli che l'hanno fatta alla confusione. Perch�? la spedizione di Roma � stata assunta e condotta di tal foggia, che ci ridusse a questa estremit�, di non potere n� restare in Roma ne uscirne. La ragione si � che noi non vi rappresentiamo un principio, ma due principii i quali sono inconciliabili, e che abbiamo intrapresa un'impossibile transazione.

Questa confusione di due principii che si escludono, data dai primi giorni della spedizione di Roma. Stupiron tutti che la fortuna della Francia fosse basata sopra un equivoco. Se allora il potere esecutivo avesse voluto ristabilire pienamente il potere temporale, declinava questa confusione, ma si comprometteva ed esponevasi a tutti gli attacchi della Francia liberale.

Veramente il potere esecutivo voleva ristabilire il Papa, non il Papato. Ci� era un rialzarlo per umiliarlo.

Dopo questa ristorazione comincia per la Francia una serio di prove che prosegue con un coraggio impotente. Essa chiede in principio riforme colla nota lettera ad E. Ney. Ma questa lettera ledeva quel potere che aveva restaurato. Ci� era esporsi ad un sicuro rifiuto. Il Papa poteva dare a' suoi sudditi un governo in armonia coi progressi del tempo, ma nol poteva fare con dignit� quando gli veniva proposto dal vincitore.

La domanda della Francia, non ostante le sue forme rispettose, non nascondeva il fondo delle cose, ch'era un ingerenza negli affari del suo governo. Gli � da questo punto che cominci� questa lotta impossibile della forza contro la forza, perch� l'immobilit� del governo pontificio � una resistenza invincibile.

Dal 1849 al d� d’oggi la questione � sempre la stessa. Bisogna per� render giustizia alla Corte di Roma, perch� la sua politica fu inflessibilmente la stessa rimpetto alla Francia. Essa vuol tutto o nulla; subisce la protezione della Francia, ma non accetter� le sue proposizioni.

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�Noi non esaminiamo la questione dallo stesso punto di vista, risponde il card. Antonelli al duca di Gramont; il Papa non transiger� mai. Quanto alle riforme atterr� le sue promesse, le promulgher� quando le provincie insorte saranno rientrate sotto la sua autorit�. �

Non sono queste solo le parole d’un prete convinto, ma son quelle d’un ministro, che comprende la dignit� della sua situazione

Antonelli finiva la sua conversazione con Gramont dicendo, che i fatti compiuti, per la corte di Roma, non avranno mai il carattere della legalit� e che non v'ha transazione possibile. Al finire di queste parole Gramont usciva. La migliore risposta sarebbe stata quella di farlo seguire da tutta la guarnigione.

Cos� la Francia supplica inutilmente da 13 anni la corte di Roma. L'occupazione costa gi� 150 milioni. Gli avvenimenti successi dopo il 1849 hanno distrutto in parte ci� che avevamo ricostituito, ed hanno costatato l'impossibilit� morale del risultato che ci proponiamo. Il potere temporale del Papa ha toccato colpi gravi, colpi che il governo nostro ammise come fatti compiuti.

Due potenze cattoliche, l’Austria e la Spagna volevano dividere il peso dell’occupazione di Roma. La risposta del sig. Thouvenel a questa proposizione pone chiaramente i principii, ricusa la proposta partecipazione, e promette di non aderire ad alcuna combinazione incompatibile col rispetto che professa per l'indipendenza e dignit� della Santa Sede.

Per finire la questione si � parlato d’un congresso. A mio credere un congresso � impossibile; esso sarebbe in opposizione coi principii sui quali riposa il governo in Francia. � passato il tempo che i popoli non entravano per nulla nelle transazioni politiche. Credo inutile per� discutere la questione, perch� anche il Congresso non sarebbe accettato da Roma.

Che s'ha da far dunque? Aspettare, ci si dice. Ma l'aspettare prima � mancare di dignit�, � poi certo che coll’aspettare non mutan lo cose, perch� la corte di Roma non vuol cedere.

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D’altra parte questo temporeggiamento con continue intimazioni potr� continuare senza una manifesta violazione di diritto? Non entro in questa disputa. Restando a Roma abbiamo in mano la testa e il cuore dell’Italia, ne abbiamo riconosciuto il regno, e ne impediamo la circolazione del sangue e della vita. Liberammo l’Italia dal giogo straniero: la teniamo sotto il nostro; che vi guadagna?

Che facciamo a Roma? Difendiamo un potere da noi stessi condannato, che cadrebbe senza di noi. Nell’altra camera disse il ministro, che il governo s'era deciso ad aspettare tutelando i due principii che ci stanno di fronte. Quali sono questi principii? Da una parte l'indipendenza d'Italia, l'indipendenza della Santa Sede dall’altra. Ma ci� � conciliabile? Io credo che l'Italia non sar� indipendente finch� non abbia Roma.

Quanto all’indipendenza della Santa Sede, non so dove vederla in questo momento. Si dice che � dell’interesse della religione, della libert� spirituale della Santa Sede la conservazione del potere temporale. Ma il potere temporale � legato e soggetto a tutto le passioni umane. Dunque non utile, ma dannoso alla religione.

Il governo, si dice, non vuole a Roma n� reazione, n� rivoluzione. Se levasse le sue truppe cederebbe il posto alla rivoluzione. E non v'ha in Italia il Re Vittorio Emanuele? Si pu� dir forse che in Italia regni ancora il disordine?

L'Italia ha da esser una, perch� lo vuole; compir� il programma troncato a mezzo dalla pace di Villafranca. E quest'opera di civilizzazione, cui la Francia � s� interessata, non dev'essere arrestata pi� a lungo dal non possumus! � ormai tempo che l'incivilimento faccia pure sentire il suo non possumus! Non possiamo vederci sempre a fronte un'ostinazione invincibile; non possiamo spendere pi� a lungo i nostri tesori e 'I nostro sangue per un potere che non vuol sentir nulla, nulla accordare: non possumus!

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David prende la parola contro l'emendamento sostenuto dal sig. Favre e loda il governo della riserva e della prudenza della sua condotta negli affari d’Italia, come di saggia politica. Egli per� si lagna che il paragrafo relativo all’Italia non fornisca sufficienti indicazioni delle tendenze dell'opinione pubblica, e che si applaudisca al riconoscimento d’Italia senza dire come si assicurer� l'indipendenza del papato. Siffatte tergiversazioni di linguaggio non soddisferanno alcun partito.

L'oratore, tuttavia, si rallegra che il governo abbia compreso la necessit� di adottare una politica liberale. La guerra d’Italia � stata intrapresa in uno spirito liberale, e sar� la gloria dell’Imperatore l'aver consacrato a Villafranca il principio che i popoli dispongono di se stessi. L'oratore dice che ci� non contrasta punto col reggimo interno, giacch�, dopo discordie civili, la libert� dipende pi� dall’uso che ne fanno i cittadini chiamati a goderne, che dai governi risponsabili dell’ordine.

L'occupazione di Roma, egli dice, non nuoce alle istituzioni liberali dell’Impero. La partenza dello nostre truppe getterebbe l'Italia in eccessi perniciosi allo sviluppo della libert� in Francia; la libert� non pu� essere fuorviata in Italia senza compromettersi in Francia. L'assolutismo non potrebbe che giovarsi dello sgombro di Roma per parte delle nostre truppe. Padrona di Roma l’Italia ne sarebbe abbagliata, ma l'illusione si dissiperebbe di fronte al malcontento dei romani privi degli splendori della corte pontificia, ed al malcontento delle provincie prive della loro autonomia.

L'oratore parla pure della situazione delle provincie meridionali, che egli dice tristissima, della presenza dell’ex re Francesco II a Roma, al quale, egli dice, non doversi attribuire la causa del malessere di quello provincie. Secondo l'oratore, la vera difficolt� pel governo di Vittorio Emanuele a Napoli � l'avversione del Mezzogiorno pei funzionarii del Nord.

L'oratore dice che il suffragio universale, con cui le popolazioni meridionali proclamarono l'unit� d’Italia fu piuttosto l'effetto della vivacit� di esse e della sorpresa, che della persuasione.

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Egli dice che i cattolici sarebbero molto turbati se Roma andasse nelle mani dei Piemontesi che non saprebbero proteggere il Papa, e che spetta alla Francia il perseverare nella sua politica per non essere accusata della caduta del S. Padre.

L'oratore espone pure altre conseguenze che deriverebbero dall’entrata dei Piemontesi a Roma: si parlerebbe allora subito di andare a Venezia, le ostilit� degenererebbero in guerra rivoluzionaria, il governo di Vittorio Emanuele vi sarebbe trascinato e cos� quello dell’Imperatore. Egli passa qui a parlare del partito rivoluzionario cosmopolitico che si serve ora del principio di nazionalit� e si servir� poi del principio sociale per tutto sconvolgere; cita a questo proposito una lettera di Garibaldi pubblicata il 16 febbraio sulla Nuova Europa di Firenze, e le parole dette dallo stesso Garibaldi ai deputati dei comitati patriottici a Genova.

Secondo l'oratore, l’unica via di uscire da tanti imbarazzi ed assicurare l'indipendenza d’Italia sarebbe una confederazione di provincie italiane colla restituzione al Papa de' suoi antichi Stati, il che realizzerebbe pure la liberazione di Venezia.

Le nostre truppe, egli dice, non rimarranno indefinitamente a Roma. Come si far� per surrogarle? La Francia non soffrir� che un'occupazione straniera succeda alla sua, e tuttavia, bisogna confessarlo, il Papa non pu� contare sulla fedelt� de' suoi sudditi ed ha bisogno d’armi straniere che lo proteggano. Entrate le truppe piemontesi a Roma, non si tarderebbe a spogliarlo di quanto gli fosse stato lasciato e saremmo condannati a veder scomparire, col regno temporale, anche il Papato. Bisogna dunque ristabilire il Papa sulle antiche basi del suo governo, modificandole se far� bisogno.

D’altronde, l'unit� d’Italia � un concetto anti francese; esso � inglese e ne ho la prova nel dispaccio di lord Russell, 10 settembre 1860. Perch� dunque sacrificare il Papato a questo concetto effimero?

L'oratore dice che gli Italiani non avranno per ci� alcuna gratitudine alla Francia, giacch� i popoli sono ingrati e non agiscono che in vista del loro interesse;

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che non sar� difficile riconciliare le disingannate popolazioni delle Marche e dell'Umbria colla S. Sede; che i cattolici dovrebbero far giungere al S. Padre voti di conciliazione e parole di moderazione e di condiscendenza affinch� la corte romana voglia adattarsi alle idee di progresso e di libert� che sono ora invincibili.

L'oratore indica i mutamenti che in questo senso paiono operarsi nelle disposizioni dell'Austria, della Prussia, della Russia. Evvi in tutto ci�, egli dice, dei grandi ammaestramenti. La nostra missione a Roma � di conservare il Papato rigenerato e ringiovanito. Non � impossibile di sperare il ringiovanimento del Papato con un Pontefice che inaugura il suo regno associandosi ai pensieri di libert�. (Approvazione su parecchi banchi). Io voter� contro l'emendamento.

Keller dice che non si metter� n� dal punto di vista del sig. Favre, che combatte radicalmente il governo, ne dal punto di vista del barone David, che approva il governo senza riserva. Ma come essi desidera che la luce sia fatta. In questa quistione rimane un certo malinteso che incombe alla dignit� del governo e della Francia di fare cessare. L'onorevole Billault disse in un'altra camera che il governo s'impegnava a mantenere le nostre truppe a Roma, e nello stesso discorso fece al governo pontificio un processo si completo e radicale che nasce il dubbio se sia lo stesso governo che le nostre truppe continuano a proteggere. � verso questo stesso biasimo che inclina evidentemente il progetto d’indirizzo del Corpo Legislativo. Esso lascia intendere che quanto prima il Re d’Italia raggiunger� lo scopo prefissosi. Esso abbandona, con un silenzio inquietante, questo potere atemporale onde ogni giorno si parla meno.

Gli stessi rimproveri sono stati indirizzati alla Santa Sede dal barone David e dal sig. Favre. Quindi amici ed avversari della Santa Sede proclamano che questa ebbe dei torti. Si concertano per attaccarla in guisa che si pare arrivati forzatamente alla netta soluzione che reclama da lungo tempo la logica del sig. Favre. Questa idea si fa strada anche all’estero, e l'oratore cita un discorso del sig. Rattazzi, il quale mostrasi persuaso che la Francia divida l'opinione che sia giunto il momento

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di abolire il potere temporale del Papa. Bisogna che l'attuale discussione faccia cessare questa credenza.

I rimproveri indirizzati alla S. Sede possono riassumersi nei seguenti tre gravami:

II primo � che il rifiuto del Papa di trattare col Piemonte � una contraddizione colle risoluzioni adottate da parecchi de' suoi predecessori. Il secondo � che il rifiuto di dare delle riforme � incompatibile colla liberta moderna. Il terzo � che Pio IX che risponde con rifiuti, non ha diritto di turbare le coscienze, poich� trattasi di un interesse temporale e non di un interesse religioso.

Per quanto concerne il primo, � vero che i diritti pi� sacri sono stati disconosciuti. I Papi non isfuggirono a questa legge e dovettero cedere alla violenza e subire riduzioni di territorio. Ma questi precedenti non diminuiscono la responsabilit� morale di coloro che commettono di cotali spogliazioni.

Se a Tolentino Pio VI ha subito il trattato che tutti conoscono, erano al momento in cui la Spagna e l'Austria era d’accordo per ispogliarlo dei suoi Stati. Se Pio IX transigesse oggi sarebbe con quello che l’ha audacemente spogliato, con quello che � la negazione incarnata del potere temporale.

L'unit� d’Italia �, come si disse, l'anno scorso, una idea mazziniana ostile alla Francia ed alla chiesa, capace di distruggere e non di edificare.

A Torino si annunzia tutte le mattine che si � sul punto di salire in Campidoglio, e ci� � necessario per non essere scalzati dai comitati di provvedimento. Ma in sostanza non si � tanto ansiosi di andarvi, poich� � noto che sintantoch� non si � a Roma, Roma � un'eccellente ragione per rimanere a Torino e non trasportare la capitale n� a Firenze, n� a Napoli. Il giorno in cui i Piemontesi fossero a Roma, il potere passerebbe nelle mani dei mazziniani.

I oratore biasima alcune irreverenti parole pronunziate da Favre e da Konigswarter i quali pretesero che Roma fosse una officina di brigantaggio. Questo � un oltraggio pel Papa e per la Francia la cui bandiera � a Roma.

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L'oratore, a proposito del brigantaggio, prende a stigmatizzare tutti i proclami dei generali italiani cominciando da quello di Cialdini. Essi son degni di quelli che ha biasimato il parlamento inglese.

Da quale epoca data questa incompatibilit� tra la Santa Sede e le riforme appropriate allo spirito dei tempi? Si fa risalire ben alto. Si citarono i dispacci del regno di Luigi XV. Queste accuse contro la corte di Roma si trovavano gi� nella bocca di quell’elegante abate de Bcmis, che doveva la sua fortuna ai versi dedicati a madama de Pompadour, e che il suo amico Voltaire chiamava Babet la Bouqueterie. (Si ride)

Pigliando le mosse da quell'epoca e venendo all’epoca del direttorio, l'oratore cita un carteggio di Napoleone I, col quale intende provare che quel gran capitano aveva una cattivissima idea degli italiani, i quali col loro governo imbarazzavano la Francia. Arrivando a Pio IX parla della generosa iniziativa presa allora dal Pontefice per migliorare le condizioni finanziere e per dare uno sviluppo alle libert� municipali, e ricorda come la rivoluziono fosse il compenso de' suoi benefizi. Sintanto che la societ� moderna non tender� che a demolire o a centralizzare, la S. Sede aspetter� che l'esperienza si faccia. Ora tutte le concessioni non sarebbero che un muro di sabbia contro lo straripamento delle passioni unitarie. Voi non fareste che gettare la prima pietra contro Pio IX.

Che ne dico il governo? Che rimane a Roma malgrado i rifiuti e le ingratitudini, che continua ancora a proteggere il Papato, ma che se il Santo Padre, resistendo sempre a' nostri consigli, soccombesse tosto o tardi, non sarebbe sua colpa, ma della Francia. Pare si voglia preparare gli animi a questa sventura. Non � una quistione di dogma, dicono, ma una quistione politica. Se il Papa cessa d’essere Re, la religione vi guadagna. Se si dicesse lo stesso a un proprietario: il vostro palazzo, la vostra terra, non sono dogmi, sono fastidj di cui si vuole sbarazzarvi, la povert� non far� che accrescere lo splendore delle vostre virt� e l'indipendenza del vostro carattere.

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Malgrado la sua poetica bellezza, la povert� non � l'indipendenza; il corpo ha mestieri di nutrimento: l’indipendenza vera � di essere sicuri del suo pane di ogni giorno e di posseder un patrimonio inviolabile.

Perch� la nostra fede religiosa abbia questa indipendenza, bisogna che il papato possegga un patrimonio, la sua piccola e modesta sovranit�, al sicuro delle vicende politiche; il potere temporale � necessario alla libert� religiosa. Senza dubbio vi furono pel passato e vi saranno per l'avvenire attentati contro questa grande legge sociale, protrettrice della propriet�. Essi sono colpevoli, sono criminosi. La propriet� � un dogma, non pel proprietario, che potrebbe passarsene, ma pel ladro che non pu� toccarvi senza delitto; allo stesso modo il potere temporale � un dogma non per la Chiesa che pot� vivere senza di esso ma per la societ� che non pu� toccarvi senza ferir se stessa.

Ecco la gran sentenza che i vescovi hanno proclamata in mandamenti la cui raccolta � vietata in Francia, che essi proclameranno a Roma se loro si permette di riunirsi intorno al S. Padre. (Rumori) Ecco il dogma a cui il sig. Granier di Gassagnac rendea l'anno scorso un cos� splendido omaggio dicendo: Dio, padrone del mondo, � pure il padrone della sua Chiesa. s'egli volesse permettere un giorno che il papato potesse cadere, io non porter� la mano per questa rovina; io non vorrei, all’ultimo giorno di mia vita, sentir sul!' anima mia il peso d’una tale azione. (Benissimo])

Signori, ci� che io rimprovererei al governo, sarebbe d’abbandonar moralmente il Santo Padre, di non provvedere abbastanza al suo onore, di rivolgergli rimproveri, contraddizione flagrante coll’intenzione di proteggerlo, ed io vorrei qui ben precisare le mie quistioni.

Il governo � egli deciso, senza pregiudicare l’avvenire, a mantenere lo statu quo, a conservare al Santo Padre Roma e il patrimonio di San Pietro nei limiti attuali?

Il governo, vuol egli invece, mettere il Papato in mora (V accettare un assetto definitivo, e considera egli che un rifiuto ci renderebbe la libert� di ritirare le nostre truppe da Roma o di ristringere la nostra occupazione!

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Su questo punto � necessaria una categorica spiegazione. Il voto di fiducia che ci si domanda ha egli per iscopo di prolungare l'occupazione o d’appoggiare una transazione il cui rifiuto avrebbe per effetto il ritiro delle nostre truppe?

Se il governo desidera di mantenere lo statu quo, ch'ei rinunzi ai rimproveri che non fanno che rallegrare i nemici della Santa Sede ed i suoi. (Adesione sovra alcuni banchi)

Se il governo vuole, al contrario, costringere il Papa ad accettare una transazione che, per mia parte, non credo n� giusta, n� onorevole, n� possibile, ch'esso non ci domandi di dividerne la responsabilit�. Nel tempo stesso che la sua politica cessa di inspirare la stessa fiducia, essa inspira le stesse speranze a coloro che desiderano il mantenimento del papato e a quelli che ne vogliono la cessazione.

Qualunque indecisione non pu� che accrescere le agitazioni delle coscienze, giacch�, checch� ne dica il sig. Rattazzi, l'emozione tra cattolici � cos� grande oggi come nei primi giorni.

Questa prima contraddizione ne trae seco una seconda, pericolosa pel paese. Il vero ostacolo che si solleva qui dinanzi al governo e dinanzi alla Santa Sede, � un nuovo dogma che nemmeno esso vuol transigere: � la rivoluzione.

Or bene! indirizzando alla Santa Sede gli stessi rimproveri ch'essa diresse a noi, non separandosi da essa che per le conchiusioni del presente, il governo resta in contraddizione colla sua origine e colla sua missione. Esso non farebbe che affliggere quelli che gli sono devoti, e gettar l'inquietudine in quelle masse onorevoli e conservatrici che fanno la sua forza e a nome delle quali noi abbiamo il diritto di parlare.

Credetelo, o signori, da qualunque parte sia stata la maggioranza, la vittoria non fu n� per i 91 n� per i 150; essa lo fu per la rivoluzione. (Mormorii)

Invece di riparare l'errore, si � cercato d’aggravarlo. L'Indirizzo di quest'anno � ancor meno felice di quello dell’anno scorso; e per mia parte, mi � impossibile di associarmivi.

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Quando le coscienze protestarono contro il progresso del male, i ministri hanno detto: La rivoluzione siam noi; ed io dico: no, non siete voi; voi non potete essere la rivoluzione. Essa vi tende le braccia, ma non vuol concessioni se non per indebolirvi.

Che cosa � mai la rivoluzione, io vel dir� con tutta la franchezza e tutta la chiarezza di cui son capace. La rivoluzione, come l'abbiamo vista in Francia, come essa agisce in Italia, � per qualunque cittadino al di fuori d’ogni tradizione religiosa e sociale il diritto di rovesciare colla forza le istituzioni del suo paese e di surrogarne altre come meglio gli convengono.

Se l'intento fallisce, si � un tristo; se vi si riesce si diventa un liberatore. Lo scopo che si � proposto essendo la felicit� del genere umano, la pi� spiccia � di esterminare coloro che ricusano d’associatisi.

Per raggiungere questo scopo, si concentra nelle sue mani tutte le forze del paese, si arriva alla negazione d’ogni libert�, si proclama la sovranit� dello scopo, e si mostra feroci riguardo a quelli che resistono, moderati verso coloro che piegano le ginocchia.

Prevedo la risposta. Mi si dir� che � la nazione che giudica il sistema, regna colle mani del potere e che lo infrange. Lo so— � a nome del popolo che si fanno le rivoluzioni; ma malgrado generose aspirazioni, e sforzi eroici ognuna di queste rivoluzioni � un ferita fatta alla vera libert�.

Di distruzione in distruzione si venne al punto di tenere una onorevole fedelt� che non prest� che un solo giuramento in conto di una curiosit� archeologica. Una sola istituzione un uomo solo rimasero in piedi: questa istituzione � la Chiesa quest'uomo � il Papa — ed � perci� che la rivoluzione perseguita la Chiesa e il Papa con un odio implacabile. Da ci� l'antagonismo tra il dogma cattolico e il dogma rivoluzionario.,

Potr� darsi che il Papa soccomba, che Pio IX sia obbligato a cedere il suo posto a Cialdini e i suoi emuli, a questi uomini, che bruciano le caso e ne fucilano gli abitanti. Ma non � pel potere temporale che io sono maggiormente inquieto.

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Un tempo il potere temporale non esisteva, e allora Cesare era tutto — Sovrano — Pontefice — Dio — ma la sua potenza era tanto pi� passeggiera, quanto pi� era illimitata.

Ecco il fine della rivoluzione. Tutti quelli che hanno attaccato la S. Sede non tendevano che a ristabilire il vecchio impero romano. Signori, la Chiesa pu� stare senza protezione, la Francia non pu� privarsi di vita morale e di libert�. La Francia non � rivoluzionaria, perch� la rivoluzione � la negazione del cattolicismo e della libert�. Escano dalla folla o siano sui gradini d’un trono, indietro! indietro! tutti quelli che vorrebbero trascinare il governo e la Francia e ricondurci al Basso Impero (Viva approvazione su parecchi banchi.) La seduta � sciolta alle 6.

La seduta � aperta alle ore due. � letto ed approvato il processo verbale della tornata precedente.

Koenigsvarter. Rispondo brevemente alle parole che m'ha indirizzato jeri il sig. Keller. Nel mio discorso di gioved� non v'ha parola che manchi di rispetto al Capo supremo della religione cattolica. Perci� non posso accettare la lezione che parve voler darmi il sig. Keller.

In quest'assemblea non vi sono categorie, non vi sono deputati in ispecie cattolici, protestanti o israeliti, qui non vi sono che deputati francesi. Che Keller mi permetta di dirgli che i ministri della sua religione sono pi� tolleranti e pi� giusti di lui.

Non ho poi detto che Roma fosse convertita in un'officina di brigantaggio, ma dissi solo che a Roma v'era un comitato borbonico, diretto dal gen. Clary, le cui istituzioni dolci ed rimane furono trovate nelle carte dell’infelice Borj�s, il quale lanciava continuamente briganti ed avventurieri sulle provincie limitrofe; e ci� risulta da documenti ufficiali.

Ollivier. Opporr� alcune obbiezioni agli argomenti del sig. Keller. Egli ha parlato d’alcuni proclami pubblicati a Napoli in ordine al brigantaggio. Io li condanno, e il governo italiano gli ha condannati prima di me. Non � giusto farlo responsabile d’atti deplorabili di alcune individualit� fuorviate.

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Il sig. Keller s'inganna facendo l'onore ad un uomo, qualunque ei sia, d’aver creato, sostenuto o proposto ci� che si chiama l'unit� italiana. Ogni patriotta italiano ha dalla culla quest'idea, che fu insegnata agli Italiani dai canti di Dante o che Macchiavelli, alcuni secoli dopo Dante, ha proclamato come lo scopo cui deve sempre tender l'Italia. L'idea dell’unit� non � dunque n� mazziniana, n� repubblicana, ma nazionale e patriottica. E a che risponde? A questa grande e nobile idea, l'idea della patria!

Vi fu un tempo in cui le guerre dei duchi di Borgogna e Brettagna avevano pur fatto scomparire tra noi l'idea dell’unit�. Che avvenne? Una donzella, animata dal pi� puro patriottismo, si reca nella mano coraggiosa il vessillo della Francia, fa consacrare a Reims il suo re ed � creata l'unit� della Francia.

Il Piemonte, l’unit� d’Italia, per quanto concerne la questione romana, non sono che idee accessorie e accidentali. Non dimentichiamo quanto e' insegna la storia. Quando il Piemonte era ancora il braccio pi� devoto della Santa Sede, quando l'unita italiana non appariva che in lontananza, nel 1815, nel 1822, nel 1830 e nel 1833, ecc., vi furono a Roma delle scosse, degli appelli a qualche cosa di meglio; torbidi tali, che si � dovuto ricorrere all’armi straniere per mantenervi qued'ordine ingannatore che portan seco.

Allora non si trattava di Vittorio Emanuele, di Mazzini e di Garibaldi; essi non figuravano ancora sulla scena del mondo, e la lotta esisteva; e se essi scomparissero, la lotta esisterebbe finch� non avesse la sua soluzione.

Perch�? Voi lo diceste, perch� a Roma, ci� che si presenta � la rivoluzione. Ma cos'� la rivoluzione. Keller ha sgombrato ieri questa parola dalle nubi che la circondavano, disse di riconoscerla ai caratteri seguenti: All’onnipotenza dello Stato e ad una centralizzazione eccessiva, al difetto e all’odio della libert�, al rispetto pei fatti compiuti, e infine alla sovranit� dello scopo.

Ma io non voglio, come Keller, l’onnipotenza dello Stato, amo la libert�, non approvo i fatti compiuti, che quando sono legittimi. l’ha dunque tra di noi un malinteso; bisogna dissipar queste tenebre per non combattere al buio. In qual dottrina, in qual paese, in quale scuola si trovano i principii condannati da Keller?

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La centralizzazione eccessiva la trovo nelle Memorie di Luigi XIV ove si dice che lo Stato � proprietario dei beni di tutti i sudditi non esclusi gli ecclesiastici, e la trovo nel Trattato di politica sacra di Bossuet, ove � la frase: Il potere dei re � assoluto.

Ecco l'onnipotenza dello Stato, quell’onnipotenza che trovo nella teocrazia romana, in quel governo che confonde tutti i poteri in sua mano, che ci ha fatto assistere alla pi� curiosa e interessante delle rivoluzioni. La Chiesa � immutabile nel suo dogma; ma ha poi una parte materiale, terrestre e mutabile.

Fin qui la sagacit� della Chiesa era consistita nel modificare quest'ultima secondo i tempi. Da prima l'organizzazione materiale della Chiesa fu la democrazia, poi l'aristocrazia dei vescovi, poi una monarchia temperata dai concilii. Era riservato ai nostri tempi di vedere la Chiesa porsi in contraddizione colle idee e coi fatti e trasformarsi in monarchia assoluta.

Volete avere un'idea della pi� terribile centralizzazione? Guardate a Roma, guardate l'immensa circonferenza di cui � centro! Vedete se sopra un punto qualunque di questo circolo il prete non � condannato ad accettare e difendere quanto � proclamato per vero a Roma dal solo Papa!

I fatti compiuti? Qual � la massima costante della Chiesa a questo riguardo? Il dice S. Paolo: Ogni potere � da Dio, ed � costume della Chiesa chiamar re chi occupa il trono.

Fedele a questo principio, la Chiesa ha sempre riconosciuto tutti i governi che si sono succeduti in Francia; il primo Impero, la Ristorazione, il governo del 1830, la repubblica del 1848, ed ha dichiarato che Napoleone III era l'eletto della Provvidenza.

Keller disse che la chiesa amava la libert�. Basta consultare i documenti emanati dalla corte di Roma, per vedere come si ami la libert�.

L'ultimo carattere della rivoluzione accennato da Keller � l'applicazione del principio, che il fine giustifica i mezzi. � vero la rivoluzione ha servito qualche volta a questo principio deplorabile, ma esso non fu mai lo spirito generale e vero della rivoluzione. Non cerchiamo quai partiti l'abbian seguito, l'hanno seguito tutti pi� o meno.

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L'oratore, dopo aver detto che la rivoluzione attuale si incarna nel principio: Vox populi, vox Dei, e che la corte di Roma non vuole vedere applicati i principii, che ha veduto applicare e riconosciuto riguardo agli altri sovrani, conchiude.

Quando le credenze cattoliche saranno illuminate, comprenderanno che tra il potere temporale affatto corroso, e la fede, cosa divina, non v'ha alcun vincolo necessario, che l’integrit� del dogma non pu� essere attaccata a pochi palmi di terreno, e che nulla di terreno � necessario alla fede, come diceva Tertuliano. Conchiude con quel degno sacerdote d’Italia, che ha osato dire al Papa: Santo Padre; avete cominciato il vostro regno colle parole: Io perdono, terminatelo dicendo: Io benedico, ed acconsentite ad essere nel mondo il presidente di quest'assemblea dei popoli, e il rappresentante della coscenza e della verit�.

Milani ha la parola. Signori, die' egli, la verit� si trova a eguale distanza fra i due estremi; la linea di condotta biasimata dai partiti estremi � la sola conforme agl'interessi del paese.

Questi due partiti vogliono una spiegazione dal governo. Essi non comprendono la moderazione, il cui linguaggio abbiamo tenuto e teniamo a Roma.

Ecco i consigli che ci si danno. Da una parte si domanda il richiamo delle truppe da Roma, perch� la Francia abbandoni alla rivoluzione una delle questioni pi� gravi che interessano la pace delle coscienze e quella del mondo.

Da un'altra parte si fa appello alla reazione che una esperienza di 50 anni ha dimostrata impotente a ristabilire il passato.

� possibile dare seriamente alla Francia il consiglio d'evacuare la citt� eterna?

I.'anno scorso nelle difficolt� che sono sorte in Italia che cosa abbiamo detto a Roma, al Piemonte, all’Europa? al Papa dicemmo: restate a Roma aspettate con noi: vi coprir� la bandiera della Francia. Quando gli si consigliava la fuga, e gli s'ispirava la diffidenza verso la Francia, protestammo di essere calunniati dai nemici del Papa e della religione che davano cattivi consigli. (Benissimo).

Che attitudine prendemmo dinanzi all’Europa? I governi erano inquieti e ci fecero delle rappresentanze.

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Ci� che ci si proponeva non era conforme alla idea del nostro governo, ma le combinazioni immaginate furono aggiornate, e un sincero omaggio fu reso dalle potenze alla nostra lealt�. Esso ci dissero; siamo tranquille perch� sappiamo che non uscirete da Roma che d'accordo coll’oggetto che vi ci ha condotti.

Quanto al Piemonte, quando esso mai pot� ingannarsi sulle nostre intenzioni? Forse quando l'Imperatore in un proclama memorabile dichiarava ch'esso non andava in Italia per rovesciare il Papato n� per togliere di mezzo le dinastie dei governi stabiliti, lasciando solo ai popoli il giudicare dei loro governi? Forse quando fu sottoscritta la pace di Villafranca? Forse quando si manifestava un veto rivoluzionario verso il Sud dell’Italia e e che noi proponevamo all’Inghilterra di opporvisi con noi? Forse nel giorno in cui entrando il governo piemontese nelle Marche, noi sospendevamo con esso le nostre relazioni, o quando riconoscemmo il regno d’Italia con molte riserve?

In quest'ultima circostanza la Francia dichiar� che non ratificava il passato, che non approvava le imprese imprudenti, che separava la questione romana dalla questione italiana fino a che fosse raggiunto il fine che si era proposto in ordine al Papa.

Comunicher� alla Camera una lettera scritta nel 1861 dall’Imperatore al Re Vittorio Emanuele; essa � datata di alcuni giorni prima della ricognizione del Regno d’Italia:

Vichy 12 luglio 1861.

Mio signor fratello,

�Fui felice di potere riconoscere il nuovo regno d'Italia nel momento in cui V. M. perdeva l'uomo che aveva maggiormente contribuito alla rigenerazione del suo paese. Con ci� volli dare una nuova prova della mia simpatia ad una causa per la quale combattemmo insieme. Ma ripigliando i nostri rapporti officiali sono obbligato a fare le mie riserve per l’avvenire. Un governo � sempre vincolato dai suoi antecedenti. Ecco sono 11 anni che io sosteneva a Roma il potere del S. Padre.


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Malgrado il mio desiderio di non occupare alcuna parie del territorio italiano, le circostanze furono sempre tali che mi fu impossibile di evacuare Roma. Facendolo senza serie guarentie avrei mancato alla fiducia che il Capo della religione aveva messo nella protezione della Francia. La posizione continua ad essere la stessa. (Benissimo).

�Devo dunque dichiarare francamente a V. M, che pur riconoscendo il regno d’Italia, lascier� le mie truppe a Roma, finch� Ella non sar� riconciliata col Papa, o finch� il S. Padre sar� minacciato di vedere gli Stati che gli restano, invasi da una forza regolare, o irregolare. (Viva adesione)

In questa circostanza io sono mosso unicamente dal sentimento di un dovere: la M. V. ne sia ben persuasa. Io posso avere opinioni opposte a quelle di V. M. credere che le trasformazioni politiche sono l'opera del tempo, e che una aggregazione completa non pu� essere durevole se non quando sar� stata preparata dall’assimilazione degl'interessi, delle idee e dei costumi (benissimo). In una parola lo penso che l'unit� avrebbe dovuto seguire e non precedere l’unione. Ma questa convinzione non influisce affatto sulla mia condotta. Gl'Italiani sono i migliori giudici di ci� che ad essi conviene, e non istarebbe bene a me uscito dall’elezione popolare il pretendere di pesare sulle decisioni di un popolo libero (romorosa approvazione).

�Spero che V. M. unir� i suoi sforzi ai miei perch� nello avvenire nulla venga a turbare la buona armonia cos� felicemente ristabilita fra i due governi�.

Ecco, o signori nettamente stabilita la posizione. Ora io domando: in presenza di queste solenni parole, di questa politica che cominci� dal ristabilire i! Papa a Roma, e che ve lo mantiene, � forse possibile abbassare la bandiera francese dinanzi le eventualit� rivoluzionarie?

Voci Numerose: No, no; ci� � impossibile.

Il sig. Billault continua dicendo che la pi� semplice lealt� impone alla Francia l'obbligo di non abbandonare quello che essa ha protetto per 10 anni, quand’anche si trattasse del pi� piccolo sovrano e non fosse impegnata la questione religiosa;

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a pi� forte ragione adunque la Francia deve continuare a proteggere il Capo del cattolicismo. Egli dice che sono di questo medesimo parere tutte le potenze d’Europa, eccettuata una sola, l'Inghilterra, la quale non giudica se non secondo i suoi progni interessi e la sua fede, e quantunque si mostri cos� favorevole all’Italia, pure non le diede ne un uomo ne uno scellino.

Qui l'oratore riassume le ipotesi che seguirebbero la partenza delle truppe francesi da Roma: una sommossa scoppierebbe, il governo sarebbe rovesciato, la persona del S. Padre compromessa, il sacro collegio disperso. Una rivoluzione radicale si impadronisce di Roma, chi pu� rispondere delle complicazioni che ci� produrrebbe in Europa?

Si vuole, dicesi, Roma per marciare su Venezia; le passioni rivoluzionarie spingono a questo scopo con tutta la loro forza; il governo italiano, quantunque non si associi per ora a tali tendenze inconsiderate, pu� essere trascinato a fronte di un avversario straniero. Se fosse vinto, permetterebbe la Francia che perisse il frutto delle sue vittorie? No; essa verrebbe trascinata alla sua volta a prender parte ad un conflitto da essa disapprovato.

Bisogna aspettare. Si capiscono le impazienze del patriottismo, ma non si capisce come un governo regolare, il quale sa che un popolo vive pi� che un individuo voglia affidare tutto l’avvenire al caso di collisioni succedenti a collisioni.

L'unit� della Francia � grande, ma essa cominci� coll'unione e non si � fatta in tre anni. Avvezzino gl'Italiani i loro uomini di Stato a far passare l’interesse pubblico davanti alle loro ambizioni private, traccino delle strade su tutto il loro territorio mal disegnato, agglomerino le popolazioni, diano loro un cuore italiano, facciano un esercito. L'esercito piemontese � valorosissimo ma non � ancora tale da render l’Italia padrona di se medesima. Si facciano forti gli Italiani, ecco la grand’opera a cui debbono lavorare.

L'oratore passa a rispondere allo parole di Favro il quale disse che l’Italia nulla guadagnerebbe nella sostituzione dei Francesi agli Austriaci sul suo territorio. Egli dice essere ci� un'iperbole da doversi rimuovere dalle discussioni parlamentari.

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Quando l'Italia accett� il soccorso dei Francesi contro gli Austriaci, sapeva che non tratta vasi punto di consegnarle Roma. l’idea di aver Roma capitale, dice il ministro, fu generata da fatti che non abbiamo approvati. Egli � dopo che Garibaldi si impadron� di Napoli, che si pens� ad avere per mezzo di Roma una comunicazione col Mezzogiorno.

Gl'Italiani non hanno diritto di aver Roma. I Romani soli possono lagnarsi della nostra occupazione perch� ogni popolo ba il diritto di appartenere a se medesimo. Se per� stando a Roma noi violiamo un diritto, bisogna osservare che lo facciamo per un interesse superiore. La teoria condanna ci�, ma la pratica lo impone.

Questo interesse superiore � di non compromettere la tranquillit� del mondo cattolico. Del resto, noi abbiamo chiesto pei Romani un governo liberale, e se finora i nostri sforzi non sono riusciti, si noti esservi in questo mondo imprese il cui successo si fa aspettare a lungo, ma finisco tuttavia col giungere.

Il sig. Favre disse che con un'armata francese a Roma l'indipendenza del Papa non � che una larva ed aggiunse che la guarnigione francese � agli ordini del Papa. Come si possono conciliare queste due cose? Egli per� soggiunse che noi non permettiamo ai vescovi di andare a Roma per un concilio, che molestiamo le associazioni religiose, che la nostra politica � equivoca, che Roma non � altro per noi che uno strumento di dominazione.

Rema, al contrario, � per noi una delle pi� grandi difficolt� e se ci troviamo avvolti in tanti imbarazzi, gli � perch� questa quistione romana non � risolta.

Se non fossimo andati a Roma, saremmo liberi, ma ora ci siamo ed abbiamo la responsabilit� di tutto ci� che potrebbe accadere. E questa una necessit� imposta dai fatti anteriori.

Per quello che riguarda l'andata dei vescovi ai concilii, noi non facciamo che servirci dei diritti della vecchia chiesa gallicana la quale rispetta ad un tempo il S. Padre ed il governo del paese.

Quanto alla Societ� di S. Vincenzo de' Paoli, ne parleremo fra due giorni. Del resto, la protezione che ad essa accorderebbero gli autori dell’emendamento � affatto superflua.

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Lascio questa prima parte della discussione e dico; No; il governo non abbandoner� la questione romana alla ventura.

Rispondendo poscia al sig. Keller, il ministro dice essere impossibile il costituire l'antico dominio temporale del Papa, giacch� bisognerebbe violare il principio di non intervento per imporlo a popolazioni che da cinquant'anni gli sono ostili. D’altronde, egli dice, l'Austria che trovavasi ad Ancona quando noi eravamo a Roma, non avrebbe essa delle pretese ad un simile intervento? No, nulla di tutto ci� � possibile. Che volete voi dunque? Voi fate una diatriba energica contro la rivoluzione. Quanto a me, non ne difender� gli eccessi, ma no difender� le conquiste.

Una certa stampa religiosa finge di confondere il governo dell’Imperatore colla rivoluzione eccessiva. Io protester� con tutta la mia forza contro questa assimilazione del governo imperiale agli eccessi della rivoluzione. Il governo ha combattuto e vinto la violenza della rivoluzione per conservare le cose buone. I grandi principii dell’89 furono da noi portati su tutti i punti dell’Europa ed hanno fruttificato (viva approvazione). Noi non vogliamo che questi grandi principii siano compromessi. Lasciate dunque tali ingiusti rimproveri; essi non servono che a dimostrare come voi non riconosciate che un'istituzione ed un uomo: il Papato ed il Papa. Come cattolico, io comprendo questo linguaggio; ma come cittadino francese, non Io comprendo. Evvi pure un'altra istituzione, l'Impero, ed un altro uomo, l'Imperatore (viva approvazione).

Voi che date consigli cos� severi al governo del vostro paese perch� non ne date anche a Roma per indicarle il precipizio a cui la conducono le guide cieche?

Il ministro risponde pure, tra le altre coso, alle parole del sig. Keller riguardo ai rivoluzionarii collocati sui gradini del trono e dice che non si deve parlare in tal modo di quelli che sono sui gradini del trono. Si pu� dissentire dalle loro opinioni, ma si deve esprimere il dissenso col dovuto rispetto. Egli ribatte pure con severit� la espressione di �ritorno al Basso-Impero� adoperata dal sig. Keller allo stesso proposito e ne dimostra l'assurdit�.

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L'oratore dice che gli avversarii del governo imperiale vorrebbero aspettare a Roma, al coperto della bandiera francese, circostanze nuove ed imprevedute che loro permettessero di cercare un punto di appoggio presso i nemici della Francia, giacch� l'insieme dei personaggi che circondano il Papa vedrebbero con piacere a Roma la bandiera dell’Austria e della Spagna, ed � in questa aspettativa che essi rispondono sempre con ripulso alle proposizioni concilianti del governo imperiale. Ma, dice il ministro, il governo � antiveggente; esso agir� come conviensi ad un sovrano prudente il quale ricusa di prendere impegni con chi non vuole prenderne verso di lui. Ci� mi conduce alla seconda parte del discorso.

La seduta � sospesa per dicci minuti,

Billault continua. Egli crede di avere dimostrato che gl'interessi della Francia e quelli della Religione non permettono di adottare alcuna delle opinioni estreme manifestate nel Corpo legislativo. Far� conoscere la condotta che intende seguire il governo in cospetto delle difficolt� che vuol vincere. Queste difficolt� sono numerose, ma ve n'ha una capitale su cui avrebbero potuto fissarsi le istituzioni del governo se l’integrit� del potere temporale fosso stata un dogma. Keller, con una spiegazione pi� ingegnosa che fondata, dava a questa parola speciale una pericolosa elasticit�. Nella lingua universale, un dogma � una verit� di fedo contro cui alcun argomento non pu� prevalere. La propriet� non � un dogma come vi si disse, non � che una base dell’ordine politico. I Sovrani, anche quelli che portano la tiara, non sono proprietari dei loro popoli. Come papa, il Sovrano Pontefice ha verso la chiesa dei doveri assoluti; come re ha verso i popoli dei doveri non meno assoluti. Ma non parliamo di propriet� e ancora meno di dogma, l’ha semplicemente un dominio temporale suscettibile di accrescersi e di diminuire.

Keller stesso Io riconobbe, rammentando le concessioni che Pio VI e Pio VII avevano dovuto fare sui loro dominii temporali. Pio VI cedeva la contea di Avignone e Pio VII segn� il concordato senza ricuperare le provincie che la Santa Sede aveva perdute.

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Il S. Padre pu� dunque, in un interesse di religione e per la pace delle anime, abbandonare una parte del suo dominio temporale. Allorquando, dice l'oratore, Giulio II entrava nelle citt� che aveva conquistato per la breccia e colla spada al fianco, faceva un dogma ogni qualvolta s'impossessava di una citt�? Se il S. Padre colle sue resistenze esponesse l'Europa a una guerra generale, l'anima sua pia si rammaricherebbe certamente delle sventure cagionate dall’acciecamento de' suoi consiglieri. Noi non vogliamo mettere i cattolici nella condizione di fare una cosa che ripugnasse alla loro coscienza. Noi ci indirizziamo agli uomini politici loro segnalando come deplorabili le resistenze che fanno ostacolo allo scioglimento della quistione: vi chiedo di agire conformemente ai vostri doveri politici.

� in cospetto di queste considerazioni che il governo � risoluto di aspettare che la ragione, i tempi, i fatti e la Provvidenza arrechino una soluzione. Noi non disperiamo, per mezzo de' nostri consigli di giungere ad una soluzione, ed amiam meglio questa politica che i colpi violenti della forza materiale. Amiam meglio far agire la diplomazia, dar consigli, che far muovere le armate e tuonare il cannone. Abbiam pure fiducia nel tempo che calma le passioni e gli eccessi ed apre nuovi orizzonti. Quanto ai fatti; ogni giorno se ne producono dei nuovi; ogni giorno la faccia mobile del mondo si trasforma. Finalmente facciamo assegno sulla Provvidenza.

Ch'io mi sappia non esiste un uomo che non sia colpito dalla esiguit� della forza umana e dalla grandezza di un'altra forza che non dipende da noi ed alla quale noi c'inchiniamo. Questa forza i pagani la chiamavano destino e la facevano cieca; gli scettici la chiamano azzardo; noi cristiani la chiamiamo Provvidenza. La vediamo immischiarsi negli affari di questo mondo e ci prostriamo innanzi ad essa.

Questa forza l'uomo grave non potrebbe disconoscerla, e non � l'Imperatore chela disconoscer�. Quand'egli vien solo. con alcuni amici a chiedere lo scettro che port� Napoleone I, ei rimane solo e fallisce. Ma il giorno in cui la Provvidenza lo prende per la mano, la Francia si getta nelle sue braccia ed egli la salva.

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La Provvidenza lo conduceva pure per mano il giorno che cal� a liberare l'Italia e a dare a noi migliori frontiere. Questa gran mano, si spera, lo sosterr� ancora e gli far� compire la conciliazione tra il Papa e l'Italia. Conosce gli ostacoli, le ingratitudini, ma la sua politica non muta. Aspetter� e l'Europa aspetter� con lui. Quando si ha la coscienza del suo diritto, quando si sa che si lavora pel bene di tutti, non si stanca. Dio voglia che l'Imperatore, forte della sua coscienza, dell’appoggio del paese, del vostro, possa finalmente collocare sopra una base solidissima la libert� del S. Padre e l'indipendenza dell’Italia. (applausi)

Favre ha la parola, quando la seduta � ripresa.

Signori, die' egli, confonderei volontieri i miei applausi coi vostri se io fossi libero di non diriggerli che alla magnificenza della parola. Permettetemi di compiere una parte pi� ingrata e di ricercare quali siano le verit� politiche che offendono la coscienza del paese e la vostra. Dalle due parti si designano pretensioni contrarie. Noi chiediamo, a nome degli eterni principii del diritto dei popoli e del rispetto delle nazionalit�, lo sgombro d’un territorio ormai bastantemente protetto dall’unit� dell’Italia riconosciuta dalla Francia. (Interruzione)

Da un'altra parte, e sotto le parole d’oratori che avete uditi, si nasconde, col desiderio dello statu quo, la speranza di certe eventualit�. Il talento e il coraggio co' quali si � test� spiegato l'onorevole ministro sono incontestabili; ma ha egli invocato in soccorso della sua argomentazione quelle idee chiare e precise che sono indispensabili perch� una grande nazione non possa avere delle inquietudini su risultamenti ulteriori? Egli ha detto che il governo era deciso ad aspettare; ch'esso avea aspettato tredici anni, e sarebbe per aspettare ancora. Esso ha fatto appello, con un gran talento, a quelle potenze misteriose dinanzi alle quali noi e' inchiniamo, ma che cagionano sovente crudeli disinganni a coloro che contano sul loro soccorso. (Mormorio).

Potrei a questo riguardo, o signori, fornirvi una facile giustificazione; potrei mostrarvi dei poteri che si credevano assai forti, rovesciati tuttavia da avvenimenti ch'essi non avevano previsti. Ma lasciamo da parte i mezzi oratorii, potenti sopra un'assemblea che � sensibile alle bellezze della forma.

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Guardate in fondo; il governo aspetter�. Esso non vuol aspettare se non per far prevalere la politica e gl'interessi della Francia.

Questa politica e questi interessi sono stati riassunti cos�: Quel che vuole il governo � la conciliazione dello spirito nuovo collo spirito antico. Signori, l'ho detto e lo ripeto, se questa conciliazione fosse possibile, bisognerebbe accettarla coi pi� grandi sacrifici; ma io domando a' miei colleghi, ed � una quistione ch'io faccio dinanzi al paese e dinanzi al mondo, io domando, se possa esservi incertezza sul risultato. L'esperienza non � stata essa molto lunga?

I due principii che si vogliono conciliare sono si profondamente antipatici l'uno all’altro che se si giungesse a ravvicinarli essi ridiverrebbero di pi� in pi� irreconciliabili.

La stessa persistenza del governo non fa ohe mostrare maggiormente come siano irreconciliabili questi due principii. Lo stesso onorevole ministro si � provato a definirli, a rendersene conto, e di dire a quali condizioni essi potrebbono incontrarsi e confondersi.

La storia vive; essa ci dice che, partendo da punti differenti, essi non ponno riuscire che a scopi egualmente contrarii. Io ripeto dunque che il governo tien dietro ad uno scopo chimerico: una conciliazione � impossibile. E a questo riguardo, non � la mia debole autorit� che l'invoca, � l’esperienza di ci� che si � passato da che occupiamo Roma.

lo interrogo gli ultimi documenti emanati dallo stesso governo. Voi lo sapete, il governo francese ha fatto un ultimo sforzo, egli ha provato presso il Santo Padre tutto ci� che poteva commuoverlo, ragione, persuasione, logica; non vi riusc�.

L'ambasciatore francese, scrivendo il 18 gennaio 1862 al ministro degli affari esteri, disse formalmente che bisogna rinunziare a qualunque speranza di riuscire. Epper� con qual misura o qual riserva ci siamo diretti alla Santa Sede? Si sono messe in opra tutte le delicatezze della diplomazia; fu proposta al Papa una combinazione? Per nulla. Gli � stato presentato un ultimatum? Ancor meno. Fu una preghiera a lui diretta, la preghiera di voler bene esaminare, di voler bene informarsi.

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Or bene!| con quest'inflessibilit� che � la sua forza, la sua condizione d’esistenza, la Chiesa risponde per bocca del Santo Padre, esserle impossibile d’ascoltare un tal linguaggio. Ci accusi ora l'oratore del governo di abbandonarci all’ardore della nostra immaginazione, io gli rispondo che la sua immaginazione non � men ricca della nostra, Noi ci appoggiamo su fatti; egli appoggiasi su chimere per ismentire le affermazioni dell'ambasciatore di Francia.

Il ministro non esce dalla nuvola in cui si avviluppa alla foggia degli Dei d’Omero, ossivero egli non n'esce se non per portarvi colpi che noi non possiamo parare. Egli aspetta con uno scopo che non appalesa; egli tien dietro ad un negoziato; ma se il negoziato fallisce, egli aspetter� ancora. Che aspetta egli dunque? Il negoziato era riconosciuto impossibile il 18 gennaio scorso. Fuvvi forse dopo quel tempo una modificazione dello stato delle cose? Non ve ne fu. Se la situazione non fu modificata, aggravossi; essa, d’altronde, Io sarebbe per la confessione che si fa dell’ostinazione del Santo Padre e della nostra perseveranza che non � meno ostinata.

Ora, le vostre pretensioni di perseverare ostinatamente sono poco conciliabili col rispetto. Voi rispettate il Papa! Riconoscete almeno che voi siete singolarmente importuni nei vostri consigli. Ma Voi fate pi� che dar consigli; voi restate a Roma con un'armata. Se evvi qualche cosa di positivo, si � la forza materiale che avete a Roma. Voi parlate di cannoni con disdegno, ma frattanto i vostri cannoni e i vostri soldati sono a Roma la vostra ultima ratio. Il Papa � al Vaticano non un sovrano, ma un prigioniero. (Gridi e rumori) Io credo poter riassumere con questa espressione, eh' � fuori delle frasi convenute, la situazione del Papa. Si � detto che il Papa era libero. Libero di che? Potrebb'egli, io vel chieggo, lasciar Roma?

Pi� voci. Ma s� ch'ei lo potrebbe.

Dopo qualche altra osservazione di Favro, di Plichon, del barone Ravinel e di Vernier, il paragrafo e adottato.

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III.

La lettera autografa dell’Imperator Napoleone al Re Vittorio Emanuele, di cui il ministro Billault aveva data lettura al corpo legislativo nel suo ultimo discorso, produsse una vivissima impressione, poich� dal contenuto della medesima appariva chiaramente esser volont� inflessibile del Capo dell’impero Francese, di mantenere a Roma lo statu quo, finattanto che non fosse intervenuto un accordo fra il Vaticano e la Corte di Torino. Ora questo mezzo di risolver la questione romana era creduto talmente impossibile che M. De Lavalette ambasciatore presso la S. Sede, dopo aver presentato officialmente il giorno 10 Marzo le sue credenziali, e dopo aver tentato, giusta le istruzioni ricevutene dal ministro Thouvenel, tutte le vie per indurre la Corte di Roma ad una conciliazione con quella di Torino, aveva fatto domanda d’un congedo per recarsi a dare al suo Governo delle spiegazioni, che non stimava opportuno di affidare ad un ordinaria corrispondenza.

In Corte di Roma regnavano varie opinioni; alcuni formavano il partito moderata che aveva ciononostante per divisa il non possumus pontificale. Altri non stimavano sufficiente opporre la resistenza pi� energica a tutti i progetti di transazione proposti dal governo italiano relativamente al poter temporale, ma credevano indispensabile di agire colla massima violenza a fine d'intimorire, o di distruggere tutti gli avversarii del governo pontificio. A questo scopo Monsignor De Merode in qualit� di pro ministro delle armi erasi creduto in diritto di concentrar nelle sue mani una parte della pubblica amministrazione, e della polizia, per la ragione che i gendarmi erano dipendenti dal Ministero delle armi, e non dovevano ricevere ordini che da questo.

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Questi brevi cenni sullo stato interno della Corte di Roma erano indispensabili per ispiegare molti fatti, che vedremo succedersi nel corso di questa storia, fra i quali merita di essere menzionato l'arresto di un tal Renazzi, uomo di affari del Principe Bonaparte, operato in seguito di una rigorosa perquisizione ordinata da Mons. De Me rode, non che l'arresto del Venanzi e di parecchi altri individui accusati di far parte del Comitato Nazionale Romano, la cui influenza invisibile, ma incontestabile si produceva per mezzo di proclami che circolavano con una prodigiosa rapidit� in tutte le file del partito liberale. Con uno di questi proclami il Comitato aveva invitato il popolo di Roma ad astenersi dai divertimenti del Carnevale. Il tenore di tal proclama era molto violento, e la sua pubblicazione aveva molto naturalmente eccitato la collera degli agenti del governo pontificio. Perch� il lettore | ossa formarsi un idea di questo genere di pubblicazioni politiche, riporteremo il principio o le ultime parole di quello, che abbiamo teste citato.

ROMANI

Il Governo Pontificio vuole che Voi diate spettacolo di Voi stessi nel prossimo Carnevale frequentando il Corso e i Festini, per aver nuova occasione di mentire e di ripetere che Voi siete felicissimi di essergli sudditi. Ma il Governo Pontificio non trover� certo fra i veri figli di Roma chi si presti a dar colore di verit� all’impudente menzogna...................................................................

..........................................................................................................................................

Romani! lasciate pure che frequenti il Corso ed i Festini chi si sente degno di s� nobile e scelta compagnia! Per chi ama il proprio decoro; per chi si sente all’altezza delle sorti che la Provvidenza ha riserbato all’Italia e alla sua Capitale, l'antico Foro di Roma ed ogni altro luogo dove sono memorie della nostra antica grandezza offre gioie degne di lui.

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L� ricordando quanto furono grandi i nostri maggiori, ha d'onde rallegrarsi il vero cittadino di Roma, poich� vi trova le ragioni del vicino nostro risorgimento dopo tanti secoli di sventure.

Viva il Pontefice non Re

Viva Vittorio Emanuele II Re d’Italia.

Roma 20 Febbraro 1862.

IL COMITATO NAZIONALE ROMANO

In seguito di questo proclama, una notevole parte della popolazione di Roma erasi recata al Campo vaccino (l'antico Foro), e sebbene la folla dei passeggianti si conservasse col� in ordine e silenzio perfetto, ciononostante la polizia fece eseguire un gran numero di arresti, e gli agenti della medesima, che seguivano le traccie del comitato nazionale, pervennero a scoprire alcuni indizii, pei quali fu arrestato un tal Venanzi presso dj cui si rinvennero alcune carte ed uno istromento di forma assai singolare che aveva servito a marcare i muri coi tre colori nazionali d’Italia. Questo strumento era una siringa a tre canne, per mezzo delle quali i tre liquidi coloranti erano lanciati a grande distanza. Noi vedremo pi� tardi questo stesso strumento assumere nel processo che ne segu� il pomposo titolo di revolver incendiario, quando avremo occasione nel seguito del nostro racconto di ritornare sui dettagli di questo affare, di cui venne affidata l'istruzione giudiziaria al giudice Collimasi.

Fatto questo dalla polizia pontificia, si lusingava di aver ridotto all’impotenza cogli operati arresti e colle misure violenti adottate il partito liberale, e la Corte di Roma seguitava con sicurezza ed energia a resistere alle proposte di conciliazione messe in campo dall’ambasciatore di Francia.

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Intanto il Papa pronunciavasi sulla questione del poter temporale nella ceremonia religiosa che aveva luogo il 25 Marzo festa dell’annunziazione della Vergine nella Chiesa della Minerva, ed alla quale era solito recarsi. Difatti egli col� pronunci� il seguente discorso, che noi abbiamo tratto dal Giornale di Roma.

�Non poteva certamente riuscire cosa pi� grata al nostro cuore quella di cui siamo tutti testimonii, di veder cio� moltiplicarsi i servi di Dio ed i Santi, onde nella loro moltiplicit� non cessino d’intercedere per noi, e e' impetrino desideratam propitiationis abundantiam. Abbondanza di misericordia nel tutelare i diritti della giustizia, abbondanza di misericordia per ottenere la conversione de' traviati od apostati; abbondanza di misericordia per sostenere con fermezza e rassegnazione la guerra ed i patimenti, e per assistere poi ai trionfi della pace. Si, � consolante per noi il pensiero che nella solenne funzione prossima a celebrarsi saremo circondati da anime elette, dal Collegio de' Cardinali, e dai Vescovi confratelli. Bello spettacolo invero sar� vedere il Pastore Supremo attorniato dagli altri Pastori, i quali unanimemente sostennero i diritti di questa S. Sede, ed alleviarono con parole di conforto il profondo Nostro dolore.

�E qui cade in acconcio rammentare una lettera che sono quarantott'ore appena, ci giunse da una grande citt� d’Italia, diremo meglio dalla capitale della Lombardia da parte di un ecclesiastico che si sottoscrive Canonico, nella quale si dice: — Badate bene che nella prossima riunione de' Vescovi in Roma non si abbia a dichiarare per dogma di fede il dominio temporale. — Se fosse qui presente questo povero sacerdote, che ci sarebbe pi� accetto chiamare buon sacerdote, vorremmo dirgli, come lo diciamo a voi che siete qui presenti: stato certo che la S. Sede non sostiene come dogma di fede il dominio temporale ma dichiara che il dominio temporale � necessario ed indispensabile, finch� duri questo ordine di Provvidenza, per sostenere la indipendenza del potere spirituale. Vorremmo dirgli: specchiatevi in questi SS. Martiri che non hanno temuto e che diedero il sangue e la vita in difesa della Chiesa.

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Vorremmo dirgli: giacch� siete cos� zelante da esporre i vostri timori, facendoli giungere sotto gli occhi del Vicario di Ges� Cristo, uditene la sua voce, la quale impone a voi ed alla congrega cui appartenete, di ascoltare il vostro immediato Pastore, e di eseguire non solo i suoi comandi, ma ancora i suoi consigli. Che se voi, coi vostri colleghi, non obbedirete, voi ed essi andrete miseramente perduti. Vorremmo dirgli: raccomandatevi ai SS. Martiri i quali tutto perdettero per non perdere Iddio.

 Da un Regno a noi vicino ci pervengono scritti firmati da alcuni Ecclesiastici coi quali ci si porge la ipocrita insinuazione di rinunziare al dominio temporale, che per essi, o a meglio dire per quelli che li consigliano, riesco incomodissimo, ed � di ostacolo alla consumazione dei loro disegni anticristiani ed antisociali. Ma nello stesso tempo ci giungono lettere, firmate ancora queste da Ecclesiastici, piene di rispettoso amore per questa S. Sede, dallo quali lettere risulta che il governo o i suoi rappresentanti od emissarii inviano modulo stampate, che noi abbiamo vedute e lette, insinuando a qualche miserabile sacerdote e chierico di firmarle, nel doppio scopo di far credere che il clero sostiene l'assurdo principio della incompatibilit� dello spirituale col temporale dominio, e di scindere il clero inferiore dai proprii Vescovi, la cui mirabile concordia in questi momenti ha risvegliata la meraviglia del mondo intiero. I buoni ecclesiastici che ci scrivono, ci pregano a non prestar fede alle aberrazioni di pochi traviati, alcuni dei quali sorpresi, ed altri indotti dal timore ad apporre il loro nome. Sia pur certa la S. Sede, essi buoni sacerdoti aggiungono, che le loro convinzioni sono tali da non ammettere dubbio alcuno sulla necessit� del temporale dominio; e quindi e' invitano a perdonare ai ciechi che non sanno quello che fanno; e, noi soggiungiamo, che guidati pur essi da altri ciechi andranno a precipitare in quell’abisso d’onde � presso che impossibile di mai pi� risalire.

�Procuriamo da nostra parte che le mene tendenti a scindere i Pastori ed il gregge non abbiano a riuscire. I Santi Martiri ce l’ottengano dal Signore, e per la loro intercessione ci si conceda di poter sostenere con forza e coraggio i futuri combattimenti.


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CAPO XI

SOMMARIO

I. DIFFICOLT� INCONTRATE DAL MINISTERO RATTAZZI  — GARIBALDI VISITA VARIE CITT� D’ITALIA PER ISTITUIRVI I TIRI NAZIONALI. — OVAZIONI FATTE AL GENERAL GARIBALDI A PAVIA A CREMONA E PARMA ED IN ALTRE CITTA' — IL GOVERNO FRANCESE COMUNICA AL GABINETTO DI TORINO I RECLAMI FATTI DALL’AUSTRIA PEL VIAGGIO DI GARIBALDI — MENOTTI � CHIAMATO A TORINO A PRENDER IL COMANDO DEI CARABINIERI GENOVESI — FUSIONE DEI VOLONTARI COLL’ARMATA REGOLARE — ORDINE DEL GIORNO DEL GENERAI SIRTORI — IL MINISTERO RATTAZZI SI COMPLETA ENTRANDO A FAR PARTE DEL MEDESIMO IL GEN. DURANDO, MATTEUCCI E CONFORTI — TRATTATO COLLA PICCOLA REPUBBLICA DI SAN MARINO — MORTE DEL PRINCIPE DI CAPUA A TORINO E SUA RINUNCIA DEI DIRITTI EVENTUALI ALLA CORONA DI NAPOLI. — COSPIRAZIONE BORBONICA A MILANO. — II. S. M. IL RE VITTORIO EMANUELE SI RECA A NAPOLI — SONO INVIATE A FARGLI SCORTA LE SQUADRE INGLESE E FRANCESE — BRILLANTE FESTA NAVALE DATA DALLA FLOTTA FRANCESE — IL PRINCIPE NAPOLEONE VA A NAPOLI PER FAR VISITA AL SUO AUGUSTO SUOCERO — NOTA DEL MONITEUR FRANCESE RELATIVA AL VIAGGIO DEL PRINCIPE NAPOLEONE — RECASI A NAPOLI IL VICER� D’EGITTO — IL RE DEL PORTOGALLO ANNUNZIA ALLE CORTES DEL REGNO IL SUO FUTURO MATRIMONIO COLLA PRINCIPESSA PIA, FIGLIA DEL RE VITTORIO EMANUELE —  GIUDIZIO DELLA STAMPA EUROPEA INTORNO AL VIAGGIO DEL RE D’ITALIA NELLE PROVINCIE MERIDIONALI —

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III. STATO DEL BRIGANTAGGIO SULLE FRONTIERE ROMANE —  MORTE DI CROCCO — LA CORTE D’ASSISIE D’ASCOLI CONDANNA 19 BRIGANTI ALLA PENA DI MORTE, 25 AL LAVORI FORZATI A VITA, ED ALTRO GRAN NUMERO A DIVERSE PENE — LE TRUPPE FRANCESI A ROMA ARRESTANO ALLA FRONTIERA UNA CONSIDERARE QUANTIT�' DI UOMINI E DI MUNIZIONI DI TUTTI I GENERI — SITUAZIONE DELLA CAPITANATA — LETTERA DEL CONSOLE INGLESE — ARRESTO DI GIACOMO BISHOP AGENTE REAZIONARIO A NAPOLI.

CAPO XI.

I.

Le speranze fondate nella costituzione del nuovo ministero non si realizzarono. Le stesse difficolt�, che aveva incontrato il gabinetto Ricasoli si presentarono al suo successore. N� era difficile a comprendersi che gl'imbarazzi non erano inerenti alle persone, ma alla situazione del paese, ed agli elementi, dei quai era composto il parlamento. Per la qual cosa il progetto di sciogher la camera elettiva fu proposto da uomini di stato come l'unico rimedio efficace a scongiurare la crise; ma se da un lato questo rimedio offriva il modo di risolvere la questione ministeriale, lasciava dall’altro un campo troppo largo alle eventualit� in un momento in cui la situazione non era ancora tanto nettamente tracciata da permettere al governo di formulare un programma chiaro e bastantemente intelligibile.

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Il ministero inoltre doveva completarsi, ed era non piccola difficolt� trovare un uomo di rilevante politica notoriet�, il quale volesse accettare il portafoglio degli affari esteri; poich� poteva darsi il caso che il nuovo ministro dovesse rassegnarsi ad una parte veramente passiva e ad una completa annegazione della sua personalit�. Il ministero dell’interno aveva pure le sue spine. Ed a tutto ci� fa d’uopo aggiungere ancora l'altro non minore imbarazzo che doveva risultare dall’alleanza del nuovo gabinetto col partito rappresentato da Garibaldi. Giacch� sebbene si potesse viver sicuri sulle opinioni lealmente nazionali dell’eroe di Marsala, era impossibile di non nutrire apprensioni per la natura troppo ardente del suo patriottismo, che non gli avrebbe permesso di sottomettersi alle incessanti esigenze della diplomazia. A fine pertanto di calmare queste impazienze, il governo aveva sciolta la questione dei volontarii, incorporandoli nell’esercito regolare giusta il rapporto indirizzato al Re il 27 Marzo e del seguente tenore:

Relazione a Sua Maest� in udienza del 27 Marzo

Sire,

Appena il Ministero di cui il Riferente ha l'onore di far parte ebbe ad assumere la direzione degli affari, una delle qui stioni che maggiormente preoccuparono non solo il Ministro della guerra, ma tutti i membri del gabinetto, fu quella relativa al Corpo dei volontari Italiani: questione ardua e complessa che da lungo tempo rimane insoluta, ma che pure reclama imperiosa una definizione.

Non � qui uopo rammentare le varie fasi che sub� l'Esercito Meridionale, il quale sorto per incantesimo alla voce del Generale Garibaldi e compiuti fatti inauditi e mirabili, venne poscia man mano sciogliendosi quando cessarono le cause che lo avevano prodotto, solo rimanendo gli Ufficiali che il Governo di V. M. col R. Decreto 11 aprile 1861 volle ordinare e conservare come �elemento di forza il quale in circostanze di guerra contribuir� potentemente alla difesa dei sacri diritti della nostra Nazione.�

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Giusta questo Decreto cogli Ufficiali del gi� Esercito meridionale confermati dietro il voto della Commissione mista di scrutinio) dovevano costituirsi i quadri di tre divisioni del nuovo Corpo di Volontari Italiani. Una quarta Divisione fu aggiunta col Decreto successivo del 20 ottobre 1861, ed una Commissione di Generali del Corpo stesso era incaricata di proporre la formazione dei quadri di queste quattro Divisioni.

Quando il Ministero attuale venne al potere, la Commissione di scrutinio avea pressoch� ultimato il suo lavoro e la Commissione per la formazione dei quadri aveva eziandio preparato le suo proposte.

Trattandosi oggi di attivare i quadri e di dare esecuzione sia a quanto stabilisce l'art. 13 del Decreto 11 aprile relativamente ai Depositi d’Istruzione, sia agli eccitamenti che a questo riguardo furono formolati con l'ordine del giorno votato dalla Camera dei Deputati nella tornata del 20 aprile di quell’anno, il Ministero si trova a fronte di una grave difficolt�.

Infatti non si pu� seriamente provvedere all’Istruzione di quadri di Ufficiali senza dar loro soldati a comandare.

Ora per procurare soldati o fa d’uopo ricorrere alla chiamata de' Volontari, oppure � necessario riempire i quadri con reclute o con uomini tratti dall’Esercito regolare.

Sarebbe inopportuna nelle attuali contingenze una chiamata dei Volontari, giacch� simile appello equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra come giustamente gi� era stato avvertito in quella solenne discussione della Camera dei Deputati che fin� coll’ordine del giorno pi� sopra citato.

Somministrare reclute di leva al Corpo dei Volontari Italiani mantenendolo frattanto separato e indipendente, sarebbe lo stesso che creare definitivamente un secondo esercito nello Stato e consacrare un dualismo che tutti gli uomini di retto sentire sono concordi a voler cessato al pi� tosto.

In presenza di questo dilemma, o conviene continuare la presente condizione di coso condannando Uffiziali che sono benemeriti della patria ad un ozio inglorioso

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e fecondo di pessime conseguenze, oppure � d’uopo entrare francamente in una nuova via decretando l'incorporazione di questi Ufficiali nell'Esercito regolare.

Non si dissimula il Riferente che questa misura a primo aspetto pu� sembrare radicale e ingenerare timori e sollevare suscettivit�, ma permetta la M. V. che con brevi parole siano dissipati questi timori, e dimostrata l'utilit� della proposta, la quale pu� essere attuata con temperamenti tali che non ne vengano lesi i diritti dell’Esercito regolare e ne vantaggi l'interesso generalo della Nazione.

Crescere gli armamenti, aumentare le file dell’Esercito regolare � una necessit� che tutti proclamano, � un dovere che qualsiasi ministero inscrive nel suo programma, ed � noto a V. M. che molto si � gi� fatto a questo proposito, che numerose reclute stanno giungendo ai depositi, mentre intanto parificato in tutte le Provincie del Regno il sistema e le leggi di leva militare sar� facilo ormai avere sotto le armi tutto quel numero d’uomini che i bisogni della patria richiedano.

Che pi�? colle sole reclute che ora furono prelevate sia nelle Provincie meridionali, sia nelle Provincie della media e dell’alta Italia, l'effetto della bassaforza � cresciuto a segno che torna necessario aumentare i quadri dell'Esercito regolare e ritoccare l'organizzazione stabilita coi RR. Decreti del 24 gennaio 1861.

A queste nuove esigenze, a questo nuovo numero di Uffiziali che ad un tratto conviene creare, in di pi� dei quadri attuali, perch� non si potrebbe in molta parte provvedere valendosi di quegli elementi che gi� stanno in pronto, cio� degli Uffiziali volontari che gi� furono confermati e sono in nota per la formazione dei quadri del Corpo dei Volontari Italiani?

Si obbietter� che questi Uffiziali, se ottennero col temerario slancio e collo indomito ardimento risultati meravigliosi, forse non possedono tutta quella speciale attitudine che si richiede in un esercito regolare, e che non si ottiene se non colla lunga pratica del mestiere delle armi, colla diuturna esperienza e coi severi studi della scienza militare.

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Ma se questo presumibile difetto di cognizioni tecniche potrebbe essere causa di danno, se tutti quegli Uffiziali si trovassero assieme raccolti in un solo Corpo, non sar� fonte di grave perturbazione se essi sono disseminati in tutti i reggimenti dell’Esercito: ch� anzi l'emulazione non tarder� a far isvanire ogni difficolt�, e tutto � lecito ripromettersi da volontari che in pochi mesi furono da Marsala a Palermo e da Messina alle rive del Volturno.

Che se alcuno si mostrasse inabile a coprire il posto, provvedono le leggi vigenti per l’Esercito, ed il Ministero non avr� a simili casi che ad applicare la legge sullo stato degli Uffiziali.

Ne questa fusione di cui si discorre pu� tornare di danno individuale alla carriera degli Uffiziali dell’Esercito regolare, i quali hanno s� grandi titoli alla benemerenza del paese, e sulle cui sorti veglia la Nazione con geloso affetto.

Come gi� si � accennato, V. M. farebbe coincidere la fusione con un adeguato aumento ai quadri dell’Esercito regolare, e come i Volontari, giusta i quadri che erano preparati, avrebbero formato quattro Divisioni, cos� sarebbe arrecato all’attuale organizzazione dell’Esercito regolare un aumento di quadri corrispondente presso a poco a quattro nuove Divisioni.

Ed affinch� siano colla pi� severa stregua tutelati tutti i giusti diritti, si stabilirebbe che mentre ciascun Uffiziale volontario entra a far parte dell’Esercito regolare coll’attuale suo grado, l'anzianit� per� di esso grado, non decorra che dalla data del Decreto di fusione.

Vi sono certo nel Corpo dei Volontari Uffiziali che nei varii gradi hanno anzianit� maggiore che non quella degli Uffiziali nel grado corrispondente dell’Esercito regolare; ma ritenuto che i gradi nel Corpo Volontari furono acquistati con facilit� molto maggiore, niuno potr� muovere appunti contro la preminenza data ai gradi dell’Esercito regolare, preminenza che d’altronde era stata esplicitamente stabilita nell'art. 4 del Regio Decreto li novembre 1860.

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Venendo pi� direttamente al modo con cui la fusione sarebbe effettuata, occorre anzitutto indicare alcune cifre relative al numero di questi Uffiziali volontari, le quali varranno eziandio a meglio giustificare il proposto provvedimento.

Gli Uffiziali dell’Esercito meridionale ammontarono un giorno a circa settemila e trecento.

Furono dispensati per nomina non regolare o chiesero dimissione volontaria in Sicilia dove esisteva una Commissione di scrutinio, circa 1000;

Furono dispensati parte per nomina irregolare, parte per dimissione volontaria dal Comando Generale del Corpo Volontari Italiani e dalla Direzione Generale del Ministero della guerra a Napoli circa.......................2900;

Rimasero in numero di 3400;

i quali (ad eccezione di circa 150, che si trattennero in Sicilia come comandanti j vennero distribuiti nei depositi dello antiche Provincie, (cio� a Torino, Biella, Vercelli, Novara, Mondovi, Asti, Venaria e Casale).

In seguito all’operazione della Commissione di scrutinio e per volontarie dimissioni o per altri provvedimenti uscirono dai depositi altri 1200 circa individui, in guisa che il numero attuale effettivo si riduce a 2200, dei quali 500 circa sono impiegati militari, i rimanenti 1700 sono Uffiziali delle varie Armi.

Il Riferente proporrebbe che tutti coloro che si trovano in attivo servizio, e che hanno grado inferiore a Tenente Colonnello sieno aggregati in sopranumero ai varii Reggimenti e Corpi dell’Esercito regolare infino a che coll’ampliazione dei quadri che questo sta per avere, possano ricevere una definitiva assegnazione.

Gli Uffiziali di grado superiore a quello di Maggiore verrebbero in determinato numero (cio� in numero eguale a quello occorrente per quattro Divisioni di fanteria,) collocati a disposizione del Ministero, e coloro che rimarranno in eccedenza al prefisso numero saranno collocati o mantenuti in aspettativa giusta le leggi vigenti.

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Per gli ufficiali che appartengono al corpo di Stato Maggiore, all’Artiglieria, al Genio, non che ai servizi amministrativi, sanitari e giudiciali, verrebbero stabilite norme speciali per constatare la loro idoneit� nell’arma o servizio rispettivo.

Siccome poi taluni tra gli Uffiziali volontarii potrebbero sollevare difficolt�, vedendo essenzialmente cambiare la natura del Corpo cui ora appartenevano, cos� sarebbe loro conservato il diritto di ritirarsi dal servizio colla gratificazione di sei mesi di paga che gi� era stata stabilita col R. Decreto dell’11 novembre 1860.

Con questi mezzi il Riferente � d’avviso che la fusione potrebbe effettuarsi senza inconvenienti e col rispetto di tutti i diritti acquisiti; crede per� indispensabile che il Governo faccia con questa circostanza solenne netta ed esplicita dichiarazione, che ormai rimane irrevocabilmente chiusa per l'avvenire l'eventualit� delle fusioni, e che niuno Ufficiale potr� essere ammesso d’ora in poi nell’Esercito regolare d’Italia, se non dietro le norme della vigente leggo sull'avanzamento.

Il Governo non intende certamente di privarsi in caso di guerra dell’efficace concorso dei Volontari; ma i Corpi Volontari, cessato il bisogno, devono cessare di esistere, senza che rimanga negli Uffiziali verun diritto a percorrere e continuare la carriera nell’Esercito regolare.

Se potesse rimanere una pure lontana speranza di nuove fusioni, il Riferente non esita a dire che sarebbe scalzato ogni fondamento di disciplina, giacch� allo scoppiare di una guerra molti lascierebbero le file dell’Esercito regolare per accorrere col� dove pi� rapidi sono gli avanzamenti.

Il fatto cos� splendido e di cui invano cercherebbesi altro esempio nella storia dei tempi, qual fu quello dei Volontari dell’Esercito Meridionale, pu� ben ampiamente giustificare il provvedimento che il Ministero propone a V. M. e del quale il sottoscritto non si perita ad assumere tutta la responsabilit�, sicuro nella sua coscienza di far cosa utile alla M. V. ed al paese, ponendo fine ad un antagonismo che potrebbe divenire pericoloso, e radunando in saldo fascio tutte le forze vive della Nazione pel bene inseparabile del Re e della Patria unificata.�

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Inoltre il governo per dare al Garibaldi una splendida testimonianza della fiducia che in lui riponeva, gli aveva dato l'incarico d’istituire i tiri nazionali incarico che l'ex dittatore andava a compiere mettendosi in viaggio fra le popolazioni dello diverse citt� d’Italia. Noi abbiamo promesso di seguirlo in questo viaggio e manterremo la promessa, perch� � necessario di ben determinare la natura dei sentimenti e delle passioni, che si sollevarono durante il viaggio dell’ex dittatore delle due Sicilie, per giudicar saviamente il conflitto che vedremo presto impegnato fra lui ed il Governo del Re Vittorio Emanuele. Prima di narrare la sua partenza di Torino riferiremo alcuni fatti ed alcuni suoi discorsi importanti, desumendoli dal Giornale — Il Movimento. — Era il giorno onomastico di Garibaldi.

Furono in detto giorno a visitarlo i deputati della sinistra, i generali garibaldini Avezzana, Sacchi, Medici, Bizio, Carini e Corte, Sirtori, i colonnelli Nullo, Missori, Ferrari ed altri molti uffiziali con un codazzo di deputati e senatori.

Avezzana a nome dei compagni present� a Garibaldi una medaglia condotta in oro, rappresentante la simbolica Lupa di Roma, come un ricordo della guerra combattuta nell’epoca della Repubblica romana.

Dopo molti patriottici propositi, Garibaldi diresse ai commilitoni che gli facevano cerchio queste parole:

�Con uomini come voi la patria � rassicurata. — Noi saremo sempre calmi, tranquilli e risoluti. — Prendano gli altri la via che vogliono. — Noi seguiremo la nostra, imperterriti, — fedeli al programma che abbiamo noi stessi bandito. — Alcuni hanno delle paure; — noi non le abbiamo; — seguendo la via del nostro programma riusciremo certamente — Occorre che noi siamo leali�

Queste parole furono interrotte da Avezzana con questo grido del cuore: — �Noi siamo d’incorrotta fede, ne abbandoneremo l'amico Garibaldi nella via sulla quale s'� posto.�

— �Accetto il vostro giuramento, — soggiunse Garibaldi col suo piglio inspirato, — vogliamo l'attuazione del plebiscito 1860; — lo accettammo e vogliamo sostenerlo con fede degna dei nostri cuori, degna del nostro passato.

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— Noi diciamo ai governanti: siate onesti, siate sinceri, siate leali, fate il bene del nostro paese, noi saremo sempre con voi. —Curiamo le libert� del reggime costituzionale; — ne osi un partito qualunque asserire che noi serviamo per secondi fini il Governo. — Nessuno pi� de' miei compagni, — nessuno pi� di me ha sofferto umiliazioni dai governanti. — Queste umiliazioni saranno registrate dalla storia vendicatrice, e mostreranno quali fossero i nostri secondi fini.

�Ci parlano di repubblica. — Per me democratico la repubblica � la volont� della maggioranza della nazione. — Egli � perci� che rimango fedele al mio programma: Italia una e Vittorio Emanuele. — E l'osserveremo noi che ricevemmo i maggiori torti. — Cominciamo dall’esser concordi noi stessi, — gli altri verranno con noi; — se no, facciano come credono meglio. — La storia terr� conto a noi della nostra lealt�.

La mattina dell’indomani 20 marzo il Gen. Garibaldi partiva da Torino per cominciare il suo giro diriggendosi a Milano, dove arriv� lo stesso giorno alle ore 11 e mezza di sera.

Una folla immensa traevagli incontro alla stazione, ed erano l� pure ad accoglierlo in gran numero i suoi amici e compagni d’arme. L'arrivo del generale fu salutato da viva clamorosi, incessanti, i quali erano riecheggiati dalla stipata moltitudine che dai dintorni della stazione distendevasi lungo la via di circonvallazione, ed occupava i bastioni ed il corso di Porta Garibaldi.

Il passaggio della stazione all’albergo fu segnalato come una imponente ovazione. La sua carrozza si apriva lentamente la via tra la folla, e la precedevano fiaccole, bandiere e bande musicali. Arrivato all’albergo della Valle, il generale fu a grandi grida dal popolo chiamato al balcone. Di l� egli diresse ai cittadini che l'acclamavano alcune generose parole, le quali furono ascoltate con religioso silenzio, interrotto a tratto tratto dalle commozioni della moltitudine. Egli diresse un fraterno saluto al popolo delle cinque giornate; fe' plauso alla citt� che di� l'esempio del come si sbarazza l'abborrito straniero, ricord� Roma e Venezia, mostr� fede che il popolo di Milano sar� sempre all’avanguardia, quando si tratti di liberare le sorelle schiave.

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Conchiudeva, eccitando i Milanesi ad esercitarsi al tiro della carabina, e prepararsi cos� degnamente al molto che ancora ci resta da fare. Le sue parole furono coperte di applausi, i quali si prolungarono insino a tarda ora della notte sotto i balconi della sua casa.

Pi� tardi, in quella stessa sera, il sindaco Beretta recavasi a prestare i suoi omaggi all’ospite illustre che onorava la citt�.

Nella mattina seguente la folla era tuttavia numerosa innanzi all’albergo, e le acclamazioni sempre crescenti. Il Generale dov� ripetutamente presentarsi a ringraziare il popolo.

Nella stessa mattina aveva luogo nella chiesa dell’Ospedale la solenne messa funebre in onore dei caduti delle cinque giornate. Alla pietosa cerimonia, che consacrar doveva la giornata con il carattere di una solennit� nazionale, intervenivano il prefetto Pasolini, il Sindaco, la Guardia Nazionale, il suo stato maggiore ed una rappresentanza dell’esercito.

A un'ora sfilavano due battaglioni della Guardia Nazionale alla volta dei Giardini pubblici, nei quali doveva aver luogo la distribuzione delle medaglie ai prodi dell’esercito meridionale. Tutta la citt� moveva in grandi masse di popolo a quella volta, e pi� tardi vi giunse lo stesso Garibaldi, acclamato con grida entusiastiche da tutta la immensa popolazione clic fluttuava come un mare commosso nell’ampio spazio dei pubblici giardini, dei bastioni e del corso adiacente di porta Venezia.

Il Sindaco apriva la cerimonia, profferendo un discorso; noi riproduciamo qui quelle poche parole che fu possibile di raccogliere:

Cittadini!

In questo giorno solenne in cui la citt� nostra commemora uno dei fatti pi� gloriosi della sua storia, nessuna festa � pi� gradita del rendere onore ai generosi che rinnovarono gli slanci del 48 combattendo da prodi nella campagna dell’Italia meridionale.

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Valorosi giovani!

A rendere pi� preziose le insegne d’onore a voi accordate piacque al Re che ne veniste fregiati dallo stesso duce che vi guid� alla vittoria, dall’illustre generale Garibaldi (applausi).

Siate gloriosi di questo distintivo s� caro ad ogni prode soldato. A voi sia questo un'arra della stima in cui vi tengono il Re e la Patria. Alla milizia cittadina ed al popolo che vi circonda e vi applaude sia sprone ad imitare l'esempio vostro, a seguire le orme del Duce d�i mille.

I nostri destini non sono ancora compiuti. Roma e Venezia sono aspettate dall’italiana famiglia! — Quando la patria vi chiami a nuovi cimenti, queste insegne d’onore ci fanno sicuri che accorrerete ansiosi all’ultima lotta da cui avr� suggello il riscatto d'Italia.

Dopo il Sindaco, prese a parlare il generale Garibaldi. Le sue parole suonavano del seguente tenore:

�Mi tengo onorato dell’incarico avuto dall’onorevole sig. Sindaco della distribuzione di queste medaglie.

�Queste medaglie sono veramente destinate a fregiare il petto di valorosi, giacch� le hanno ben meritate.

�Siccome per� nelle cose umane � difficile raggiungere la perfezione, cos� � possibile che fra questo bravo popolo vi siano molti compagni nostri, i quali abbiano pur meritato una simile ricompensa, e che sieno stati per imprevidenza dimenticati.

�A questi ricordo che agli uomini veramente valorosi � ricompensa bastevole la coscienza di aver fatto il proprio dovere. La dimenticanza non pu� essere incentivo di gelosia, imperocch� nel cuore dei prodi la gelosia non alligna, ma sta soltanto la emulazione.�

Indi cominciava la distribuzione delle medaglie. Una met� almeno dei decorati appartenevano alla Guardia nazionale milanese. Il generale rivolgeva ad ognuno di essi benevole ed incoraggianti parole. Finita la cerimonia, egli si ritraeva alla propria casa, e sfilavano nuovamente la Guardia nazionale e le corporazioni degli operai preceduti dalle loro bandiere:

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Pi� tardi raccoglievansi a pranzo col generale Garibaldi e con gli uffiziali dell’esercito meridionale molti altri suoi commilitoni ed amici. Il banchetto si chiudeva con ripetuti brindisi a Roma, a Venezia, al Re, a Garibaldi, all’esercito nazionale.

Nella sera, in commemorazione della vittoria del 22 marzo vi ebbero fuochi d’artifizio alla porta Vittoria, e tutto il corso che conduce ad essa, e le vie adiacenti erano abbellite da una brillante illuminazione.

Il giorno 25 Marzo il gen. Garibaldi occupandosi del motivo principale del suo viaggio, assisteva alla distribuzione dei premii ai vincitori al bersaglio, i quali vennero consegnati dalle signore socie componenti il comitato delle patrone.

Alla cerimonia assistevano anche il prefetto, il sindaco, e il generale della guardia nazionale.

Anche gli studenti dei licei di S. Alessandro e di Porta Nuova vollero inviare una deputazione al generale. Questi la ricevette col solito affetto ed esort� quei giovanetti all’esercizio della carabina.

Il generale visitava poscia anche lo studio dello scultore Magni, e assistette pure all’accademia del cieco Rera, concertista di flauto.

La sera speravasi sarebbe intervenuto al Filodrammatico a presiedere la discussione dello statuto dei carabinieri milanesi, e questa speranza avea affollata la sala in un modo straordinario. La platea era gremita di gentili signore che nonostante il calore straordinario assistettero sino alla fine della discussione. Il palco scenico era riccamente ornato di trofei, di bandiere, e nel fondo spiccava il ritratto di Vittorio Emanuele fra una ricchissima illuminazione. Il generale Garibaldi, alquanto indisposto, si fece scusare dal senatore Plezza che assunse la presidenza e inaugur� la seduta con un piccolo e assai applaudito discorso, in cui lament� che l'opulenza non avesse contribuito nella proporzione delle sue forze alla costituzione d’una societ� cos� patriottica, a cui il popolo concorse con tanta larghezza.

Si pass� quindi alla lettura dei varii articoli che furono approvati, salvo quella leggera modificazione o temperamento in favore dei socii che si rendessero morosi al pagamento,

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e dobbiamo un ben meritato elogio al senatore Plezza che con particolare intelligenza, chiarezza di vedute e d’espressioni, govern� quelle discussioni. Il generale Garibaldi venne proclamato presidente onorario prima perfino che la societ� risultasse legalmente costituita.

Il giorno dopo Garibaldi partiva per Lodi, dove accadde un fatto che noi crediamo dover raccontare. Usciva il Generale dal ricco collegio detto delle Grazie che era stato a visitare, quando il suo sguardo si ferm� su d’una iscrizione sovrapposta ad una porta situata precisamente dirimpetto a quella dello splendido Collegio che abbiamo nominato. L'iscrizione diceva = Orfanotrofio femminile = Egli ordin� immantinente al cocchiere della sua carrozza di fermarsi e disse al Sindaco; Voi mi avete condotto presso i ricchi; permettetemi ora di visitare i poveri. Egli fu obbedito; ed entr� nell’Orfanotrofio proprio nel momento, in cui quelle povere giovinette stavano per assidersi a mensa. Bisogna rinunziare a descrivere la scena commovente prodotta da questa inattesa apparizione. Garibaldi pronunzi� alcune parole d’incoraggiamento, e si ritir� cos� straordinariamente commosso, che in tutta quella serata non cess� mai di parlare di quelle orfanello, e di raccomandarle al Sindaco. Anzi essendo stata portata la sera alla sua tavola una magnifica torta, domand� al Sindaco il permesso l'inviarla alle orfenelle, delle quali prosegu� a parlare fino nel momento della sua partenza, pregando i signori e specialmente le dame eh' eransi recate in gran folla ad accompagnarlo alla stazione della via ferrata, a non dimenticare le povere orfanelle, a soccorrerle quanto pi� fosse loro stato possibile.

Mentre da questo tratto generoso del generale Garibaldi apparisce in tutto il suo splendore la nobilt� e la delicatezza del suo carattere, dal discorso ch'egli pronunzi� in Parma, dove noi or ora lo seguiremo, � resa manifesta la natura delle preoccupazioni che in quell’istante dominavano il suo spirito. Istallato al Palazzo Trecchi il 30 Marzo, fu obbligato a presentarsi al balcone verso le tre ore pomeridiane, per soddisfare il desiderio del popolo Parmigiano raccolto innanzi alla sua dimora.

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L� egli pronunzi� il seguente discorso:

�Sono stato veramente addolorato di non potere essere con voi il giorno 20, come era mio desiderio. Circostanze imperiose me lo impedirono: oggi finalmente bo il grandissimo contento d’essere fra questo bravo popolo, fra cui veggo tanti prodi miei compagni d’armi. (Evviva Garibaldi Viva l’Italia)

�Non � la prima volta che il popolo di Parma ba dato prove di eroismo, e quando l'occasione si presenti, sono persuaso che queste si centuplicheranno: (Si si; rispondeva il popolo).

�Si, a migliaia sorgeranno coloro che di nuovo verranno con me, e col nostro prode esercito a togliere il velo a quella bandiera (additando la bandiera dell’Emigrazione veneta).

�Si, noi toglieremo il velo dalla bandiera di Venezia. Si, Venezia la redimeremo fra le sorelle, e vedremo una volta chi oser� calpestare la terra nostra. Alla prodezza degli Italiani non v'� nulla da aggiungere.

�Tutti in armi, tutti destri alle armi (s�, s�, il popolo ripet� tutto ad una voce) perch�, persuadetevi, se oggi ci � dato di liberamente parlare, ci� non � per volere degli oppressori, ma perch� siamo forti.

�In armi adunque, in armi tutti, e tutte le quistioni del nostro paese spariranno. Sparir� quella di Roma, sparir� quella di Venezia; spariranno tutte e senza il soccorso della Diplomazia.

�La Diplomazia la faremo noi colle nostre armi, la faremo colle nostre carabine.

�La missione principale del mio giro � quella di vedervi e di istituire il Tiro Nazionale, onde esercitarvi al maneggio della Carabina.

�Bench� io sappia che sapete bene maneggiare la baionetta, desidero anche che sappiate colpire il nemico come si deve. Colla Carabina e destri a maneggiarla, noi otterremo tutto. [Evviva Garibaldi; Viva l’Italia).

�Popolo di Parma, io vi ringrazio della vostra viva accoglienza, evi saluto. �

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L'indomani nella sera del 31 marzo il generale Garibaldi accompagnato dal senatore Plezza, dal generale Bixio, dal deputato Crispi, da Bellazzi, si rec� al Teatro San Giovanni, ove era raccolta la societ� degli operai. Al suo apparire, unanimi e frenetici applausi lo accolsero nella sala delle sedute: disse parole calde e patriottiche che furono accolte da ripetute grida di Viva Garibaldi, e che noi riportiamo in esteso sunto. Egli protest� prima di tutto che non � uso n� capace di fare un discorso lungo ma vuole tracciare la storia della nostra emancipazione. Divise questa storia in tre epoche quella di Dante, quella di Macchiavelli e la nostra. I epoca di Dante fu segnalata, ei disse, da quel nome grande, immortale: quest'uomo pose il fondamento della unificazione italiana in tempi peggiori de' nostri ove piccole repubbliche, gare municipali, piccoli tiranni, gelosie individuali straziavano l'Italia; pens� unificarle con un imperatore straniero. Non avendo potuto trovare un individuo italiano per formare il fascio, nol trov�, e scelse un imperatore tedesco. Dante adunque capiva la necessit� dell’unione.

La seconda epoca � quella di Macchiavelli, non meno caro e grande. Ei pure conobbe il bisogno della unificazione: gli si present� Cesare Borgia. Vide Macchiavelli in quest'uomo un temerario, un ambizioso; sperava con esso unire le sparse membra d’Italia e scelse un Borgia.

La terza epoca, la nostra avr� il nostro nome, questa � era di rigenerazione, di emancipazione: i tiranni non ci faranno pi� retrocedere. Noi siamo fortunati perch� concentrammo l'idea d’aspirazione — pi� felici ingegni di venti generazioni italiane, noi unificheremo questo popolo. — Molte difficolt� per� abbiamo pur noi. Molti son gelosi di noi e cercano trattenerci, dicendo che siamo indisciplinati. Ah! siamo capaci di far pi� di loro. I miserabili sono gelosi di noi, essi tentano sturbare le nostre cose, ma noi proseguiremo concordi e costanti il sentiero tracciato, il sentiero che deve condurci alla completa emancipazione.

Io vi spiegher� le condizioni presenti — Io sono repubblicano — bench� molti credono farsi un delitto il dirlo, non lo nascondo — (alle grida che s'inalzavano nella sala, soggiunse)

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ricordatevi che siamo forti, ma i forti sono tranquilli e calmi e colla calma faremo fatti. Io voglio farvi un'ipotesi: supponete che siamo qui in 100, se sono 80 che vogliono un governo e 20 un altro i 20 che violentano la volont� degli 80 sono despoti, sono tiranni. Ma quegli 80 sar� il governo del popolo, quello sar� la mia repubblica. Ora dunque abbiate in mente la concordia, lasciamo da parte i torti ricevuti per la causa italiana. Io posso essere certo che quando in nome della patria e del Re vi chiamer�, tutti verrete. (s� s� prolungato) Ora tornando all’ipotesi, gli ottanta hanno gi� accettato quel programma col quale dal Ticino ci accampammo alle falde del Vesuvio, voi ben lo conoscete. — Italia e Vittorio Emanuele, e mentre noi esprimiamo il nostro principio, noi seguiremo quel programma. Chi non segue quel programmo, deve essere considerato come nemico della patria; siamo leali, se l'abbiamo accettato seguiamolo. Ricordiamo la concordia; al grido di Viva Mazzini disse che incaricato di parlare a Rattazzi e al Re per il richiamo di Mazzini il fece e si spera che non vi sieno serii ostacoli non essendovi ormai che un punto legale da sciogliere che egli non saprebbe spiegare; (al grido di Viva Mazzini, egli ripet�) io vi accompagno, ma io ve l'ho detto; il popolo forte deve essere calmo e concorde — Viva Vittorio Emanuele (si ripeterono le grida di Vittorio Emanuele,. Ho fatto un discorso, esso concluse, che passa molto la mia capacit�, ma colla vostra fisionomia marziale e franca mi avete dato l'energia di parlare: vi saluto con affetto, o degni figli del lavoro; vi raccomando la concordia; nella concordia, sta la salute della patria. Mantenetevi buoni — sar� con voi fino alla morte. —

Parl� poscia alle Donne che ne' Palchi del teatro intrecciavano fazzoletti in segno di concordia. Parlarono Crispi e Bixio.

Il giorno susseguente una refezione gli fu offerta dal signor Antonio Marchi, ove intervennero varii onorevoli cittadini, il Colonnello della Guardia Nazionale, il Professor Riva, il Colonnello Trecchi e tutti gli amici di Garibaldi.

L'indomani il Generale proseguiva per Casalmaggiore, dove trattennesi poche ore, dirigendosi a Cremona la mattina del 5 Aprile e passando per Pieve S. Maurizio, e Cingia de' Botti.

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Dapertutto archi, sempreverdi; guardie nazionali e popolo, applausi ed entusiasmo dapertutto; quivi parl� ai contadini esortandoli alle armi, al tiro per farla finita coi nemici d’Italia.

Rinviatasi la comitiva per Cremona, a due miglia dalla citt� veniva ossequiato dal Municipio,, nella carozza saliva col marchese G. Trecchi suo ajutante di campo, e col senatore Plezza, indi dal R. Prefetto, dalle deputazioni di varj comitati di provvedimento, dell’emigrazione, de' feriti, della societ� operaja, di ufficiali dell’esercito, ecc. e da un numero straordinario di legni eleganti, con quanto pi� di cospicuo contava il paese.

L'ingresso in Cremona fu un vero trionfo. Fuori di porta Venezia stava sfilata tutta la legione; la porta adorna di bandiere foggiava al di dentro la facciata dell’arsenale di Venezia. La folla, che stipava le vie, le finestre, gli abbaini, straordinaria; la gioja erompente piuttosto unica che rara; lo sventolar dei fazzoletti delle signore, la pioggia di fiori e delle corone al generale, incessante, da non potersi ricordare l'uguale. L'eroe del popolo ne era commosso.

Traversata buona parte della citt�, il generale prese alloggio al palazzo dei marchesi Trecchi. Trecento anni fa in quello stesso palazzo alloggiava Carlo l’il padrone dell’Europa. Ora vi stava Garibaldi il duce del popolo! Oliale viaggio ha fatto il mondo!

Ecco le parole che il generale, dopo chiamato dalle grida affettuose di un popolo immenso, pronunciava da una finestra del detto palazzo.

�Era mio grande desiderio di salutare il bravo popolo di Cremona. Vi confesso il vero, mi sento lieto di trovarmi in mezzo a voi. Cremona mostr� in tante circostanze a me un singolare affetto e diede prove solenni di intenso amore alla causa dell’Italia. Cremona diede alla patria un grande numero de' suoi figli che onorano l'esercito, ne diede moltissimi al corpo dei volontarii; tanto gli uni che gli altri si fecero conoscere prodi soldati. Cremona fu la prima fra le citt� italiane la quale si distinse per offerte al milione di fucili che servirono per le spedizioni di Sicilia e di Napoli; sia lode a Cremona.


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I molti figli che questa numera nell'esercito sono un preludio del molto bene che Cremona pu� fare per l'Italia. Essa al momento prover� quanto � capace di fare per la patria.

Voci. S� s� s�....

�Io spero che il momento non sar� lontano.

�Gli � vero che noi abbiamo gi� fatto qualche cosa per la libert� della patria; ma non dobbiamo dimenticare che noi abbiamo dei fratelli ancora schiavi, e che a noi incombe l'obbligo di liberare. Nell'adempire a tale obbligo di certo Cremona non sar� l'ultima tra le citt� italiane.

Voci. S�.. s�... s�... Roma!

�Per adempire il santo obbligo 'verso Roma e Venezia e per adempirlo prontamente (Voci. S�, vogliamo adempirlo prontamente). Ebbene per adempirlo prontamente noi dobbiamo farci destri alle armi. Voi, Cremonesi, avete gi� respinto i nemici d'Italia colle bajonette alla schiena. Ora non vi resta che a rendervi abili anche nell'esercizio del Tiro; perci� vi raccomando il Tiro al Bersaglio. Quando ciascheduno degl'Italiani sapr� bene usare di una carabina, credetelo a me, la questione della Venezia sar� sciolta prontamente. Ora non mi rimane, o bravi Cremonesi, che a ringraziarvi con tutta l'effusione dell’anima della bella accoglienza che mi fate.�

Ansiosamente aspettato a Pavia vi giunse l'S di aprile il generale Garibaldi, proveniente da Cremona per la via di Arena e di Strabella. Alla porta della citt� venne degnamente accolto dal Sindaco, dalla Guardia Nazionale, dagli studenti, dalle Societ� Operaje e da un popolo innumerevole, di cui era impossibile di poter descrivere a parole l'entusiasmo e l'esultanza. Di l� il generale con bell'accompagnamento di gentildonne, di ufficiali e ili signorili carrozze, accerchiato da una moltitudine ebbra di gioja e sitibonda della di lui vista, pei corsi Garibaldi e Vittorio

Emanuele, festivamente addobbati, sotto una pioggia di fiori fra applausi frenetici, and� direttamente alla casa Cairoli, impiegando in quel breve tragitto poco meno di due ore. Ivi fattosi al balcone parl� a lungo al popolo commosso e plaudente.

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Nel mezzo di questi trionfi il general Garibaldi fu sorpreso a Brescia da violenti dolori artritici al braccio dritto. Cionostante i popoli della citt� e delle campagne vicine erano tutti i giorni dietro i suoi passi per salutarlo, ma egli dopo aver loro indirizzato dal balcone della locanda d'Italia alcune parole patriottiche, sent� il giorno 12 crescere i dolori che da qualche giorno lo affliggevano in modo da non essergli possibile di assistere all’inaugurazione del tiro, al quale officio fu delegato in sua vece il Senatore Plezza. Il giorno 16 part� per Mompiano onde curarsi coi bagni freddi, ma questo rimedio lungi dal giovargli, gli produsse da principio una enfiagione nella mano che non gli permetteva nemmeno di poter firmare le sue corrispondenze. La mattina del 16 erasi recata a fargli visita una deputazione del clero di Brescia ma egli non pot� riceverla che nel giorno seguente.

Da Brescia Garibaldi indirizz� una circolare agl'Italiani esortandoli a rinunciare all’uso dei vini forestieri e di lusso e ad impiegare invece molto meglio il loro danaro nell’acquisto di armi per la Completa liberazione della patria. Gi� da Parma aveva diretto una lettera al comitato di Genova, onde invitare il popolo italiano ad una sottoscrizione a favore degli operai di Vienna ch'erano stati vittime di una terribile inondazione. — Se i Governi talvolta sono nemici, egli diceva in questa,� popoli di tutte le regioni sono sempre fratelli.

Intanto la malattia del generale Garibaldi aveva servito molto opportunamente a trarre d'imbarazzo il Governo italiano, cui per parte del Gabinetto delle Tuileries erano state a pi� riprese dirette delle osservazioni relative alle dimostrazioni popolari provocato dal viaggio dell’ex-dittatore. Queste osservazioni del Governo Francese erano state motivate dalle istanze reiterate e dalle violenti proteste dell’Austria a questo riguardo. Il giorno 17 Aprile il Principe Metternich ambasciatore della Corte di Vienna a Parigi, in un colloquio con il sig. Thouvenel ministro degli esteri aveva dichiarato, che le cose erano giunte a tote punto, che all’Austria era ormai impossibile serbare lo statu quo a fronte del governo italiano ed in vista delle flagranti provocazioni cui aveva dato luogo il viaggio di Garibaldi.

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— L'Austria, aggiungeva il diplomatico della Corte di Vienna, trovasi di fatto sciolta completamente dagli obblighi  assunti a Zurigo in forza del diritto internazionale che deve regolare i rapporti dei diversi stati — Il ministro Thouvenel  erasi limitato a rispondere che non avrebbe mancato di comunicarc questa dichiarazione dell’Austria al Governo italiano.

Tale comunicazione in fatti produsse una considerabile modificazione nelle idee e nei progetti del ministero Rattazzi. Menotti figlio di Garibaldi che era col suo padre, fu immantinente chiamato a Torino dal ministro della Guerra per prendere il comando dei carabinieri Genovesi destinati per le provincie meridionali, ma non volle accettarlo. Nello stesso tempo il generale Sirtori indirizz� ai volontari ormai sciolti ed incorporati nell’armata il seguente proclama.

Ordine del Giorno

Al Corpo ora sciolto dei volontari italiani.

Commilitoni! la fusione del Corpo dei volontari italiani nello esercito regolare mette fine ai gravi e delicati uflicj da due anni in poi affidatimi dal generale Garibaldi e dal governo del re, uffici che non ambii per onore, ma accettai per dovere, per devozione alla patria, e per affetto a voi, che amo siccome fratelli.

Mentre la mia missione verso di voi sta per finire, la coscienza non mi rimorde di favori indebitamente largiti, o d’ingiustizia scientemente commessa. Se mancai al debito mio, fu umana fragilit�, non difetto di zelo per la giustizia, e per gli interessi vostri e della patria, che mai non divisi.

Il dolore di veder disciolta la famiglia, a cui mi legano memorie ed affetti indelebili, � compensato dalla gioia di veder fuse in una due famiglie egualmente ricche di gloriose tradizioni, egualmente degne di tutto l'amore della comune madre Italia. Commilitoni! molti di voi appresero in pi� campagne l'arte del combattimento e di vincere.

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Nondimeno ricordatevi che la modestia � il pi� bell’ornamento del valore — ricordatevi che il sacrificio dell’orgoglio � pi� grande virt� che il sacrificio della vita. — Colla modestia, colla disciplina collo zelo nello istruirvi nella teoria e pratica conoscenza dei regolamenti militari, meriterete l'affetto e il rispetto dei vostri compagni d’armi — I vincitori di Palestro, di S. Martino, di Castelfidardo e di Gaeta saranno lieti di contare nello loro file i vincitori di Calatafimi, di Palermo, di Milazzo e del Volturno. — El'Italia che aspira come a suprema condizione di salute, a concordia e unita po. litica e militare, benedir� riconoscente a' suoi figli, che sanno sacrificare interessi passioni e pregiudizi di corpo e di partito sull’altare della patria.

Torino 21 aprile 1862.

Il luogot. gen. com. sup. del corpo volont. italiani

G. SIRTORI

Era riuscito finalmente al ministero di completarsi colle nomine del Gen. Durando a Ministro degli affari esteri, di Conforti a ministro di grazia e giustizia, di Matteucci a ministro della istruzione pubblica. Contemporaneamente il Re Vittorio Emanuele si determin� ad imprendere un nuovo viaggio nelle provincie meridionali mentre lo sedute della Camera erano prorogate per due mesi.

Intanto il ministero approfittava delle vacanze della Camera per attendere indefessamente all’amministrazione della cosa pubblica. Organizzarsi all’interno ed aspettare che le questioni di Roma e di Venezia maturassero, erano le basi del programma ministeriale. Il Parlamento, � d’uopo confessarlo, aveva per sua parte immensamente concorso ad attuarlo.

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Egli aveva votato le leggi sull'imposta, aveva approvato tutte le misure necessarie ad affrettare attivamente la costruzione delle vie ferrate e delle strade ordinarie in una gran parte del Regno in modo, che Genova gi� trovavasi congiunta ad Ancona, ed il Mediterraneo a sole diciotto ore di distanza dall’Adriatico. Il tronco di strada ferrata fino a Napoli era stato compito. Le leggi relative alla leva militare applicate, alle provincie meridionali, il servizio regolare delle poste per terra e per mare attivato perfino in Sicilia, l'esercito riorganizzato, la ffotta militare a vapore creata, tali erano state le interessantissime opere, alle quali aveva contribuito il Parlamento.

Il Comm. Rattazzi Presidente del Consiglio dei ministri crasi riserbato il portafoglio dell’interno. Istallatosi nel suo ministero indirizz� subitamente ai Prefetti una circolare che noi crediamo utile riprodurre per intero.

Torino, 8 aprili 1862.

Chiamato dalla fiducia del Re a reggere il ministero dello interno, mi credo in debito di portare a cognizione dei capi dello provincie gli intendimenti del nuovo gabinetto, tanto per ci� che concerne il suo indirizzo politico, quanto per ci� che riguarda il suo indirizzo amministrativo.

Oggi la nostra politica � dominata dal concetto della reintegrazione dell’unit� nazionale e da quello delle libert� che senza contrastare all’unit� assicurino lo svolgimento della vita pubblica in tutte le parti della nazione.

Finch� l'opera unificatrice non sia compiuta, finch� cio� le diverse membra del corpo italiano non saranno riunite, e instaurato nella sua sede naturale il governo, non vi possono essere due programmi politici in Italia. Gli uomini che vi si avvicendano al potere non possono invero diversificarsi se non se nel misurare il grado di libert�, di cui nelle condizioni presenti possono stimare suscettivo il paese.

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Il senno e la maturit� di cui gl'Italiani hanno dato cos� irrecusabili prove al mondo civile inducono il nuovo gabinetto nella persuasione che non vi pu� essere pericolo nello estendere le franchigie che lo statuto accorda alla nazione.

Il suo programma politico si riassume nel grido che echeggia in tutte le parti della penisola: unit� e libert�; egli dar� opera ad eseguirlo. Ma per ci� fare � mestieri del concorso di tutte le forze nazionali senza far eccezione fra gli uomini che hanno combattuto per l’affrancamento della patria sotto la bandiera di Vittorio Emanuele, perch� tutti coloro che pugnano sotto questa bandiera sono benemeriti della causa nazionale. Tutti hanno fatto il loro dovere ed hanno perci� diritto di essere ritenuti degni di continuare nei sacrifizi necessari all’indipendenza d'Italia e di aspirare alle ricompense riservate ai migliori dei suoi figli. Per questi intenti la politica del governo assume fra le parti il carattere di una politica di conciliazione, la sola per cui si possa compiere ed assodare l’opera del nostro risorgimento.

Epperci� i capi delle provincie procaccieranno con ogni studio di indirizzare a questo fine gli animi, promovendo tutto ci� che pu� favorire, o togliendo di mezzo tutti gli ostacoli che possono impedire gli effetti di somigliante politica. A tale scopo tutte le libert� costituzionali vogliono essere in ogni loro manifestazione protette fino al limite, oltre il quale, uscirebbero dalle condizioni dell'ordine pubblico e cesserebbero di essere legittime.

Non vuolsi per� dimenticare che se conviene associare per tutti i modi tutte le forze vive del paese al governo, altrettanto � necessario rintuzzare con energia tutti i tentativi che si potessero fare per surrogarlo nell’opera che a lui solo appartiene, e che esclusivamente impegna la sua responsabilit� tanto per ci� che tocca il reggimento interno, quanto per ci� che concerne i rispetti dello Stato coll'estero. Il governo fallirebbe al suo dovere ove si lasciasse soperchiare a questo riguardo; le leggi lo hanno sufficientemente armato contro simili esorbitanze. Egli tratter� come nemici del Re e della Patria coloro che se ne rendessero colpevoli.

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Da un altro lato, mentre i prefetti avranno a secondare lo svolgimento di tutte le libert�, non cesseranno dal tener d’occhio i resti delle fazioni avversi all’unit� nazionale e alla monarchia costituzionale, non gi� per negare a coloro che ne fan parte le guarentigie cui hanno diritto tutti i cittadini, ma per esser pronti a reprimere con energia gli atti che fossero per fare contro l'ordine fondato sul voto della nazione.

In alcune provincie la sicurezza delle persone e degli averi � turbata da bande di tristi o traviati che talvolta a nome dei principi spodestati le infestano. � necessario purgarne il paese e rassicurare dovunque gli spiriti a questo riguardo. Vi � ragione di confidare che le autorit� politiche, d’accordo colle magistrature comunali e col concorso della milizia cittadina, bastino a questo importante scopo.

Il governo � fermo nel proposito di tutelare efficacemente la libert� delle coscienze, l'indipendenza del ministero ecclesiastico, e di assicurare rispetto a coloro che ne sono investiti. Ma non consentir� mai che sotto specie di religione si vengano a scalzare i diritti della dinastia, l'integrit� o l'indipendenza dello Stato. La potest� politica � sufficientemente munita dalle leggi per rendere impotenti i tentativi di simil genere.

Una gran parte, la maggior parte senza dubbio del nostro clero, geme di essere rattenuta di associarsi pi� apertamente al movimento nazionale. Conviene tener conto della natura dei motivi che la impediscono di abbandonarsi a' suoi istinti naturali ed al sentimento de' suoi doveri civili. La nostra chiesa per ci� che tocca il suo modo di esistere esteriore � in un momento di crisi, non voglionsi imputarle tutte le conseguenze dello stato nel quale si travaglia. La libert� cui la convitiamo sar� pi� favorevole alla sua missione spirituale, che non lo sono le condizioni cui sembra rimpiangere, come sar� propizia alla sua missione di ordine, d’incivilimento e di progresso.

In quanto all’indirizzo amministrativo il nuovo gabinetto serbate le ragioni dell’unit� politica, intende risvegliare in tutto il paese la vita pubblica, allargando le franchigie comunali e provinciali.

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La pubblica opinione ha colto con plauso l'atto per cui il Parlamento dava facolt� al Re di deferire ai capi delle provincie alcune delle attribuzioni dianzi riservate al potere centrale. Si ravvis� in quest'atto il modo pi� acconcio di raggiungere in breve il desiderabile intento del pi� pronto disbrigo degli affari. Ma se si � fatto con ci� opera per ogni rispetto lodevole, quest'opera per� non sar� compita se non quando, serbate le ragioni essenziali del potere esecutivo, la maggior parte delle attribuzioni concernenti l'amministrazione delle provincie e dei comuni sar� ripartita fra le rappresentanze che la leggo assegna a cotesti enti. Per questa guisa si raggiunger� nel senso pi� conforme alle tendenze liberali del nostro tempo, l’invocato scentramento amministrativo, il quale non consiste solo nel recare, come si suol dire, il governo alla porta degli amministrati, ma s� principalmente nel porre questi in possesso del governo di se medesimi per tutte le cose riguardo alle quali hanno necessariamente maggior competenza morale e pratica, e che per considerazioni di interesse generale non vogliono essere mantenute sotto il potere politico.

Secondo questa massima si esplicher� l’iniziativa del governo nella riformazione delle nostre leggi amministrative. In questo spirito dovranno procedere i suoi rappresentanti nelle provincie per quanto lo consentiranno loro le leggi. L'ordinamento provinciale e comunale in vigore in quasi tutte le parti del regno agevoler� loro questo procedimento. Stabilite invece sui principii del sistema costituzionale le autorit� provinciali e comunali in cui la podest� regia si congiunge con vincolo di mutuo e perenne accordo colla podest� elettiva, possono senza pericolo essere investite di tutte le attribuzioni di cui sono in possesso negli Stati pi� liberi.

Il rappresentante del governo che sta a capo delle medesime conferisce loro in pari tempo ed una forza d’azione ed un temperamento da rendere le provincie ed i comuni capaci di franchigie cui in condizioni diverse non potrebbero aspirare.

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I prefetti hanno invero fin d’oggi nel concorso permanente delle deputazioni provinciali un argomento morale di forza per amministrare le provincie, argomento che cercherebbero invano nel solo appoggio del governo. Essi hanno nelle medesime un consiglio che accresce l'autorit� loro quando si fanno a propugnare in faccia al potere centrale gl'interessi collettivi degli amministrati, e che agevola per diversi modi l’opera loro quando si tratta di promuovere l'esecuzione delle leggi e degli ordini del governo nelle provincie. Cos� collo svolgimento dei principii che sono gi� nelle novelle istituzioni si otterr� per l'allargamento delle franchigie locali la consolidazione dell’autorit� centrale.

Oltre le attribuzioni che loro sono specialmente assegnate, i capi politici delle provincie hanno quella generale principalissima di vigilare sopra tutti i pubblici servigi, e di indurre quindi, salve l'indipendenza e la responsabilit� dei funzionarii che sono specialmente incaricati dei medesimi, tutti i rami della pubblica azienda a tradurre in atto il concetto governativo.

Essi avranno cura di provvedere a ci� che pel fatto dei loro subordinati gl'interessi degli amministrati non patiscano nocumento. Veglieranno con ogni studio che gli affari che da loro dipendono siano con la maggior sollecitudine spediti. Sono, per fermo, le lentezze e gli impigli officiali cagione non di rado principale che non s� dia cominciamento o non si conducano a termine le pi� utili intraprese, e che giacciano sovente inerti le forze morali e materiali che per ispiegare la loro efficacia a vantaggio di tutta la contrada, hanno mestieri del concorso della pubblica autorit�. Vuolsi qui che ognuno si accorga essere oggi gli uffizi stabiliti a servigio del pubblico, non a privilegio o comodo di coloro che ne sono investiti come non ha guari accadeva in alcune fra le pi� belle parti della nostra penisola, dove gl'impieghi governativi sembravano appunto creati piuttosto come un mezzo di angariare per ogni forma i cittadini, anzich� come funzioni istituite a loro benefizio: bisogna che tutti ad ogni occasione sieno accertati del cambiamento operato a somigliante proposito.

Per conseguire questi diversi intenti il governo fa il pi� grande assegnamento sul patriottismo, sull’esperienza, sulla privata abilita dei prefetti, e confida che consci della loro responsabilit�,

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concorreranno a confortare, seguendo l'indirizzo sovra esposto, le ragioni dell’ordine e della libert� in tutto il regno. In questa via essi e gli impiegati che sono nella loro dipendenza continueranno a rendersi benemeriti del re e della patria. Ed il sottoscritto di niuna cosa andr� mai tanto lieto quanto di poter render loro testimonianza del concorso che gli avranno fornito nell’esecuzione del suo mandato.

U. RATTAZZI

Anche i ministri dell’istruzione pubblica, di grazia e giustizia, e dell'agricoltura e del commercio pubblicarono egualmente circolari importantissime ma troppo lunghe per essere riportate nella nostra cronaca. Il nuovo ministro degli affari esteri occupavasi intanto di regolarizzare la situazione della piccola repubblica di S. Marino, sulla quale non sar� discaro e senza interesse pei nostri lettori di trattenersi un istante.

Per compiere l'unit� non mancava solo all’Italia Roma e Venezia. Questi due nomi grandi aveano fatto obbliare il modesto nome di S. Marino; eppure la Repubblichetta meritava di non esser lasciata in disparte, e che si chiedesse ci� che fosse avvertito di essa in mezzo a tanti e si gravi avvenimenti.

Essa era restata ci� che fu sempre, mentr'erano sradicate le querce, restava in piedi il roseto, or troviamo il piccolo popolo mariniano tranquillo, florido e felice, checch� ne dica il proverbio: Felici i popoli che non hanno storiai

Questo � felice ed ha una storia, una storia gi� lunga. Esso data dal X secolo; travers�, senza rovesci le agitazioni del medio evo. Esso � governato da un consiglio detto il principe, eletto da tutti gli abitanti, composto di 45 membri nominati a vita, e il quale affida il potere esecutivo per sei mesi a due capitani uno per la citt�, l'altro per la campagna, che compiono pure le funzioni di giudici di pace.

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La giustizia � amministrata da un giureconsulto straniero, nominato per tre anni: si appella dalle sue decisioni ad un tribunale composto di 12 membri eletti. La rendita dello Stato � di 50,000 franchi. Le funzioni pubbliche sono gratuite; la forza militare si compone di 40 gendarmi e di 1, 260 militi. La repubblica possiede 4 cannoni regalatile nel 1797 dal gen. Bonaparte. Ha due incaricati d’affari, uno a Parigi, l'altro a Torino.

E cosa meravigliosa e quasi incredibile la longevit� d’una creatura si debole. Sarebbe ingiusto il non vedervi che l'effetto del caso, o conchiudere che S. Marino deve solo alla sua picciolezza l'aver traversato senza danno e senza pericolo le furiose tempeste che gl'infierirono intorno. Non basta esser piccolo per esser saggio. Repubbliche antiche, pi� piccole che S. Marino, hanno trovato i mezzi di fare le loro pazzie come i grandi Stati.

S. Marino non ha seguito quest'esempio. Governo e popolo si son sempre diretti coi principii della giustizia e della ragione; ne trovano la ricompensa nell’inalterabile prosperit� di cui godono. Essi vivono a costa d’Italia nei rapporti del pi� cordiale vicinato.

Questi vincoli fraterni si restringeranno ancora di pi�. Un trattato di amicizia e di commercio che accorda i pi� ampii vantaggi ai Sanmariniani, fu conchiuso il 18 aprile a Torino. I plenipotenziari furono: per la Repubblica, l'illustre conte Cibrario, patrizio di S. Marino; e per l’Italia il comm. Carutti, ministro presidente. A questo proposito leggiamo in un giornale: �Accettando di rappresentare S. Marino in questi negoziati, il sig. Cibrario assicurava anticipatamente il successo di tutte le sue domande. Egli non ha del resto trovato che una viva premura di esaudire tutti i desideri, di cui rendevasi l’interprete. I riguardi manifestati in questa circostanza dal Governo italiano alla modesta e saggia Repubblica fanno egualmente onore a ciascuna delle parti contraenti�.

Se � facile ad esser compresa la ragione dei giusti riguardi mostrati da un Governo uscito dal suffragio universale verso la piccola repubblica di San Marino non lo � egualmente quella che presiedette alle trattative che intercedettero nello stesso tempo fra il governo italiano ed il Principe di Capua fratello del defunto Ferdinando II gi� re di Napoli.

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Questo Principe erasi recato a Torino per rivendicare certi diritti di propriet� su d’alcuni beni, dei quali il demanio erasi impadronito.

Nel mezzo delle trattative egli cadde gravemente malato, ed era certo che quella malattia (la stessa che aveva prodotto la morte del re suo fratello) gli avrebbe presto tolta la vita. Allora il Principe emise rinunzia con atto legale ed autentico ad ogni reale prerogativa ed a qualunque dritto al trono delle due Sicilie, che potesse competere tanto a lui che ai suoi discendenti. In correspettivit� di questa rinuncia il governo italiano doveva restituire a lui ed ai suoi figli gl'importanti beni immobili, do' quali egli rivendicava la propriet�. Noi, come gi� dicemmo, non abbiamo compreso l'importanza ed il valore che potevasi dare da un governo fondato sul suffragio uuiversale ad una rinuncia di dritti che emanavano da un ordine di principii diametralmente opposti alla sovranit� nazionale. Forse il Governo di Vittorio Emanuele volle generosamente nascondere sotto il pretesto d'una ragione correspettiva di dritti l'indennit� che accordava alla sventura. Infatti il giorno 23 Aprile a 8 ore di mattino furono celebrate pompose esequie alla spoglia mortale del defunto Principe di Capua, che venne deposta di poi nella chiesa di S. Giovanni e nei sepolcri destinati ai Principi del sangue. La famiglia del defunto recossi a dimorare nel real castello di Stupinigi, messo da S. M. il Re d'Italia a disposizione della medesima.

A questi onori reali fatti alla spoglia mortale di un Principe della famiglia Borbone, il partito borbonico rispondeva col raddoppiare la sua attivit� diretta a fomentare il brigantaggio napoletano e con dei tentativi di cospirazioni perfino nella Lombardia.

Sul fine dell’Aprile tutta Milano fu agitata dalle voci che si erano diffuse di una congiura reazionaria, ordita sopra una vasta scala, con mezzi potenti, la quale ove per buona sorte non fosse stata scoperta, avrebbe fatto molte vittime.

Nella notte del 29 doveva consumarsi l'orribile attentato.

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Varii dei soldati gi� appartenenti al disciolto esercito borbonico, che trovavansi negli ospedali militari di Sant'Ambrogio e del Monastero Maggiore, armati di stili e pistole, loro apprestate dalla reazione, meditavano sinistri disegni ed abbondantemente provveduti di denaro, minacciavano di rinnovare in Lombardia le scene di brigantaggio.

Il generale Durando, accompagnato dal colonnello de' carabinieri e da vari ufficiali dello Stato Maggiore, accorse sopra il luogo alle due della notte.

Una minuta perquisizione venne operata in ogni angolo riposto e pi� di 40 soldati furono arrestati. Volevasi che fossero graveolenti compromessi in questa nera faccenda alcuni frati e due monache presso quegli ospedali, pei quali sarebbe anche stato spiccato mandato d’arresto.

Una commissione militare si rec� a visitare tutte le caserme e gli stabilimenti militari.

Nella stessa notte sedici soldati del 9.� reggimento di linea disertavano da Monza dirigendosi verso il confine svizzero. Alle 9 1|2 ant. essendo stati veduti nella vicinanza del Comune di Cascina Rizzardi, il capitano della guardia nazionale di quel villaggio, che per buona ventura trovavasi in campagna, chiam� sotto le armi quei pochi militi della guardia nazionale che si poterono trovare, e messosi alla testa dei dodici uomini di cui pot� disporre in quel primo momento tentava di attraversar loro la strada del confine svizzero discosto solo poche miglia.

Avendo potuto raggiungerli furono tutti arrestati e consegnati due ora dopo ai reali carabinieri di Fano, che erano in giro per cercarli. Erano tutti napoletani. Pare che fossero guidati da un contadino che nel momento in cui furono assaliti nelle vicinanze di un bosco in cui entravano, riusc� a sottrarsi ad ogni ricerca. Essi erano in uniforme e solo armati di baionetta.

Non � da credere per� che questi tentativi di disordine fossero tali da giustificar l’allarme che si dest� in Milano alla scoperta del complotto borbonico. Un giornale locale la Lombardia, riduce i fatti che avvennero elle loro vere proporzioni, e noi ne riportiamo alcuni brani per renderne convinti i nostri lettori.

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I fatti da noi ieri l'altro narrati come avvenuti negli ospedali militari di S. Ambrogio e del Monastero Maggiore non hanno quella seria importanza che le prime notizie pervenuteci davano loro. Non trattasi punto di congiure, di armi ec. ma soltanto di serie disposizioni che il Comando militare credette di dovere impartire. Allorch� nell’ospedale di S. Ambrogio venne, or non � molto, ucciso il sergente d’amministrazione, non erasene potuto scoprire il vero uccisore. Sospettavasi seriamente su di alcuni soldati gi� appartenenti all’esercito borbonico, i quali neghittosi e indisciplinati, passano il loro tempo negli ospedali.

Il comando militare per� stava sulle guardie. Sapeva che molti di quei soldati si abbandonavano tutto il d� al giuoco, minacciando i sergenti che lor volevano ci� impedire; che imponevano ai compagni a far ci� che loro talentava; insomma che davano argomento a serie lagnanze, anzi sospetto che volessero ancora fra noi seminare la mala pianta della camorra. Le cose erano giunte a segno che il comando non poteva pi� oltre tollerare lo scandalo. Laonde per tempissimo, la mattina del luned� una commissione recossi all’ospedale di S. Ambrogio e innanzi che i soldati si alzassero, vennero visitati.

Le pi� minute ricerche non iscoprirono fila di congiure a danni de' superiori. Soltanto si rinvennero alcune lettere che porteranno forse a far conoscere il vero uccisore del povero sergente; venne trovato altres� denaro, ma non in quella somma sproporzionata a cui s'era innanzi tratto fatto ammontare. Se si eccettui que' pochi sciagurati che il campo di S. Maurizio non giunse a ben purgare delle cattive abitudini, i soldati tutti delle provincie meridionali, specialmente quelli di nuova leva, si mostrano lieti di servire alla patria e ubbidienti ed attivi al servizio; sicch� i loro superiori sono sotto ogni rapporto di loro contentissimi.

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II.

Quando il governo italiano che pure era sorto dal suffragio universale vide tutta Italia agitarsi impaziente e stanca di rimanersene nel fatalissimo statu quo impostole dalla diplomazia europea, e Garibaldi, uno degli eroi dell’indipendenza italiana, acclamato con trasporti d� gioia e di speranza da tutte le citt� che andava visitando, comprese essere assolutamente necessario per mantenere la sua autorit� ed affrontar sicuro l’avvenire, di non lasciar rapire al capo dello Stato una parte qualsiasi di quel prestigio e di quella simpatia, di cui fino a quel giorno era stato circondato. La situazione era abbastanza seria. Se il Re Vittorio Emanuele aveva goduto fino a quel momento dell'amore e del rispetto dei suoi popoli, ci� era avvenuto perch� Re e popolo eransi sempre trovati in perfetta comunanza di vedute e di principii. Ormai se i principii rimanevano gli stessi, non era piccola la divergenza forse pi� apparente che reale delle vedute del Governo da quelle della Nazione, per ci� che riguardava il compimento definitivo dell’unit� italiana.

I partiti ostili all’Italia, composti in massima parte di Borbonici e di un piccolo numero di repubblicani, e di ambiziosi malcontenti approfittavano degli slanci d’un mal compreso patriottismo per creare imbarazzi al Governo. Dicemmo patriottismo mal compreso, perch� il vero patriottismo sotto il regime del suffragio universale deve consistere nel prestare appoggio senza esitazione ad un Governo leale, creato dalla libera volont� della nazione, e sopratutto nell’aver fiducia nei suoi lumi e nel suo onore. Ora siccome la sola presenza dell’augusto Capo dello Stato poteva conservare, e ravvivare questo prestigio, il Re determin� immediatamente di recarsi nelle provincie meridionali Citeremo su questo particolare alcune lince della Perseveranza di Milano:

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Il viaggio del re Vittorio Emanuele nelle provincie meridionali non ha per oggetto lo sciupio del denaro pubblico in largizioni che talvolta dai monarchi assoluti sono fatte colla pecunia attinta nel pubblico erario senza misura; nemmeno ha per oggetto di far abbandonare le moltitudini alla gaiezza e festivit� di officiali programmi, ma invece ha per fine di far conoscere pi� dappresso ai cittadini il governo centrale nella sua vera indole riparatrice che ad un tempo � rispettoso ai diritti di tutti ed alle convenienze di ciascuno.

Il re sar� riconosciuto quale � da coloro che non sanno ancora come il regno � pacificamente nelle mani del principe, ed il suo governo potr� dappresso paragonare i fatti e soprattutto le tendenze delle popolazioni meridionali e studiarsi di compensarle in facilit� amministrative ed in dignit� di cittadini di ci� che taluni potessero credere d'aver perduto in franchigie speciali. l’ha una plebe, v'ha un volgo tanto nel patriziato, quanto nel commercio, quanto nei proletarii, e questa plebe, questo volgo sono nei tre ordini suddetti il complesso di quelle persone che hanno bisogno di venire illuminate sopra un certo numero d’idee che vengono a loro danno ed ai loro occhi travisate da interessati intriganti: il viaggio della Corte e dei capi di parecchi dicasteri che l'accompagnano daranno certamente l'occasione di mostrarsi reciprocamente la verit� che fosse da qualche parte velata.

Meglio che le ripetute e sempre simili interpellanze di certi Deputati venuti dal mezzogiorno, interpellanze dirette a mantenere od a rifare sistemi impossibili nel regime della legge eguale per tutti, potr� il viaggio della Corte riavvicinare le tendenze e rischiarare il buio delle opinioni preconcette tanto per solito difficili a sradicarsi.

Non ci fermeremo a narrare con minuti dettagli l'accoglienza fatta al Re Vittorio Emanuele in tutte le citt� del suo regno. Questo viaggio cominciato il 22 Aprile non fu che una ripetizione anche pi� brillante delle dimostrazioni universali che accompagnavano dapertutto e sempre il Principe eletto liberamente dalla Nazione. A Genova a Firenze a Livorno eguali trasporti, eguali acclamazioni eguale entusiasmo.

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La partenza del Re da Genova fu alla mezzanotte precisa. Dopo felicissima traversata, la R. pirofregata Maria Adelaide, sulla quale prendeva passaggio, gettava l’ancora nella rada di Livorno alle 8 1|2 del mattino, scortata della R. pirofregata Duca di Genova. Alla distanza di 10 miglia da Livorno S. M. veniva salutata dalla R. flottiglia, composta d’otto legni, che pi� tardi dovr� far parte della R. squadra d’evoluzione unitamente alla nuova pirofregata Italia, al vascello Re Galantuomo ed altri. Sceso a terra fra le grida di viva il Re l’Italia ed il rimbombo delle artiglierie si diresse alla volta di Firenze. Ivi rimase fino alle 5 pom. assistendo alle corse che ebbero luogo alle Cascine e quindi parti per S. Rossore, dove si trattenne alla caccia fino al sabato ad un'ora pom. Alle 5 era di ritorno in Livorno; and� la sera al teatro dove fu accolto fra le pi� entusiastiche grida di viva il Re, l'Italia unita, ecc. ed alle 11 1|2 s'imbarcava nuovamente sulla Maria Adelaide. Da Civitavecchia pass� ad 1|3 di miglio, vogando appena la fregata, ed al suono della musica; ed a Gaeta discese per visitare quella fortificata citt� e le sue rovine, lasciando al suo partire la somma di Lire 4 mila per essere distribuita ai poveri. In queste acque fu incontrato dal generale La Marmora, proveniente da Napoli colla Costituzione. Navigando la R. pirofregata a traverso d’Italia fu raggiunta dalla prima divisione della squadra francese, composta di 9 legni che la scort� fino alla rada di Napoli, dove gi� si trovava la inglese composta di tre vascelli. Alle 4 pom. il Re scendeva a terra circondato da centinaia di battelli e fra le grida di migliaia e migliaia di persone accorse a salutarlo sotto il bordo. Fu una bella, un'imponente dimostrazione, un'entrata veramente trionfale. I tetti delle case sporgenti alla marina e le finestre tutte si vedevano gremite di persone.

La via Toledo soprattutto presentava uno spettacolo imponente. In ogni dove sventolavano bandiere, fazzoletti, si cacciavano mazzi e corone di fiori, e si vedevano uomini e donne raggianti di gioia gridare colte lagrime agli occhi Viva il Re Galantuomo.


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Il Reale corteggio percorse la strada S. Giuseppe, S. Anna de' Lombardi, ed entrando in via Toledo, si portava al palazzo. Tale fu l'entusiasmo e la gioia che le persone, non badando a pericoli, rompendo le fila della Guardia Nazionale, trattenendo per la briglia i cavalli dei Carabinieri, si cacciavano attorno alla carozza del Re mostrando di volergli baciare le mani. Il Re era oltremodo commosso. — La sera poi tutta la citt�, comprese le vie meno popolate, era sfarzosamente illuminata. Sul terrazzo di S. Francesco di Paola, la cui cupola era essa pure illuminata, ebbero luogo magnifici e ricchissimi fuochi d’artifizio, nel mentre che sulla piazza, gremita di gente, tutte le bande in una riunite, ed in numero di 400 parti eseguivano sinfonie sotto la direzione del celebre maestro Mercadante.

La citt� di Napoli prepar� una festa veramente degna del grandioso avvenimento che festeggiava. Ed affinch� nulla mancasse alla pubblica gioia in siffatto giorno molte elemosine furono distribuite ai poveri. Dicesi che questa festa cost� al Municipio di Napoli la cospicua somma di 92 mila ducati (L. 388400).

Il Re onor� la sera di sua presenza il Teatro S. Carlo, che era splendidamente illuminato ed accoglieva una folla immensa di spettatori. I palchetti riboccavano di elegantissime dame, e la platea era risplendente per uniformi di ogni guisa. Insomma uno spettacolo meraviglioso ed un entusiasmo indescrivibile. Il Re prese posto nella gran loggia di mezzo in forma pubblica, e gli faceano corona il Presidente del Consiglio e gli altri Ministri, i Ministri esteri che lo avevano accompagnato, il Prefetto Lamarmora, gli ufficiali della Real Casa, il Generalo della Guardia Nazionale, il Sopraintendente de' Teatri, ed altri. A fianco, in due palchi distinti, erano gli ammiragli stranieri con l’ufficialit� superiore. — All’apparire del Re una fragorosa, prolungata salva di applausi, accompagnata da grida entusiastiche, scoppi� in tutto il vasto recinto, e Sua Maest� ebbe a rimanersene in piedi per buona pezza a ringraziare il pubblico. Ma dopo brevi istanti ricominciarono pi� fragorosi gli applausi; e appena l'orchestra intuon� l'inno di Savoia, l'entusiasmo non ebbe limiti.

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Questo immenso entusiasmo continu� pur durante l'esecuzione dell’inno composto dal sig. Vincenzo Capecelatro su parole della signora Laura Mancini. Finalmente gli stessi applausi furono ripetuti quando il Re usc� dal Teatro, che fu dopo il Ballo.

L'indomani al giorno, le varie sezioni della Societ� operaia con le respettive bandiere si raccolsero nella piazza del Plebiscito per salutare il Re. S. M. trovandosi in conferenza co' Ministri esteri, non pot� mostrarsi al balcone, ma fece ringraziare la Societ� operaia da un usciere di corte.

Il giornale di Napoli pubblicava i seguenti telegrammi delle Provincie:

Il sottoprefetto d’Ariano manda per telegrafo esser col� istallato con gran solennit� il Tribunale circondariale, con intervento di tutte le Autorit� e funzione religiosa nella cattedrale. Quella citt� festeggiava con splendida luminaria l'arrivo di S. M. a Napoli.

Il consiglio comunale di Bari, interprete dei voti dei cittadini, presenta omaggio e felicitazione al Re per hi sua venuta a Napoli.

In Potenza fu improvvisata una brillante illuminazione per festeggiare l'arrivo del Re.

Sansevero, Bovino, Lucera, Cerignola e Manfredonia festeggiarono con luminarie, bande musicali, e gale ai teatri lo arrivo del Re.

In Eboli l'arrivo del Re ha destato un grande entusiasmo in ogni classe di cittadini.

In Trani fu fatta un'entusiastica dimostrazione per l'arrivo del Re. La inaugurazione dei Collegi giudiziarii riusc� brillantissima.

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L'apertura del Tribunale circondariale in Isernia fu inaugurata col concorso di tutte le autorit� e con entusiasmo dei cittadini, ornando gli edifizii di bandiere, e percorrendo il paese con bande musicali al grido di Viva il Re Vittorio Emanuele.

In Aquila parimenti l'inaugurazione della Corte d’Appello fu festeggiata col concorso di tutte le Autorit� civili e militari, del Clero, della Guardia Nazionale e con entusiastiche dimostrazioni d’ogni classe di cittadini.

In Teramo fu letizia generale, e gran dimostrazione all’annunzio dell’arrivo del Re.

In San Germano con grande esultanza e con pomposa dimostrazione fu festeggiato l'annunzio dell’arrivo del Re. A tale avvenimento si aggiungeva l'inaugurazione del Tribunale circondariale che fu egualmente festeggiata da tutti i cittadini.

La popolarit� del re cresceva di di in di. Ogni volta che il re usciva per le vie di Napoli il popolo si affollava sui suoi passi. Invano le guardie di pubblica sicurezza stavano sulla piazza del Plebiscito per arrestare un po' lo slancio del popolo e per opporsi che taluno non sia calpestato dai piedi dei cavalli. Il desiderio di contemplare il re vince il rispetto all’autorit�. E perci�, a fine di ogni difficolt�, il re ordin� alle guardie di lasciar avvicinare a lui la folla tanto vicino quanto esso lo voleva, dicendo che per ben vedere il popolo bisogna trovarsi in mezzo a lui. Queste parole sono felici e degne d’essere riferite. E per applicare subito questo precetto, Vittorio Emanuele fece avvicinare a se una donna che si struggeva iu lagrime, l'interrog� con bont� e poscia fece ragione alla sua domanda; similmente not� un giovine Garibaldino di quindici anni, che si present� a lui dicendo che voleva servire il re.

— Siete troppo giovine —

— Sire, ho combattuto a Milazzo —

— Siete troppo piccolo —

— Sire, ho combattuto al Volturno, voglio servire vostra Maest�.

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E il re ridendo fece scrivere il suo nome e promise d’inviarlo al collegio militare d’Asti.

Nel ricevimento alla Corte il Re parl� delle condizioni delle Provincie napoletane e della necessit� di pronti provvedimenti. A Deputati ed a' Senatori napoletani secondo che ci venne riferito, disse cose di altissima importanza, le quali ben mostrano quanto Egli ami le provincie meridionali e quanto desideri che la situazione in cui versano cessi sollecitamente. Disse a' Deputati ed a' Senatori, ch'egli bramava che si facessero interpetri presso il popolo de' suoi pi� vivi ringraziamenti per le grandi manifestazioni, onde aveano festeggiata la sua venuta. Aver ritrovato, aggiunse, il popolo napoletano migliorato, dolergli solo che le opere pubbliche come le avea lasciate cos� ora le avea rivedute. Le parole essere state molte, i fatti pochi: eppure il popolo, aver bisogno di lavoro.

Ad un deputato che gli rivolse la parola, perch� pigliasse in considerazione la poca sicurezza pubblica delle provincie napolitano, rispose: ci� procedere da Roma, ottenuta Roma come capitale d’Italia, ogni interno turbamento cesserebbe subito. La questiono romana fa di giorno in giorno dei grandi progressi. Se gli italiani sono impazienti di andare a Roma, i francesi non sono meno impazienti di cessar da quella occupazione. La gran maggioranza dell'opinione pubblica in Europa essere omai manifestamente favorevole all’Italia.

Chiese consigli e suggerimenti per far cosa che potesse tornar grata ed a beneficio del popolo napoletano.

I deputati ed i senatori furono commossi da quelle parole del re, in cui con un senso profondo parl� della quistione romana. Le parole del re, come sempre, furono quelle da magnanimo e schietto italiano. Al generale ed a' comandanti della guardia nazionale rivolse lusinghiere espressioni di elogio per la guardia nazionale napoletana, pel contegno, per la disciplina, e per la bella tenuta. Conchiuse c�si: essa simiglia a vecchie ed agguerrite truppe e non a guardie nazionali.

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Il generale Tupputi con belle parole rispose, che la guardia nazionale di Napoli devota al re, non avea mancato mai al suo debito verso l’Italia.

Nel giorno 3 Sua Maest� recossi a visitare sull’ora del mezzod� le squadre inglese e Francese, ch'erano venute a Napoli per fare omaggio al Re d'Italia nella occasione del suo viaggio. Quando il Re su piccola nave pass� per condursi sulla Brettagna Vascello Ammiraglio della squadra francese, tutti i legni eh' erano nel porto lo salutarono con triplice salve di tutte le loro artiglierie. Dopo esser rimasto per pi� di mezz'ora sul Vascello Brettagna, dove trovavasi l'Ambasciatore di Francia alla testa dello Stato maggiore della flotta, il Re Vittorio Emanuele and� a bordo del Nettuno, nave sulla quale era innalzata la bandiera dell’ammiraglio inglese. Ritornato al Palazzo reale indirizz� la seguente lettera all’Imperatore dei Francesi:

Napoli 3 maggio, mezz'ora

dopo mezzo giorno.

Il Re d’Italia a S. M. l’Imperatore dei Francesi

Parigi

Ritorno dall’aver visitato or ora la flotta che voleste spedire in questo porto. Un atto tale di benevolenza dal canto vostro per la mia persona e di simpatia per la causa italiana, mi ba vivamente commosso, e ve ne ringrazio.

� molto tempo, Sire, che non provai tanta emozione, come in oggi.

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L'ordine che regna in queste provincie meridionali e le fervide dimostrazioni di affetto che ricevo da tutte le parti, rispondono vittoriosamente alle calunnie dei nostri nemici, e convinceranno, spero, l'Europa che l'idea dell’unit� riposa su solide basi e si trova profondamente impressa nel cuore di tutti gli Italiani.

Aggradite, Sire, i sensi della mia sincera ed inalterabile amicizia.

VITTORIO EMANUELE

Il giorno 4 a mezzod� ebbe luogo la distribuzione delle medaglie alle compagnie della guardia nazionale. Un altare era stato innalzato sotto il portico della Chiesa di S. Francesco di Paola. Il Re accompagnato dal Presidente del consiglio dei Ministri Rattazzi, del Prefetto Generale Lamarmora e da un brillante Stato Maggiore giunse al piede dell’altare per la strada formatagli da due ale della Guardia Nazionale. Ricevuto col� dal Vescovo d'Ariano, e dal Corpo Municipale assist� alla messa ed ascolt� i discorsi del Vescovo, e dei Sindaco.

Ecco le parole del Sindaco pronunziate alla Maest� del Re, e la risposta del Monarca.

Sire

Quando la M. V. onor� la prima volta di sua presenza questa illustre citt�, il Municipio napolitano ebbe la somma ventura di presentarle l'atto solenne, con cui i popoli di queste Provincie meridionali avevano manifestato il lor voto di riunirsi con tutte le altre provincie d’Italia, in un sol regno sotto Io scettro costituzionale di V. M.

Oggi lo stesso Municipio � ben fortunato di poter salutare nella M. V. il Re di questo regno l'Italia gi� legalmente costituito, gi� riconosciuto da gran parto d’Europa, e nel quale gi� si sviluppano quei germi di forza e di prosperit�, che la Provvidenza Divina ha con larga mano posti nel bel paese, e nella indole degl'Italiani.

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Voglia V. M. benignamente accogliere l'omaggio di fedelt� e di affetto, che le presentiamo a nome di tutto il buon popolo napoletano, nel quale non verranno mai meno n� la devozione per la Real Casa di Savoia n� lo zelo e l'abnegazione per la unit�, ed indipendenza della gran patria italiana.

Il re ha risposto approssimativamente in questi sensi:

�Che non avea mai dubitato, e che era sicuro de' sentimenti de' Napoletani verso la sua persona; che da gran tempo egli avrebbe desiderato venire tra loro, e che lo avrebbe effettuato anche prima, se le occupazioni dello Stato glielo avessero consentito.

Dopo la distribuzione delle medaglie fu fatta sfilare la guardia nazionale innanzi al Re in mezzo alle pi� entusiastiche acclamazioni del popolo. Il re tornato al Palazzo dovette mostrarsi al balcone per ringraziare il popolo che voleva ancora una volta salutarlo.

La sera del giorno stesso la flotta francese diede ai Napoletani un magnifico spettacolo navale per onorare la presenza del Re d’Italia.

Verso le ore 6 p. m. il popolo traeva in folla alla marina, alla riviera di Santa Lucia, al Chiattamone, villa Reale, ed alla sempre ridente spiaggia di Margellina. Quivi lo attendeva uno spettacolo veramente degno della grande Nazione francese. Lo ammiraglio Rigault de Genouilly avea fatto sapere alla Citt� fino dal giorno innanzi che la sera delli 4, verso le 8 p. m. avrebbe avuto luogo nel golfo un simulato combattimento navale del quale avrebbero goduto dal palazzo il Re e la sua Corte.

All'ora designata (dopo un bel pezzo di aspettativa, nel qual tempo pareva che tutto Napoli si fosse concentrato sulla marina, tanta era la moltitudine che cercava di prender parte all’annunziato divertimento) un razzo partito dal terrazzo della Reggia annunziava agli spettatori che la manovra era prossima ad avere principio. Infatti tutte le navi risposero al segnale dato, collo accendere dei fuochi di Bengala, che accrebbero la gioja degli astanti, e li compensarono del lungo aspettare.

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I legni in numero di nove erano disposti a scacchiera; spenti i fuochi di Bengala, si apr� il fuoco dalla nave ammiraglia La Gran Bretagna (che porta 130 cannoni, e 1200 marinajj. Per venti minuti circa l'intera squadra esegu� il suo fuoco a volont�, poi successe il fuoco di fila, ed a questo, quello di sezione. Non � possibile descrivere l’entusiasmo degli spettatori; essi, in certo modo, rimasero atterriti, e compresi da grande meraviglia alla vista di quel fuoco, all'udire il rimbombo di quelle artiglierie, che parca volessero far crollare la citt� dalle sue fondamenta. — un'altra spaziosissima vista si presentava agli occhi del pubblico ed era il vedere intorno agli sprazzi di luce attraversanti il denso fumo, che in isvariate forme copriva i legni, centinaia di barchette, che pavesate a festa, e piene a ribocco di popolo festoso popolavano le tranquille acque del mare, o anche esse pareano comprese di stupore per s� inaudito spettacolo. Intanto le fanfare militari suonavano sulle navi l’inno di Savoja, accompagnato da frenetici hurr� delle ciurme, a cui rispondeva il popolo dalla riva con strepitosi battimani, e grida di gioia. Onde dar poi il carattere di vero alla simulata battaglia, di tratto in tratto il vivo cannoneggiamento era interrotto, per dar luogo ad un vivissimo fuoco di moschetteria, come avviene nei momenti dell’arrembaggio.

La manovra ebbe fine con un'ultima scarica dalla nave ammiraglia, dopo la quale come per incanto tutti i legni schierati in linea si mostrarono adorni di brillantissimi lumi con fuochi di Bengala, che riflettendo dalla riva i raggi di luce, ricordavano al popolo i colori della tricolore bandiera.�

In un ricevimento tenuto al ministero dell’agricoltura e del commercio la sera del 27 Aprile presso il Marchese Pepoli, l'ambasciatore di Francia aveva avuto un colloquio molto vivi col deputato Crispi. Il discorso era caduto sulla sorpresa eh secondo il giornalismo francese dicevasi aver preparato l'Imperatore Napoleone al re d’Italia durante il di lui soggiorno a Napoli, ed il deputato Crispi da uomo franco si espresse col signor Benedetti che la pi� grata sorpresa, che potrebbe fare al Re l’Imperatore dei Francesi, sarebbe stata senza dubbio l'evacuazione di Roma.

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Il diplomatico francese rispose a queste parole con lunghe spiegazioni concludendo �ch'egli sperava che prima della fino dell’anno 1862 l'Italia avrebbe acquistato il possesso della sua Capitale. La parte pi� curiosa di questo discorso fu l'osservazione seguente fatta dal signor Benedetti; che cio� se la spedizione di Marsala fosse stata ritardata di soli due mesi, la questione romana sarebbe di gi� stata risoluta.� Che voleva dire con queste parole il rappresentante della Francia? Qual mistero esse comprendevano?

Questo forse ci spiegheranno gli avvenimenti. In quanto alla sorpresa che l'Imperator dei Francesi preparava al suo augusto alleato, si sperava che il viaggio del Principe Napoleone a Napoli ne avrebbe fatto comprendere il significato. Intanto erano tutti costretti a vivere nell'incertezza, poich� lo stesso Governo Francese era titubante ed indeciso, come ne fa fede una importante corrispondenza dell'Indipendenza Belga, che qui riportiamo:

Il viaggio del principe � stato l'oggetto di pratiche diplomatiche assai numerose, le quali tuttavia pare non abbiano finora modificato le intenzioni del governo temporale. I partigiani del potere temporale sperano ancora che all’ultimo momento la partenza del principe sarebbe sospesa, ma si scorge senza difficolt� che le loro speranze mancano di fondamento.

Nelle sfere officiali, dove si dice raramente la esatta verit�, si riguarda quel viaggio come un atto di pura cortesia. Il principe Napoleone avrebbe chiesto all'Imperatore l'autorizzazione di recarsi presso suo suocero a Napoli, e l'Imperatore avrebbe acconsentito, a condizione per�, che il principe non prolunghi il suo soggiorno nella capitale dell’ex-regno delle Due Sicilie dopo la partenza del Re d’Italia.

Fra i personaggi che circondano l'Imperatore e che spingono pi� vigorosamente ad una soluzione definitiva della quistione romana, si cita il sig. Billault. Questi non avrebbe creduto poter dissimular all'Imperatore, che non credeva pi� possibile di sostenere una nuova discussione politica in seno del Corpo Legislativo, se lo statu quo continuasse ad essere mantenuto.

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Il ministro oratore avrebbe fatto valere principalmente, in appoggio della propria opinione, la presenza probabile d’un maggior numero di deputati liberali che le prossime elezioni manderanno certamente al Palazzo Borbone. L'Imperatore che tiene in gran conto i consigli del suo antico ministro dell’interno, sarebbe sembrato disposto ad ammettere il valore di tali appreziazioni. Si assicura anzi che Napoleone III avrebbe aggiunto stargli pure molto a cuore di evitare, per quanto fosse possibile, dalla discussione delle Camere queste cause di discussioni appassionate che agitano il paese e mantengono troppo grande antagonismo di opinione negli animi.

Si notano pure, con una certa apparenza di ragione, l'impressione fatta sull’animo dell’Imperatore dagli ultimi avvenimenti della Prussia ele parole che egli avrebbe pronunziate dicendo: �� sempre imprudente cosa per un sovrano urtare troppo violentemente contro le tendenze dell’opinione pubblica.� Si vorrebbe trovare in queste impressioni uno dei motivi che avrebbero determinato Napoleone III a cedere alla pressione del partito che vuole il richiamo delle truppe francesi da Roma.

Quanto al progetto di assestamento della questione romana, esso consisterebbe nell'indicare al Sommo Pontefice un'epoca ben determinata; un anno per esempio, in capo al quale le truppe francesi lascierebbero Roma definitivamente ed irrevocabilmente.

Il Principe Napoleone part� per Napoli il 10 Maggio imbarcandosi a Marsiglia sul suo yakt la sera del 12. Questa partenza fu accompagnata dalla seguente nota del Moniteur. �Il Principe �Napoleone � partito ieri per recarsi a far visita al suo Suocero. Egli fu ricevuto prima della sua partenza dall’Imperatore, e non � stato incaricato di niuna missione politica.� Questa nota officiale del Moniteur fu redatta per rispondere a tutte le voci che circolavano intorno alla questione italiana, e per ovviare a certe suscettivit� diplomatiche dei rappresentanti di alcune Potenze residenti a Parigi.

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Appena arrivato a Napoli il Principe fu vivamente acclamato dalla popolazione. Ricevette a bordo del suo Jackt la visita dell’ammiraglio Rigault de Genouilly, e di Mr. Benedetti ambasciadore di Francia presso il re d’Italia, ebbe un colloquio di pi� d’un ora col re Vittorio Emanuele, ed assist� alla festa data dal General Lamarmora ed alla quale erano stati invitati tutti gli ufficiali delle squadre inglese e francese, ed i personaggi pi� ragguardevoli della societ� napolitano. La sera fu eseguita una brillante serenata innanzi al palazzo. Il Principe vi assisteva insieme col Re dal balcone del palazzo, come egualmente al fianco del re trovavasi quando ebbe luogo nel giorno 18 la cerimonia della posizione della prima pietra del porto di Napoli. Gli applausi e le acclamazioni obbligarono pi� volte gli augusti personaggi a salutare l’immensa folla adunata sulla piazza. Fu notato il silenzio del Moniteur, il quale non diede alcun ragguaglio officiale del viaggio del Principe Napoleone a Napoli e secondo l’Indipendenza Belga del 15 maggio, quest'omissione avr� dovuto essere tanto pi� sensibile al principe, in quanto che si assicura che egli sarebbe stato molto irritato dalla nota del Moniteur che toglieva ogni carattere officiale alla sua missione. Queste piccole vittorie delle influenze che lottano continuamente presso l’Imperatore per neutralizzare le simpatie che S. M. conserva per l'Italia, non hanno il menomo significato. Quantunque il governo imperiale sembrasse fare due passi indietro dopo averne fatti due innanzi, il corso degli avvenimenti non ne sarebbe punto arrestato; quand’� il terreno medesimo che cammina sotto il passo, quelli che si precipitano innanzi come quelli che vogliono indietreggiare, sono egualmente trasportati.

Pare che il principe Napoleone, checch� se ne dica, debba essere intermediario di negoziati interessanti, e che il generale Durando sia stato chiamato a Napoli per questo motivo. Nessuna delle soluzioni della questione romana, indicate finora dalla stampa, sembra dover essere confermata dagli avvenimenti. Tuttavia nel mondo ufficiale di Torino e di Napoli, si � pieni di fiducia in una prossima e favorevole riuscita.

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Pochi giorni innanzi l’arrivo del Principe Napoleone a Napoli, il re Vittorio Emanuele aveva ricevuto la visita del Vice Re d’Egitto Mehemet Said. Una brillante festa aveva riunito la sera del 6 i membri pi� distinti della societ� napoletana.

Le sale della reggia sfavillavano di luce: l'appartamento destinato alla festa di ballo, ricco e grandioso appartamento, disposto con eleganza, adorno di fiori, accoglieva una eletta schiera di cittadini d’ogni classe, di dignitari, di magistrati, di funzionari d’ogni ordine, di graziose dame accorse a far corona al Re d’Italia.

La festa fu animata dalla pi� spontanea cordialit� e rappresent� al vivo quell’affratellamento, quella fusione delle varie classi sociali, quella reciprocanza di benevoli sentimenti e di affetto alla Patria e al Re, che sono i pi� bei vanti d’un reggime nazionale, il quale degli Italiani forma una sola famiglia, di cui � capo e padre per affetto e per virt� il Re Galantuomo.

S. M. si present� nella sala da ballo verso le nove e mezzo e fu accolto coi segni della pi� cordiale e schietta affezione. Seguito dagli ufficiali della Casa Reale, il Re fece un giro nelle sale, in mezzo alla folla degl'invitati che s'accalcava per contemplare l'Eroe di Palestro, e a tutti diresse cortesi saluti o benevole parole.

Indi collocatosi in un lato della gran sala principale assistette sin oltre le dieci alle danze.

Era con S. M. ed assistette per qualche tempo alla festa S. A. Mehemed Said, vice-Re d’Egitto coi personaggi del suo seguito. S. A. fu assai ammirata per la squisita grazia delle sue maniere, e per il suo elegante conversare. Stavano inoltre con S. M. i Ministri ed inviati delle potenze amiche.

Il Ministro di Francia, leggermente indisposto, non aveva potuto intervenire e aveva mandato il cav. Lesour, primo segretario dell’ambasciata francese, a fare le sue scuse al Re e a rappresentarlo alla festa. Tra i ministri ed inviati straordinari presenti, oltre quelli degli Stati Uniti, di Danimarca e d’Olanda, dei quali non ricordiamo i nomi, si notavano S. E. Rusten bey, ministro turco, il cavaliere Focione Roque ministro di Grecia, il cav. Solvyns ministro del Belgio, il cav. De Castro ministro Portoghese, il barone di Hochschild ministro di Svezia e Norvegia.

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Erano altres� intervenuti alla festa il cav. Soulange Bodin, console generale francese; il signor Bonham console generale inglese; i signori Oscarre ed Augusto Meuricoffre, consoli di Svizzera e di Olanda; il signor Paolo Loriche, console belga; nonch� parecchi altri agenti consolari.

Il Vice Ammiraglio comandante le due squadre francesi qui riunite, Rigault de Genouilly, si trattenne a lungo alla festa col brillante suo stato maggiore e con ben settanta uffiziali delle squadre. Erano altres� presenti il commodoro comandante la squadra inglese, il suo stato-maggiore ed una eletta coorte de' suoi uffiziali.

Le LL. Eccellenze il Presidente del Consiglio, il Guardasigilli, e il ministro della marineria, coi loro segretaria, non lasciarono la festa che oltre mezzanotte.

Il comandante generale delle truppe nelle provincie napolitane, prefetto di Napoli, S. E. il generale Lamarmora, il comandante generale del dipartimento marittimo meridionale, vice ammiraglio barone Tbolosano, parecchi comandanti generali ed uffiziali dello forze di terra e di mare, il prefetto commendatore Visone col Consiglio di Prefettura, la deputazione e il Consiglio provinciale, il Sindaco colla Giunta e col Consiglio comunale, il generale comandante dei carabinieri cav. Arnulfo, il generale comandante la Guardia Nazionale, commendatore marchese Tupputi, col suo stato maggiore, con moltissimi ufficiali, sottoufficiali e militi della guardia nazionale; i generali comandanti delle varie armi e dei diversi corpi dell’esercito regolare con trecento e pi� ufficiali; la corte di Cassazione e i magistrati dell’ordine giudiziario, i professori della reale Universit�, i dignitarii di Corte, i capi delle diverse amministrazioni, i direttori di varii giornali liberali, i corpi morali scientifici o letterarii, in una parola quanti cittadini distinti in ogni ordine novera Napoli, s'accoglievano nelle splendide sale del Re.

Fu altres� notata la presenza di Deputazioni delle vicine Provincie venute in Napoli ad ossequiare S. M.

Molte dame belle, graziose, come Io sono le donne napoletano rendevano pi� brillante la festa e ne raddoppiavano l'incanto coll’affabilit� dei modi e la ricchezza degli adornamenti.

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S. M. si trattenne sino alle undici conversando or con l'uno, or con l'altro dei personaggi che poterono avvicinarlo. Le danze si potrassero ben oltre la mezzanotte.

Finalmente il re part� di Napoli il 20 Maggio in mezzo alle acclamazioni del popolo, che si affollava nel suo passaggio. Dopo una felice traversata la Maria Adelaide che trasportava il re, entr� il 21 a nove ore di mattina nel porto di Genova.

Un ordine del giorno chiamava sotto le armi la milizia cittadina invitandola a riunirsi in uniforme di parata al primo battere dei tamburri.

Disposizioni erano date perch� gli ufficiali tutti dello stato maggiore della R. Marina si trovassero allo scalo di sbarco pel ricevimento, la fanteria di Marina ed i Reali equipaggi fornissero distaccamenti per far ala d’onore; i legni della marina militare pavesati si tenessero pronti a fare lo salve di 21 colpi cogli equipaggi schierati sui pennoni e mettere a disposizione delle fregate arrivanti una lancia fornita di gherlino.

Poco dopo che i tamburri aveano cominciato a battere per la riunione, le artiglierie del porto salutavano l’entrata delle pirofregate Maria Adelaide e Duca di Genova. Non erano ancora le nove, quindi l'arrivo giungeva inaspettato.

L'ammiraglio, con alcuni degli ufficiali di marina, e col comandante del porto, che gi� trovavasi in uniforme di gala, accorsero tosto al regale ricevimento.

Il Sindaco si affrettava a recarsi allo scalo di sbarco, e ancora in tempo vi giungeva.

I Regii legni prestamente imbandierarono le loro antenne e mandarono sui pennoni i marinai. Le artiglierie fecero le triplici salve d’uso e alle nove ed un quarto il reale canotto portava in terra Vittorio Emanuele, coi ministri, e gli ufficiali del seguito, tutti in uniforme borghese.

Per la privata scala che mette il Palazzo Reale in comunicazione colla Darsena, S. M. recavasi ai suoi appartamenti.

Il giorno 22 alte ore 11 e 30 S. M. partiva alla volta di Torino. La truppa di presidio e la Guardia Nazionale disposte in ala d'onore lungo la via che doveva percorrere il convoglio nell’interno della citt�, salutarono il Re alla sua partenza.

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Numerosa popolazione, ch'era fin dal mattino lungo la via, salut� con evviva e battimani l'amato sovrano.

Nel mentre S. M. saliva nel vagone, due popolane vennero a presentargli due suppliche che con affabilit� grandissima egli accolse.

Mentre il re Vittorio Emanuele era a Napoli, il re di Portogallo annunziava officialmente alle Cortes il suo futuro matrimonio colla Principessa Maria Pia d'Italia.

Come si sa, il re D. Luigi I, secondogenito di Mario II da Gloria, morta nel 1853 e del re D. Ferdinando, duca di Sassonia-Coburgo, � succeduto a suo fratello maggiore, D. Pietro V. tanto prematuramente rapito dalla morte alla sua famiglia e al suo popolo. S. M. Luigi I, conosciuto prima della sua assunzione al trono sotto il titolo di Duca d’Oporto, � nato il 31 ottobre 1838, ond’ha ora quasi 24 anni. Il giovine sovrano, nei suoi due viaggi in Francia, ha lasciato tra noi eccellenti memorie.

La futura regina del Portogallo � il quinto frutto del matrimonio di Vittorio Emanuele, re d’Italia, colla regina Adelaide, arciduchessa d’Austria, morta nel 1855. La principessa Maria Pia, nata il 6 ottobre 1817, ha quasi 15 anni. Sorella di S. A. I, la principessa Clotilde e cognata per conseguenza di S. A. I. il principe Napoleone, la principessa Maria Pia diviene un nuovo vincolo tra le famiglie imperiale e reale di Francia e Portogallo, strette gi� dal Matrimonio di Donna Antonia, sorella del ro D. Luigi, col principe ereditario di Hoenzollern-Sigmarmgen, il cui padre � un cugino germano di Napoleone III.

L'accoglienza fatta al re Vittorio Emanuele dai Napoletani fu oggetto di lunghi commenti per parte della stampa europea. L'opinione generale era favorevole all’Italia; ed ecco in quali termini su questo particolare esprimevasi il Constitutionnel giornale semi-officiale dell’Impero francese.

�L'importanza del viaggio attuale del Re d'Italia � evidente per tutti, ed � dimostrata vieppi� dalla recrudescenza d’ingiurie e di violenze della stampa antiitaliana. Ma gli oltraggi non possono giungere al cuore di un monarca che � circondato dall’amore del suo popolo.

729

Il re d'Italia non vede innanzi a se che una grande impresa da compiere e procede a questo scopo con una risoluzione invincibile. D’altronde, egli � ricompensato ampiamente di tanto coraggio.

�Prima della giustizia della storia, egli riceve le benedizioni dei suoi nuovi sudditi.

�Mentre che Napoli festeggia il soggiorno del suo re con un entusiasmo universale, le provincie gli mandano ogni giorno delle nuove deputazioni.

�La presenza di Vittorio Emanuele a Napoli � la migliore delle politiche.

III.

Per adempire coscienziosamente l’assunto impegno e per camminar nel retto sentiero della verit� storica, dobbiamo ora mostrare ai nostri lettori il rovescio di questa brillante pagina che abbiamo tracciata. Dopo aver descritto le gioie ed i trionfi della causa italiana, noi siamo costretti a manifestarne una piaga sempre sanguinosa, alla quale era venuto a portare un qualche rimedio il re Vittorio Emanuele in persona. Questa piaga era il brigantaggio.

Al punto in cui noi ne abbiamo interrotto il racconto, cio� dopo la disfatta e la morte di Borjes, i nostri lettori avranno gi� potuto prender lume del vero stato della questione dall’interessante Giornale del capo banda spagnuolo da noi riprodotto per intero. Rimaneva soltanto a sapersi cosa fosse avvenuto di Crocco Donatelli. Secondo alcuni questo dopo essersi separato da Ninco Nanco, ed aver operato solo con circa una cinquantina di malviventi, sarebbe venuto a morire sotto i colpi della truppa italiana verso la met� del mese di Aprile. Abbiamo tratto dal Popolo d'Italia i dettagli della pretesa sua morte, e di quella della sua donna, che era con lui.

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…....... Il famigerato Crocco s'incontr� nella lotta con un valoroso sergente foriere della legione Ungherese, il quale gli tira il primo colpo di sciabola e gli rompe la clavicola della spalla sinistra; con un secondo colpo gli taglia tre dita della mano dritta; e mentre gli cade il due botte dalle mani, il sergente smonta da cavallo ed impossessatosi dell’arme del brigante, comincia a percuoterlo sul cranio e lo stende morto a terra. Nel momento di questa brillante ed accanita lotta fra i due, arriva un altro soldato con la sicurezza di essere Crocco quell'individuo col quale il sergente si batteva, avendolo saputo da un pastore che era quivi al pascolo del suo gregge.

I briganti superstiti si danno a precipitosa fuga, ma l'amante di Crocco si volta por vendicarne il sangue, e sparando il suo due colpi, riesce ad ammazzare il cavallo del comandante la legione, e col secondo colpo ferisce alla gamba il sergente uccisore, il solo ferito nella pugna. La notte di venerd� il distaccamento si ritira a Lavello, unico paese vicino all’attacco, e di l� scorge molti fuochi sul luogo del combattimento, per cui il mattino seguente vi and� novellamente trovando tutti i cadaveri bruciati; e per assicurazione dei mandriani si seppe che i briganti avean portato via solo il cadavere di Crocco e seppellito, bruciando anche quello della di lui donna, uccisa a sciabolate. La corrispondenza di Crocco � in potere della giustizia, ed a quanto ci � dato sapere oggi, pare che molti ricchi di questi paesi siano stati protettori dello efferato brigantaggio. Il cavallo di Crocco e la bisaccia che conteneva due revolver e la coppola tricolore, con la iscrizione: Viva l'Italia: Viva Garibaldi: vennero in potere del comandante di legione. Il sacco col suo denaro fu in potere del Pinto di Lavello, che era presente all’attacco come guida offerta dal generoso Mennuni. Gli Ungheresi vollero, per gratitudine, di quel denaro arrichirlo.

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Questo racconto del Popolo l'Italia quantunque vero nel fondo riguardo alla dispersione della banda, che si ricover� alle Murge perseguitata continuamente dalle truppe, era erroneo per ci� che riguardava la persona di Crocco, poich� pi� tardi vedremo di nuovo questo capo banda ricomparire nella storia del brigantaggio. Pu� aver dato causa a quest'errore la poca conoscenza dei luoghi e delle persone, che doveva avere il distaccamento ungherese, che aveva operato contro la masnada di Crocco.

Verso la fine di Marzo la giustizia italiana aveva fatto un gran colpo.

Fu convocata in Ascoli una Corte d’Assisie per giudicare i gravissimi fatti del brigantaggio che avevano afflitto quella provincia. Ascendeva a 163 il numero degli accusati, de' quali 117 detenuti, contumaci gli altri. Fra i detenuti contavansi nove parroci ed un chierico beneficiato.

Trenta erano i titoli d’accusa, due dei quali riguardavano attentato alla sicurezza dello Stato, per avere nei mesi di dicembre 1860 e gennaio 1861, riuniti in conventicole e indotti i popolani dalla parte montuosa della provincia ascolana ad armarsi, onde distruggere il governo nazionale e ripristinare il gi� caduto governo pontificio. Sei dei nove sacerdoti trovavansi implicati in questa accusa. Gli altri titoli concernevano omicidii di ufficiali e soldati delle RR. truppe, e depredazioni con saccheggio di case e campagne.

Il tribunale condann� 19 alla pena capitale, parecchi ai lavori forzati a vita, e fra questi trovavansi 5 curati, 30 ai lavori forzati a tempo, 7 alla reclusione e 27 alla prigione.

I condannati ascoltarono la lettura della loro sentenza colla massima indifferenza.

Il Governo francese aveva promesso al Gabinetto di Torino di vigilare sulle frontiere romane onde impedire il passaggio delle bande. Verso la fine di marzo le truppe accantonate a Coprano sequestrarono cinquecento uniformi borboniche che si tentavano d'introdurre negli Abbruzzi, e pochi giorni dopo a Pagliano sedici casse di munizioni di guerra contenenti 60000 cartuccie spedite da Roma.

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Dalla parte l'Alatri egualmente s'impadronirono di un intero carico di viveri da campagna, biscotto, e carni salate che furono per pi� settimane distribuite ai poveri del paese. Non era pertanto da maravigliarsi, se in seguito di questi fatti i giornali parlavano dei preparativi che si facevano a Roma per alimentare il brigantaggio. Ecco un dettaglio interessante su tal soggetto.

Fu appunto preso, fra molti altri prigionieri, il segretario del capo della banda, certo Padulli, ex sergente borbonico e disertore ora dall’esercito; costui depose che gli arruolamenti erano stati fatti a Roma dal farmacista Vagnozzi in Campo di Fiore, che la banda era partita da Roma il 30 marzo in drappelli; che si riun� al piano d’Arcinazzo presso Trevi, ove le armi erano collocate in sacchi sopra un carro; distribuite le armi, un prete don Luigi bened� la banda, disse che avrebbe trovato il napolitano insorto, e truppe spagnuole, e ripart� per Roma. La banda avanz� il 4 ad Anticoli, e il 6 aprile pass� la frontiera. In Anticoli aveva ricevuto cappotti francesi comprati in ghetto con mostrine gialle, sacchi di pane, zaini.

Il Padulli aggiunse che altre bande dovevano partire prossimamente. Una � infatti partita il giorno 8 da Roma, condotta da un tal Contrillo, gi� capo brigante nei dintorni di San Germano.

La banda di Luco era destinata per l’Abruzzo, e condotta da un tal Pasquale Mancini, aquilano. Ma n� questa pot� penetrare, ne forse le altre lo potranno.

Ai briganti si dava due carlini al giorno fino alla frontiera. Ma passata questa malgrado le molte promesse, non ricevevano altro, e dovevano vivere di saccheggio. Luco fu salva dai pochi soldati, che occuparono i briganti, colla loro resistenza.

Il generale napolitano Clary fu per ordine della polizia francese inviato a Civitavecchia. Altri ex-ufficiali borbonici furono del pari sorvegliati. Si volevano opporre misure efficaci alla reazione napoletana. Tutte le misure fin allora adottate non valsero ad impedire le prattiche del comitato borbonico.

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L'abate Ricci, uno degli organizzatori del movimento, doveva essere arrestato, ma avutone sentore, pot� sottrarsi colla fuga.

La polizia romana fece arrestare il segretario del signor Ulloa, ex ministro del Borbone. Pare che avesse relazioni col comitato nazionale.

I Francesi che custodivano il confine, in qualche mese arrestarono ben un migliajo di reazionari. Ma costoro essendo stati consegnati all’autorit� pontificia, questa li rilasci�, e non tardarono a raggiungere le bande dei briganti. Erano quasi tutti ex soldati borbonici, che non avevano altro mezzo di sussistenza.

Fu allora che il general Govone indirizz� a tutti i distaccamenti dell’11, 43, 42 di fanteria, 1 e 32 bersaglieri stanziati sulla frontiera pontificia, il seguente ordine del giorno:

Il 30 marzo partiva da Roma una banda di 200 briganti, la quale per Subiaco e Filettino penetrava in Valle Roveto il 6 aprile prima di giorno, e, traversato il Liri, si gettava sopra Luco.

Informate le truppe partivano da Valle Roveto ed Avezzano per seguirne le traccie. Luco era intanto invaso da ogni lato. Parte della masnada ne occupava gli sbocchi, il resto si gettava nel cuore del paese per sopraffare il piccolo distaccamento che ne stava a presidio.

Il sergente Pasolini da Cesena aveva tempo ad impugnare il fucile, sparare a 10 passi su due briganti che primi giungevano, ferirne (uno e chiudersi col suo drappello di 15 uomini nella angusta caserma.

Qui cominci� una lotta feroce. I briganti cercavano sfondare la porta, sparavano contro le finestre, mettevano fuoco a una camera a pian terreno, scassinavano il muro dietro la caserma congiunto ad altre case pi� alte, e mettendo per la breccia fascine, appiccavano fuoco anche al tetto.

Il piccolo drappello circondato dalle fiamme rispondeva ai colpi, sparava contro gli aggressori per il tetto, per la porta, per le finestre, e rispondeva degnamente all’intimazione di rendere le armi. Non pochi briganti furono feriti in questo attacco, che si prolung� dalle 10 del mattino all’una e mezza pomeridiana.

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Mentre la compagnia del capitano Galli accorreva ad Avezzano, una pattuglia di 3 uomini comandata dal caporale Fantuzzi Silvestro veneziano, era sortita per informazioni da Trasacco. Al su�no della fucileria aveva progredito a Luco. Il rumore dei colpi, il fumo delle fiamme, mostravano troppo il pericolo de' compagni racchiusi in paese. L'intrepido caporale disse ai suoi: o aiutare i nostri, o morire con loro; e senza altro al passo di corsa al grido di Savoia, Savoia, penetr� nel villaggio. Tutto cede all'impeto dei quattro valorosi che sono, oltre il caporale Fantuzzi Silvestro, i soldati Castagnali Sebastiano del 44 reggimento, 3 compagnia, da Meldola; Laurenti Giacomo, di Cento, del suddetto reggimento e compagnia, e milite Campana Antonio della 5. compagnia, guardia nazionale mobile da Avezzano.

L'orda dei briganti s'aperse fuggendo. Cred� senza dubbio che truppe numerose tenessero dietro a loro. Fu il dato segnale della fuga. Il distaccamento fu salvo ed il villaggio risparmiato al sacco, all’incendio, all’assassinio.

Il sergente Pasolini, al giungere di questo aiuto, irruppe ani fuggiaschi.

Venti minuti dopo giungeva il capitano Galli, che prendeva ancora presso il paese uno dei capi che portava insegne di capitano. Fu fucilato, e la compagnia si metteva sullo traccio dei fuggitivi.

Un'altra colonna condotta dal maggiore Marsuzi per le alture avrebbe tagliata la via di scampo all’intera orda, se una falsa notizia non la faceva deviare.

La banda ebbe tre morti, trovati finora, ed 8 feriti. Seguita senza possa dal capitano Galli, dal maggior Marsuzi, dal capitano Besozzi del 14 reggimento, priva di viveri, estenuata, si disperdeva gettando armi, cappotti e zaini. Una quindicina furono gi� arrestati in varia direzione dalle truppe, dalla guardia nazionale e dai contadini. Una cinquantina di briganti ripass� il Liri la mattina del 7 inseguiti dal luogotenente Polidori del 44 reggimento, che raccolse armi e vestiario gettati nella fuga.

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Alle truppe che ho l’onore di comandare sulla frontiera rendo noto la fermezza del distaccamento di Luco, e l'eroica abnegazione della pattuglia di Trasacco; che esse tutte, lo io, dall’uff�ziale al soldato, imiteranno al caso.

Il magg. gen. comandante.

Firmato Govone

Gli Abruzzi e la Terra di Lavoro erano i punti pi� infestati dal brigantaggio; ed era col� appunto che le autorit� italiane avevano concentrato i mezzi pi� energici di repressione. Rimanevano per� ancora da purgarsi dai briganti le provincie di Basilicata e di Capitanata, nelle quali la natura del suolo offriva un potente asilo alle bande. Se dobbiamo prestar fede al racconto officiale che ne fa il Prefetto della Capitanata, � d’uopo ritenere che la situazione della medesima fosse in via di miglioramento. Ecco il proclama indirizzato da questo magistrato allo popolazioni di quella provincia.

Alle popolazioni della Capitanata

Cittadini,

La banda Coppa-Minelli, numerosa, dodici giorni or sono, di poco meno di 300 briganti � affatto distrutta. Attaccata da lancieri il di 10, sotto il comando del maggiore Municchi, a Castelfiorentino lasciava 39 morti sul terreno. Perseguitata di poi con istancabile lena da parecchi distaccamenti di fanteria e di cavalleria, chiusile tutti i varchi, esplorata in tutti i boschi, fuggitiva, braccata, quasi gran parte � perita di stenti e di fame. I campi di biade, i gorghi del Fortore, i folti delle foreste ne nascondono i cadaveri. Pochi, presi con le armi alla mano, vennero fucilati: per le campagne si raccolgono tuttod� armi e cavalli abbandonati.

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Cinquanta di essi si sono gittati nella contermina provincia del Contado, dove uno ad uno cadono fra le mani della pubblica forza. un'altra banda d’intorno a trenta, riuscita a sfuggire dal cerchio d’armi che la stringeva, � tornata sui suoi passi, errante adesso fra Troja, Montecalvello e Bovino, datasi nuovamente a taglieggiare. Coppa era fra questi, infermo per la larga e insanabile ferita nel petto. Minelli periva di mano dei suoi nell'ostinata caccia che gli dava la truppa.

Cos� in otto giorni, con mirabile strategia, poche compagnie e squadroni, correndo dall’alto al basso Fortore, hanno purgata mezza la Capitanata dalla maggiore banda che crudelmente la devastava. Il soldato si � mostrato superiore a se medesimo, ha fatto marcie lunghissime ed aspre sotto una pioggia dirotta di pi� giorni, per impervii sentieri. Il brigadiere Ferreo lo comandava. N� le popolazioni han mancato ai loro doveri; i Sindaci, le Guardie Nazionali, le squadriglie, i particolari han dato guide sicure, fidi corrieri, affettuosa ospitalit�, concorso efficace e devoto. Il capo della spedizione disseminava per le vene di tutti il fuoco che accendeva le sue. Il tenente generale Regis disegnava il movimento.

Il Sotto-Prefetto di S. Severo, e le milizie cittadine di Chienti, Serracapriolo, Torremaggiore e Sansevero hanno alacremente servito il paese in questo breve e fruttuoso periodo di otto giorni.

Il tenente colonnello Fantoni, avvertito in Lucera dello orme dei 30 fuggiaschi, usciva colla sua compagnia battendoli alla schiena per due giorni. Cos� finiva di stremarli. Raccoglieva pur esso, lungo il passaggio, cavalli ed armi ed arnesi diversi. Il Sindaco di Lucera ha dato prova di zelo infaticabile e perspicace.

Cittadini,

Liberati dal pi� grave. pericolo, daremo opera insieme a sgombrare dal nostro suolo le bande minori. I manutengoli e la spie dei briganti, che sotto maschere oneste si celano nelle citt�, si vanno tuttod� manifestando. Gi� n� conosco i nomi.

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Fra breve, spero, otterremo tutti il ritorno dell’ordine e della sicurezza.

Foggia, 21 aprile 1862.

Il Prefetto

G. DEL GIUDICE.

� vero per� che noi abbiamo un documento meno interessato perch� meno officiale, e che ci dipinge la situazione di quelle contrade. � un dispaccio del Console inglese Bonhams al Conte Russel.

Napoli 2 Aprile 1862.

�Ho l'onoro di riferire a V. S. che continua ad essere molto malsicura la provincia di Capitanata, (1) Vi sono in essa molte bande di malandrini, che tengono il paese nel terrore ed eludono l'azione delle truppe. Si mandarono rinforzi e, come dissi nel mio dispaccio dei 27 marzo, fu posto al comando un nuovo ed attivo generale. Del resto si spandono per tutto il paese, a bella posta e ostinatamente esagerate notizie di latrocinii collo scopo evidente di eccitare malumore e sgomento. Certamente sinora il brigantaggio esiste in ampie proporzioni nella Capitanata e non

fa ancora efficacemente represso; ma in altre provincie, almeno sinora, quel flagello � molto minore che non fosse nell’anno scorso, ed in alcune non esiste affatto. Per quanto io so n� le Calabrie, ne gli Abruzzi ne sono infestati, ed erano pur queste le provincie pi� infestate. Negli abruzzi si teme un'invasione di avventurieri, che si stanno ordinando a Tivoli, nello stato romano, senza incontrare alcun impedimento o molestia.

(1) E' da notarsi che questa lettera ha la data del 2 aprile. Ora tutti sanno che dopo quella data lo stato della pubblica sicurezza si � migliorato assai anche in Capitanata.

738

Si travagliano molto gli agenti reazionarii non solo nello spandere notizie sgomentanti, ma nel corrompere e sedurre i soldati napoletani che servono ora in gran numero nei reggimenti italiani in queste provincie. Mi accertano tuttavia che questi soldati si comportano benissimo, e che falliscono i conati di quegli agenti.

Continua lo scontento a Napoli e la stessa gelosia degl'Italiani settentrionali (1); ma in molte cose v'� progresso e miglioramento materiale. Non pu� dubitarsi che il commercio sia aumentato considerabilmente. Il movimento navale inglese a Napoli nei primi tre mesi di quest'anno, paragonato col primo trimestre del 1859, 1860 e 1861, d� i risultamenti seguenti.

legnitonnellate
18595115,925
18606221,646
18615720,347
18629334,710

La dogana non ha capacit� bastante per contenere le merci ora sbarcate, ed una larga area esterna fu coperta di un tetto di zinco per dar un temporaneo riparo ad esse.

Il popolo non pena a trovare lavoro, il commercio � animato, inoltre il municipio d� molto lavoro in fabbriche ed altre opere in diverse parti delle citt�. Rincararono le pigioni e le derrate di ogni genere.

(1) Anche qui osserviamo che la situazione si � migliorata dall'aprile ad oggi. Il viaggio del re ha calmato le inquietudini, soddisfatte molte suscettibilit� e distrutte preconcette opinioni.

(Nota dell’autore.)

739

Non mi giunsero lagnanze per miseria o mancanza di lavoro nei varii porti ove sono viceconsoli e credo che gli affari commerciali prosperino ivi come qua. Abbondavano l'anno scorso le ricolte d’ogni genere (tranne il formentone) e fra queste il vino, che per alcuni anni aveva scarseggiato per la malattia della vite. Grande � la quantit� che ne arriva ogni settimana a Napoli e si manda nelle parti settentrionali. Considerabile fu del paro l'esportazione dell’olio dai porti delle provincie. Dei lavori pubblici nelle provincie posso far menzione soltanto della ferrovia romana non ancora terminata tra Presenzano e Ceprano, in cui s'impiegano migliaia di persone: della ferrovia da S. Benedetto del Tronto a Foggia, su cui s'impiegano dodici mila persone, e di quella da Salerno ad Eboli, che ne occupa da tre a quattro mila. Molte altre sono progettate, ma non ancora cominciate.�

Ad onta del vero interesse mostrato dal popolo inglese per la causa italiana noi troviamo uno dei figli di questa libera nazione fra gli agenti del partito reazionario. Questi era un tal James Bishop, che si diceva amico di Lord Derby. Questo Bishop (Giacomo Bisciop), erasi gi� fatto napoletano, poich� da pi� di cinque anni dimorava in quella citt�. Diretto alla volta di Roma per via di terra, venne arrestato presso Gaeta. Gli furono rinvenute addosso non poche carte di rilievo; diverse lettere di capi reazionari di Napoli dirette a Francesco II; ed un vasto piano di reazione, in cui mostravasi come esistenti nelle provincie meridionali nientemeno che 80,000 e pi� pronti a combattere per la restaurazione dei Borboni, dei quali ottantamila, 15 mila erano gi� armati, per gli altri si domandavano armi ed assai quattrini. Fra le altre fandonie, veniva designata una banda di briganti esistente ai Camaldoli.... Egli aveva anche addosso un ritratto di Francesco II, colla costui firma scritta di proprio pugno. A quanto pare, questo inglese era un avventuriere, che cercava far denari. � biondo e gobbo della persona e dell’et� di circa 35 anni.

740

Condotto alla questura, il sig. Aveta gli ced� la sua stanza di ufficio, ove rimase la notte. L'indomani sera il console inglese cerc� farlo rilasciare, ma osservati i documenti, desistette da ogni pratica.























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